Un Siegfried nato per stupire, ma anche per raccontare.
Questa è stata la prima considerazione che ho fatto quando sono uscito dal
Teatro del Maggio, ieri sera.
La seconda riflessione, invece, è più amara e legata all’attualità: riuscirò a vedere il Götterdämmerung allestito dalla
Fura dels Baus, che dovrebbe inaugurare la prossima edizione del Maggio Fiorentino, considerati i tagli previsti alla cultura?
Prima della recita,
come già anticipato da Daland, gli artigiani (sarti, falegnami ecc.) del teatro hanno lanciato il loro grido di dolore con una proiezione sullo schermo (“Noi tagliamo, ci vogliono tagliare”) e in sala si respirava un’atmosfera di tesa partecipazione: Zubin Mehta, grande direttore e brillante uomo di spettacolo, si è rivolto al pubblico annunciando che
“visto che i tagli sembrano aver già colpito gli altoparlanti del teatro, vi annuncio io che questa sera Albert Dohmen canterà al posto di Juha Uusitalo nel ruolo di Wotan”.
Sorrisi liberatori stempera tensione e doveroso ringraziamento a Albert Dohmen, in questi giorni impegnato in Emilia Romagna con il Fidelio.
Ho scritto all’inizio di un Siegfried nato per stupire; in realtà è il progetto di tutto questo Ring che è stupefacente: per originalità d’intenzioni, per la bellezza dei costumi (già premiati l’anno scorso con l’Abbiati) ma anche, e di questi tempi è quasi una rarità, per un’ammirevole fedeltà al libretto originale.
Il merito maggiore della Fura dels Baus è proprio quello, a mio avviso, di aver allestito un Ring fruibile anche dai neofiti, un progetto di divulgazione culturale forse in alcune occasioni un po’ ingenuo, ma meritoriamente privo d’inutili sofismi intellettualistici.
Certo c’è molta carne al fuoco sul palcoscenico, e si rischia in alcune occasioni una specie di saturazione dei sensi: molto ricche in particolare la scena iniziale e l’apparizione del drago Fafner.

Proiezioni coloratissime, personaggi, comparse, macchine semoventi possono distogliere l’attenzione dal canto, più che dalla vicenda.
Alcune intenzioni sono molto didascaliche e anche banalotte se vogliamo, come nella scena della forgiatura della spada, ma è molto suggestiva e poetica l’apparizione di Brünnhilde addormentata e circondata dal fuoco e il precedente viaggio aereo di Wotan alla ricerca di Erda.
Uno spettacolo da vedere, questo è certo.
Dal lato musicale è indispensabile sottolineare l’ottima prova dell’orchestra del Maggio, diretta con grande leggerezza da Zubin Mehta, che sceglie una lettura lirica e pulita della partitura scevra da clangori e wagnerismi deteriori. Magica, in questo senso, la splendida scena iniziale del secondo atto: cupa, notturna, ansiogena, misteriosa.
Forse è mancato un po’ di pathos nell’altro momento topico del risveglio di Brünnhilde, ma proprio a voler essere pignoli e incontentabili.
Un bravo a Mehta e all’orchestra del Maggio, che forse oggi è l’unica compagine musicale italiana di altissimo livello.

Complessivamente molto buona anche la prova dei cantanti.

Albert Dohmen è uno dei Wotan di riferimento degli ultimi anni, e fa valere sia la sua magnifica presenza scenica sia la sua perfetta comprensione del ruolo: la voce è dimagrita rispetto a qualche anno fa, però la sua prova è stata nettamente superiore, per esempio, a quella del Festival di Bayreuth dell’estate scorsa, nella quale le tensioni negli acuti erano apparse evidenti.
Di rilievo anche la caratterizzazione di Mime (personaggio difficile, spesso eccessivamente ridotto a macchietta e risolto con artifici che nulla hanno a che vedere col canto) che offre Ulrich Ress: gli acuti sono sicuri, il fraseggio curato, la recitazione mai sopra le righe. Magnifico, veramente, il suo concitato ultimo colloquio con Siegfried.
Franz-Joseph Kappellmann è apparso un po’ vociferante, ma il personaggio di Alberich esce in tutta la sua ferina ambiguità.
Non mi è piaciuta troppo, ma mi sto convincendo che è un problema mio che prescinde dall’interprete, Catherine Wyn-Rogers nei panni di Erda: io vorrei una voce sontuosa, misteriosa, ampia, adatta a rendere la grandezza drammaturgica di questo fondamentale personaggio del Ring, e invece trovo, nel migliore dei casi, cantanti che sono corretti e nulla più.
Peccato.
Grandissimo invece è stato Stephen Milling nei panni di Fafner: voce scura da basso profondo, ricca di armonici. Finalmente ho sentito l’ultimo rappresentante della stirpe dei Giganti, e non un drago isterico da cartone animato artigianale.
Discreto il Waldvogel di Chen Reiss, che ha palesato una voce argentina afflitta da un vibrato stretto piuttosto fastidioso. (però dai, cantava sospesa nel vuoto!)

Brünnhilde era Jennifer Wilson, un soprano del quale non si può certo dire che difetti di volume: gli acuti sono pieni e voluminosi ma, almeno a mio parere e riferendomi alla recita di ieri sera, è mancata nel tratteggiare quell’aura di mistero quasi sovrannaturale che pretende il personaggio.
Ho lasciato per ultimo l’interprete di Siegfried, e non per caso.
Lo stesso Wagner, è cosa nota a tutti i devoti (smile), era conscio di aver scritto una parte musicalmente quasi mostruosa per il tenore. Con questa premessa e sentiti i recenti naufragi di cantanti ben più quotati mi sento di affermare che l’artista russo Leonid Zakhozhaev è stato un buon Siegfried: certo la voce è piccolina e abbastanza anonima, non si sentono acuti squillanti, però è arrivato al duetto finale con lo strumento in condizioni ancora buone e intenzioni interpretative lodevoli. Sicuramente la direzione di Mehta, mai preponderante, lo ha aiutato molto: del resto, io, al contrario di altri, non vedo nulla di particolarmente scandaloso nel concertare anche in funzione degli artisti dei quali si dispone, a condizione che il risultato d’insieme sia omogeneo.
I movimenti scenici sono curati in modo maniacale da Carlus Padrissa, ma con uno spettacolo così strutturato non potrebbe essere diversamente.
Sono molto belle le scene di Roland Olbeter e spettacolari i costumi di Chu Uro; allo stesso modo ho trovato splendide le luci di Peter van Praet, mentre le proiezioni di Franc Aleu, in qualche circostanza, mi sono sembrate troppo hollywoodiane seppur originali e godibili.
A proposito è giusto considerare che dalla prima galleria i video, oltre a essere proiettati sullo sfondo, erano riflessi dal palcoscenico lucido; è probabile quindi che la mia sensazione di eccessivo affollamento scenico sia dovuta in quota percentuale anche alla mia avarizia: dalla platea questo inconveniente non si notava. (strasmile)
Ex-Ripley ha resistito stoicamente senza addormentarsi sino al duetto finale, durante il quale ha manifestato qualche raro episodio di deficit dell’attenzione, peraltro non accompagnato dal tipico rumore da basso tuba di chi russa pesantemente.
Direi che va assolta (strasmile).
Un abbraccio all’amico
Bob (che immagino a breve ci farà sapere anche il suo autorevole parere), gentilissimo e premuroso come sempre, e un saluto affettuoso alla dolcissima
Marina, con la quale abbiamo trascorso, per ragioni logistiche, poco tempo.
Ci rifaremo presto.
P.S.
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...
Hanno detto: