Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: aprile 2008

Un catalogo egli è che ho fatt’io.

Fermo restando che nulla e nessuno mi potrà impedire d’ascoltare, questa sera, la diretta su RADIO3 della Norma da Bologna, volevo segnalarvi un paio d’iniziative interessanti.
La prima mi riguarda direttamente: su Rotocalco questa settimana si parla di “Sanità e salute”, e qui potete leggere il mio contributo.
Poi,
vorrei evidenziare l’ottima iniziativa del Maggio Musicale Fiorentino, che ha messo in Rete questo blog, presso il quale si può interagire facendo domande e considerazioni.
Domani invece, sarò presente a Firenze alla prima della Carmen di Bizet, nel nuovo allestimento del regista spagnolo Carlos Saura.
Qui la locandina dello spettacolo, che sarà diretto da Zubin Mehta.
Quando torno, ovviamente scriverò una recensione semiseria di questa Carmen.
Intanto, mi fa molto piacere riportare che l’amico Alessandro Cammarano, collega di Operaclick, ha sentito Marina Comparato come Rosina alla Fenice, e l’ha trovata in grandissima forma.
Ringrazio inoltre Bob, Giorgia e Maliardina, amici preziosissimi, per avere dato risalto all’intervista a Daniela Dessì.
Buona giornata a tutti.
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Norma: in mia man alfin tu sei. Intervista a Daniela Dessì.

Martedì 29 aprile è una giornata molto particolare, per noi melomani. Infatti, Daniela Dessì, con ogni probabilità una delle ultime cantanti che si può fregiare a ragione del titolo di Diva (anche se a lei non piace), debutta il personaggio di Norma, nell’omonima opera di Bellini.
L’allestimento di Bologna e coprodotto con il Verdi di Trieste, e si giova (speriamo, almeno) della regia di Federico Tiezzi, che ha firmato recentemente una bellissima Iris di Mascagni.
La prima sarà trasmessa in diretta da Radio3, martedì alle 20.30; il cast è completato da Fabio Armiliato (Pollione), Kate Aldrich (Adalgisa), Rafal Siwek (Oroveso).
Qui c’è il libretto, per chi volesse seguire l’opera.
Qui la trama ed un breve inquadramento storico.
 
Dopo aver visto e sentito Daniela Dessì a Montecarlo, nello splendido debutto come Leonora nella “Forza” verdiana, approfitto della sua cortesia per farle un’intervista telefonica, in vista di questa nuova sfida, perché di questo si tratta. La sacerdotessa druidica è un ruolo da far tremare i polsi a qualsiasi artista ed è stato proposto, con alterne fortune, da tutte le cantanti storiche.
È il caso di cominciare la chiacchierata proprio parlando di questo prossimo impegno, direi.
 
 
Daniela, tra qualche giorno ci siamo, come sei arrivata alla decisione di debuttare questo personaggio così impegnativo?
È tanto che desideravo farlo, ho cercato di essere sempre molto accorta nel gestire la mia carriera, specie per certi personaggi così complessi, che hanno bisogno sì di un’ovvia maturità vocale, ma anche teatrale, perché Norma è un ruolo che può essere sottovalutato. È successo spesso che si siano fatte delle imitazioni o delle creazioni non pertinenti, di una donna un po’ virago o folle, mentre va affrontato soprattutto dal punto di vista belcantistico, perché di questo si tratta. Questo tipo di canto si lega poco con interpretazioni sbilanciate sul lato verista; troppe volte si sono viste Norme isteriche, mentre si tratta di una donna temperamentosa e ferita negli affetti, ma pur sempre una donna “regale”, che è tutt’altra faccenda. Il personaggio, quindi, richiede molto studio: io spero di esserci arrivata con l’esperienza e col lavoro. Vedi, io ho cominciato la carriera con il belcanto, uno stile che cerco di trasmettere in tutte le opere che affronto, perché credo profondamente che anche il verismo vada cantato, quelle partiture sono ricche di colori. Lo stile del belcanto insegna una vocalità di classe, pulita, che eviti portamenti, forzature e situazioni esasperate. Norma mi riporta indietro con gli anni, quando facevo Rossini, il Donizetti più fiorito, Bellini, addirittura il barocco; insomma spero che la natura e il mio passato mi consentano di arrivare preparata, anche perché non vorrei presentarmi al ruolo troppo tardi e non risultare credibile, bisogna sempre cercare d’essere anche credibili e non ridicoli. Ho buone aspirazioni ed aspettative: in primis cantare bene l’opera, e magari poi, negli anni, creare se non proprio un’esecuzione di riferimento, almeno un precedente positivo. A questo scopo, credo sia utile guardare sì indietro, ma come conoscenza e non come imitazione; io ad esempio ascolto attentamente Rosa Ponselle, che per me è stata il più grande soprano di sempre, perché riusciva a passare da un repertorio all’altro mantenendo una bellezza di suono ed una linea di canto eccezionale. Bisogna cercare di capire il pensiero musicale che c’è dietro ad un grande artista, confrontarlo col proprio e trarne le conseguenze, trovare i punti in comune per la propria elaborazione del personaggio. Molte colleghe dalla voce bellissima, non sono durate nel tempo perché hanno solo imitato la voce della Callas ad esempio, ma non sono andate più a fondo. Secondo me è un approccio sbagliato, che senso ha essere la copia di qualcuno?
Ora, non che Norma sia un personaggio facile, ma voglio dire, ci possiamo aspettare che nelle tue aspirazioni ci sia anche un approccio al Donizetti più marcatamente tragico, ad esempio? Un Roberto Devereux?
Certo, lo sto valutando proprio in questo periodo. Il Devereux è un mio pensiero piuttosto costante, ma anche il Poliuto ad esempio, o riprendere la Maria Stuarda, risolvendo i personaggi, tutti magnifici, per mezzo della mia cifra interpretativa, che non è quella di un soprano leggero né drammatico, ma quella di un soprano lirico, che a ben vedere dovrebbe essere la voce giusta per questi ruoli, un soprano lirico con agilità. Ti dirò di più, vorrei tornare a fare Ifigenia di Gluck: proprio a Montecarlo si parlava nelle settimane scorse di una Vestale, insomma un percorso a ritroso nella mia carriera, in un certo senso.
Quando ti ho sentito a Montecarlo, sono rimasto molto colpito dalla tua interpretazione di Leonora, un personaggio che devi aver studiato molto, ma ti voglio fare una domanda un po’ particolare: può contare nella riuscita caratterizzazione del personaggio, oltre alla tecnica ed allo studio, l’esperienza di vita? Sapere che significa davvero partire, lasciare un porto sicuro, sentirsi abbandonati?
Leonora è un ruolo al quale io tengo molto, è molto difficile, non si può certo improvvisare in nessun senso. Certe tempeste della vita reale in qualche modo fanno crescere; due anni fa nel giro di nove mesi ho perso entrambi i genitori, per me è ancora un dolore tremendo ma è proprio questo che ti fa maturare anche il personaggio: quando Leonora perde, nell’opera, il padre, la mia esperienza di vita si trasferisce sul palco, attraverso un meccanismo emotivo. Il vissuto quindi aiuta, ma non solo nei casi drammatici, anche nelle circostanze positive di un amore che va bene, di una vita serena.
Dal punto di vista vocale, c’è nel personaggio di Leonora un passo specifico in cui l’artista pensa: “Ecco, ora qua mi aspettano tutti?”
Qui ce ne sono almeno tre di passaggi così! “ Madre pietosa vergine”, che è forse il momento più pesante vocalmente, perché è una vera e propria scena, coro compreso. Cantavo la “La vergine degli angeli” sin da adolescente, ma è stata in ogni caso difficile in questa produzione monegasca perché c’erano due atti compressi, perciò puoi arrivare al dunque con qualche piccolo problema in gola e la voce non limpidissima, in un’aria di una bellezza straordinaria. Poi c’è “Pace mio Dio”, che è un po’ come la Pira del Trovatore, tutti ti aspettano lì: è un’aria che io considero tra le più belle del melodramma in generale. Difficilissima perché arriva alla fine dell’opera, e bisogna cantare cercando di seguire le puntualissime indicazioni verdiane di cui il pezzo è costellato, ci sono mille colori, insomma pensi: “ Ora mi gioco la serata!”
E poi c’è il finale dell’opera, così coinvolgente che io m’emoziono sempre…
Succede anche agli artisti, a me viene sempre il magone (ed accenna l’aria).
La soluzione registica adottata per la scena finale dell’opera? Io all’inizio sono rimasto un po’ perplesso, ma poi mi è sembrata molto ben riuscita.
Nel suo complesso io l’ho trovata plausibile, questa morte vista come trasfigurazione e non solo come morte fisica: c’è un forte contrasto tra la veste insanguinata e Leonora che se ne va, forse la sua anima di donna forte resta? In particolare questa scelta mi ricorda un po’ la morte di Adriana Lecouvreur o Isotta. In generale io sono per le cose semplici nella realtà teatrale, però questa soluzione mi ha convinto, è una visione molto romantica ed inoltre spesso la rappresentazione della morte fisica, dal punto di vista interpretativo, crea problemi di forzature espressive non pertinenti. Voglio dire, la nascita e la morte sono due cose semplici, mentre, tanto per fare un esempio, in televisione si vedono queste esagerazioni di donne che urlano come pazze durante il parto…insomma io ho sofferto, certo, ma ho partorito senza urlare come una matta!
Tornando a Leonora, questo personaggio è una grande scuola vocale. Io adoro Verdi, l’ho sempre ascoltato anche se poi ho cantato anche tantissimo Puccini. A questo proposito Paata Burchuladze, che è stato molto bravo, mi diceva che il ruolo di Padre Guardiano è un toccasana e che dovrebbe cantarlo più spesso, perché richiede una disciplina che magari si perde interpretando altri ruoli. In Verdi non c’è mai nulla di forzato per il proprio registro vocale, questo intendo.
In generale, in ogni caso, la “Forza” è un’opera assai difficile da allestire: vedi ad esempio la creazione di un personaggio come Fra’Melitone, un elemento brillante, ma non buffo, in un’opera tragica. Qui sono indispensabili sei primi cantanti.
Affrontiamo un altro argomento, lavorare in Italia o all’estero, che differenze ci sono? Tu ti esibisci molto anche in Italia, ad esempio.
Io lavoro molto in Italia perché per noi italiani è un vanto farlo, e dovrebbe essere così anche per lo Stato che dovrebbe appoggiare i nostri artisti attraverso un’organizzazione teatrale adeguata, ma non è così. Fino a che non si ripristineranno le sorti politiche italiane, anche l’opera ne risentirà parecchio e questo è un dispiacere profondo che io ed i miei colleghi sentiamo molto. Un valore culturale ed identificativo così importante si sta sgretolando per scelte sbagliate, scellerate. È un gran dolore per me vedere l’Arte della Lirica sempre in un angolo, che se passa in televisione lo fa ad ora assurda, perché non crea audience…insomma guardiamoci l’isola dei famosi! All’estero, in Francia, in Spagna, in Giappone c’è tutt’altra programmazione e cura per l’opera, trovo assurdo che ciò non succeda anche in Italia.
In Germania tu non lavori molto, vero?
No, perché io non posso permettermi di provare un mese e mezzo per poi vedere una regia che stravolge tutto, preferisco fare allora qualche serata di gala, passando da una città all’altra, o qualche concerto. Mi dispiace, perché il popolo tedesco ama molto la lirica italiana, in particolare Verdi. Il mercato tedesco è un po’ particolare, richiede dei compromessi che io sinceramente non me la sento d’affrontare.
Beh, e te lo puoi permettere…
Questo lo lascio dire agli altri (si sente che sorride)…peccato perché specialmente in un paio di teatri tedeschi si lavora molto bene . Intanto nei mesi scorsi ho cantato Tosca a Vienna, alla Staatsoper, dove sono di casa, ed ho pure partecipato come ospite d’onore all’Opernbal (il ballo delle debuttanti ).
Andiamo avanti. Ci sono state anche novità sul mercato discografico, vero? Quale criterio ti ha guidato nella scelta delle romanze da inserire? La tua vocalità, il tuo attaccamento personale a qualche personaggio o altro?
Sì, è uscito un nuovo cd d’arie verdiane. [bellissimo, lo consiglio davvero a tutti, nota di Paolo] In realtà desideravo fare un omaggio al compositore che mi ha insegnato ad amare l’opera: la prima che ho ascoltato è stata Aida e di seguito Otello, Trovatore e Traviata. Sono cresciuta con le sue melodie nell’animo.
In passato ho già registrato Don Carlo, Falstaff, Requiem, Aida e, in un mio primo recital discografico, romanze tratte da Otello, Don Carlo, Aida ed altre ancora. Ho sentito la necessità di completare il percorso operistico verdiano, inserendo pure un ruolo al di fuori dal mio repertorio d’elezione, e cioè l’aria di Eboli dal Don Carlo.
A questo proposito, lasciami aggiungere che ringrazio l’orchestra Arturo Toscanini per la grande disponibilità e bravura e, soprattutto, per l’entusiasmo con cui mi ha accompagnata in quest’importante progetto.
Un sentito ringraziamento anche al maestro Steven Mercurio, con il quale ho un trascorso musicale piuttosto ampio, ottimo musicista e caro amico.
 
Beh Daniela, in bocca al lupo per la Norma, allora!
Crepi il lupo!
 
 
Bisogna dire che Daniela nel frattempo ha cantato pure una bellissima Fanciulla del West a Roma insieme a Fabio Armiliato, ed è davvero molto disponibile e simpatica. È uscito pure un nuovo cd dell’Andrea Cheniér di Giordano. (dove trovano il tempo, questi cantanti, non lo so)
La sensazione è stata di parlare con una persona sì preparata nel suo campo, ma soprattutto con un’artista colta, innamorata del proprio lavoro e rispettosa delle esigenze del pubblico, oltre che legittimamente ambiziosa, nella miglior accezione del termine.
Insomma, non si diventa Daniela Dessì per caso, vale la pena sottolinearlo.
Personalmente, le auguro un successo “Senza nube e senza vel”.
Buon fine settimana a tutti.
 
 
 
 
 
 
 
 

Ex aequo.

Questo mio post, evidentemente, non è stato capito. La colpa è mia, che non sono riuscito ad esprimere a parole quello che provo. Insomma, succede.
Approfitto del commento di maliardina, per segnalare un altro libro molto interessante sull’argomento, di cui ho parlato molto brevemente qui.
Ancora, alcuni lettori mi chiedono come mai io non pubblichi link di ascolti operistici: la risposta è facile, non si può fare, perchè c’è una legge sui diritti d’autore, piuttosto complessa, che lo vieta tranne in alcuni casi specifici.
Siccome proprio nei giorni scorsi ho saputo che mazzata si è beccato una persona proprio per aver contravvenuto a questa legge (un paio di decine di migliaia di euri…), direi che è il caso di lasciar perdere. (strasmile)
Poi, e per oggi finisco di puntualizzare, che mi sembra di essere Berlusconi dopo una dichiarazione fraintesa, devo una precisazione a Rinat Shaham.
Alcuni appassionati, che hanno visto e sentito la recita successiva alla mia, mi hanno riferito che ha cantato meglio.
Non posso che esserne contento.
Buon 25 aprile a tutti.
Ieri, alla conferenza stampa di presentazione del Festival dell’operetta di Trieste, che è giunto alla 39esima edizione, ho avuto modo di riflettere un po’. Ogni tanto mi succede, e di solito ne esco demoralizzato sia per la povertà delle mie considerazioni sia per le circostanze che mi spingono a soffermarmi un attimo su quello che vedo, o sento, in giro.
Io non sono né un giornalista né un giornalista pubblicista, bensì un appassionato che ha avuto la fortuna di aver tempo da dedicare alla musica.
Mi viene una riflessione, che prescinde dall’occasione contingente.
Sino a quando giornalisti o presunti tali saranno in evidente rapporto di sudditanza (di qualsiasi tipo) con le persone di cui devono poi scrivere, l’informazione in Italia resterà una parola vuota.
Vale per lo spettacolo, figuriamoci per la politica o l’economia, dove gli interessi economici sono leggermente più rilevanti.
Considerazione banalissima che non richiede particolari doti, me ne rendo conto, ma mi andava di scriverla.
Poi.
Le donne.
L’argomento donne in questi giorni è dibattuto con una volgarità che anch’io, che normalmente mi esprimo con la dolcezza di uno scaricatore di porto ubriaco, faccio fatica a sopportare.
Ed il bello (si fa per dire, ovvio) è che sento parlare di come difendere le donne, dalla violenza nelle nostre città sì, ma anche in quel verminaio che è la famiglia, sempre e solo da uomini.
Come devono abortire? Possono farlo?
E sempre uomini che si parlano addosso.
In questo contesto, una frase del sovrintendente del Verdi di Trieste, Giorgio Zanfagnin, assume un valore metaforico particolare.
Ha affermato, il sovrintendente, che le prossime stagioni operistiche di Trieste saranno una specie di omaggio alle donne, ed ha ragione. I titoli non si sanno ancora, ufficialmente, ma si parla di Aida, Norma, Italiana in Algeri, Francesca da Rimini, Anna Bolena, Maria Stuarda, Fanciulla del West, Gioconda.
Bello.
Riusciamo a rispettare solo donne che non esistono nella realtà, di cui finita la recita ci possiamo scordare o, ancora una volta, stolidamente idealizzare.
Io ormai sono giunto a questa conclusione: il maggior segno di rispetto che posso offrire ad una donna è dirle che si comporta da cretina, se così pare a me, ed essere pronto a beccarmi ed accettare un vaffanculo se lei ritiene che il cretino sia io.
Alla pari.
 
 
 
 

Recensione semiseria del Barbiere di Siviglia a Venezia.

Ieri, come anticipato nel post precedente, sono stato a vedere e sentire “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini alla Fenice di Venezia.
Forse un’opera così importante meriterebbe un inquadramento storico ma, insomma, qui non siamo su di una rivista specializzata.
Basta sapere che si tratta di un melodramma buffo in due atti e che è una delle opere che, sia per la grandezza in assoluto sia per il favore che ha sempre suscitato nel pubblico, non è mai uscita dal repertorio.
Comunque, prima bisogna arrivarci, alla Fenice: ieri sono giunto a Venezia in tempi ragionevoli, nonostante che all’uscita da un autogrill, dove m’ero fermato per bere un caffé, abbia dovuto schivare uno sciame d’api inferocite. Tenete presente che io sono riuscito a farmi pungere dall’unica ape attiva del bacino mediterraneo, in febbraio, e quindi sono terrorizzato da queste inutili bestiacce.
Poi,
arrivato a Piazzale Roma ho seriamente pensato di non trovare posteggio, in quanto ieri il Mondo intero ha pensato di andare in gita a Venezia. Per fortuna mi sono ricordato che adiacente al parcheggio principale ce n’è un altro e ho lasciato la macchina all’ottavo piano, beccando con una botta di culo il penultimo spazio disponibile. (dice: Perché non ci vai in treno?– perché non posso guidarlo io ed ho un problema psicologico serio di controllo- dice: “un problema psicologico solo? E gli altri, te ne sei scordato?” –no, ma questo non è un compendio del DSM, quindi andiamo avanti-)
Per farvi capire quanto amo l’orrida Venezia, vi dico l’immagine che mi ha evocato vedere il Rialto stracolmo di gente: un gommone che può portare 10 persone che trasporta 5000 disperati.
Altrettanto poetica la sensazione di catastrofe imminente che mi ha destato vedere che almeno 4500 di quei disgraziati volevano salire sul vaporetto linea “1” sul quale eravamo già in troppi.
E qui s’impone una considerazione antropologica.
È evidente che per certi abitanti di terre lontane, abituati a stare in 1000 dove c’è spazio per 10 persone, l’unico modo per spostarsi è uccidere. (di solito con uno zainetto, ma anche roteando il primogenito a guisa di mazza)
Fanno eccezione i giapponesi, gentili all’inverosimile, che se ti urtano lievemente si scusano e minacciano di suicidarsi mangiando la fotocamera se non dai loro un repentino cenno di comprensione.
In ogni modo, ecco le mie impressioni.
Ieri, in un teatro molto affollato, si sono notate luci ed ombre.
L’allestimento di questo Barbiere è molto tradizionale, ma non fastidioso, ed è già qualcosa. Certo, magari uno che spende una fortuna per un biglietto vorrebbe qualche alzata d’ingegno, ma transeat.
Il Direttore era Antonino Fogliani, che ho sentito ultimamente in interpretazioni almeno discutibili.
Ieri è risultato sufficiente, anche se in alcune occasioni il volume dell’orchestra mi è parso troppo elevato, e questo non ha certo aiutato i cantanti, spesso lontani dal proscenio e non tutti dotati di voci particolarmente penetranti.
Il protagonista, Figaro, era impersonato da un ottimo Roberto Frontali, che frequenta il personaggio da molto tempo. Spigliato in scena, voce importante, accento giusto.
Il Conte d’Almaviva era Francesco Meli, che ho sentito ieri in gran forma. Meli ha una voce bellissima, forse la più bella tra i tenori in attività, ed è stato convincente e sicuro anche nella zona alta del pentagramma: per me è in netta ripresa, già notata al Così Fan Tutte di Parma. (i ruoli da tenore rossiniano sono un incubo, difficilissimi, lo ricordo a chi non è afflitto da addiction per la lirica)
Il migliore della serata è stato invece Bruno de Simone, che ha tratteggiato con ottimo gusto e voce salda uno spassosissimo Bartolo. Bravissimo anche nel famoso sillabato rossiniano.
La sua è stata davvero un’ottima prestazione.
Non mi è piaciuto Giovanni Furlanetto, Don Basilio.
Se la presenza scenica è buona, bisogna ricordare che si tratta pur sempre di canto, e la voce m’è sembrata spesso secca, ovattata, sorda. Quel capolavoro che è La calunnia è scivolato via senza lasciarmi nessun ricordo: un compitino svolto in fretta, ecco.
Il Fiorello di Luca Dall’Amico (un cognome sulle cui origini sarebbe bello indagare a fondo, conoscendo la provenienza “storica” dei patronimici di questo stampo, tipo Diotaiuti, Diotallevi e simili) è stato corretto.
Il caso della Berta di Giovanna Donadini, a mio avviso, rientra in quelli in cui il/la cantante riceve applausi per la simpatia del personaggio che interpreta, più che per merito proprio, perché secondo me ha urlato nel vero senso della parola in ogni intervento e mi dispiace molto sottolinearlo.
Nel caso di Rinat Shaham, la Rosina di questa recita, mi faccio più serio, per qualche momento.
Per cantare il Rossini buffo sono indispensabili alcune caratteristiche ed una certa predisposizione o attitudine: un certo brio in scena, una tecnica vocale adeguata, agilità sicure in tutti i registri, anche quello più grave.
Ora, fermo restando il rispetto che si deve all’artista, a me non sembra che Rinat possegga, al momento, queste peculiarità.
La presenza scenica è sufficiente, ma mi è sembrata poco disinvolta e un po’ ignara del senso di quello che stava cantando. La voce è davvero piccolina e nei concertati non si sentiva dalla nona fila di platea, dov’ero seduto io. (le sonorità eccessive dell’orchestra non hanno aiutato, in questo senso, ma Meli e Frontali passavano comunque)
Inoltre nella prima aria ( la celeberrima “Una voce poco fa” ) gli acuti mi sono sembrati forzati e striduli, anche se poi nel prosieguo della serata sono apparsi più centrati.
I problemi sono ancora più evidenti nelle note gravi, che sono uscite gonfiate, faticose e mai timbrate e sonore.
Insomma, credo sia il caso di rivederla, magari in una serata più felice.
Anzi, se qualcuno tra i miei lettori melomani ha l’occasione di sentirla e ne ricava un’opinione diversa dalla mia, mi farebbe piacere che me lo segnali.
Pubblico, alla fine, molto contento, che non ha lesinato consensi a tutto il cast, con una leggera, ma avvertibile, discesa dell’applausometro all’uscita di Rosina.
Buona settimana a tutti.
 
 

Una vice poco fa.

Vado, ché l’orrida Venezia m’aspetta con le sue contraddizioni.
Domani ne parlerò diffusamente, credo.
Intanto, le mie perplessità già espresse in questa intervista al Direttore Artistico del Verdi, Umberto Fanni, in merito all’opportunità di affidare a Eva Mei il ruolo di Elisabetta nel Roberto Devereux di Donizetti, si sono rivelate fondate.
La Mei ha cancellato l’impegno e non sono ancora note, ufficialmente, le motivazioni.
Di motivazioni ufficiose, invece, ce ne sono a iosa, ma il gossip non è il mio campo.
Per certo, a poche settimane dalla prima, lo staff del Verdi è alla ricerca affannosa di una sostituta in un ruolo difficilissimo e poco frequentato. Si parla di Nelly Miricioiu.
Il teatro è praticamente esaurito da mesi e questi inconvenienti non giovano all’immagine della Lirica.
Qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di tutto questo.
Mi scuso per la mia latitanza nei vostri blog, ma ho poco tempo ed inoltre oggi Tiscali fa i capricci e non mi consente di commentare.
Buona domenica a tutti.

Istantanee, seconda parte.

Insomma, ieri sono tornato nell’orrida Venezia. ( opinione, la mia, che non sarà condivisa da pentolino)
Tra l’altro, devo ripropormi nella città lagunare domenica prossima, perché ho acquistato da tempo il biglietto per la pomeridiana del Barbiere di Siviglia.
È stato inebriante passeggiare per le calli aspirando i miasmi che provengono da quella massa acquitrinosa che gli autoctoni chiamano, impropriamente, acqua o mare.
Non mi soffermo troppo sull’età delle melanzane che facevano bella mostra di sé sulla mia pizza, mi limito a rendervi partecipi di un miracolo accaduto sotto i miei occhi: quando ho detto che facevano schifo, se ne sono andate da sole dal piatto.
Sorvolo sul fatto che, mentre si stava mangiando, una presunta capo cameriera si è comportata in modo che definire maleducato è veramente un capolavoro di diplomazia.
Per poco non la prendo a calci in culo.
Non do troppo peso ad un ulteriore circostanza: mentre leggevo che, a quindici anni, Mozart aveva dormito in una casa di fronte a me, un gondoliere è passato e, forse per un malinteso senso d’emulazione artistica, ha lanciato un urlo belluino, tipo un Tartan drogato, ma più selvaggio.
Però c’è anche la parte bella e divertente.
Pentolino, per aggirare i divieti che ammettono solo personale autorizzato in teatro, mi ha spacciato nell’ordine per suo agente, suo pianista, suo zio, suo stilista (qui mi mancava un dettaglio fondamentale, ma forse anche nei primi due casi…) e suo nonno; mi ha fatto visitare i camerini, dove lei si muoveva con naturalezza ed io ero a mio agio come un multicolore arcobaleno nella scuola di Via Diaz a Genova.
Io non frequento mai i camerini degli artisti, a meno che non sia obbligato da questioni contingenti tipo interviste o simili.
Ebbene, v’assicuro che questa visita è stata molto istruttiva ed emozionante.
I corridoi dei teatri sono qualcosa di molto simile ad un labirinto, credetemi.
Vedere un artista che prepara nei minimi particolari il suo personaggio è affascinante.
Nel complesso è stata una giornata, oltre che piacevolissima, molto istruttiva, perché ha arricchito il mio bagaglio di conoscenze.
Mi tornerà utile alla prossima recensione, specialmente quando dovrò scrivere non troppo bene di qualche cantante, perché mi ricorderò che dietro all’artista c’è sempre una persona.
 

Istantanee sfocate in ambienti vari.

Appoggiato allo stipite della porta, fermo l’immagine di una ragazza riflessa nello specchio.
Non mi va di disturbare, ma mi chiedo se anche lei vede ciò che vedo io.
Non lo posso sapere, né lo saprò mai, probabilmente lo specchio m’inganna.
Le foto mosse sono le migliori, perché imperfette.
Quella non è una parrucca, ma sono capelli veri, ricci e lunghi.
I tirabaci sono indisciplinati, come i pensieri, basta un colpo di pettine e si spostano là dove non danno fastidio.
Quel sorriso franco che si stempera in una nuvola, passeggera, di malinconia lontana anni luce dalla tristezza.
L’espressione un po’ imbronciata ed impaurita, quasi da bambina, per qualche attimo mi parla di adrenalinica sicurezza.
Pensa, questa ragazza, ad un sabato in cui non sarà sola. Perché verrà, certo che verrà.
Ora l’espressione degli occhi rivela una liquida malizia, inaspettata e quasi sorprendente.
“Così sto meglio.”
Ne sono sicuro.
E mentre mi muovo ripercorrendo corridoi bianchi impregnati di storie note che non conosco mi sento leggero, come trasportato da note che fioriscono da un presente sempre in divenire che è quasi la prova che il passato esiste ancora.
Il futuro sta arrivando, pensarci prima è un’inutile precauzione.
Confuso tra la folla di un bar vuoto riempio di gratitudine le zuccheriere permettendo all’aroma di un caffè intonatissimo di profumare nuovi ricordi.
I giudizi si sospendono.
Presto si va in scena, a recitare una vita vera.
Silenzio.
Concentrazione.
Sarà un trionfo, sarà gioia.
Ci sono modi molto semplici per sfuggire alle cento trappole della vita senza farsi del male.
Dopotutto, basta una sciarpa per ripararsi dal vento.
Mi faccio da parte ed accendo una sorridente sigaretta.
 
 
 

Amici miei.

Scusate, il meglio mi scordavo.

Chi può, ci vada. Vale la pena conoscere il libro di poesie presentato, ed anche l’autore. [anche se interista, ma transeat (strasmile)]

In bocca al lupo, Bob!

Intramuscolare.

I recenti risultati elettorali, a prescindere dalla mia convinzione politica personale, mi hanno indotto una riflessione, forse banale, che mi va di condividere con voi.
Ieri ho parlato con quest’uomo, che esiste davvero, non è figlio di una fantasia letteraria. (andate direttamente al "Terzo crollo", se v’interessa)
Ebbene, lo ripeto, se una persona ha un credo politico sano non può ritenere che un sistema che esclude dalla rappresentanza politica in Parlamento circa 4.5 milioni di italiani sia un sistema moralmente accettabile.
Parliamo di principi, non di schieramenti politici o di polemiche strumentali.
Credo, ma posso sbagliarmi, che il mio ragionamento (parolone, lo so) sia ineccepibile.
Buona giornata a tutti.

Profanata è la lirica da ciò che porti ai piè.

Il mio modestissimo contributo a Rotocalco, scritto tra una recensione di lirica ed un racconto breve che, al momento, sembra non avere suscitato entusiasmi nell’editore, oggi tratta d’un argomento piuttosto attuale.
Sono molto contento di partecipare, quando posso, all’iniziativa di Fabrizio e Lune, anche se spesso arrivo molto vicino alla deadline con i miei pezzi, immagino creando qualche disagio.
Però oggi ho anche un’altra domanda alla quale devo trovare una risposta, e chiedo l’aiuto dei miei lettori.
Sabato sono stato alla prima del dittico Die seben Todsünden/ Trouble in Tahiti a Trieste, e ne parlerò nei prossimi giorni.
Tra l’elegante pubblico c’era una giovane coppia, diciamo sui trent’anni, e l’abbigliamento del ragazzo mi ha molto colpito. Provo a descriverlo.
Il tipo portava un vestito piuttosto singolare, in tessuto di pitone (o altra bestia squamata e strisciante) giallo e nero con riflessi argentei ma, e chiedo lumi su questa circostanza, indossava scarpe che descriverò brevemente così: di colore scuro, erano una via di mezzo, un ibrido, tra una pinna corta, una galoscia ed una malformazione genetica severa. L’alluce era separato dalle altre dita. Il materiale di queste scarpe, ma credo sia limitativo chiamarle così, era gommoso, mentre nulla so del sapore.
Qualcuno tra di voi, che magari è più trendy di me, sa dirmi dove si possono comprare? I mean, è davvero una moda o semplicemente si trattava di uno scherzo?
Sapete, m’interessa perché mi è stato chiesto di partecipare come comparsa ad una produzione del Ballo in Maschera di Verdi in Germania, di cui volevo qui postare una foto, ma vedo che ci ha già pensato Daland.
Il fisico cadente c’è, la maschera di Topolino la posso trovare, e volevo dare il mio personale tocco di classe calzando qualcosa di originale sì, ma che sia anche alla moda.
Buona settimana a tutti (strasmile)
 
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