Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: Maggio 2009

Teatro Verdi di Trieste: la stagione operistica 2009/2010.

Questa mattina, un po’ a sorpresa perché sembrava che la conferenza stampa dovesse essere rimandata alla prossima settimana, è stata presentata la stagione di Lirica e Balletto del Teatro Verdi di Trieste.
Anche il teatro triestino ha dovuto fare i conti con la crisi finanziaria, anzi, direi che almeno per ora sembra l’unica fondazione lirica in cui si è tenuto conto dei tagli al FUS.
Non so se rallegrarmene o dispiacermi. È una dimostrazione di serietà o d’incapacità di saper navigare nel sottobosco che garantisce favori e clientele, di uno scarso peso politico?
Boh.
Il tentativo di contenere i costi appare evidente nella scelta dei cast alternativi (secondi cast, per dirla tutta), nei quali compaiono spesso artisti non di primissimo piano. Anche tra i direttori d’orchestra non si leggono nomi di stelle particolarmente luminose.
Lodevole e lungimirante la valorizzazione delle forze locali, molti spettacoli sono prodotti a Trieste e sono già stati visti in alcuni teatri italiani, così come mi sembra eccellente la scelta d’affidare l’orchestra, in due occasioni, ad artisti triestini meritevoli: Paolo Longo e Lorenzo Fratini.
I titoli proposti nel cartellone sono abbastanza interessanti, nella maggior parte dei casi mancano da Trieste da molti anni.
Si apre il 18 novembre nientemeno che con Il Trovatore di Giuseppe Verdi, lavoro popolarissimo e affascinante, uno di quei titoli che fanno sempre notizia.
È una nuova produzione del Verdi con l’Opèra Royal de Wallonie di Liegi.
Discreto il cast, che vede Tatiana Serjan e Rachele Stanisci alternarsi nel ruolo di Leonora, Francesco Hong e lo sconosciuto (per me) Badri Maisuradze nei panni di Manrico. Il Conte di Luna sarà impersonato da Alberto Gazale e Claudio Sgura, mentre Mariana Pentcheva e Andrea Ulbrich si esibiranno come Azucena. Sul podio Maurizio Barbacini, la regia è di Stefano Vizioli.
Il tenore Hong, se in serata, può garantire un Manrico almeno vigoroso, anche se certo non c’è da aspettarsi approfondimento del personaggio e finezza interpretativa. Curiosità anche per il soprano Serjan, che ha cantato una discreta Norma proprio qui al Verdi qualche mese fa.
A gennaio si riparte con la Maria Stuarda di Donizetti nell’allestimento (coprodotto con Venezia, Palermo e Napoli) di Denis Krief già visto alla Fenice di Venezia il mese scorso.
Gli interpreti principali sono Annick Massis e Maria Costanza Nocentini (Maria Stuarda), Tiziana Carraro e Elena Belfiore (Elisabetta), Celso Albelo e Fernando Portari (Roberto). Dirige (arghhhh, strasmile) Julian Mano de Pedra Kovatchev.
Qui c’è da seguire con attenzione, soprattutto, il tenore Albelo, che a me è sempre piaciuto quando l’ho sentito. La Massis è un soprano di ottimo gusto e può risolvere bene il difficile personaggio di Maria Stuarda. Preoccupa la presenza del direttore Kovathcev, che non mi sembra molto adatto alla concertazione belcantistica. Vedremo e sentiremo.
A febbraio l’appuntamento che, già lo so, creerà scompiglio tra i miei concittadini, il Roméo et Juliet di Gounod, che a Trieste, incredibilmente, non è mai stato rappresentato.

Finale

Lo spettacolo del regista Damiano Michieletto (anche qui una coproduzione: Verona, Venezia, Trieste) non è proprio di quelli adatti al giurassico pubblico triestino e sento che ci saranno polemiche sanguinose, in questa occasione.
Roméo sarà interpretato da Antonino Siragusa (ottimo tenore, ma io in questo ruolo struggente ed amoroso non ce lo vedo…) e Atalla Ayan, cantante che non conosco ma di cui si dice un gran bene. Silvia Dalla Benetta sarà Juliette e ci può stare, anche se il soprano continua a navigare a vista tra ruoli diversi tra loro come Norma, che debutterà nella prossima stagione mi pare nel circuito lombardo, e appunto questa Juliette. Sul podio Christian Badea.
Sarà poi il turno dell’Elisir d’Amore di Donizetti, in cui ci sarà il prevedibile trionfo di Eva Mei nella parte di Adina (nel secondo cast Annamaria Dell’Oste), che le calza artisticamente a pennello. Antonino Siragusa interpreterà Nemorino, alternandosi a Emanuele Daguanno. Roberto De Candia e Paolo Rumetz si alterneranno a Gezim Myshketa e Nicolò Ceriani nei panni di Belcore e Dulcamara. Dirige, e ne sono molto felice, Paolo Longo. La regia è del madonno Davide Livermore.
Finalmente un titolo wagneriano, in aprile, si tratta del Tannhäuser nell’allestimento del Teatro Wielki di Poznan. Non conosco nessuno della compagnia di canto e nemmeno il direttore, Niksa Bareza.
Speriamo bene!
Un classico del melodramma non poteva mancare, e quindi rieccoci con la Madama Butterfly di Puccini.
Anche questa è una produzione del Verdi.
Svetla Vassileva (Mina Taska Yamazaki) sarà Cio Cio San, mentre Roberto De Biasio e Sung Kyu Park si alterneranno nel ruolo di Pinkerton. Spettacolo tutto triestino pure questo, già visto ma di buon livello.
Dirige Lorenzo Fratini, che di solito ha la responsabilità d’istruire il Coro di Trieste, compito che svolge in maniera eccellente.
Chiude la stagione l’Otello di Giuseppe Verdi, nuova produzione che avrebbe dovuto rappresentare l’occasione del debutto nel ruolo del titolo di Fabio Armiliato, accompagnato dalla Desdemona di Daniela Dessì. Beh, i due artisti non ci saranno, del cast originale rimane il glorioso Juan Pons che sarà Jago.
Dirige Nello Santi e Desdemona sarà…la figlia Adriana Marfisi. Il Moro sarà impersonato dal tenore Walter Fraccaro.
Insomma.
La stagione è completata da due balletti, uno a dicembre e l’altro a giugno: La fanciulla di neve di Pëtr Il’ič Čajkovskij e Antonio con la compagnia di ballo di Antonio Marquez.
A novembre 2010, nell’ambito del progetto Opera Domani, Hänsel und Gretel di Engelbert Humperdinck.
Aggiungo che buona parte degli spettacoli saranno rappresentati anche a Udine e Pordenone, dove ottengono sempre ottima partecipazione di pubblico.
Questo è tutto.
Manca qualche concerto di canto, ma il Direttore Artistico Umberto Fanni m’ha detto che non ci sono soldi.
Chissà, magari qualcosa salta fuori, non si sa mai.
Credo che il Verdi di Trieste, in un momento difficilissimo per i teatri italiani, abbia fatto uno sforzo notevole per garantire una stagione più che dignitosa al pubblico.
Ci vorrebbero gli sponsor, soprattutto sarebbe indispensabile un interesse reale della politica per la cultura in generale, ma lo spettacolo inverecondo che stanno offrendo i nostri rappresentanti in questi giorni non mi pare possa lasciare troppe speranze, in questo senso. Anzi, meglio che non m’addentri in queste paludi.
Come sempre seguirò per Operaclick gli spettacoli e ne darò conto qui in forma semiseria e meno paludata.
Quindi, amici lettori e simpatizzanti del melodramma, abbiate fede. Paolo Bullo alias Amfortas continuerà a scrivere stupidaggini, con la speranza di strapparvi un sorriso ogni tanto.
So che ne avete bisogno anche voi!
Buon fine settimana a tutti.
Pubblicità

Stagione 2009/2010 alla Scala di Milano, sintetiche considerazioni.

Un paio di giorni fa è stata presentata ufficialmente la stagione 2009/2010 della Scala di Milano, la quinta della gestione Lissner.
Non ho tempo per un’analisi approfondita purtroppo, però credo si possa affermare che è una stagione che promette (si sa, le promesse…) bene. I bilanci, evidentemente, si fanno alla fine.
Ci sono i migliori direttori del momento, impegnati anche nella stagione sinfonica, molto ricca.
Barenboim, Abbado, Pappano, Mehta, solo per citare i primi che mi sovvengono.
Tra i cantanti, anche qui alla rinfusa, spiccano i nomi di Placido Domingo, che si esibirà da baritono nel Simon Boccanegra di Verdi, di Erwin Schrott quale Don Giovanni, di Jonas Kaufmann come Don José nella Carmen che aprirà la stagione.
Interessanti in particolare due titoli wagneriani, il Tannhäuser con la regia della Fura dels Baus e il Rheingold, affidato a un regista che mi pare sia alla prima esperienza operistica, Guy Cassiers.
Alcune scelte sanno un po’ di stantio, penso all’ennesimo Rigoletto con il sempreverde Leo Nucci, altre destano perplessità per il cast non eccelso, ad esempio il Faust di Gounod.
Ho qualche dubbio sulla reale partecipazione di Rolando Villazón all’Elisir di Donizetti, il tenore non sta bene e ha cancellato molti impegni già quest’anno.
Nel complesso, come appassionato, sono piuttosto soddisfatto, è un cartellone finalmente paragonabile ad altre metropoli europee.
La prossima settimana, credo, sarà presentata anche la stagione al Verdi di Trieste.
Il Festival dell’Operetta, che quest’anno compie quarant’anni, è ridotto a un solo titolo e cioè La Vedova Allegra in un nuovo allestimento del teatro triestino, che poi girerà l’Italia: Genova, Verona, Napoli.
I tagli al FUS non consentono altro e anche se sono previste molte manifestazioni collaterali, rimane molta amarezza.
Magari ci torno con più calma, intanto mi preparo per la “follia organizzata” (sempre Stendhal)  dell’Italiana in Algeri di domani sera.
Oggi il quotidiano locale ha pubblicato un’intervista a Daniela Barcellona, che interpreterà Isabella.
Intervista al soprano Daniela Barcellona, ha titolato.
Evidentemente Daniela ha cambiato repertorio e io non ne sapevo nulla, scemo io…

Italiana in Algeri al Verdi di Trieste: Rossini buffo al top.

Pare che gli abitanti dell’orrida Venezia fossero dei grandi gaudenti, all’inizio del 1800. Eppure immagino che i raid dei piccioni sulle loro teste avessero già luogo, così come sono sicuro che, pure a quei tempi, la laguna emanasse quel fetore che possiamo apprezzare anche ai nostri tempi.
Che ci sarà stato da ridere? Non che oggi sia meglio eh? Anzi, l’autoctono deve pure affrontare le orde barbariche dei turisti, buona parte dei quali si comporta come i piccioni, seppure a livello del mare.
Eppure in un antico testo, si legge, tra l’altro (Lettere due sopra l’Arte del Suono, 1778 Antonio Veronese):
 
Chi non discerne la gaiezza elegante dello stil Veneziano dalla erudita gravità dello stil Bolognese?
 
Gioachino Rossini, come tutti i geni, sapeva cogliere gli umori del pubblico e così dopo aver presentato a Venezia uno dei capisaldi del teatro lirico serio, Tancredi, si accinse ad allentare un po’ la tensione con un dramma giocoso, L’italiana in Algeri.
Ecco quindi accontentata la frangia gaudente dei veneziani, quella che Stendhal così definisce nella sua Vita di Rossini:
 
 
Il risultato del carattere dei veneziani è che essi vogliono, anzitutto, nella musica, arie piacevoli; più leggere che appassionate.
Furono serviti a dovere nell’Italiana; mai popolo godette uno spettacolo più rispondente al proprio carattere e, fra tutte le opere, non è mai esistita una che dovesse piacere di più ai veneziani.
 
Ed è proprio L’Italiana in Algeri il titolo che dopo aver debuttato a Venezia in quel lontano 22 maggio 1813 chiude, venerdì prossimo, la stagione lirica qui al Verdi di Trieste.
Un trionfo che dura da due secoli per un lavoro che è entusiasmante e che a suo tempo diede luogo a una specie di fanatismo.
Se qualcuno mi chiedesse da dove cominciare per avvicinarsi alla lirica, sarebbe uno dei primi titoli che proporrei, il Rossini buffo è irresistibile.
Ancora Stendhal:
 
 È semplicemente la perfezione del genere buffo. Nessun compositore vivente merita questa lode e Rossini stesso ha presto cessato di aspirarvi. Quando scriveva l’Italiana in Algeri, era nel fiore del genio e della giovinezza: non temeva di ripetersi, non cercava di fare musica forte, viveva nella piacevole terra veneziana,la più gaia d’Italia e forse del mondo, e certamente la meno pedante.
 
Che devo dire io, ubi maior minor cessat no (smile)?
Le vicende delle due coppie Lindoro-Isabella e Mustafà-Elvira sono veramente troppo complicate da riassumere anche in maniera semiseria, quindi penso di poter soprassedere.
Se ho tempo in settimana ci torno, intanto vi lascio questa magnifica interpretazione di Marylin Horne nella celeberrima Cruda sorte.
Buona settimana a tutti.
Cruda sorte! Amor tiranno!
Questo è il premio di mia fe’?
Non v’è orror, terror, nè affanno
Pari a quel ch’io provo in me.
Per te solo, o mio Lindoro,
Io mi trovo in tal periglio.
Da chi spero, o Dio, consiglio?
Chi conforto mi darà?
Qua ci vuol disinvoltura,
Non più smanie, nè paura:
Di coraggio è tempo adesso,
Or chi sono si vedrà.
Già so per pratica
Qual sia l’effetto
D’un sguardo languido,
D’un sospiretto…
So a domar gli uomini
Come si fa.
Sian dolci o ruvidi,
Sian flemma o foco
Son tutti simili
a presso a poco…
Tutti la chiedono,
Tutti la bramano,
Da vaga femmina
Felicità.
         

Di tanti pulpiti: inutile lamentazione tribunizia di un suddito italiano sfigato e melomane.

Cominciano ad essere noti i nuovi cartelloni teatrali per la stagione lirica 2009/2010 in Italia.
La prima domanda che mi pongo è questa: ma la famosa crisi di cui abbiamo parlato anche qui? L’azzeramento dei teatri, le catastrofiche previsioni sul futuro della musica lirica in Italia? Erano solo esagerazioni immotivate di appassionati preda della disinformazione governativa? I soldi ci sono o no? I sovrintendenti spreconi sono diventati virtuosi a colpi di bacchetta magica? I Baricchi?
Insomma, a guardare le stagioni già presentate o a sentire le indiscrezioni mi pare non sia cambiato poi tanto, il temutissimo redde rationem è…rimandato.
Io pensavo che nella prossima stagione per vedere uno spettacolo mi sarei dovuto spostare in Germania o in Francia, invece leggo (e da un certo punto di vista ne sono contento, sia chiaro!) che a Torino sono previste, è ufficiale, undici (!) opere.
A Trieste, non è ancora sicuro perché lo sapremo a giorni, sette, e non certo di facilissimo allestimento (Trovatore, Butterfly, Maria Stuarda, Otello, Roméo et Juliet, Tannhäuser, un dittico novecentesco).
E così via, Napoli, Milano, Roma, Bologna.
Al momento, ma la situazione è ancora nebulosa, le uniche piazze penalizzate sembrano Firenze (dove peraltro si parla di una trilogia popolare verdiana ad ottobre) e Genova, e a questo punto non si capisce perché. Sono stati cattivi? Hanno pestato i piedini con troppa forza?
La mia sensazione è che si navighi a vista, come sempre.
Quest’anno il Maggio Musicale Fiorentino, ad esempio, è stato ingiustamente colpito, così come il Rossini Opera Festival di Pesaro.
La strategia ministeriale e governativa sembra essere intanto presentate i cartelloni e poi vedremo.
Del resto, che potrebbe fare di diverso un sovrintendente serio, se esiste? Non ha interlocutori, qui si parla di Bondi eh?
Poi, certo, quegli sfigati di appassionati che comprano il biglietto qualche mese prima, incastrando con mille sacrifici una serata di svago tra gli impegni lavorativi, si troveranno di fronte a qualche cambiamento poco gradito. Che ne so, invece del soprano bravo una sciacquetta che si scopa qualche potentato dirigente, oppure addirittura alla sostituzione del titolo previsto con un altro, magari cantato dagli (ammirevoli eh? Non equivochiamo!) allievi della scuola del teatro.
Programmazione? Strategia?
Ma i nostri governi (tutti, sottolineo tutti e da sempre! Un fenomeno d’Artista come Montserrat Caballè non debuttò a Firenze a causa dei tagli governativi alla cultura nel 1963) non sanno neanche cosa significhi programmare nella Sanità, per dire, figuriamoci l’impegno che ci possono mettere per la Cultura in generale, che non è né potrà mai essere neanche un serbatoio elettorale consistente.
E andiamo avanti così, magari a dicembre riparleremo di tagli, spunterà fuori qualche scrittore sfigato a dire la sua, qualche ministro farà promesse e si punterà il dito contro i lavoratori del teatro in generale, quelli a stipendio fisso che ogni tanto osano organizzare uno sciopero.
Buon fine settimana a tutti.
 

Recensione semiseria della Fille du Régiment al Teatro Verdi di Trieste.

Allora, c’è questa neonata che viene abbandonata nella culla e di cui si prende cura un intero battaglione dell’esercito francese (non sto raccontando la trama di un film porno, giuro).
 
 
La piccola peste, che si noma Marie, cresce e si abitua ai costumi inverecondi dei soldati che, si sa, usano un linguaggio da caserma e fanno scherzi finissimi tipo tirarsi dietro le caccole del naso. In particolare un sergente, Sulpice, prende a cuore le sorti della ragazzina che nel frattempo cresce, diventa una bella gnocca, impara a cucinare e il suo mentore l’elegge vivandiera del reggimento.
Un giorno, racconta lei, stava per cadere in un precipizio e un tirolese, Tonio, la vide e le disse: “Appigliati a questo” e le salvò la vita (vabbé, questo raccontano…facciamo finta di credere ok? Strasmile).
Quindi i soldati decidono che ok, nonostante sia tirolese e rompa le palle a tutti con gli yodler, può diventare il suo fidanzato.
Si presenta una nobile signora, la Marchesa di Berkenfield, e sostiene che Marie è sua nipote ed ha diritto a ben altro che a un tirolese che sfracella le orecchie con i suoi do. La porta nella ricca dimora, la ripulisce e cerca d’insegnarle le buone maniere, con risultati almeno altalenanti. Prova pure ad appassionarla alla nobile Arte del Canto, ma la giovane stona perché non s’impegna e comunque i suoi acuti fanno venir giù i lampadari.
Marie è destinata al figlio, evidentemente gay, della Duchessa De Krakentorp, ma Tonio arriva sul più bello con l’esercito, la salva dal talamo nuziale probabilmente inutile e da una vita di sotterfugi per mettere le corna al marito.
E vissero felici e contenti.
Questa, un po’ rivisitata, la trama della Fille du Régiment di Gaetano Donizetti, opéra-comique in due atti che è stata allestita venerdì sera al Teatro Verdi di Trieste, per la regia del Madonno (così lo chiama Giorgia) Davide Livermore.
Il regista per il suo spettacolo decide di citare alcuni classici della comicità: così ogni volta che si fa il nome del nobile casato dei Krakentorp, si sentono i cavalli nitrire come in Frankestein Junior; il tuttofare della Marchesa si fa male? Esce di scena fantozzianamente per ululare di dolore. Il figlio gay della Duchessa è dispiaciuto per il matrimonio fallito? Eccolo che esclama “Oh Madre”, come l’orrido Jean Claude dell’imperdibile “Sensualità a corte” dei programmi della Gialappa’s.
Certo, detto così può sembrare “una boiata pazzesca”, ma in realtà lo spettacolo di Livermore, complici anche i costumi di Gianluca Falaschi e le scenografia di Pier Paolo Bisleri, è un buon esempio di come si possa rivisitare l’opera lirica mantenendosi nel solco della tradizione senza eccedere in effettacci di cattivo gusto.
I cantanti sono stati tutti, chi più chi meno, all’altezza della situazione, ma sicuramente va dato merito al direttore, Gérard Kostner (che l’anno scorso nel Don Pasquale mi fece venire l’orticaria) di aver guidato l’Orchestra del Verdi a un’ottima prova. Nessun clangore, molto brio e leggerezza per una partitura che spesso è mortificata dal mano de pedra di turno.
 

Partitura Fille du Régiment

Brava, bravissima Eva Mei che ha dimostrato una volta di più di essere un’artista di livello superiore nel panorama attuale, anche perché dal punto di vista musicale Marie è il classico ruolo per soprano leggero, in cui la Mei trova il suo habitat più naturale. Ascoltandola salire ad acuti e sovracuti con facilità mi sono convinto una volta di più di come una gestione dei fiati corretta sia fondamentale per cantare bene, senza forzare. Ottima anche nel fraseggio e nella recitazione spassosa e divertente. Inoltre, la voce mi è sembrata aver acquistato una notevole robustezza nel registro centrale. Il momento migliore del soprano mi è parso essere l’esecuzione di “Il faut partir” e “Par le rang e par l’opulence”. La sua prestazione è stata sottolineata da molti applausi a scena aperta.
Insomma Eva Mei che tira le caccole in scena è una scena che mi rimarrà scolpita nella mente per sempre (strasmile).
Antonino Siragusa è un tenore che ha una vocalità particolare, ma è adattissimo alla parte del giovinotto ingenuo e innamorato. Quando ha dovuto affrontare la famosa aria dei nove do, “Ah! Mes amis” non si è scomposto più di tanto e li ha sparati tutti con una tale sicurezza che il pubblico l’ha costretto al bis, per cui i do sono diventati diciotto, e tutti presi con apparente facilità. Però Siragusa ha confermato di saper cantare anche nella bellissima (e per molti aspetti tutt’altro che facile) “Pour me rapprocher de Marie”: bellissima esecuzione, per varietà d’accento e giusta dose di sentimento.
Sono veramente molto contento per questo artista, qualche volta un po’ bistrattato dagli appassionati che pensano nasca un Alfredo Kraus al mese.
Paolo Rumetz era nei panni del sergente Sulpice e ha svolto il suo lavoro dignitosamente. Non può contare su di uno strumento particolarmente ricco, ma il baritono triestino ha una grande qualità e cioè il buongusto e la consapevolezza che strafare non ha senso. Anche lui, come gli altri, ha dimostrato di saper stare in scena con grande serietà. Tra l’altro il regista gli ha affidato una gag tormentone piuttosto impegnativa (una protesi al braccio che gracchiava come un corvo drogato), per cui era molto impegnato anche dal lato mimico ed attoriale.
Il mezzosoprano Alessandra Palomba ha caratterizzato il grottesco personaggio della Marquise De Berkenfield senza cadere nella trappola del macchietismo, e quindi la sua prestazione, la parte non è di quelle memorabili, è stata più che positiva.
A posto anche i personaggi minori, interpretati da Manrico Signorini (Hortensius), Gianluca Bocchino (notaire/paysan), Giuliano Pelizon (Un caporal) e Massimiliano Borghesi (Il figlio della Duchessa).
Un grande applauso ha salutato l’entrata di Ariella Reggio, un’attrice di prosa eccellente che ha dato (e ricevuto) molto da Trieste, nella parte della Duchesse De Krakentorp.
Orchestra triestina in grande serata e Coro, che in questo lavoro di Donizetti è molto impegnato anche nei movimenti scenici, assolutamente perfetto.
Pubblico contentissimo, applausi per tutta la compagnia di canto e scene di delirio per Eva Mei e Antonino Siragusa.
Io e ex Ripley abbiamo passato una serata allegra e di questo ringraziamo tutti, ne avevamo proprio bisogno.

Recensione semiseria della Götterdämmerung al Maggio Musicale Fiorentino.

Insomma, alla fine ce l’abbiamo fatta ad assistere a questo Götterdämmerung a Firenze, e questa è davvero l’unica cosa che conta. Ex Ripley, che è abituata a ben altri cimenti, alla fine delle sei ore di spettacolo era pronta a ripartire dal Rheingold (strasmile).

Partitura Götterdämmerung Firenze.

Ultima giornata della Tetralogia wagneriana, il Götterdämmerung è il momento in cui (pur tra parecchie contraddizioni, come segnala acutamente Daland) si tirano le somme dell’intricata vicenda del Walhalla.
L’allestimento ipertecnologico della Fura dels Baus, che in questo caso è al debutto sulle scene internazionali, è d’indubbio impatto visivo, ma dal mio punto di vista nel Siegfried il risultato è stato più emozionante, forse anche perché la vicenda, in questo caso, è più statica.
Mi astengo dal riassumere la trama, perché sarebbe davvero troppo complicato.
Il Prologo, con le tre Norne appese nel vuoto che rivivono le vicende che hanno seguito il furto dell’Oro del Reno, è forse il momento migliore dello spettacolo.
In generale, riflettevo ieri sera, l’uso delle proiezioni che è una delle caratteristiche peculiari del regista Carlus Pedrissa, avrebbe potuto essere più mirato specialmente nella prima parte (Prologo e primo atto). D’altro canto siamo sempre lì, forse poi mi sarei lamentato dicendo che c’è troppa carne al fuoco e che le immagini distolgono l’attenzione dalla musica.
Molto ben riuscite, come dicevo, la scena delle Norne ed anche quella delle Figlie del Reno, immerse in una specie di acquario gigante. Il tutto appare un po’ didascalico, infantile, però d’indubbia efficacia e fruibilità immediata anche per il neofita.
Dal lato musicale credo sia doveroso un plauso incondizionato all’Orchestra del Maggio, che con Zubin Mehta ha raggiunto (da tanto tempo ormai, non è certo una scoperta dell’ultima ora) una compattezza straordinaria. Il direttore indiano non ricerca facili effetti ma ha evidentemente una visione unitaria del Ring che si manifesta nella costante ricerca di equilibrio tra voci e orchestra. Forse, come già nel Siegfried, deve fare di necessità virtù, in quanto i solisti non hanno (con l’unica eccezione di Hans Peter König) voci particolarmente sonore ed ampie.
Due i momenti particolarmente emozionanti: il cupo, sinistro, Preludio alla prima scena del secondo atto, in cui c’è il terribile dialogo tra Alberich e Hagen.
Molto buona pure l’esecuzione della celeberrima “Marcia Funebre” di Siegfried, uno squarcio in cui si apprezza la potenza esplosiva della compagine orchestrale fiorentina.
La compagnia di canto vanta un fuoriclasse assoluto, appunto Hans Peter König che tratteggia un Hagen perfetto nel contesto: calcolatore, freddo, malvagio, determinato. La voce è molto ampia e ricca di armonici, credo sia il miglior basso che ho sentito negli ultimi tempi. Impressionante la sua chiamata a raccolta dei vassalli nella terza scena del secondo atto. Inoltre l’artista è molto bravo scenicamente, composto, non eccede mai in atteggiamenti istrionici.
Il tenore Lance Ryan era Siegfried ed è costretto persino a cantare a testa in giù, ad un certo punto, per cui onore al merito e bravo. Nel complesso il personaggio dell’eroe esce sufficientemente bene, anche se la voce non è certo particolarmente accattivante come timbro e colore. Gli acuti sono abbastanza buoni anche se saltuariamente fibrosi; certo si sente la mancanza di squillo, però il rendimento dell’artista è risultato discreto. Bravissimo nel terzo atto, quando racconta ai vassalli i suoi trascorsi come traduttore simultaneo della lingua degli uccellini del bosco (smile).
Il soprano Jennifer Wilson viene a capo con qualche fatica del personaggio di Brünnhilde. Si diceva ieri in teatro, tra amici, che ha finito molto stanca. Beh, sarebbe strano il contrario, accidenti! La voce è anonima ma omogenea in tutto il registro e solo alla fine, appunto, gli acuti tendono ad essere forzati. A me pare che nel panorama attuale non ci siano tante cantanti in grado di fare meglio. Ricordo che Waltraud Meier (mica pizza e fichi) non ha mai voluto affrontare il ruolo di Brünnhilde, un motivo ci sarà. Alla Wilson si può rimproverare solo che è molto statica in scena, stile sopranone wagneriano anni 50, tutto qui.
Più che discreti Stefan Stoll, un Gunther plausibile, e Franz-Joseph Kapellmann, che nella breve parte di Alberich riesce comunque ad essere incisivo.
Molto brava anche Katherine Wyn-Rogers, accorata Waltraute che non riesce a convincere la sorella testona Brünnhilde a restituire l’anello al Reno.
Molto strano che in una produzione così prestigiosa non si sia trovata una Gutrune accettabile. Bernadette Flaitz ha cantato male, risultando sempre calante e ingolata. Peccato.
Le tre Norne (Daniela Denschlag, Pilar Vazquez, Eugenia Bethencourt) nulla più che sufficienti ma comunque meglio delle Figlie del Reno, Woglinde, Wellglunde, Flosshilde (Silvia Vasquez, Ann-Katrin Naidu, Marina Prudenskaja), molto vociferanti.
Bravi nella loro brevissima apparizione Nicolò Ayroldi e Fabio Bertella.
Eccellente il Coro, preparato da Piero Monti.
Da segnalare tra il folto pubblico una notevolissima presenza di giovani sotto i trent’anni, e non può che farmi piacere.
Successo calorosissimo per tutti, con punte d’entusiasmo per Hans Peter König e Jennifer Wilson.
Trionfo personale, meritatissimo, per Zubin Mehta e l’Orchestra del Maggio, davvero in grandissimo spolvero.
Domani sera al Verdi di Trieste c’è la prima della Fille du Régiment di Donizetti: ciò significa che vi beccherete un’altra recensione semiseria nei prossimi giorni.
C’è di peggio, dopotutto, quindi abbiate pazienza!
Ringrazio ancora tutti per il sostegno nei giorni scorsi, e mando un saluto particolare a Marina e Bob che siamo riusciti a incontrare seppure solo per un velocissimo caffè.

Aggiornamento dopo il time out.

Più che un post dovrei scrivere un romanzo sugli avvenimenti delle ultime settimane, quindi mi limito a un paio di considerazioni.
La prima, lo scrivo sottovoce, è che ex Ripley è uscita da una fase molto delicata e ora è di nuovo a casa.
C’è ancora molto da fare, ma volevo ringraziare a nome suo (e mio, ovviamente), tutti coloro che qui oppure in privato ci sono stati vicini.
Grazie di cuore.
Non posso fare a meno di segnalare che nell’ambito della Sanità troppo spesso è indispensabile alzare la voce per ottenere ciò che ci spetterebbe di diritto, ma non è questo il momento d’innescare polemiche, anche perché ne ho fatte a sufficienza nei giorni scorsi e solo riaffrontare l’argomento mi dà la nausea.
Voglio accennare alla musica, perché fa parte della mia vita e solo io so quanto questa passione mi ha aiutato a superare momenti difficili.
Tra le altre cose, ci siamo persi la Maria Stuarda alla Fenice nell’orrida Venezia, peccato.
Forse ce la facciamo per il Götterdämmerung di mercoledì prossimo a Firenze, ma non è detto.
Una cosa è certa, Daniela Dessì ha vinto il prestigioso Premio Abbiati come miglior cantante del 2008.

Daniela Dessì 1

 
“Forte di una voce di grande bellezza, sorretta da tecnica completa e approfondita, s’è confermata soprano capace di interpretare con vibrante carattere i personaggi della Giovane Scuola, del Primo Novecento italiano, come Tosca, Adriana, Francesca da Rimini, e di affrontare Norma riportando sempre il belcanto alle ragioni del dramma senza nulla concedere all’edomisno e al mero sfoggio di bravura.”

Tosca alla Fenice, 30.05.08

 
Questa la motivazione della giuria ristretta, nella quale anche quest’anno era presente, tra gli altri, il Direttore di Operaclick Danilo Boaretto.
Complimenti quindi a Daniela e anche a Operaclick, il quotidiano operistico on line sul quale scrivo anch’io con grande soddisfazione.
Detto questo, alla prossima e ancora grazie a tutti.
 
 
 
 
 
 
 
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: