Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: agosto 2008

Bel Canto Spectacular di Flórez: qualche piccola considerazione a margine.

Il peruviano Juan Diego Flórez è uno dei tenori più amati dal pubblico melomane: pur ancora molto giovane, si è guadagnato tanto seguito sul campo, cioè in teatro, da ormai più di dieci anni.
Recentemente è uscita, per la Decca, la sua ultima fatica discografica, intitolata con un po’ di sfrontatezza “Bel Canto Spectacular”: sul podio Daniel Oren che dirige l’Orquestra de la Comunitat Valenciana.
Nel disco appaiono come ospiti (nel senso che cantano nei duetti) il soprano Anna Netrebko, l’altro soprano Patrizia Ciofi, il contralto Daniela Barcellona, il baritono Mariusz Kwiecien, il tenore Placido Domingo.
La prima circostanza da sottolineare, se si vuole essere onesti, è che Daniel Oren e Placido Domingo non c’entrano nulla con il Belcanto e purtroppo ne offrono ampia prova nell’incisione.
Oren dirige come spesso gli succede anche in teatro: pesante, didascalico, fracassone ed enfatico, e mi fermo qui.
Domingo, artista straordinario, non si capisce perché abbia accettato di partecipare: la sua prestazione nel duetto dell’Otello rossiniano è al di là di ogni commento negativo, e mi fermo qui anche in questo caso.
Mi si potrebbe obiettare: “Scusa ma che modo è di cominciare una critica? Il disco è di Flórez, mica degli altri!”
Ok, ma non ho scelto io d’intitolare il recital “Bel Canto Spectacular”, quindi evidenzio subito ciò che non mi piace.
Detesto anche questa baracconata delle ospitate, siano esse positive o negative: mi ricorda il “pavarottismo” più pacchiano.
Ma veniamo a JDF.
Mi aspettavo di meglio nella scelta della tracklist (poi spiego meglio) ma JDF canta benissimo e cerca, almeno così pare a me, d’interpretare molto di più del solito.
Ho sempre pensato che questo tenore abusi della straordinaria facilità degli acuti e trascuri un po’ il fraseggio, la mezzavoce, la sfumatura: per me sono peccati mortali per qualsiasi cantante.
In questo caso invece, chapeau!
In tutte le arie e i duetti proposti appare evidente lo sforzo del cantante di variare la dinamica, di conferire un senso compiuto alla parola scritta.
Riuscitissimi, in questo senso, i duetti dai Puritani di Bellini (molto brava la Netrebko) e dalla Linda di Chamonix di Donizetti (spenta, a voler essere generosi, Patrizia Ciofi).
Ora, chi vorrà acquistare il disco lo farà comunque a prescindere dalla mia opinione, quindi è inutile che io mi dilunghi sui singoli brani, però mi preme una considerazione di carattere più generale.
Flórez ha dimostrato di saper osare, rischiare artisticamente intendo: mi riferisco al recente debutto (ma programmato da tempo) a Dresda nella parte del Duca di Mantova.
Mi chiedo: perché non approfittare della comoda sala di registrazione della Decca per lasciare testimonianza, ad esempio, di un “Ella mi fu rapita”? Ci sarebbe stato bene, anche se magari si sarebbe dovuto ripensare al titolo del compact, e chiamarlo semplicemente “Arie d’Opera”.
Per dire, io, ma anche molti altri appassionati a leggere in Rete, non sentivo il bisogno della famosa aria donizettiana dei nove DO ( “Amici miei, che allegro giorno”) cantata in italiano invece che in francese, o della versione alternativa della “Furtiva lagrima”.
E poi, un artista come JDF deve stupire, sorprendere, non solo con i suoi straordinari acuti, ma anche con il coraggio di scegliere, magari e per il momento solo in sala d’incisione, d’affrontare arie e romanze che esulano dal territorio di sua stretta competenza.
Questo non significa certo che io pretenda (si fa per dire, evidentemente) un “Celeste Aida” o una “Recondita Armonia”. (Alfredo Kraus lo fece, ma era…Alfredo Kraus, appunto)
Gradirei, e credo fermamente che non sarei il solo, un tentativo di “rottura” degli schemi, che è la caratteristica principale dell’artista veramente “storico”.
Ancora una piccola chiosa, che con il tema del post c’entra poco.
Mi è stato chiesto in privato da tanti lettori e in pubblico da Ghismunda un parere sulla recente iniziativa editoriale del Gruppo Espresso/Repubblica, Passione Lirica: comprare, comprare, tanto le presentazioni di Alessandro Baricco, comprese nei DVD, si possono saltare. (strasmile)
Buona settimana a tutti.
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Il blog degli animali.

Ex-Ripley nelle sue peregrinazioni montanare incontra varie bestiacce.

In Bolivia i lama e gli alpaca sono molto diffusi, ad esempio.

Lama Bolivia 2005 Apolobamba Bolivia 2005 (86)

 

Mentre sul Montasio s’incontrano altri esemplari, alcuni pure tanto vanitosi da mettersi in posa!

 

 

 

 

 

Stambecco vanitoso

 

 

 

 

 

Marmotta

Teatro Verdi di Trieste: notizie contrastanti.

L’ultima tournée all’estero del Teatro Verdi di Trieste mi pare risalga a qualche anno fa, forse nel 2002, in Giappone.
Quest’anno il “mio” teatro riprende il suo itinerare, la meta è il Festival Aphrodite di Pafos, a Cipro.
Il Verdi coglie l’occasione dei 150 anni della nascita di Puccini ed esporta uno spettacolo tutto triestino, Madama Butterfly, che si vide a Trieste qualche anno fa.
Il regista è Giulio Ciabatti, la scenografia di Pier Paolo Bisleri, le luci di Iuraj Salieri.
Lo staff dirigenziale sottolinea con orgoglio che si tratta dell’unica manifestazione all’estero di un teatro italiano, in occasione dell’anno pucciniano.
L’orchestra del Verdi sarà diretta da Antonio Pirolli, mentre il cast presenta nei ruoli principali Mario Malagnini quale Pinkerton e il debutto nel ruolo del titolo di Silvia Dalla Benetta; il baritono Paolo Rumetz interpreterà Sharpless e Suzuki sarà affidata al mezzosoprano Giovanna Lanza.
E questa è la buona notizia.
Poi, come sempre, c’è pure quella cattiva.
Non è ancora ufficiale, ma sembra che l’attesissima Francesca da Rimini, che avrebbe dovuto aprire la stagione operistica 2008-2009, non si faccia più.
Perché? Forse si chiederà qualcuno.
I motivi sono i soliti: mancano i fondi, già miseri in assoluto, e ulteriormente ridimensionati dal taglio al FUS.
Corre voce che lo spettacolo d’apertura sarà una Tosca e, a questo punto, spero che almeno rimangano gli interpreti già previsti per il lavoro di Zandonai, cioè Daniela Dessì (come ho già avuto modo di scrivere, a mio parere la miglior Floria Tosca del momento) e Fabio Armiliato, anch’egli ottimo nel delineare un Cavaradossi mai banale.
Io mi stavo preparando ad approntare uno speciale per OperaClick sulla Francesca, quindi non tutto il male vien per nuocere, vuol dire che lo speciale sul lavoro di Zandonai lo riserverò ai lettori del mio blog.
Siete fortunati eh? (strasmile)
Buona settimana a tutti!
 

Rossini Opera Festival: consuntivo polemico e stringato.

Si sa che gli intellettuali, quelli veri, non chi aspira ardentemente a tale status perché crede d’essere il solo ad aver letto quattro libri (“per stupire mezz’ora basta un libro di storia” – ha scritto e cantato un intellettuale vero), hanno il grande dono di prevedere il futuro conoscendo il passato e analizzando il presente.
O meglio, più che prevedere il futuro, l’intellettuale è in grado di riconoscere comportamenti, che nella fattispecie io definisco senz’altro reazionari, che si ripetono ciclicamente nel tempo.
Un grande intellettuale è stato Massimo Mila, uno dei massimi musicologi del novecento.
In questi giorni, stimolato da un input casuale captato in Rete, sto rileggendo il suo fondamentale saggio “Breve storia della musica”, uno di quei testi che non si possono trascurare se si vuole parlare, anche in tono salottiero come faccio io qui, di musica lirica.
Quasi all’inizio del libro, che se non sbaglio è stato edito nel 1946 nella prima stesura, si possono leggere queste considerazioni, che riassumo qui nei tratti fondamentali:
 
“Bisogna guardarsi dal considerare i generi musicali e i titoli dei capitoli d’una storia della musica come scompartimenti chiusi.
Sotto l’azione d’un potente rinnovamento spirituale, la musica si va orientando verso un ideale espressivo: il compositore si fa sempre più attento ai consigli della propria sensibilità.
Questa rivoluzione del gusto diede luogo alle solite polemiche tra sostenitori del vecchio e nuovo stile. Le accuse furono in sostanza le stesse che i conservatori d’ogni epoca hanno sempre rivolto ai movimenti originali dell’Arte: esagerazione, complicazione frenetica, mancanza di naturalezza, partito preso d’originalità e via dicendo.
Come si vede, nulla v’è di nuovo sotto le stelle, e gli artisti che oggi  si vedono attaccati in nome della “tradizione”, possono confortarsi pensando che artisti di seicento anni or sono subivano la stessa sorte, e questo non ha impedito loro di diventare, più che classici, dei preistorici pezzi da museo.”
 
Io, che non sono nessuno, dedico queste parole del grande Massimo Mila a tutti quegli Artisti che mi fanno emozionare quando si alza il sipario di un teatro.
Ciao a tutti.
 
 
 
 

Recensione veloce del Maometto II al ROF.

Credo che prima di cominciare questa recensione del Maometto II al ROF di Pesaro, forzatamente monca in quanto frutto d’ascolto radiofonico, sia necessario fare una premessa.
Alcuni amici mi avevano informato di un ambiente piuttosto teso, d’incomprensioni con il direttore d’orchestra Gustav Kuhn, litigi che io non ho sottolineato nel mio post di ieri perché mi sembrava inopportuno e perché ai relata refero, con tutto il rispetto, non do eccessiva importanza.
Oggi però, in sede di recensione semiseria, credo sia giusto che io manifesti il mio totale disappunto per ciò che ho sentito: la direzione orchestrale è stata disastrosa, pesante e direi addirittura nociva per il rendimento di tutti gli artisti, sia per chi ha cantato bene sia per chi ha cantato meno bene.
Solo il Coro, che in quest’opera è un vero e proprio personaggio dell’opera come il tenore o il soprano, è riuscito a fare peggio di Kuhn, cantando con una mollezza e un’inconsapevolezza sbalorditive.
Consentitemi una riflessione autarchica: in Italia abbiamo tanti direttori, ma proprio tanti, che senza essere fenomeni dirigono Rossini in modo molto più civile di questo maestro austriaco.
Detto questo, segnalo subito la convincente prova del tenore Francesco Meli, che è stato un magnifico Paolo Erisso: accento appropriato, voce di una bellezza stordente, adesione al personaggio eccellente, il giovane Meli ha fornito una prova davvero maiuscola.
Sono contento perché proprio da queste pagine, a suo tempo, avevo sottolineato alcune sue prove negative e mi era stato detto che “ero scioccamente prevenuto e che le mie opinioni erano frutto di rancore”, sentimento che pratico volentieri con grande piacere, ma non certo per artisti che cercano di fare al meglio il loro lavoro.
Complessivamente molto buona la prova di Michele Pertusi, autorevole Maometto II, anche se nel secondo atto ho sentito una lieve flessione di rendimento: nel registro grave la voce è suonata un po’ stimbrata, opaca, mentre durante tutta l’opera gli acuti sono stati nitidi e sicuri.
A mio parere, inoltre, ieri sera è stato il cantante più autenticamente rossiniano della compagnia di canto.
Il mezzosoprano Daniela Barcellona, applauditissima in teatro, non mi ha convinto in pieno e non tanto nell’aria (quella, appunto, che Giudici a ragione definisce diabolica) “Non temer d’un basso affetto”, della quale seppur con qualche incertezza è venuta a capo, ma perché mi è sembrata affaticata vocalmente in più momenti della serata: questo non significa che abbia commesso errori particolari, ma se l’accento è sempre stato quello pertinente al personaggio di Calbo, la voce non sempre è stata all’altezza delle intenzioni di Daniela. Il mezzosoprano triestino, come detto nell’intervista del post precedente, era al debutto e quindi credo che nelle repliche il suo rendimento andrà migliorando.
In quanto al soprano Marina Rebeka, nei panni di Anna Erisso, credo di poter affermare che è stata diligente, nulla di più e nulla di meno, ma non ha il peso vocale per questo personaggio, non ha insomma la statura d’interprete di un ruolo così tragico e sfaccettato, era fuori repertorio, tanto che in alcune occasioni la sua vocina aggraziata era in evidente contrasto con la drammaticità del testo.
Di livello piuttosto modesto mi sono parsi i comprimari, Enrico Iviglia (Condulmiero) e Cosimo Panozzo (Selimo).
Piccola considerazione personale, in chiusura.
Dopo aver riascoltato quest’anno l’Ermione e il Maometto II, opere del Rossini più tragico legate per certi versi da un destino comune di parziale incomprensione da parte del pubblico napoletano dell’epoca, mi sono reso conto una volta di più di come il musicista pesarese sia stato un vero e proprio genio della composizione musicale e dell’arte in generale.
Alla prossima avventura musicale e buon ferragosto a chi va in vacanza!
 
 
 

Maometto II al ROF: piccole considerazioni preventive.

Ricordo ad appassionati e simpatizzanti che questa sera su Radio3, sempre alle ore 20, va in onda in diretta dal Rossini Opera Festival il dramma per musica in due atti Maometto II.
Questa la locandina:
 
MAOMETTO II
Dramma per musica in due atti di Cesare Della Valle
Musica di Gioachino Rossini
 
Paolo Erisso, Francesco Meli
Anna, Marina Rebeka
Calbo, Daniela Barcellona
Condulmiero, Enrico Iviglia
Maometto II , Michele Pertusi
Selimo, Cosimo Panozzo
 
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Coro da Camera di Praga
Direttore, Gustav Kuhn
Maestro del Coro, Lubomír Mátl
Regia, Michael Hampe
Scene Alberto Andreis
Costumi Chiara Donato
 
Personalmente sono molto curioso di sentire, in un ruolo che potrebbe creargli non pochi problemi, il tenore Francesco Meli, che quest’anno ho sentito più volte dal vivo in costante progresso: una buona prova potrebbe consacrarlo definitivamente come uno dei migliori artisti in questo repertorio.
Qualche perplessità, ma come ho sempre detto io sono fiducioso, mi desta la scelta del soprano Marina Rebeka per la parte (l’ennesimo ruolo Colbran) di Anna Erisso, che dagli ascolti disponibili in Rete mi pare abbia una voce piuttosto magrolina per il ruolo.
Un grosso in bocca al lupo alla mia illustre concittadina, il mezzosoprano Daniela Barcellona, che interpreterà Calbo, allungando la lista dei suoi personaggi en travesti.
Dice Elvio Giudici che l’aria di Calbo (“Non temer d’un basso affetto”) è uno dei vertici della diabolicità rossiniana: questo pomeriggio ho riascoltato, nelle versioni di varie interpreti, questa pagina memorabile e devo affermare che sono più che d’accordo con lui (non mi succede spesso d’essere sintonia con questo grande critico musicale), si tratta di una vera e propria trappola mortale!
Ho una sola certezza, e cioè che Michele Pertusi nei panni di Maometto II darà un’altra prova della sua classe artistica.
Da Pesaro mi sono giunte voci molto positive, speriamo bene!
Qui sotto Ewa Podles nell’aria diabolica:

 

 
Posto anche un’intervista a Daniela Barcellona, uscita ieri sul quotidiano triestino “Il Piccolo”, a firma Patrizia Ferialdi.
Tra i protagonisti dell’opera (che sarà replicata il 15, 18, 20 e 23 agosto) spicca il mezzosoprano triestino Daniela Barcellona, che abbiamo incontrato al rientro da Sydney, reduce dal successo ottenuto nella Missa Solemnis di Beethoven diretta da Gianluigi Gelmetti ed eseguita davanti al Papa in occasione delle Giornate della gioventù.
Signora Barcellona, dopo la parentesi sacra l’impegno di un debutto profano…
«È vero, la musica di Beethoven è molto interiore e altamente mistica in cui i solisti non hanno delle arie singole ma dialogano con il coro o dipanano dei quartetti molto intensi in cui sembra di vedere uno scorcio di paradiso. Mentre il personaggio di Calbo che vado a interpretare domani era, insieme a Sigismondo, uno dei due ruoli en travesti che ancora mi mancavano e perciò sono davvero contenta di farlo».
Rispetto agli altri ruoli en travesti che ha interpretato, qual è la peculiarità vocale di Calbo?
«In generale, possiamo dire che se la tessitura è la stessa che può avere l’Arsace della Semiramide o il Malcolm della Donna del Lago, l’estensione vocale richiesta a Calbo è molto più ampia andando a ricoprire tutta la gamma di voce propria al mezzosoprano e l’aria del secondo atto "Non temer" è davvero un grande scoglio proprio perché ha bisogno di un’estensione vocale molto ampia e di tenuta d’agilità prolungata».
Ci sono molte differenze tra Calbo e Arsace?
«Diciamo che Arsace ha un numero maggiore di arie e duetti e offre chances più ampie dal punto di vista interpretativo oltre ad essere anche molto più pesante per la durata. Calbo, invece, oltre ai terzetti ha un sacco di concertati e, dal punto di vista musicale ha una scrittura forse più originale. Più volte nella partitura, infatti, ci sono orchestrazioni particolari che precorrono i tempi e che non si sentono nelle altre opere di Rossini tant’è che, in certi momenti, mi sembra che Verdi, per la Traviata, si sia ispirato proprio al Maometto II!».
Oltre a Rossini, però, uno dei ruoli che le ha dato grandi soddisfazioni è anche quello della Favorita di Donizetti…
«È vero, Leonore è un ruolo che adoro, ricco di intensità e di sentimento, di profonde emozioni interiori che la musica di donizetti riesce a tradurre al meglio. L’ho già interpretata a Genova in forma di concerto e la porterò in scena a breve all’Opera di Dresda».
Quale differenza sostanziale ha riscontrato tra la vocalità rossiniana e quella donizettiana?
«La differenza sta nella linea di canto. Rossini usa le variazioni e le agilità per sottolineare un sentimento che può essere amore, slancio passionale, rabbia o furore, ogni nota serve per rinforzare la parola e far esprimere al meglio il sentimento del momento al personaggio. Inoltre c’è la difficoltà dei ruoli en travesti che richiedono alla cantante un impegno ancora maggiore, vuoi sotto il profilo della credibilità scenica che dell’espressività vocale in quanto si può fare un portamento, una variazione, un crescendo in modo femminile o maschile per mettere a fuoco il personaggio e questo non è un dettaglio da sottovalutare. Infatti, dal punto di vista della scrittura, il vocalizzo amoroso di Rosina e Tancredi può essere tecnicamente lo stesso ma l’approccio emotivo deve per forza essere diverso se si vuole differenziare il sentimento maschile da quello femminile. Invece Donizetti è altra cosa perché ha un canto più lineare, un fraseggio completamente diverso e non usa i ruoli en travesti».
Oltre a Rossini e Donizetti ha mai provato tentazioni verdiane?
«Certamente sì, perché mi stanno arrivando un sacco di proposte per cantare Amneris, Azucena e Eboli ma anche perché la mia voce sta andando proprio verso questi ruoli nei quali posso sentirmi a mio agio. Per l’immediato futuro, però, preferisco non impegnarmi in tal senso in quanto, tecnicamente, non si può più tornare indietro. Per Verdi serve un altro stile vocale, un altro tipo di emissione perché c’è bisogno dello squillo e dell’incisività del fraseggio drammatico ma così facendo si va a perdere l’agilità necessaria per cantare Rossini».
E allora il suo ruolo impossibile…
«Sicuramente quello di Tosca, un personaggio bellissimo e a tutto tondo che sento molto vicino a me. Ma resterà proprio un sogno…».
La recensione a domani.
Buon ascolto!

Recensione abbastanza seria dell’Ermione al Rossini Opera festival.

Ieri alle 20, in diretta dal Rossini Opera Festival, Radio3 ha trasmesso l’Ermione, azione tragica in due atti che ha aperto il Festival 2008.
L’opera debuttò nel 1819 al San Carlo di Napoli e fu un disastro, tanto che lo stesso Rossini decise di ritirarla dalle scene. Questo capolavoro, perché di ciò si tratta, rimase in sonno fino al 1987 quando fu ripreso per la prima volta proprio al ROF di Pesaro.
Questo lavoro di Rossini è da considerarsi geniale, alla luce degli elementi di modernità introdotti sia nella scelta del testo ispiratore ( la tragedia Andromaque di Racine) sia nella musica.
Paradossalmente proprio la genialità dell’opera fu il motivo dell’insuccesso dell’esordio: come tutti i grandi, Rossini era più avanti del suo pubblico, in questo caso quello napoletano, che allora era tra i più illuminati e colti d’Europa.
Ermione non era, per quei tempi, un’opera rassicurante, ma anzi introduceva elementi inquietanti, cupi, un vero e proprio presagio romantico, appunto.
Rossini cucì addosso a Isabella Colbran il personaggio di Ermione, e già questa circostanza è indicativa della difficoltà del ruolo.
E anche per gli altri protagonisti non si lesinò sulla qualità, visto che Pirro fu affidato a Andrea Nozzari e Oreste a Giovanni David, mentre per Andromaca si pensò a Rosamunda Pisaroni.
Insomma quattro artisti leggendari, storici nel vero senso della parola, gli inventori del ruolo. ( a dire il vero solo per la Colbran, poi signora Rossini, si dovrebbero scrivere un centinaio di post!)
Questa, molto in breve, la pesante eredità che la storia del canto ha lasciato ai protagonisti della recita di ieri sera.
La trama, ricavata daqui:
 
 
A Buthrote, capitale del regno di Epiro. Dopo aver sconfitto i Troiani, il re Pirro, figlio di Achille, è ritornato in patria con numerosi prigionieri tra i quali vi è Andromaca con il figlioletto Astianatte. Egli non tiene fede alla promessa fatta a Ermione, figlia di Menelao re di Sparta, poiché ama Andromaca, che tuttavia lo respinge, fedele alla memoria di Ettore. Oreste, che è stato inviato a Buthrote dai re greci per risvegliare in Pirro il senso del dovere e il desiderio di gloria, dichiara il suo amore a Ermione che, tormentata dalla gelosia, sta cercando di riconquistare il cuore di Pirro. Questi non solo respinge il suggerimento di Oreste di sopprimere Astianatte, per evitare la futura immancabile vendetta, ma, alla presenza della corte e di Ermione, chiede ad Andromaca di sposarlo. Ella finge di acconsentire alle nozze, ma in realtà vuole solo salvare il figlio (e medita anche di uccidersi, per raggiungere l’amato sposo nell’oltretomba). L’umiliata Ermione, resa folle dalla passione, chiede a Oreste, quale testimonianza d’amore, di uccidere Pirro. Quando Oreste le presenta il pugnale insanguinato, prova che la vendetta da lei richiesta è stata eseguita, ella, presa da orrore per l’omicida, gli svela tutto l’amore che prova ancora per Pirro. Oreste, sconvolto e delirante, è trascinato via dai suoi compagni verso la nave.
 
Questa la locandina dello spettacolo:
 
Ermione, Sonia Ganassi
Andromaca, Marianna Pizzolato
Pirro, Gregory Kunde
Oreste, Antonino Siragusa
Pilade, Ferdinand Von Bothmer
Fenicio, Nicola Ulivieri
Cleone, Irina Samoylova
Cefisa, Cristina Faus
Attalo, Riccardo Botta
 
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Coro da Camera di Praga
Direttore, Roberto Abbado
Maestro del Coro Jaroslav Brych
Regia, Daniele Abbado
Scene, Graziano Gregori
Costumi, Carla Teti
 
Ma come è andata ieri sera?
Dal mio opinabilissimo punto di vista, e soprattutto sottolineando che è solo in teatro che si valuta in modo serio un’opera lirica, (nulla so dell’allestimento scenografico e della regia, ad esempio)si è trattato di una recita contrastata, portata a termine dal direttore Roberto Abbado senza infamia e senza lode, con qualche pesantezza orchestrale di troppo.
La migliore (ma senza che si gridi al miracolo)è stata sicuramente Sonia Ganassi, che per la prima volta da quando ha cambiato repertorio mi ha convinto in un ruolo da tragedienne: l’accento era quello giusto, vigoroso ma non sbracato, la linea di canto omogenea, gli acuti molto nitidi. Certo, a Sonia Ganassi forse manca qualche volta l’ampiezza della cavata, ma il personaggio, devastato da sentimenti antitetici e viscerali, amore, odio, vendetta, esce bene.
Tra l’altro alla Ganassi ha nuociuto moltissimo la vicinanza dei microfoni per la ripresa radiofonica, che facevano sembrare singulti delle normali prese di fiato.
Il ruolo di Ermione è universalmente riconosciuto come tra i più perigliosi, difficili, la Colbran doveva essere un vero fenomeno vocale.
Andromaca era Marianna Pizzolato ed è risultata sufficiente nel caratterizzare un personaggio un po’ più lineare, ma pur sempre tragico: la linea di canto mi è parsa un po’ disomogenea, con qualche asprezza nel registro acuto.
Antonino Siragusa ha cantato indiscutibilmente bene, ma proprio ieri sera la sua voce molto infantile, mi si passi il termine, non coincideva con il personaggio che doveva interpretare: non è credibile un Oreste, figura tragica come poche altre, che si esprime con una voce quasi bianca. È per questo che personalmente trovo sempre più centrate le prove di questo tenore (triestino d’adozione, e mi fa molto piacere sottolinearlo) in opere di diverso carattere: nel Barbiere, nella Cenerentola, nella Sonnambula è nel suo ambiente naturale.
Gregory Kunde mi ha deluso, e mi spiace affermarlo perché è un grande artista: la voce appare gonfiata e ispessita artatamente e per lui vale lo stesso discorso di Siragusa, era fuori dalla sua competenza territoriale, il ruolo da baritenore non gli si addice. (forse sarebbe ancora oggi un grande Oreste, non so)
L’ottava bassa è suonata spesso sorda, gli acuti forzatissimi e in qualche occasione (il fuoco d’artificio dell’aria, ma anche nel duetto con Ermione) ho temuto che la voce si rompesse.
Va detto che se c’è un ruolo tenorile di difficoltà allucinante, beh, ci siamo, è proprio questo Pirro.
Tutti gli altri protagonisti si sono disimpegnati abbastanza bene, ma mi fa piacere segnalare il buon Attalo di Riccardo Botta e l’efficace Pilade di Ferdinand Von Bothmer.
Il Coro non mi è apparso in serata straordinaria, ma l’affiatamento migliorerà sicuramente nelle prossime recite.
Molto interessanti le interviste di Giovanni Vitali, in particolare quella con il regista Daniele Abbado, che ha spiegato la sua visone dell’opera.
Questa sera, sempre sulla benemerita Radio3, la diretta alle ore 20 del dramma giocoso L’equivoco stravagante: io purtroppo non ce la farò a seguirla, quindi niente recensione. [che peccato eh? (strasmile)]
 
Buona settimana a tutti.
 
 

Rossini Opera Festival, si parte!

Parte domani a Pesaro il ROF, acronimo che significa Rossini Opera Festival: i melomani e in particolare i rossiniani sono in fibrillazione, è un appuntamento importante.
Siccome questo blog è letto anche da persone a digiuno di musica lirica, mi pare giusto fare qualche considerazione generale.
Gioac(c)hino Rossini è stato uno dei più geniali musicisti italiani ed è identificato dai profani come compositore comico, insomma l’autore della musica del Barbiere di Siviglia (Figarò qua, Figarò là), una delle opere che ancora oggi è più rappresentata nei teatri di tutto il mondo.
In realtà Rossini si può considerare il precursore del melodramma più tipico, quello da immaginario collettivo: non a caso l’onore (ed è proprio il caso di dirlo, l’onere…) dell’inaugurazione del festival spetta a Juan Diego Florez, uno dei più grandi tenori rossiniani di sempre, con un recital a tema intitolato “Il presagio romantico”.
Il titolo scelto vuole indicare la funzione di traghettatore, diciamo così, che ha avuto Rossini nel passaggio dall’età del Belcanto al Romanticismo: saranno eseguite pagine da “La donna del lago” e dal “Guillame Tell”, opere protoromantiche per eccellenza nella produzione del geniaccio pesarese.
Florez sarà affiancato dal giovanissimo soprano Julia Lezhneva, al debutto.
I biglietti sono esauriti da un sacco di tempo e quindi il concerto sarà trasmesso in piazza a Pesaro.
Poi, sempre all’insegna del Rossini serio, domenica sera si entrerà nel vivo della manifestazione con Ermione (azione tragica in due atti), opera di bellezza straordinaria e di difficoltà esecutiva rara.
Completano il programma operistico del festival il dramma giocoso L’equivoco stravagante, che andrà in scena lunedì, e infine martedì il dramma per musica Maometto II.
Il Festival prevede ancora l’esecuzione dello Stabat Mater, mercoledì 20 agosto, e di quattro concerti belcantistici, di cui uno dedicato alla ricorrenza del bicentenario della nascita di Maria Malibran.
Radio3, una volta di più benemerita, trasmetterà in diretta o differita tutto il festival.
Un gigantesco “In bocca al lupo!” a tutti coloro che a vario titolo si stanno impegnando per la buona riuscita di questa manifestazione: artisti in primis, ma anche a tutti gli altri addetti ai lavori; senza il loro prezioso contributo saremmo a disquisire di chissà che miserie, ed invece eccoci qui a sognare.
A Rossini devo anche il nome del blog, perchè Di Tanti Pulpiti è solo un piccolo gioco di parole fatto alle spese di una delle più belle pagine rossiniane: Di Tanti Palpiti, dal Tancredi.
Qui sotto, già che ci sono, ecco la strepitosa Marylin Horne.

 

Se ho tempo scriverò le mie opinioni sul blog, intanto buona settimana a tutti.
 
 
 
 
 
 

Recensione veloce del Götterdammerung dal Festival di Bayreuth.

Comincio questo post parafrasando l’incipit di una delle mie canzoni preferite:
“È un altro Ring è andato la sua musica finita…”
In realtà a Bayreuth le repliche della tetralogia proseguono fino al 25 agosto, mentre il Festival si chiuderà il giorno 28 con l’ultima rappresentazione del Parsifal.
Dal mio punto di vista, ed è importante e corretto sottolinearlo perché mi rendo conto di non detenere verità assolute, il Götterdammerung è stata la tappa più riuscita di questo Ring.
Certo, il tenore Stephen Gould è stato ancora una volta insufficiente dal lato vocale: gli acuti sono sempre forzati, presi da sotto. La posizione della voce è evidentemente indietro e dal SOL in su fa molta fatica, però almeno questa volta ho sentito tentativi d’interpretazione, una diversa attenzione per la parola cantata.
Per i meno esperti, sottolineo che Wagner è librettista di se stesso e quindi, se possibile, il testo ha un valore ancora più rilevante che per gli altri compositori.
Il soprano Linda Watson ha cantato bene, tanto che mi sento d’affermare che è stata la serata migliore per la Brünnhilde di questa edizione: finalmente una prova convincente.
Abbastanza incolore il Gunther di Ralf Lukas, e altrettanto pallida la prova di Edith Haller quale Gutrune.
Andrew Shore, ancora Alberich, proprio non mi piace: a questo punto credo sia un problema mio, nel senso che non posso imputare al cantante mende vocali evidenti, ma il suo approccio al personaggio, completamente sbilanciato su di un canto greve e macchiettistico non rientra nei miei canoni estetici.
A questi canoni invece corrisponde, e sono ben felice di confermarlo, Hans Peter König, che ha dato vita a un Hagen veramente ben riuscito senza ricorrere ad effettacci: è un personaggio difficile Hagen, un concentrato di buona parte dei difetti umani, manca solo che si proclami interista. [spero che Bob non mi legga (strasmile)]
Anche Christa Mayer mi è piaciuta abbastanza nei panni di un’accorata Waltraute, sorella di Brünnhilde.
Le 3 Norne (Simon Schröder, Martina Dike e ancora Edith Haller), che tessono il filo dei destini del mondo e aprono con il loro canto il Crepuscolo, meritano almeno una menzione positiva, mentre le Figlie del Reno ( Fionnuala McCarthy, Ulrike Helzel e di nuovo Simone Schröder ) mi sono parse un po’ troppo starnazzanti e sgallettate.
Su tutti, ancora una volta, Christian Thielemann.
L’orchestra ha cantato, si fa per dire ovviamente, a un livello molto più alto delle voci; soprattutto è stata continua la ricerca di diversi colori, di sfumature.
Il direttore è il vero protagonista positivo del Ring di questa edizione 2008.

L'oro del Reno lampeggia sul mio monitor!

Altro non mi sento di dire, anche se, per l’ennesima volta, non ho potuto fare a meno di pensare sorridendo alla seconda scena del primo atto: Siegfried arriva al cospetto di Hagen e Gunther, e sembra una scena di quei western americani degli anni sessanta in cui arriva il famoso pistolero da Yuma, preceduto dalla fama di tiratore infallibile e crudele.
“Dove posso lasciare il mio cavallo"? "Vorresti batterti con me?” (strasmile)
La spada più veloce del Reno!
Grazie a tutti per aver seguito così numerosi le mie recensioni semiserie in questi giorni caldissimi e buona settimana a tutti.

Siegfried a Bayreuth: recensione striminzita e un po’ amareggiata.

Il Siegfried sentito ieri, in diretta da Bayreuth su RADIO3, ha confermato che Christian Thielemann è l’unico elemento di sicuro interesse di questo Ring 2008.
La sua direzione non è né innovativa né geniale, nel senso che non mi ha fatto certo ripensare qualche momento della partitura wagneriana, non ha illuminato di luce nuova alcun dettaglio; è una direzione rassicurante, in linea con le esecuzioni tradizionali, ma è comunque una lettura di ottimo livello.
Alcuni scorci sono stati magnifici: l’entrata di Siegfried, la sincopata esaltazione nella scena della forgiatura di Notung, la spada.
Ancora, la cupa atmosfera all’approssimarsi del drago Fafner, come pure molto suggestiva è stata la scena dell’evocazione di Erda e, seppure a un livello inferiore, ho trovato molto buono anche il risveglio di Brünnhilde.
Peccato che ci fossero i cantanti, con l’unica eccezione dell’interprete di Fafner, il basso Hans Peter König, molto bravo nella sua connotazione, di ferocia prima e immalinconito stupore poi, del terribile drago che custodisce il tesoro del Reno.
Il tenore Stephen Gould è apparso subito ingolato, con la voce clamorosamente indietro, come si dice in gergo, tanto che sono stato veramente facile profeta a ipotizzare, in altra sede, un duetto disastroso con Brünnhilde nel terzo atto.
Come ho detto nel post precedente, Linda Watson è stata tutt’altro che ineccepibile vocalmente nella Valchiria, però l’accento era quello giusto, il personaggio tormentato è uscito, insomma era lei, Die Walküre! Ieri l’impegno d’interprete non è bastato.
Le brevi, e meravigliose nella loro semplicità, frasi del risveglio, Heil dir, Sonne, Heil dir, Licht mi sono sembrate buttate lì, e dopo questo pessimo inizio la mia sensazione è che il soprano si sia fatto travolgere dall’insipienza del tenore.
Insomma, per farla corta, forse sarò troppo esigente (ma so che non è vero) ma ho addirittura spento la radio per un paio di minuti.
Poi ho riacceso, ma proprio perché è Wagner e sento il richiamo della foresta. ( by the way, magnifico il mormorio della foresta di Thielemann)
Ho pensato dentro di me: “È vero che farsi svegliare dopo tanto tempo da un Siegfried così moscio deve essere dura, ma anche uccidere un drago mostruoso e poi trovarsi una Brünnhilde così spenta non deve essere il massimo!”
Scherzo un po’, ovvio. Però non sono mai stato rapito dal duetto e mi dispiace un po’, questo è Bayreuth e capita una volta all’anno.
Ribadisco ancora le mie perplessità sul vigoroso Wotan di Albert Dohmen, che ieri era meno impegnato ma che per me è in gravi ambasce vocali, anche se non ci sono state pecche clamorose: resta il fatto che io l’ho sentito forzare ogni volta che doveva salire all’acuto.
Molto scadenti, soprattutto per il pessimo gusto, sia il Mime di Gerhard Siegel sia l’Alberich di Andrew Shore.
Ancora una volta deludente Christa Meyer quale Erda, mentre di Robin Johannsen, che dava voce all’uccellino della foresta, ricordo solo un vibrato stretto fastidiosissimo.
Anche chi è arrivato faticosamente in fondo a questo mio delirio e non ne capisce di opera lirica, si renderà conto che il lavoro del direttore d’orchestra, per quanto sia lodevole, non può essere sufficiente a garantire una serata riuscita a teatro.
Domani c’è il Götterdammerung, che impegna terribilmente sia Stephen Gould sia Linda Watson…speriamo bene, ma sinceramente non sono molto fiducioso.
Buon fine settimana a chi va al mare, e non si rovina i weekend passando sei ore accanto alla radio. (smile)
 
 
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