Martedì 29 aprile è una giornata molto particolare, per noi melomani. Infatti,
Daniela Dessì, con ogni probabilità una delle ultime cantanti che si può fregiare a ragione del titolo di
Diva (anche se a lei non piace), debutta il personaggio di Norma, nell’omonima opera di Bellini.
L’allestimento di Bologna e coprodotto con il Verdi di Trieste, e si giova (speriamo, almeno) della regia di Federico Tiezzi, che ha firmato recentemente una bellissima Iris di Mascagni.
Dopo aver visto e sentito Daniela Dessì a Montecarlo, nello splendido debutto come Leonora nella “Forza” verdiana, approfitto della sua cortesia per farle un’intervista telefonica, in vista di questa nuova sfida, perché di questo si tratta. La sacerdotessa druidica è un ruolo da far tremare i polsi a qualsiasi artista ed è stato proposto, con alterne fortune, da tutte le cantanti storiche.
È il caso di cominciare la chiacchierata proprio parlando di questo prossimo impegno, direi.
Daniela, tra qualche giorno ci siamo, come sei arrivata alla decisione di debuttare questo personaggio così impegnativo?
È tanto che desideravo farlo, ho cercato di essere sempre molto accorta nel gestire la mia carriera, specie per certi personaggi così complessi, che hanno bisogno sì di un’ovvia maturità vocale, ma anche teatrale, perché Norma è un ruolo che può essere sottovalutato. È successo spesso che si siano fatte delle imitazioni o delle creazioni non pertinenti, di una donna un po’ virago o folle, mentre va affrontato soprattutto dal punto di vista belcantistico, perché di questo si tratta. Questo tipo di canto si lega poco con interpretazioni sbilanciate sul lato verista; troppe volte si sono viste Norme isteriche, mentre si tratta di una donna temperamentosa e ferita negli affetti, ma pur sempre una donna “regale”, che è tutt’altra faccenda. Il personaggio, quindi, richiede molto studio: io spero di esserci arrivata con l’esperienza e col lavoro. Vedi, io ho cominciato la carriera con il belcanto, uno stile che cerco di trasmettere in tutte le opere che affronto, perché credo profondamente che anche il verismo vada cantato, quelle partiture sono ricche di colori. Lo stile del belcanto insegna una vocalità di classe, pulita, che eviti portamenti, forzature e situazioni esasperate. Norma mi riporta indietro con gli anni, quando facevo Rossini, il Donizetti più fiorito, Bellini, addirittura il barocco; insomma spero che la natura e il mio passato mi consentano di arrivare preparata, anche perché non vorrei presentarmi al ruolo troppo tardi e non risultare credibile, bisogna sempre cercare d’essere anche credibili e non ridicoli. Ho buone aspirazioni ed aspettative: in primis cantare bene l’opera, e magari poi, negli anni, creare se non proprio un’esecuzione di riferimento, almeno un precedente positivo. A questo scopo, credo sia utile guardare sì indietro, ma come conoscenza e non come imitazione; io ad esempio ascolto attentamente Rosa Ponselle, che per me è stata il più grande soprano di sempre, perché riusciva a passare da un repertorio all’altro mantenendo una bellezza di suono ed una linea di canto eccezionale. Bisogna cercare di capire il pensiero musicale che c’è dietro ad un grande artista, confrontarlo col proprio e trarne le conseguenze, trovare i punti in comune per la propria elaborazione del personaggio. Molte colleghe dalla voce bellissima, non sono durate nel tempo perché hanno solo imitato la voce della Callas ad esempio, ma non sono andate più a fondo. Secondo me è un approccio sbagliato, che senso ha essere la copia di qualcuno?
Ora, non che Norma sia un personaggio facile, ma voglio dire, ci possiamo aspettare che nelle tue aspirazioni ci sia anche un approccio al Donizetti più marcatamente tragico, ad esempio? Un Roberto Devereux?
Certo, lo sto valutando proprio in questo periodo. Il Devereux è un mio pensiero piuttosto costante, ma anche il Poliuto ad esempio, o riprendere la Maria Stuarda, risolvendo i personaggi, tutti magnifici, per mezzo della mia cifra interpretativa, che non è quella di un soprano leggero né drammatico, ma quella di un soprano lirico, che a ben vedere dovrebbe essere la voce giusta per questi ruoli, un soprano lirico con agilità. Ti dirò di più, vorrei tornare a fare Ifigenia di Gluck: proprio a Montecarlo si parlava nelle settimane scorse di una Vestale, insomma un percorso a ritroso nella mia carriera, in un certo senso.
Quando ti ho sentito a Montecarlo, sono rimasto molto colpito dalla tua interpretazione di Leonora, un personaggio che devi aver studiato molto, ma ti voglio fare una domanda un po’ particolare: può contare nella riuscita caratterizzazione del personaggio, oltre alla tecnica ed allo studio, l’esperienza di vita? Sapere che significa davvero partire, lasciare un porto sicuro, sentirsi abbandonati?
Leonora è un ruolo al quale io tengo molto, è molto difficile, non si può certo improvvisare in nessun senso. Certe tempeste della vita reale in qualche modo fanno crescere; due anni fa nel giro di nove mesi ho perso entrambi i genitori, per me è ancora un dolore tremendo ma è proprio questo che ti fa maturare anche il personaggio: quando Leonora perde, nell’opera, il padre, la mia esperienza di vita si trasferisce sul palco, attraverso un meccanismo emotivo. Il vissuto quindi aiuta, ma non solo nei casi drammatici, anche nelle circostanze positive di un amore che va bene, di una vita serena.
Dal punto di vista vocale, c’è nel personaggio di Leonora un passo specifico in cui l’artista pensa: “Ecco, ora qua mi aspettano tutti?”
Qui ce ne sono almeno tre di passaggi così! “ Madre pietosa vergine”, che è forse il momento più pesante vocalmente, perché è una vera e propria scena, coro compreso. Cantavo la “La vergine degli angeli” sin da adolescente, ma è stata in ogni caso difficile in questa produzione monegasca perché c’erano due atti compressi, perciò puoi arrivare al dunque con qualche piccolo problema in gola e la voce non limpidissima, in un’aria di una bellezza straordinaria. Poi c’è “Pace mio Dio”, che è un po’ come la Pira del Trovatore, tutti ti aspettano lì: è un’aria che io considero tra le più belle del melodramma in generale. Difficilissima perché arriva alla fine dell’opera, e bisogna cantare cercando di seguire le puntualissime indicazioni verdiane di cui il pezzo è costellato, ci sono mille colori, insomma pensi: “ Ora mi gioco la serata!”
E poi c’è il finale dell’opera, così coinvolgente che io m’emoziono sempre…
Succede anche agli artisti, a me viene sempre il magone (ed accenna l’aria).
La soluzione registica adottata per la scena finale dell’opera? Io all’inizio sono rimasto un po’ perplesso, ma poi mi è sembrata molto ben riuscita.
Nel suo complesso io l’ho trovata plausibile, questa morte vista come trasfigurazione e non solo come morte fisica: c’è un forte contrasto tra la veste insanguinata e Leonora che se ne va, forse la sua anima di donna forte resta? In particolare questa scelta mi ricorda un po’ la morte di Adriana Lecouvreur o Isotta. In generale io sono per le cose semplici nella realtà teatrale, però questa soluzione mi ha convinto, è una visione molto romantica ed inoltre spesso la rappresentazione della morte fisica, dal punto di vista interpretativo, crea problemi di forzature espressive non pertinenti. Voglio dire, la nascita e la morte sono due cose semplici, mentre, tanto per fare un esempio, in televisione si vedono queste esagerazioni di donne che urlano come pazze durante il parto…insomma io ho sofferto, certo, ma ho partorito senza urlare come una matta!
Tornando a Leonora, questo personaggio è una grande scuola vocale. Io adoro Verdi, l’ho sempre ascoltato anche se poi ho cantato anche tantissimo Puccini. A questo proposito Paata Burchuladze, che è stato molto bravo, mi diceva che il ruolo di Padre Guardiano è un toccasana e che dovrebbe cantarlo più spesso, perché richiede una disciplina che magari si perde interpretando altri ruoli. In Verdi non c’è mai nulla di forzato per il proprio registro vocale, questo intendo.
In generale, in ogni caso, la “Forza” è un’opera assai difficile da allestire: vedi ad esempio la creazione di un personaggio come Fra’Melitone, un elemento brillante, ma non buffo, in un’opera tragica. Qui sono indispensabili sei primi cantanti.
Affrontiamo un altro argomento, lavorare in Italia o all’estero, che differenze ci sono? Tu ti esibisci molto anche in Italia, ad esempio.
Io lavoro molto in Italia perché per noi italiani è un vanto farlo, e dovrebbe essere così anche per lo Stato che dovrebbe appoggiare i nostri artisti attraverso un’organizzazione teatrale adeguata, ma non è così. Fino a che non si ripristineranno le sorti politiche italiane, anche l’opera ne risentirà parecchio e questo è un dispiacere profondo che io ed i miei colleghi sentiamo molto. Un valore culturale ed identificativo così importante si sta sgretolando per scelte sbagliate, scellerate. È un gran dolore per me vedere l’Arte della Lirica sempre in un angolo, che se passa in televisione lo fa ad ora assurda, perché non crea audience…insomma guardiamoci l’isola dei famosi! All’estero, in Francia, in Spagna, in Giappone c’è tutt’altra programmazione e cura per l’opera, trovo assurdo che ciò non succeda anche in Italia.
In Germania tu non lavori molto, vero?
No, perché io non posso permettermi di provare un mese e mezzo per poi vedere una regia che stravolge tutto, preferisco fare allora qualche serata di gala, passando da una città all’altra, o qualche concerto. Mi dispiace, perché il popolo tedesco ama molto la lirica italiana, in particolare Verdi. Il mercato tedesco è un po’ particolare, richiede dei compromessi che io sinceramente non me la sento d’affrontare.
Beh, e te lo puoi permettere…
Questo lo lascio dire agli altri (si sente che sorride)…peccato perché specialmente in un paio di teatri tedeschi si lavora molto bene . Intanto nei mesi scorsi ho cantato Tosca a Vienna, alla Staatsoper, dove sono di casa, ed ho pure partecipato come ospite d’onore all’Opernbal (il ballo delle debuttanti ).
Andiamo avanti. Ci sono state anche novità sul mercato discografico, vero? Quale criterio ti ha guidato nella scelta delle romanze da inserire? La tua vocalità, il tuo attaccamento personale a qualche personaggio o altro?
Sì, è uscito un nuovo cd d’arie verdiane. [bellissimo, lo consiglio davvero a tutti, nota di Paolo] In realtà desideravo fare un omaggio al compositore che mi ha insegnato ad amare l’opera: la prima che ho ascoltato è stata Aida e di seguito Otello, Trovatore e Traviata. Sono cresciuta con le sue melodie nell’animo.
In passato ho già registrato Don Carlo, Falstaff, Requiem, Aida e, in un mio primo recital discografico, romanze tratte da Otello, Don Carlo, Aida ed altre ancora. Ho sentito la necessità di completare il percorso operistico verdiano, inserendo pure un ruolo al di fuori dal mio repertorio d’elezione, e cioè l’aria di Eboli dal Don Carlo.
A questo proposito, lasciami aggiungere che ringrazio l’orchestra Arturo Toscanini per la grande disponibilità e bravura e, soprattutto, per l’entusiasmo con cui mi ha accompagnata in quest’importante progetto.
Un sentito ringraziamento anche al maestro Steven Mercurio, con il quale ho un trascorso musicale piuttosto ampio, ottimo musicista e caro amico.
Beh Daniela, in bocca al lupo per la Norma, allora!
Crepi il lupo!
La sensazione è stata di parlare con una persona sì preparata nel suo campo, ma soprattutto con un’artista colta, innamorata del proprio lavoro e rispettosa delle esigenze del pubblico, oltre che legittimamente ambiziosa, nella miglior accezione del termine.
Insomma, non si diventa Daniela Dessì per caso, vale la pena sottolinearlo.
Personalmente, le auguro un successo “Senza nube e senza vel”.
Buon fine settimana a tutti.
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