Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

PornOpera.

Spesso noi appassionati di musica lirica siamo considerati seriosi, quando non addirittura noiosi. Colpa nostra oppure i librettisti e i compositori ci stimolano in questo senso?
Ebbene, in questo post proverò a leggere in un’ottica un po’ particolare alcuni versi tratti dai libretti di opere piuttosto famose, così da sfatare questo luogo comune che ci vuole allegri come una dichiarazione di Bossi sull’immigrazione.
Diciamo che in alcuni casi se non si sconfina nella pornografia vera e propria, ci s’impantana in situazioni che potremmo definire boccaccesche e, spesso, in doppi sensi (voluti o meno) ed espressioni assai poco auliche.
Alcuni musicisti, Rossini in primis, ma anche altri come vedremo in un breve ma efficace excursus, erano dei buontemponi e sovente nei libretti ci sono delle frasi che si prestano ad interpretazioni perlomeno licenziose; altre volte il melomane maliziosamente interpreta a suo modo una frase o anche qualche nota sul pentagramma.
Bene, cominciamo dall’icona della lirica italiana, Giuseppe Verdi, il quale nell’Otello, nella scena di furiosa gelosia che apre il III atto, quando Otello per la prima volta accusa apertamente Desdemona di tradirlo, mette in bocca (ehm…) alla poverina, che non sa di cosa è accusata, questa frase:
“Qual è il mio fallo?” – che francamente, suona come una cattiveria gratuita nei confronti del già angosciato Moro.
Restando a Verdi, nella “Battaglia di Legnano”, il librettista Cammarano ad un certo punto se ne esce con un pruriginoso ”Or vanne…il fallo svela”, mentre in “Oberto Conte di San Bonifacio”, Solera, autore dei testi, per non essere da meno spara un “Vede il tuo fallo e freme ”(d’indignazione per la misura small o di stupore per una extralarge?).
Passiamo a Puccini e alla sua sanguigna e sensuale eroina Tosca; prima della celeberrima aria“Vissi d’arte”, nella quale sostanzialmente decide di cedere al ricatto sessuale del perverso Barone Scarpia per salvare l’amato Cavaradossi, l’orchestra suona queste note:
SI SI LA DO. Un caso?
Certo, come tutti sanno le cose non andranno benissimo per il potentato romano, ma il meccanismo che regola l’attrazione sessuale tra vittima e carnefice è oggetto di studi non banali.
Bellini illumina di una luce sessualmente ambigua “Norma”, ed anche di un eccesso di moralismo quando la costringe ad esclamare:“Si emendi il mio fallo, e poi si mora”, non vi pare?
“Adriana Lecouvreur”, eroina di Cilea, invece è perplessa dall’aspetto inquietante delle sue deiezioni, tanto da esclamare:“Giusto Ciel, che feci!”
Il vecchio Silva, in “Ernani” di Verdi è preoccupato che il romantico bandito abbia problemi di transito intestinale, e non esita ad apostrofarlo con un perentorio: “Ecco la tazza…scegli!”
E Mozart, o meglio Marco Coltellini, che nell’Opera “La finta semplice” s’inventa questo dialogo tra Cassandro e Fracasso (…)?
“Fremo, ohimè, dalla paura, ei m’infila addirittura! .
Ruggero Leoncavallo, “I Pagliacci”: nella scena finale, scoppia una lite furibonda tra Canio e Nedda, che tradisce il violento clown, il quale la apostrofa così: “Ma il vizio alberga sol ne l’alma tua negletta; tu viscere non hai… sol legge e’l senso a te! Va, non merti il mio duol, o meretrice abbietta…”
Sicuramente l’aria “Or la tromba” dal “Rinaldo” di Handel sarebbe una constatazione volgare, ma molto concreta, nel momento in cui Pinkerton e Butterfly si chiudono nella loro stanza per assaporare le gioie della prima notte di nozze, non vi pare?
Maria Stuarda di Donizetti, libretto di Giuseppe Bardari. Vogliamo parlare del linguaggio da educande con cui si esprimono le protagoniste? Così dice Maria ad Elisabetta: “Figlia impura di Bolena, Parli tu di disonore?Meretrice indegna e oscena, in te cada il mio rossore. Profanato è il soglio inglese, vil bastarda, dal tuo piè!”
E finiamo in bellezza con Rossini, che nella “Donna del lago” musica questo dialogo:
Malcolm: "Il fallo mio…"
Giacomo V, perentorio: “Pietà non merta!”
Del resto l’incipit dell’opera “Ermione”, sempre di Rossini, suona così: "Troia, qual fosti un dì !"
In coro, oltretutto.
Poi ci sono i registi, ovviamente, che nell’opera lirica spesso danno il meglio della loro arte. Si potrebbe aprire un lungo e meticoloso discorso su Calixto Bieito, talentuoso regista catalano.
Forse però, per capire la sua chiave di lettura interpretativa del melodramma, sono indispensabili le immagini. Eccone un paio, qui sotto, che si riferiscono alla sua interpretazione del "Ratto dal serraglio" di Mozart.
Comunque, buona settimana a tutti e sotto con altri esempi!
 

23 risposte a “PornOpera.

  1. utente anonimo 23 agosto 2009 alle 6:30 PM

    Don Giovanni
    “Duolmi un poco questo pie’, questo braccio, e questa mano”
    “Via, via, non è gran mal, se il resto è sano.”

    La traviata
    “E tu dunque non aprì più bocca?”
    “E’ a madama che scuoterlo tocca”

    Falstaff
    “Domine fallo casto”

    Ermione
    “Ed osa tanto un’avanzo di Troja?”

    vogliamo parlare dell’Equivoco stravagante?

    Badoéro malizioso

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  2. utente anonimo 23 agosto 2009 alle 7:05 PM

    da Giuliano:
    ci sarebbe da sghignazzare per mesi… In parte, è il tempo che passa (tutte queste storie sul fallo, chissà se facevano ridere ai tempi), in parte penso proprio che siano cercate -e, visto che tutti sappiamo com’era Rossini, mi sono fatto due belle risate anche con il commento di Badoero…
    (“un palo, addirittura?? Taddeo, che brutto affar!”)
    :-))

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  3. utente anonimo 23 agosto 2009 alle 7:29 PM

    Zerlina nel Don Giovanni: Batti, batti, o bel Masetto, la tua povera Zerlina, starò qui come agnellina…

    e poi: Vedrai carino, se sei buonino, che bel rimedio ti voglio dar […] toccami qua.

    Nell’Italiana in Algeri: Tutti la chiedono, tutti la bramano, da vaga femmina, felicità! (che tipo di felicità sia poi non si sa)…

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  4. amfortas 24 agosto 2009 alle 7:41 am

    Sì sì l’argomento è stato più volte affrontato, anche da me sul vecchio blog e su Operaclick.
    Di Facebook non so nulla, ahimé, tanto meno sapevo che vi scrivesse l’amico Enrico 🙂

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  5. ivyphoenix 24 agosto 2009 alle 7:54 am

    questo è un post fenomenale…
    sto sghignazzando da un quarto d’ora almeno…

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  6. utente anonimo 24 agosto 2009 alle 11:47 am

    Oh!!! Meno male una risata in questo tristo giorno di rientro (Maria Stuarda a parte, che la grande Elisabetta non si tocca!!!!!).
    Grazie va. :p

    La nostalgica Margot

    P.S. Ma che titolo è “La finta semplice”?????

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  7. utente anonimo 24 agosto 2009 alle 12:48 PM

    da Giuliano:
    Ma forse la cosa più esilarante è il primo incontro di Sigfrido con Brunilde, quando si accorge che quella roba lì non è un uomo.
    (umorismo pesante, va beh, ma si sa che Wagner con l’umorismo…)
    :-))

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  8. utente anonimo 24 agosto 2009 alle 5:40 PM

    E pensare che la mia allusione ( n°6 al post dell’acqua..) riguardava, con molta esitazione, e timore di troppo osare, solo il dibattuto “sesso degli angeli”, cioè i controtenori..
    Ma tu ci hai fatto sganasciare! Pensi davvero che i librettisti e i compositori fossero tanto maliziosi?
    Grazie delle risate!
    A.Im.

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  9. amfortas 25 agosto 2009 alle 8:44 am

    Un saluto a tutti, tempo tiranno più che mai 🙂

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  10. annaritav 25 agosto 2009 alle 3:38 PM

    Ma lo sai che mi hai colta di sorpresa? Certe sfumature non le avevo intuite, povera anima semplice 🙂
    Divertentissimo! Salutissimi, Annarita

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  11. utente anonimo 25 agosto 2009 alle 3:50 PM

    CASSANDRO

    Premetto che gradirei sapere chi pronuncia nell’opera “La finta semplice” la battuta riferita: non so perché, ma spero che essa stia in bocca a Fra casso (absit iniuria verbis)

    Certo i melomani sono più generosi dei critici letterari in quanto soprassiedono a qualche battuta maliziosa, ma certamente per questo non stroncano un’opera come avvenne per l’Aiace di Foscolo, definitivamente rovinata dal grido rivolto agli abitanti dell’isola di Salamina “O Salamini, o soli / di tanti forti, o sciagurati avanzi / chi più vi resta omai”.

    Con particolare riferimento alle due ultime foto di scena (specie la seconda) io non posso intervenire perché non competente in lirica, ma qualcosa di quasi simile è avvenuto (per caso ritengo) durante l’esecuzione di un concerto per violino ed orchestra: vittima consapevole o no una violinista di fila che ben era in evidenza in esterno sul palcoscenico.

    BRETELLINA
    RIBELLE

    Ah, questa sì ch’è jella! . . .
    Suonavo il violino
    e tac la bretella
    del mio abitino

    . . . scollato . . . color blu . . .

    di seta . . . (nell’orchestra
    è bene figurare
    chè da sinistra a destra
    ti stan tutti a guardare)

    di colpo è scesa giù.

    Che ne capite voi
    che vuol dire suonare
    tutta contratta e poi
    senza nell’occhio dare

    un colpo secco e . . . plù! . . ..

    a posto riportarla? . . .
    e poi continuare,
    rigida, per non farla
    di nuovo, eh, sì, cascare

    con qualche “scorcio” in più?

    Provate a stare in vista
    e non poter fermare
    bretella apripista
    che può ben “spalancare”

    giù giù e no su su.

    Ed il solletichino
    proprio a nessuno io
    lo auguro, chè fino
    . . . come ha voluto Dio . . .

    che l’alt non ci fu

    son stata lì a tremare
    chè proprio non mi andava
    a tutti di mostrare
    “quello” per cui “Brava”

    avrei avuto . . . Brrrùùù!

    Se mi salvai fu forse
    in quanto un “allegretto”
    suonavo, e non si accorse
    nessun del sorrisetto

    connesso al “fru frù”

    . . . sul braccio e sul seno,
    che tengo pieno pieno . . .

    di quella sottilissima
    stringa sensualissima,

    e dispettosa che
    rendeva me sì osè.

    Or è solo un ricordo,
    che giuro, più non scordo:

    per il futuro a palla
    la incollo sulla spalla

    per bene . . . Ovviamente
    fin dove voglio, gente

    . . . forsanco anche più giù
    di dove questa . . . uhùùù! . . .

    è scesa questa sera.
    Ad essere sincera

    meglio che sia in vista
    più io che . . . la solista!

    La musica piace
    ma “ciò” di cui si tace

    in questa occasione
    ben desta più attenzione,

    in sala e nel loggione.

    ° ° °

    E pure funziona
    col “Critico in poltrona”!

    Su questa mia vicenda
    chi intender vuole . . . intenda!

    (Cassandro)

    Non ricordo in onore di chi poi abbia scritto le ultime quattro strofe! Ah, la memoria che brutti scherzi tira . . . . . .

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  12. amfortas 26 agosto 2009 alle 7:07 am

    Ahimé, invece è proprio Cassandro a dire quella frase 🙂
    Come spesso succede, i commenti sono molto più spiritosi del post.
    Grazie a Cassandro, quindi!

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  13. gabrilu 27 agosto 2009 alle 2:24 PM

    Vabbè dillo una volta tutte che sei un provocatore.

    Mi esibisci quelle fotine del Ratto del Serraglio e poi magari strilli allo scandalo se io cinguettto “ah, signora mia, che tempi, che tempi!”.

    Ti secchi molto se ti dico che preferisco altro genere di allestimenti? ^__^

    Per le gustose estrapolazioni di libretti d’opera:

    Si, sono divertenti, ma li hai estrapolati con malizia 😉

    Tu sai meglio di me che certi termini usati nel 700 o nell’800 non avevano la stessa valenza semantica che hanno oggi.

    …Però a noi che ce ne importa?
    Io ho riso lo stesso come una matta, eh, non credere ^__^

    Grazie, Dear Amfortas 🙂

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  14. amfortas 27 agosto 2009 alle 3:45 PM

    gabrilu, è vero c’è un po’ di malizia, però è per divertirsi.
    Sarebbe bello scrivere un post sui diversi significati di certi vocaboli nel corso dei secoli, ma ci vorrebbe una cultura che non ho!
    Tra l’altro, non c’entra nulla, ma che ne dici di cambiare piattaforma?
    Qui su Splinder bisogna avere una pazienza enorme, e la pazienza non è tra le mie virtù.
    Ciao.

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  15. utente anonimo 30 agosto 2009 alle 10:20 PM

    Nel capitolo dei doppi sensi involontari metto sempre il Freischutz (Max non può sposare Agathe se non tira bene). Ma sicuramente la trilogia mozartiana è piena di doppi sensi _voluti_: tu sai che io per leggere io non desio d’entrar (Nozze); mostra loro le camere (DG); far l’amore come assassine (Così). Situazioni scabrose ci sono nel Rosenkavalier: Oktavian e la Marescialla a letto nel primo atto, Ochs che amoreggiando con un uomo che crede una donna lo invita a levarsi il corpetto! e il testo del walzer “con me la notte non è mai troppo lunga”. Bambini a nanna anche con Arabella (Zdenka va a letto con Matteo facendosi passare per la sorella) e anche la Lady Macbeth di Sostakovic è più che esplicita sull’impotenza del marito e sulla gagliardia dell’amante. E che dire del paggio monteverdiano che nell’Incoronazione “sente un certo non so che che lo pizzica e diletta”?

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  16. amfortas 31 agosto 2009 alle 7:21 am

    16, grazie anche a te per il contributo.
    La trilogia è una miniera, da questo particolare punto di vista 🙂
    Ciao!

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  17. utente anonimo 31 agosto 2009 alle 10:09 PM

    Ho dimenticato Wozzeck (Marie ha uno sguardo che trapassa sette paia di pantaloni e scopa in strada con il Tamburmaggiore. Notevole la canzone di Andres del secondo atto “figlia che pensasti quando ti sei appesa al cocchiere e allo stalliere?”. Lulu: la protagonista scopa con tutti, minorenni (il liceale), donne (la Geschwitz), perfino il padre (Schigolch). Il caso Makropoulos: la protagonista per riavere la ricetta del filtro di lunga vita si vende a un nobile che dalla lettura della sua corrispondenza si aspetta dei giochi erotici speciali. Mose e Aronne prevede un’orgia in scena durante l’adorazione del vitello d’oro (e il libretto auspica che gli attori siano nudi). Dimenticavo anche la Salome (che per poco al suo apparire non veniva bandita per oscenità) e il Feuersnot straussiano in cui il mago Kunrad lascia Monaco di Baviera senza fuoco fino a che la ragazza che egli ama non gliela dà.

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  18. amfortas 1 settembre 2009 alle 8:17 am

    Giuseppe, troppa grazia! Mi sa che ho trovato un altro melomane, appena ho un po’ di tempo passo a leggere il tuo blog.
    Ciao 🙂

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  19. dorry carpi 13 marzo 2015 alle 8:35 am

    V23 del 12-03-2015
    Carpigiani e l’opera lirica
    raccolta di Mauro D’Orazi
    Questi sono episodi capitati decenni fa, ma sostanzialmente veri e tramandati ripetutamente fino ai nostri giorni; io mi sono limitato a raccoglierli e a metterli un po’ in ordine.
    Per molto tempo dal 1800 in l’opera lirica fu un momento centrale di divertimento per la gente. Spesso un’opera veniva ascoltata per tutte le repliche
    Durante queste rappresentazioni in presenza di tenoretti o con cantantucole, il veleno della battuta feroce, greve, ma irresistibile dei carpigiani non mancava di certo. Eccone alcuni esempi che riguardano anche zone vicine.

    Cavalleria rusticana di Mascagni. Turiddu: “Mamma, quel vino è generoso, e certo oggi troppi bicchieri ne ho tracannati…
    Vado fuori all’aperto…” Dalla platea uno gli urla. “Tóo tèegh la chèerta!” Prendi con te la carta. Una volta al cèeso, al licèet era fuori delle case.
    Si dice che alla morte di compare Turiddu qualcuno abbia anche gridato: “I aan faat bèin! L èera na tróoia!”
    **
    La Tosca di Puccini – Uno scarsissimo Cavaradossi cantava “L’ora è fuggita, e muoio disperato!” Dalla buio del loggione: “E sèinsa un bèesi in bisaaca!” e senza un soldo in tasca!
    **
    Negli anni ’50 davano il Trovatore al Comunale di Carpi. Il tenore (Manrico) era piuttosto scarso e al “Non son tuo figlio? E chi son io, chi dunque?” Il solito carpigiano sprudentato gli urlò: “T ii un fióol d un caan!”
    **
    Dal Mosè di Rossini: “Dal tuo stellato soglio”. Se lo diciamo in dialetto -Dal tó sóoi stlèe! – lo si può poi ritradurre – Dal tuo mastello rotto!- Scherzi dei nostri dialetti.”

    **
    Teatro di Correggio, un soprano trista a un certo punto commette l’ennesimo errore, restando senza fiato… al ché una voce urla “Animèela! ch l a scurèeza!” “RiAnimatela! che si corregga!” Però se si legge e interpreta la frase in altro modo, il senso cambia completamente…
    **
    A Carpi si rappresentava d’inverno, con un teatro poco riscaldato, La Bohème di Puccini. A un certo punto il tenore, in uno dei momenti più romantici e delicati dell’opera, cominciò a intonare l’aria “Che gelida manina…! ” Al che dal loggione si sentì distintamente: “S t è sintìss pò i mé pèe!” Se sentissi poi i miei piedi!
    **
    Altra situazione esilarante capitò con il Rigoletto di Verdi; il soprano che interpretava Gilda era una cantante di notevole corporatura. Quando Sparafucile nel III° atto la uccide, pensando fosse il Duca, deve poi mettere il corpo in un sacco da consegnare all’inconsapevole mandante e padre di Gilda, Rigoletto. Il momento sarebbe stato altamente drammatico, ma il povero Sparafucile a causa del peso rilevante non riusciva spostare il gravoso sacco. Dopo un paio di tentativi penosamente falliti, si sentì la solita voce malefica che dal buio urlò: “Fà duu viaas!” Fai due viaggi!
    **
    Anche questa è storica e dipinge bene una certa Carpi arricchita, ma ingenua. Anni ’60 prima dell’inizio dello spettacolo, due signore in parùcca e bóorsa, mogli di ricchi magliai, guardavano con curiosità gli altri spettatori nei palchi e in platea. A un certo punto, una dice a bassa voce all’altra: “Vedètt? Quèela là, in quèerta fiila, l’è la pràatica èd Tisìi!” Vedi quella là in quarta fila? È l’amante di Tizio (il nome di un altro famoso magliaio che non posso qui svelare). L’amica guarda con attenzione e dopo un po’ esclama: “Bè mò! Al nòsstri in pò più bèeli!” Bè! le nostre sono poi più belle!
    **
    Negli anni ’60, un noto tenoretto carpigiano si doveva esibire in teatro in una celeberrima canzone francese. Venne così presentato: – Signore e signori… ora ascolterete “La mer” da Tommaso Ferrari -. Una frase che, pronunciata un po’ troppo frettolosamente, si rivelò una pessima uscita…

    * Molto gustosa la ribattezzatura carpigiana della Lucia di Lammermoor opera in tre atti di Gaetano Donizetti: a Carpi era diventata la Luciia… di Làaber Smòort… dalle labbra smorte.

    **
    Maddalena Zanni (Carpi): “Mia nonna e mia zia avevano questa variante de “La Carmen”, sulle note della famosa aria, non so perché: “Toreadòor, scàapa in là, ch a chèega al tòor… “-

    Rossana Bonvento (Carpi): – Mia madre canticchiava qualche aria quanto facevano vedere qualche opera in TV. Mò la cantèeva dla ròoba da procèes . L’aria del toreador secondo mia mamma era “Toreadòor sta atèint ch a paasa al tòor, a t sèelta adòos, a t trìida i òos”. Mentre il caro don Lino: “RADAMèES, RADAMèES… fióol d un caan d un Radamèes!” e “Menelìich lìich lìich la regìina Taitù iin la ruvìina dla gioventù!” –

    Annamaria Loschi (Carpi): “Mio padre, quando voleva che non dessi troppa fiducia a chi non ne meritava, per incapacità manifesta, diceva: “Sa pretendèet da un cuul? ‘Na romansa? ”

    Luisa Pece (Bologna): “Nella mia città, un tenore tanti anni fa, durante l’aria – Quel vecchio maledivami – fece una stecca tremenda. E dal loggione: “Era Verdi per caso?”

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  20. Paolo Locatelli 13 marzo 2015 alle 5:02 PM

    Segnalo questa brillante scoperta di Alucard, il titolo dell’aria è già di per sè eloquente, se poi lo si relaziona al nome dell’opera la faccenda diventa inquietante https://www.youtube.com/watch?v=MwiW4kE5k_U

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