Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: giugno 2008

Un blog molto trendy, parte seconda.

Mentre su Rotocalco, in edizione estiva, si parla di Europa, io sono reduce da due serate piacevoli al Verdi di Trieste. Anzi, una serata ed un pomeriggio, a dire il vero.
Per motivi che mi sono misteriosi, infatti, la seconda operetta in cartellone, Scugnizza di Carlo Lombardo e Mario Costa, si è svolta alle 17.30 di ieri pomeriggio con un caldo equatoriale.
Il primo titolo invece era Cin-ci-là, di Carlo Lombardo e Virgilio Ranzato.
Il pubblico, molto numeroso in entrambe le recite, ha gradito molto gli spettacoli, firmati rispettivamente da Maurizio Nichetti ( Cin-ci-là) e Davide Livermore (Scugnizza).
Al di là delle valutazioni artistiche, in questi lavori colpiscono favorevolmente sia lo spirito autenticamente popolare dei testi sia le melodie accattivanti, solari e tipicamente italiane.
Certo le vicende narrate sono molto esili, non sono quelle tipiche del melodramma classico, ma alla fine ci si può emozionare anche con un lieto fine scontato, no?
Intanto siamo arrivati a luglio, e oggi ho guardato con curiosità sulle statistiche come arrivano i visitatori su questo blog.
Evidentemente in molti approdano a questi lidi cercando qualche recensione o notizie su qualche cantante, ma c’è anche chi si presenta per strade più tortuose.
Vediamo qualche chiave di ricerca.
1)      Capitaneria di Porto Umago ( e spero non sia qualche poliziotto croato, altrimenti mi sa che mi fermano al confine!)
2)      Fantasia erotica (non aggiungo nulla, ma non vedo cosa possa aver trovato l’anonimo visitatore)
3)      Jikatabi ( e qui ci siamo, si tratta della malformazione genetica ai piedi molto trendy)
4)      Monociglio (anche qui, non so che dire, anche se il monociglio di Gianluca Terranova c’entra di sicuro)
5)      Catulle obstnitaus (non ho parole)
6)      "il folle slogan dei jeans jesus" dal corriere della sera (c.s)
7)      ascoltatore astioso (cavolo, spero che abbia trovato quello che cercava, ma non certo qui)
8)      tutto quello che avresti voluto sapere sul sesso e non hai mai osato chiederlo a nessuno ( questo non stava bene, povero)
9)      se il bambino di poco più di un anno zoppica (…)
10) ridiculus mus (sì come no, e pure parturiunt montes!)
11) pensieri egodistonici  ( non so che vuol dire)
12) italiani volgari ignoranti arroganti stupidi ( ma pensa per te!)
 
 
Ma credo che per questo mese, il visitatore nuovo mostro sia chi è arrivato su questo blog tramite questa chiave di ricerca:
 
la donna vista in una peccatrice di verga
 
Amico, chiunque tu sia, non stai bene…
Buona settimana a tutti (strasmile)
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Personaggi da operetta.

Inizia questa sera a Trieste il 39° Festival dell’Operetta.
L’operetta è genere di spettacolo assai nobile e storicamente, in Italia, giunse un po’ in ritardo rispetto agli altri paesi europei, Austria e Francia, segnatamente.
Alcuni impresari, diciamo così, lungimiranti, importarono questa forma di spettacolo nel nostro paese, all’inizio del secolo scorso.
Ora, potrei andare avanti con una dotta disquisizione sulla regionalità dell’operetta italiana, ad esempio.
Invece mi è molto più congeniale soffermarmi sul cosiddetto personaggio da operetta, perché siamo afflitti sempre da questa triste caricatura umana, ovunque andiamo.
Uno è diventato Presidente del Consiglio, per dire.
Dice: “Ha interpretato gli umori del Paese, è riuscito a parlare alla gente e capirne i problemi”.
Come no, vero.
Infatti il cittadino normale è perseguitato dal problema della politicizzazione della magistratura, ad esempio. Io ne sono ossessionato, addirittura.
Non passa minuto che non mi chieda cosa stiano tramando i giudici nei miei confronti, e credo che la maggioranza degli italiani sia nella mia stessa, misera, condizione psicologica.
Altro problema che m’attanaglia è che ci sia la possibilità che le alte cariche dello Stato godano d’immunità permanente, qualsiasi vaccata facciano.
Immagino che siano gli stessi problemi, terribili e che richiedono una soluzione univoca e veloce, che avte tutti voi che mi leggete.
Vero?
Buon fine settimana a tutti.
 

Recensione abbastanza seria del Rigoletto a Dresda: habemus Rigolettum?

 
 
Rigoletto è opera paradigmatica della produzione artistica verdiana: tutti i temi cari al Compositore vi compaiono evidenti.
Il Potere, il Destino, l’Amore.
Allo stesso tempo risalta la qualità principale dell’Opera d’Arte in generale, vale a dire una specie di sospensione temporale, che ne perpetua la modernità a prescindere dallo scorrere del tempo.
L’emarginazione del diverso, l’arroganza del potere costituito, l’influenza nefasta del denaro sulle azioni degli uomini, sono temi con i quali ognuno di noi è costretto a confrontarsi giornalmente.
Ancora, il desiderio di un riscatto sociale per i figli, la speranza che arrivino là dove noi abbiamo fallito.
In questo senso mi pare che l’aggettivo popolare sia collocato a ragion veduta, quando si parla di Rigoletto.
Per queste ed altre ragioni, che non mi va d’approfondire in sede di recensione di uno spettacolo, oggi il capolavoro verdiano, seppur rappresentato con grande frequenza, garantisce sempre o quasi il tutto esaurito in teatro e l’attenzione degli appassionati.
Emozioni e sentimenti forti, dicevo all’inizio.
Bene, proprio il mio versante più viscerale è rimasto scontento, inappagato, e se c’è stata emozione questa è venuta dalla Musica di Verdi, sommo compositore che è stato un vero e proprio spacciatore d’emozioni. Voglio dire che, con gli ovvi limiti imposti dalla situazione (l’opera è uno spettacolo che deve essere visto in teatro e non in televisione) ho percepito una certa mancanza di continuità, quasi di necessaria complicità, tra il Direttore e i cantanti, forse dovuta alla tensione della prima, e che questa mancanza ha fatto sì che la rappresentazione deficitasse, in alcuni momenti, di fluidità.
Il grande richiamo di questo spettacolo era il debutto europeo di Juan Diego Flórez nel ruolo del Duca. Molte ombre e pochissime luci, dal mio punto di vista. Non mi è piaciuto il tentativo, che a me è parso evidentissimo, di gonfiare la voce, di renderla, gli appassionati mi capiranno, più verdiana. Gli acuti spettacolari sono sempre stati il punto di forza di Flórez: ieri sera a causa di questo artifizio mi sono parsi meno svettanti del solito (mi è sembrato non proprio una folgore il re bemolle alla fine della cabaletta) e una puntatura aggiunta e non scritta può accontentare chi ama gli effetti speciali, non certo chi apprezza il gusto e il fraseggio. Fastidiosa la recitazione, scolastica e più adatta ad un Nemorino sdolcinato che a un nobile puttaniere screanzato ed arrogante. Com’era ampiamente prevedibile, il tenore peruviano ha dato il meglio nei momenti amorosi o dove può far brillare la sua vocalità solare: così il duetto con Gilda nel primo atto è risultato molto buono, ad esempio, ed anche nella celeberrima canzone del terzo atto mi ha convinto.
Complessivamente la prestazione di Flórez è stata discreta, ma al momento non può svettare in questo repertorio come fa in Rossini, dove è veramente un fenomeno, bisogna dirlo.
Željko Lučić era Rigoletto e mi è piaciuto moltissimo. Il baritono serbo (credo, così mi pare a giudicare dal patronimico, noi triestini abbiamo buon naso per gli ex-jugoslavi) ha dimostrato che ci può essere un’alternativa a Leo Nucci, che di questo personaggio verdiano è stato l’ultimo interprete credibile. Lučić ha tratteggiato un bellissimo carattere, senza istrionismi e forzature, cercando di esprimere attraverso il canto i sentimenti forti e contrastati di quest’uomo cattivo e tenero insieme, comunque beffato dalla sorte. Dal punto di vista vocale ha cominciato assai cauto, ma poi nel prosieguo dell’opera è uscito molto bene e senza affanni. Molto bella l’esecuzione dei cortigiani e emozionante, senza esagerazioni belluine, il celeberrimo “Sì Vendetta”.
Il finale nonostante una regia insopportabile sulla quale tornerò in chiusura, è stato il momento migliore della serata per il baritono, a coronamento di una prestazione che ci restituisce un Rigoletto cantato con grande civiltà.
Diana Damrau era Gilda, un personaggio che non consente né grandi approfondimenti psicologici né particolari intellettualismi: è proprio una ragazzina un po’ melensa e stupidina, diciamolo. È difficile che non ne esca una bambolina manierata. (ricordo Renata Scotto come magnifica Gilda, ma era la Scotto, appunto)
Il soprano tedesco, che a ragione oggi è tra i più quotati per i ruoli da leggero di coloratura, è stata protagonista di una prova magnifica. Il “Caro nome” è un’aria rischiosa perché spesso si trasforma in un’esibizione fredda di canto e virtuosismo, ed anche in questo caso è stato così. Poi però, gli accenti malinconici e una recitazione appropriata hanno fatto la differenza tra una prestazione di routine ed una se non straordinaria, d’assoluto rilievo. Il finale, tutto cantato a fior di labbra con un filo di voce, è stato davvero emozionante.
Fabio Luisi, complessivamente, non mi è dispiaciuto: tra i punti a suo favore, io che non sopporto i clangori orchestrali, metterei subito la direzione leggera e rispettosa delle esigenze dei cantanti.
La scelta dei tempi mi ha lasciato perplesso, invece: qualche volta mi sono sembrati troppo lenti e, almeno così sembra a me, è mancata una visione unitaria della partitura che esprimesse continuità narrativa.
Per brevità accomuno in un generale abbastanza bene tutti gli altri protagonisti e comprimari.
La regia e le scenografie di tristi figuri di cui mi rifiuto di scrivere il nome, è stata terrificante sotto ogni punto di vista: spessissimo in conflitto col libretto e priva di una logica anche deviata. Un vero orrore.
Peraltro, almeno a quanto ho visto e sentito in televisione, il pubblico ha tributato un trionfo a tutti.
Mi sta bene per quanto riguarda i cantanti, ma i responsabili dello scempio (costumisti compresi) in Italia, nonostante ormai si accetti quasi ogni nefandezza, non sarebbero usciti al proscenio così pimpanti.
Purtroppo, ho potuto ascoltare in diretta ma non sono riuscito a rivedere, perché il mio DVD recorder mi ha piantato in asso proprio ieri sera.
Sarà per le maledizioni che gli ho mandato un milione di volte: quel vecchio maledivami, appunto, avrà pensato esalando l’ultimo respiro.
Buona settimana a tutti.
 

Rigoletto o Triboletto?

Dolcetto o scherzetto? -chiedono i bambini negli USA- in occasione di Halloween.
Verdi ci ha fatto questo scherzetto di lasciarci un’opera immortale, e ci credeva sin dall’inizio.
 
"Il sogetto è grande, immenso, ed avvi un carattere che è una delle più grandi creazioni che vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche. Il sogetto è Le Roi s’amuse, ed il carattere di cui ti parlo sarebbe Tribolet
Appena ricevuta questa lettera mettiti quattro gambe: corri per tutta la città, e cerca una persona influente che possa ottenere il permesso di fare Le Roi s’amuse.
Non addormentarti:scuotiti: fà presto. Ti aspetto a Busseto ma non adesso, dopo che avremo scelto il sogetto."
 
Così scrive Verdi al suo librettista Piave nel 1850, a proposito del lavoro teatrale di Victor Hugo, che debuttò a Parigi nel 1832 e non vi ritornò sino al 1882, a causa della dirompente carica eversiva del testo.
Nella sua difesa in prefazione all’opera, lo stesso Hugo scrive:
 
"Triboulet è deforme, Triboulet è malato, Triboulet è il buffone di corte; triplice infelicità che lo rende cattivo. Triboulet odia il re perché è il re, i gentiluomini perché sono gentiluomini, gli uomini perché non hanno tutti una gobba sulla schiena. Il suo passatempo è di metter continuamente in urto tra di loro i gentiluomini e il re, facendo spezzare il più debole contro il più forte."
Verdi ha valorizzato il lavoro di Hugo, che oggi non scandalizza più nessuno.
 
 
Questa recita segna il debutto in Europa, nel ruolo del Duca di Mantova, di Juan Diego Flórez.
Prevedo polemiche sanguinose tra gli appassionati.
Però io voglio sentire anche la Gilda di Diana Damrau e il Rigoletto di Željko Lučić.
Dirige Fabio Luisi.
Se ho tempo e voglia, domani faccio una mini recensione.
 
 
 

Un’aura danarosa.

Molto spesso gli appassionati di opera lirica si accapigliano [non avete idea quanto (smile)] per il classico pelo nell’uovo.
Un acuto che a molti sembra centrato per altri è gridato o appena ghermito, per dire, oppure si disserta per giorni su il/la migliore interprete storico/a di un personaggio.
Alla fine, com’è normale, tutti restano arcignamente della propria idea.
Uno spettacolo complesso come l’opera è sempre difficile da giudicare e comunque l’interpretazione è soggettiva, perché personali sono le emozioni, nel bene e nel male, che suscita.
È il bello di una serata a teatro, no?
Poi ci sono altri momenti, piuttosto tristi dal punto di vista intellettuale a dire il vero, perché scaturiscono da motivazioni scopertamente commerciali e intrinsecamente diseducative.
Il pubblico però, mi sembra di capire, ha apprezzato.
Missione compiuta, direi.
Andrea Bocelli ha da poco inciso una Carmen che è in vendita dal 30 maggio. (il link non lo metto, perché non mi va!)
Questo è un esempio preclaro di un male che affligge l’opera, cioè la creazione anticipata dell’evento contando sulla scarsa preparazione e competenza della maggioranza del pubblico, e su questo argomento varrebbe la pena, forse, che gli appassionati veri facciano sentire la loro voce. ( e senza microfoni, aggiungerei…)
 

La stagione operistica 2008/2009 al Teatro Verdi di Trieste: un approfondimento semiserio.

Con grande anticipo rispetto agli anni precedenti, il 4 giugno il teatro Verdi di Trieste ha presentato la stagione operistica 2008-2009: già questa circostanza si può considerare un successo, ed è giusto sottolinearlo, in quanto appena l’anno scorso il nuovo cartellone è stato proposto un paio di mesi prima della serata inaugurale del 22 novembre.
Come tutte le altre fondazioni liriche italiane, il Verdi di Trieste è in gravi ambasce finanziarie e lo staff dirigenziale non può non tenerne conto; da questo punto di vista c’è poco da inventarsi, la priorità è contenere i costi.
La via scelta a Trieste è quella dell’aumento della produttività aziendale: ciò significa spettacoli prodotti in casa ove possibile, collaborazioni continuative con altre realtà nazionali ed estere, facendo sostanzialmente finta che il FUS non esista o perlomeno senza contarci troppo. Tutto ciò, ovviamente, puntando sulla qualità e con un occhio al botteghino. Insomma, anche la vita del teatro assomiglia a quella privata di tutti noi, bisogna accontentarsi e vivere con decoro, accettando qualche compromesso. È finito il tempo delle produzioni faraoniche. [Aida a parte, come vedremo nel dettaglio (smile)]
Un altro parametro è la riproposizione di titoli desueti a Trieste, che ha portato ad esempio l’anno scorso all’allestimento di Ernani, Iris, Pêcheurs de Perles, Rondine, ed anche al naufragio dello sfortunatissimo Roberto Devereux.
Spesso il pubblico, che nella lirica e a Trieste in particolare è reazionario dal punto di vista culturale, non ha risposto come sarebbe stato giusto, premiando cioè gli sforzi di uno staff dirigenziale lungimirante.
Lo spettatore medio triestino vorrebbe ogni anno una Bohéme, Turandot, Traviata, Rigoletto e forse, per quella radice mitteleuropea tanto sbandierata quando fa comodo, un Wagner.
Siamo alle solite, anche in questo caso lo spettatore-consumatore ha una sola esigenza: essere rassicurato e non perdere le proprie abitudini.
Però non è questo il luogo dove sfoggiare interpretazioni sociologiche o antropologiche, qui si parla di musica lirica, e si cerca di farlo con umiltà, senza gridare troppo e con un po’ d’ironia.
Spero di avere tempo, durante l’anno, di inquadrare storicamente i singoli lavori in scena di volta in volta, per ora mi limito a qualche commento sui cast.
La stagione comincerà il 18 novembre con la Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, che al Verdi non si vede dal 1980. I protagonisti saranno Daniela Dessì e Fabio Armiliato, affiancati da Juan Pons e diretti da Donato Renzetti.
Un’inaugurazione col botto, sia per la qualità degli interpreti sia per il titolo, che non esito a definire un capolavoro assoluto.
Due parole su Dessì e Armiliato: ho avuto la fortuna di sentirli spesso, negli ultimi mesi, Santa Daniela ha debuttato due personaggi importanti come la Leonora verdiana e la Norma di Bellini con risultati considerati, quasi unanimemente, eccellenti. Armiliato è un tenore che è in continuo progresso tecnico ed interpretativo: anche lui quest’anno ha debuttato un personaggio monstre, il Don Alvaro della Forza di Verdi, con esiti favorevolissimi. (cavolo, ero presente e posso ben dirlo!)
Oggi sono, meritatamente, tra gli artisti più richiesti: il fatto che i dirigenti triestini si siano assicurati la loro presenza è encomiabile. (ci sono anche progetti per il futuro, molto rilevanti, ma non è il caso d’anticipare nulla)
Nella stessa produzione, c’è Juan Pons, altro artista d’assoluto rilievo all’esordio a Trieste.
Il 2009 si aprirà con Aida di Giuseppe Verdi, assente dalla programmazione dal 1988.
Si tratta di una nuova produzione della fondazione triestina e forse l’elemento di maggior interesse e curiosità è la regia, affidata a Damiano Michieletto, recente vincitore del prestigioso Premio Abbiati per il suo lavoro nella “Gazza Ladra” al Rossini Opera Festival dell’anno scorso.
Alla direzione d’orchestra il grande Nello Santi, bravissimo nella recente Iris proprio a Trieste.
Aida sarà il soprano Adriana Marfisi, figlia del direttore: so che in molti storceranno il naso, ma dopo averla sentita come Iris v’assicuro che la sua prova andrà seguita con rispetto.
Nel ruolo difficilissimo del prode Radames (il terzo atto è terribile), si alterneranno i tenori Walter Fraccaro e Mario Malagnini. Anna Smirnova e Mariana Pentcheva daranno vita ad Amneris.
Il 20 febbraio un titolo molto atteso, Norma, nell’allestimento che ha debuttato in aprile al Comunale di Bologna e coprodotto dal teatro triestino, per la regia di Federico Tiezzi. Lo spettacolo è molto godibile, anche se presenta qualche incongruenza col libretto.
La sacerdotessa druidica, personaggio difficilissimo sia dal lato musicale sia da quello interpretativo, sarà affidata all’arte del soprano June Anderson, belcantista di ottimo livello e che potrebbe fornire una prestazione d’assoluta rilevanza. Pollione sarà il solido tenore Roberto Aronica, che non brilla di solito per particolari nuances interpretative, ma che certo ha la voce adatta per il ruolo. Il mezzosoprano Laura Polverelli, ottima cantante dal rendimento sempre costante, sarà Adalgisa. Ho qualche dubbio sul direttore, il bulgaro Julian Kovatchev. Interessante anche, nel secondo cast, l’esordio di Tatiana Serjan nel ruolo del titolo. Tatiana ha molta grinta, ma non ha trovato ancora il suo repertorio d’elezione: a Trieste ha cantato bene la Lady Macbeth di Verdi, mentre la sua Donna Anna nel Don Giovanni ha lasciato qualche perplessità.
Norma a Trieste ha avuto una storia interpretativa eccezionale ed anche esiti molto contrastati: si ricorda l’edizione del 1953, con Maria Callas ed un giovanissimo Franco Corelli (mica pizza e fichi…) ma anche la tragica serata del 1986 (mi pare) con Katia Ricciarelli. Il giorno dopo Trieste fu tappezzata di locandine listate a lutto: “Norma è morta.”
Negli anni successivi, dopo aver sentito le prestazioni di alcune primedonne, credo si possa dire che c’è stato di peggio. (avoja, e non poco)
Quindi la povera Norma di Bellini è stata uccisa, risuscitata, e poi crudelmente rigiustiziata. Vedremo che sorte le toccherà questa volta! (smile)
Il 27 marzo, nell’ambito di uno scambio culturale con il teatro Stanislavskij di Mosca, che prevede la trasferta in terra russa delle maestranze triestine nel 2009, in occasione dell’Anna Bolena di Donizetti, si allestisce il bellissimo Evgenij Onegin, di Čajkovskij, che manca da Trieste dal 1996.
La compagnia di canto è tutta russa e pur non conoscendo gli artisti impegnati, vista la grande tradizione artistica di questo teatro, sono certo che si tratterà di uno spettacolo di alto livello.
Il quinto appuntamento è un dittico particolarmente interessante, perché presenta un’opera in prima assoluta.
Si tratta di Il Carro e i Canti, tratto dal “Festino in tempo di peste” di Alexsandr Puskin. Il lavoro è stato commissionato dal Verdi di Trieste all’autore contemporaneo Alessandro Solbiati, che la definisce sinfonia scenica.
La serata è completata da un balletto dal titolo improponibile: B&B-Berio, Bach &Break Beat, nell’interpretazione proposta da Maggio Danza, su musiche di Bach, Chopin, Berio e Noto.
Anche questo spettacolo è produzione del Verdi e l’appuntamento è per il 17 aprile.
Il giorno 8 maggio è la volta della Fille du Regimént di Donizetti (quella della famosa aria per tenore dai nove DO), nel nuovo allestimento della fondazione a cura del madonno (Giorgia, grazie!) Davide Livermore, in coproduzione con il Teatro Donizetti di Bergamo. La Fille manca da Trieste dal 1988, mi pare.
Il cast è molto buono, e vede schierati specialisti quali il soprano Eva Mei, il tenore triestino d’adozione Antonino Siragusa e gli ottimi, nel secondo cast, Celso Albelo e Silvia Dalla Benetta: dirige Gerard Korsten, del quale non ho un ricordo straordinario, a dire il vero, dopo il Don Pasquale di due anni fa.
Vedremo, come sempre.
La stagione si chiuderà poi con L’Italiana in Algeri di Rossini, il 29 maggio.
L’opera vede il ritorno a Trieste del mezzosoprano Daniela Barcellona, star internazionale triestinissima, che sarà affiancata da Michele Pertusi e Lawrence Brownlee. Sul podio Bruno Campanella, direttore che io amo molto. La regia è di Pier Luigi Pizzi.
Ovviamente, io lo segnalo di striscio perché proprio non è il mio campo, sono parte integrante del cartellone anche i balletti classici.
Sono previsti Red Giselle e Coppélia, ou la Fille aux Yeux d’Email (quasi in contemporanea alla Scala di Milano).
C’è pure spazio per i bambini, a loro infatti, è dedicata una riduzione di Così Fan Tutte, nella quale potranno pure partecipare attivamente, ma ci tornerò al momento opportuno.
Complessivamente, sulla carta, perché poi gli spettacoli bisogna valutarli in teatro, è una stagione di rilievo, anche e soprattutto direi se confrontata con quelle di altri teatri più prestigiosi.
Per questioni essenzialmente economiche, credo, si è dovuto rinunciare ad un Tannhäuser che era in programma.
Mi consolerò col Siegfried a Firenze, dopo che mi sono perso per cause di forza maggiore quello di marzo nell’orrida Venezia.
Ho una sola critica da muovere allo staff del Verdi: una serata in onore di Raffaello de Banfield, allestendo un suo lavoro, si poteva fare.
Magari qualcuno ci pensa, c’è ancora tempo.
 

Il pallottoliere, questo sconosciuto.

Esco un momento dal mio solito binario, sperando di non deragliare.
Ieri nella rubrica “Ultim’ora” del Televideo compariva questa notizia (?):
15.06.2008 18.48 ARABIA SAUDITA Aumenterà la sua produzione petrolifera di 200.000 barili al giorno a partire da luglio.
 
Questa mattina al GR1 nazionale i barili erano diventati 500.000, mentre “Il Piccolo”, quotidiano della mia città, riporta:
 
"La mossa dei sauditi, se verrà confermata nei fatti, potrebbe portare a un incremento di produzione stimato dai mercati intorno al mezzo milione di barili al giorno, dopo che la stessa Arabia Saudita lo scorso mese aveva già stabilito a partire da giugno una produzione addizionale di 300.000 barili per soddisfare la domanda crescente."
 
Mettetevi d’accordo, no?
 
Inoltre, sempre questa mattina, il GR regionale del Friuli Venezia Giulia ha magnificato nell’ordine:
1)      L’esibizione delle Frecce Tricolori non mi ricordo dove
2)      Una gara di motonautica non so quando
3)      Un’altra gara o esibizione di auto da corsa non so perché
 Tutte attività che, mi pare, richiedono un discreto uso di derivati petroliferi.
 
Quindi , Di Tanti Pulpiti lancia questa proposta al Re Abdullah:
 
Facciamo un milione di barili e non se ne parli più.
 
Buona settimana a tutti.

Intervista a Giorgio Zanfagnin, sovrintendente del Teatro Verdi di Trieste.

Questa intervista è stata redatta nei primi giorni d’aprile di quest’anno: la pubblico perché nei prossimi giorni scriverò un post sulla prossima stagione operistica triestina.
Buon fine settimana a tutti.
 

Dopo aver parlato, tempo fa, con il direttore artistico del Verdi di Trieste, Dott.Umberto Fanni, è ora il turno del sovrintendente, Comm. Giorgio Zanfagnin.

Quando mi fa accomodare in ufficio, gentilissimo come sempre, è al telefono con Sandro Gilleri, direttore di produzione, che si trova in missione speciale per il teatro a Seul.
Stanno parlando di un tenore coreano, e la domanda mi sorge spontanea.
Sovrintendente, c’è la possibilità che Trieste abbia un suo direttore musicale stabile?
“No, non credo proprio, almeno nell’immediato futuro. Il teatro può contare su di un direttore artistico molto in gamba, che lavora in perfetta intesa con il segretario artistico Fulvio Macciardi ed il direttore di produzione Sandro Gilleri. Io, che coordino in armonia il lavoro di tutti, credo che un inserimento dall’esterno di un’altra figura porterebbe più seccature che altro. Dopotutto il direttore musicale è un altro consigliere del sovrintendente, ruolo che, appunto, è già soddisfacentemente coperto da queste persone.
A Trieste seguiamo questa regola: gli spettacoli in cartellone o sono visti da qualcuno di noi, com’è il caso ad esempio della Norma che debutterà a Bologna tra qualche giorno, o della Francesca da Rimini che ho visto personalmente a Zurigo, oppure sono nuove produzioni; la qualità è garantita dalla nostra competenza d’assieme.
Un grande Maestro, in tempi non sospetti, mi disse che sono in grado di valutare le voci. Ad un Trovatore, opera che noi allestiremo tra due anni, Leo Nucci confermò, come gli avevo detto, che nella sua grande aria avrebbe potuto fare meglio. Insomma non sono un musicista, ma ritengo che l’assidua frequentazione di teatri in Italia ed all’estero mi consenta di valutare con ragionevole competenza.
Inoltre, praticamente io vivo in questo teatro, sono il primo ad entrare e l’ultimo ad uscire. Se c’è un problema da appianare, che ne so, con gli orchestrali o gli artisti, sono sempre pronto ad intervenire.
Anche con i registi…”
In che senso?
“Voglio dire, proprio perché sono un appassionato prima di tutto, mi sforzo di valutare con gli occhi dello spettatore. Se qualcosa non mi quadra (e qui mi fa l’esempio di uno spettacolo recente n.d.r) cerco di far capire al regista che quel particolare a Trieste non passerebbe l’esame del pubblico. Alla fine, sono io che firmo l’assegno del compenso no? Certo, all’inizio c’è un po’ di resistenza in nome dell’Arte (ride), però poi i miei consigli sono recepiti.
Il recente allestimento dei Pescatori, ad esempio, è stato accolto bene da tutta la stampa specializzata per quanto riguarda la riuscita generale, con l’unica eccezione di un importante critico musicale per motivi…ignoti ai più. I Pescatori, che sono stati una nostra produzione, non si rappresentavano a Trieste da trent’anni, ebbene, oltre alla soddisfazione insita proprio in questa circostanza specifica abbiamo avuto il piacere di contare all’ultima recita 1100 spettatori, in un teatro che ha una capienza teorica di 1200 persone.”
Però, in quest’immagine idilliaca, il mio dovere di cronista mi obbliga di ricordare che quest’anno c’è stato qualche screzio con il Rossetti. Si doveva allestire un lavoro importante per il prossimo Festival dell’Operetta, ed i contrasti con Antonio Calenda sono stati insormontabili.
“Direi più che altro ci sono stati dei malintesi. Vede, quando io ho assunto l’incarico, una delle priorità era di resuscitare il cadavere del Festival, e l’abbiamo fatto.
Non solo, dati alla mano, è stata un’operazione economica vantaggiosa perché il teatro ci ha guadagnato in prestigio ed anche dal punto di vista economico.
Io, come amministratore, ho bisogno di dati certi, mentre nell’ambiente della lirica e del teatro si va molto a parole, diciamo così. Mi sembravano maturi i tempi per organizzare qualcosa di significativo (To be or not to be n.d.r.) con il Rossetti, con il richiamo di un grande nome.
Ho detto: “Troviamo un titolo, dividiamoci in modo chiaro i compiti, di questo si fa carico il Verdi quest’altro spetta al Rossetti”. Insomma, chiedevo chiarezza, è peculiarità del mio mestiere di dirigente.
Dopo trattative estenuanti e colloqui lunghissimi, ancora non si conosceva la musica del titolo scelto. Ora, io non posso accettare a scatola chiusa uno spettacolo, devo sentire se piace e se corrisponde alle aspettative. Voglio dire, non mi risulta ci sia in circolazione né un nuovo Verdi né un nuovo Donizetti, e pure tra questi artisti straordinari alcune cose si possono definire riuscite di più ed altre di meno.
Insomma, non avevo nessuna certezza ed intanto la scadenza utile per un’organizzazione seria s’avvicinava. Ed i cantanti, i contratti da firmare? La regia e tutto il resto?
Ho chiesto allora al Rossetti il punto della situazione, ma nel documento che mi è stato consegnato non ho ravvisato sufficienti certezze.
Un giorno apro il giornale e leggo che il carissimo amico, perché tale rimane (ed infatti quest’anno ha firmato una nostra regia), Antonio Calenda, direttore del Rossetti, dichiara che il Verdi non collabora. Ma come? Io ho solo chiesto chiarezza, perché devo in ogni caso fare i conti con il bilancio e non posso aggravare una situazione che solo con un lavoro di risanamento meticoloso sono riuscito a raddrizzare!
Comunque, auspico che tutto sia solo rimandato all’anno prossimo, quando si festeggerà il quarantennale del Festival dell’Operetta, una scadenza importante per una tradizione culturale che ha visto coinvolti, negli anni passati, sia il Verdi sia il Rossetti.
Sarà organizzata, assieme all’Associazione Internazionale dell’Operetta, anche una mostra itinerante, che toccherà Abbazia, Graz, Vienna, Budapest, il background culturale della città di Trieste.”
Passiamo ad altro: prima della sua gestione, il Verdi, tra le altre cose, produceva i DVD degli spettacoli. C’è la possibilità che in futuro quest’iniziativa sia ripresa?
“Anche qui, purtroppo, ho potuto toccare con mano che in passato era stato organizzato tutto in modo dilettantesco. Le faccio un esempio: non più tardi di qualche giorno fa, abbiamo patteggiato con gli avvocati di una nota artista una cifra consistente, 23.000 euro. Sono produzioni costose, perché tutti gli artisti, giustamente, reclamano una cointeressenza ed i diritti d’autore. Tutto costa, l’unica cosa che ci può fare da veicolo pubblicitario gratuito sono i programmi sul genere di “Prima della prima” o “Loggione”, perché restano nei limiti del cosiddetto “diritto di cronaca”.
In ogni modo, anche per queste iniziative stiamo cercando d’organizzarci con un’agenzia di Milano ed insieme a Maurizio Nichetti, ma solo, almeno per il momento, per le operette. Purtroppo è tutto molto difficile, perché noi non siamo la Scala di Milano, che gode di contributi enormi da parte del Comune, ma anzi siamo, a livello di contributi, i più maltrattati delle 14 Fondazioni Liriche italiane.
Per fortuna, anche se dal punto di vista sostanziale non cambia molto, il nostro pubblico è invece il più affezionato al teatro: percentualmente, la cifra che abbiamo incassato con il 5 per mille è di gran lunga la più elevata in Italia. È un segnale forte che ci conforta e ci spinge a lavorare al meglio ed in ogni occasione, pubblica o privata, d’incontro, io cerco d’incentivare questa sorta d’autofinanziamento.”
Questa stagione è stata segnata in modo pesantemente negativo da innumerevoli scioperi nei teatri, mentre a Trieste è filato tutto liscio. Siamo stati bravi o fortunati?
“Allora, noi siamo stati i primi ad inaugurare la stagione, in novembre, con Ernani. Io su quest’inaugurazione ho lavorato molto, avremmo rischiato, in caso di cancellazione, che un’intera generazione di triestini non vedesse quest’opera di Verdi. Ci sono state tensioni notevoli, ma alla sua domanda io rispondo che tutti, ripeto tutti, sono stati bravi. Tra la sovrintendenza ed i sindacati si è instaurato un rapporto basato sulla fiducia, corroborato dal fatto che noi non abbiamo mai fregato nessuno. Inoltre tutti sanno che seppur in campi diversi, io ho sempre lavorato e lo dimostro ogni giorno qui in teatro. La mia filosofia in poche parole è questa: riduzioni di personale? Non se ne parla nemmeno. Dobbiamo lavorare meglio in maniera che eventuali sacche d’inefficienza siano riassorbite nell’interesse generale comune. Questo teatro esiste e fa davvero cultura da 207 anni, le pare che possa diventare un contenitore vuoto dove s’importano spettacoli da fuori, si mettono quattro pompieri di vigilanza ed arrivederci a tutti? Qui ci sono più di 300 lavoratori, dove ora è seduto lei forse, a suo tempo, sulla stessa sedia c’era Verdi. Quindi bisogna lavorare per noi, per il futuro, risparmiare ovunque, anche a costo di spegnere le luci in corridoio quando non servono. Ancora, anche tra i sindacati ci sono differenze, lei lo sa. Ecco, se c’è stato un merito è proprio questo: riuscire a far passare, con la mia mediazione, il concetto di bene comune.
Ovviamente non posso escludere che in futuro ci sia qualche incomprensione che porti a problemi, ma le garantisco che farò di tutto, per rispetto al pubblico ed a Trieste, per evitare che ciò avvenga.”
Il suo sogno nel cassetto, sovrintendente?
“Oddio, non ne ho, nel senso che le cose stanno andando addirittura meglio delle previsioni, quindi già questo è un sogno realizzato. Tenga presente che quando sono arrivato, praticamente non c’erano i soldi per le paghe!
Ancora oggi stiamo andando avanti come un’automobile con il freno a mano tirato, capisce?
Ecco qui la lista dei miei sogni (mi mostra un foglio).
È la lista dei miglioramenti che abbiamo già apportato, una lista che io aggiorno quotidianamente.”
Lei è innanzitutto un appassionato, ha girato i teatri di tutto il mondo, c’è un’opera che vorrebbe vedere a Trieste, in particolare?
“Le rispondo con dei titoli che, a meno di sconvolgimenti al momento imprevedibili, si faranno nelle prossime stagioni a Trieste: Francesca da Rimini, Aida che non s’allestisce da tantissimo tempo perché è un lavoro costoso, L’italiana in Algeri, Norma, Fille du Regimént. Poi, mi scusi, non, con tutto il rispetto, un’altra Traviata o una Bohéme, ma sempre orientando le nostre scelte su titoli desueti a Trieste. Sono in programma Fanciulla del West, Trovatore, Romeo et Juliet, Anna Bolena, probabilmente un Tannhäuser, Gioconda. E con cantanti e direttori d’assoluto rilievo internazionale: parlo della formidabile coppia Dessì-Armiliato, di Nello Santi. Recentemente ho parlato con José Cura ad esempio, e stiamo lavorando insieme ad un progetto di respiro internazionale per un Otello. Questi sono i nomi, capisce? Poi, Rheingold, Guillame Tell, la Maria Stuarda per chiudere la trilogia donizettiana. Sa, per tornare alla sua domanda precedente, quale sarebbe un sogno che s’avvera? Trovare un grande sponsor, come c’è a Vienna la Lexus, per esempio. Incentivare le coproduzioni, che sono un’operazione economicamente vantaggiosa per tutti, come si è visto anche quest’anno con la Rondine di Puccini ad esempio, che ha debuttato alla Fenice e che tornerà da noi a fine stagione.”
 
 
Ecco, si chiude qui questa che è stata più che un’intervista una chiacchierata amichevole tra appassionati di opera, arricchita da tantissime considerazioni off record, gustosi aneddoti sull’imprevedibilità del teatro, ed anche una piccola sfida. Ad un certo punto, quando ho affermato che nella mia famiglia la passione per la musica c’è sempre stata, tanto che una zia si chiamava Norma, il sovrintendente ha fatto una domanda a me: “Come si chiama, di cognome, il mio collega dell’Opera di Roma?”
Ernani! – ho risposto subito.
Elementare, Watson, siamo tra professionisti.

Good news: Bondi Scissorhands ci ha ripensato.

Qualche volta c’è pure una notizia buona.
Come potete leggere qui, l’allarme è rientrato.

Maledetto io sono!

Qualche volta la sorte è cattiva con i più deboli.
Prendiamo il caso di Angelo Villari, valoroso tenore comprimario, che si esibirà, per il Festival Verdi 2008 al Regio di Parma

Palco Reale Regio Parma

nell’opera Il Corsaro di Giuseppe Verdi. (by the way, opera che debuttò a Trieste, nel 1848)
Ebbene, il povero Villari non solo dovrà interpretare, come da locandina, prima un eunuco e poi uno schiavo, ma sarà pure diretto da un Montanaro.
Son soddisfazioni. (strasmile)
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