Dunque, non voglio che pensiate che mi sono messo in testa di essere uno scrittore, però i miei cassetti sono pieni di questi piccoli flash, e sto facendo ordine. Questo raccontino non vuol saperne di rientrare in sede. Le osservazioni critiche sono graditissime.
Augusto il jolly
Ancora un colpo di pettine ai capelli.
Ecco, così va bene.
I pantaloni del vestito blu, cadono perfettamente.
Una stropicciata al colletto della camicia azzurra, per non avere un’aria troppo perfettina; insomma l’immagine di un uomo raffinato ma un po’ trasandato, che tanto piace alle donne.
Anche la moglie di Augusto è una donna, e che donna!Ma si sa, dopo qualche anno le femmine sono tutte uguali, ed il gusto dell’avventura prevale.
Istinto dell’uomo cacciatore, lo chiamano, per dare una patina scientifica darwiniana alla voglia di scopare tutto quello che si muove, purché soddisfi il proprio orgoglio di maschio.
Augusto ha una motivazione in più, rispetto agli altri: deve dimostrare a se stesso che quella zoppia evidente, che gli mangia l’anima da dentro fin da bambino, non è un ostacolo sufficiente a fermare il suo fascino.
Le donne sono la sua rivincita.
Allora di giorno, dietro al suo banco di pescheria, lavora duramente; guadagna bene ed elargisce in uguale misura pesce freschissimo ed ammiccanti sorrisi alle mamme, figlie, mogli, lusingate da quel bell’uomo dietro al banco.
Poi, nel pomeriggio, via con quella femmina che tra una moina e l’altra, esibisce un rifiuto che è più di una certezza, bisbigliato tra un chilo di sgombri lucenti e gli allegri spiccioli del resto.
Il copione è immutabile, ma solo per Augusto: per la preda di turno, annoiata dalla stanca routine familiare, è vita nuova, è emozione. Un salto al casinò oltreconfine, l’esibizione piaciona ed ostentata di familiarità con i croupier, la tristemente lussuosa camera dell’albergo che ospita le sale da gioco.
Il sesso frizzante della clandestinità, del pericolo di essere riconosciuti, una nuova avventura da raccontare ma anche, una nuova, ennesima lite da affrontare con la moglie.
Una moglie, che parliamoci chiaro, una volta mangiata la foglia, gli rende pan per focaccia.
Tu mi tradisci?Bene, io tradisco te.
Augusto ritiene di non tradire, le sue sono solo avventure, mentre quelli di sua moglie sono comportamenti da puttana, che ricambia così non le sue innocenti scappatelle, ma il suo sacrificio sul lavoro, la televisione, lo stereo, la coupè nuova, le cene al ristorante.
Un pomeriggio la lite non si ricompone, quel pomeriggio Augusto e la moglie non finiscono a letto insieme, per ricomporre rabbiosamente con un sesso rancoroso ma liberatorio lo scoppio d’ira.
Quel giorno lei non ci sta, dice basta.
Tutti, nel rione, si affacciano alle finestre.
E guardano.
Vedono una pioggia d’oggetti che sgorga dal balcone di Augusto il jolly, che nella sua furia ha davvero quella faccia da matto dell’omonima carta da gioco.
Alla fine, rimane solo un cumulo di transistor, cristalli, dischi di musica sinfonica spezzati.
Una colonna sonora stridente d’oggetti che si schiantano a terra ed un duetto dal testo composto da parolacce, insulti, strepiti ed urla; poi la porta di casa che sbatte violentemente, come un gong, ed il silenzio rotto solo dai sommessi singhiozzi di una donna stanca.
Fine della rappresentazione.
Augusto sale sul suo coupè e sparisce nel nulla, facendo urlare i pneumatici della sua Alfa sportiva.
Lo scatto furioso d’ira è pagato caro, una denuncia per maltrattamenti, la separazione definitiva.
La pena ha la forma di una bottiglia di whisky, per dimenticare quella stronza che non voleva farsi umiliare senza reagire: il supplemento di condanna è la roulette, una volta semplice passatempo, ora vizio incontenibile e devastante.
Quella ruota sì che è una troia vera, e quanto si fa pagare, e come non si può fare a meno di lei e le si offre tutto ciò che si possiede! E lei un giorno ti sorride invitante e quello successivo fa finta di non conoscerti, anzi ti sghignazza in faccia.
Come quell’ultima volta, quando Augusto, dopo aver dilapidato tutto su quel maledetto numero, il trentadue, invece di andarsene col suo amico Ricci e farsi offrire un caffè, rimane lì, a vedere ancora un ultimo maledetto giro di quella puttana di ruota, senza poter puntare una lira.
E la puttana, ora che non può pagarla, apre oscenamente le gambe, impudica. Una sfida.
“Trente-deux, rouge, pair, passe”-dice annoiato il croupier col suo francese improbabile-
Augusto sbianca in volto e guarda Ricci.
“Hai visto anche tu?”- gli chiede allucinato-
“Cosa”- risponde Ricci, desolato-
“Come cosa?Non le hai viste anche tu?Non le hai viste anche tu quelle due piccole braccine che sono uscite dalla pallina e mi hanno fatto il gesto dell’ombrello?”
A casa, torniamo a casa.
Augusto ora zoppica più del solito.
Ha perso. Tutto.
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