La stagione operistica 2007/2008 al Teatro Verdi di Trieste
sarà presentata ufficialmente in settembre, ma la direzione del teatro ha provveduto a divulgare già il programma, pur senza sbilanciarsi sugli interpreti e riservandosi variazioni dovute ad impedimenti vari.
Dalla semplice lettura dei titoli sembra una stagione molto interessante, che mantiene le promesse fatte più volte dal sovrintendente Giorgio Zanfagnin: recupero di titoli desueti per il teatro triestino, pur restando nell’ambito della tradizione, ed inserimento di qualche opera contemporanea.
Ecco di seguito alcune mie considerazioni, forzatamente monche, in quanto mancano i nomi degli interpreti che spesso garantiscono il successo di un allestimento.
Ciccando sul nome dell’opera, c’è un collegamento ipertestuale con “La Bibbia dei melomani”, dove chi è interessato può trovare qualche ulteriore notizia sul lavoro proposto.
Alla fine del post una lista d’incisioni discografiche, reperibili con facilità, che io considero di riferimento. Sono graditi ulteriori suggerimenti da parte dei più volenterosi. (smile)
L’apertura avverrà in novembre con
Ernani di Giuseppe Verdi, che manca dal palcoscenico triestino da quasi trent’anni.
È un’opera magnifica, emozionalmente incendiaria per il pubblico e molto impegnativa per i cantanti, specie per la parte affidata al soprano ( Elvira ) che deve affrontare a freddo un’aria di difficoltà spaventosa ( Ernani, Ernani involami…): sono richieste agilità di forza e voce da soprano drammatico. Una sciocchezza. (smile)
Il 2008 si aprirà all’insegna del
belcanto con
Il turco in Italia di Gioachino Rossini,
dramma buffo che è forse tra le opere più innovative del genio pesarese; infatti, come spesso succede in campo artistico e non solo, il lavoro fu accolto freddamente al debutto milanese, nel 1814.
Peraltro il motore dell’ispirazione è la satira della borghesia, come dire che Rossini si permetteva il lusso di prendere in giro il suo pubblico.
Fiorilla, la protagonista, è uno di quei (tanti) personaggi in cui l’interpretazione di Maria Callas resta d’assoluto riferimento.
Il terzo titolo della stagione è
Iris di Pietro Mascagni, e qui la cosa si fa davvero molto intrigante.
Siamo nel tanto vituperato verismo, che spesso è superficialmente considerato come il figlio impresentabile di una famiglia perbene. I melomani più intransigenti, quando vogliono esprimere il loro disprezzo per l’interpretazione di un cantante, dicono che la sua prestazione “è stata inficiata da accenti veristici”.
È pure vero che in alcune occasioni, specie negli anni passati, gli interpreti si sono lasciati andare a qualche urlo di troppo, ad una partecipazione emotiva troppo sanguigna, ma questo genere musicale è tra i più fruibili anche per i neofiti, proprio per l’immediatezza con la quale si trasferiscono i sentimenti al pubblico.
Con il quarto appuntamento,
Les pecheurs des perles di Georges Bizet, si torna alla beata soavità ed alle atmosfere rarefatte del romanticismo. In questo contesto la parte più ardua spetta al tenore, che deve avere una vocalità raffinata, saper cantare a fior di labbra, ma non indugiare troppo in sdolcinature eccessive. C’è una magnifica aria per il tenore "
Je crois entendre encore ", che è stata il cavallo di battaglia di molti tenori
di grazia e proprio per questo piuttosto nota. Ma perla tra le perle (scusate il gioco di parole di bassissima lega), anche se meno conosciuto, è il duetto del primo atto tra tenore e baritono,
“Au fond du temple saint”, che sprigiona un meraviglioso senso di malinconia e dolcezza.
E siamo così arrivati a metà aprile, quando al Verdi si presenta l’appuntamento per certi versi più interessante e cioè il dittico I Sette Vizi Capitali (musica di Kurt Weil su libretto di Bertold Brecht) e Trouble in Tahiti, atto unico di Leonard Bernstein.
Sarà bello essere solo a teatro, credetemi. (strasmile)
Non voglio millantare conoscenze che non ho e ricorrere a San Google, ma anche questo dovrebbe essere compito di un teatro, stimolare il pubblico ad allargare i propri orizzonti culturali. Io accetto volentieri la sfida.
Si torna alla tradizione, ma con un titolo che non è stato mai rappresentato a Trieste, il
Roberto Devereux di Gaetano Donizetti, uno dei pilastri della
“trilogia Tudor”, assieme a “Maria Stuarda” ed “Anna Bolena”. E qui ci troviamo di fronte ad una delle opere più ardue da rappresentare: il ruolo della protagonista è semplicemente mostruoso, per lunghezza e difficoltà, una parte da vera regina del belcanto. Coloratura, agilità di forza, temperamento drammatico, abbandoni amorosi, credibilità scenica, fraseggio impeccabile, tutto in una sola protagonista che deve rappresentare la lacerazione di una donna di stato al massimo livello che è innamorata come una liceale in piena tempesta ormonale. ( e pure cornuta nelle intenzioni)
Ecco, proprio qui sento già gli strali dei puristi che parleranno (magari a ragione, vedremo) di quei deprecabili accenti veristi di cui sopra. Saranno serate incandescenti, prendete nota. (smile)
La chiusura della stagione è affidata ad un Giacomo Puccini non troppo frequentato, quello di
La Rondine.
Lo stesso compositore, dopo il debutto a Montecarlo, apportò numerose modifiche alla partitura senza essere mai del tutto soddisfatto ed ancora oggi in molti definiscono “La rondine” un’operetta.
Io affermo solamente che si tratta di Puccini e quindi chapeau!
Bene, sono certo che questo mio breve ed incompleto excursus sarà letto da pochi intimi, però che ci volete fare, ognuno ha le sue addiction.(strasmile)
Buona settimana a tutti, e speriamo che piova, governo ladro.
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