Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: ottobre 2009

La stagione operistica al Teatro Verdi di Trieste è alle porte, si comincia con un omaggio a Piero Cappuccilli.

Com’è tradizione, con novembre le stagioni teatrali operistiche entrano nel vivo.
A Trieste la stagione vera e propria si aprirà con “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi, il 18 novembre, ma avrò modo di parlarne diffusamente nelle prossime settimane.
Prima della prima, diciamo così, sono due gli appuntamenti rilevanti qui in città per gli appassionati: uno guarda, in qualche modo, al passato più glorioso e l’altro al presente.
Nel primo caso presso il ridotto del Teatro Verdi di Trieste si presenta ufficialmente, il 9 novembre alle 18.30, il libro Piero Cappuccilli. Un baritono da leggenda, di Rino Alessi, che io ho avuto il privilegio di leggere in anteprima qualche tempo fa.
Grande cantante, Piero Cappuccilli, di quelli che oggi rimpiangiamo.
 
Lascio da parte le classifiche, che piacciono tanto ai melomani e ne solleticano la parte più viscerale e barricadera, ma credo che onestamente si possa affermare che il baritono triestino sia stato uno dei protagonisti indiscussi dei teatri lirici di tutto il mondo per almeno trent’anni.
Chi l’ha sentito dal vivo, sa di cosa parlo.
Una voce torrenziale, capacità di legare le frasi con ampie arcate di fiato quasi insolenti, presenza scenica eccellente. Qualche volta l’interprete era indisciplinato, nel senso che tendeva a strafare e abusare dello strumento straordinario di cui era dotato. Se sul podio c’era un direttore di polso e valore, e succedeva spesso, visti i contesti in cui s’esibiva Cappuccilli, l’artista riusciva a piegare la voce con una dolcezza incredibile senza che la voce perdesse quel corpo e quel colore che la caratterizzavano.
Allora, ecco il Simon Boccanegra con Abbado ma anche con Gavazzeni, forse il personaggio che più era nelle corde dell’artista. Un’incisione che è imprescindibile per l’appassionato. Cioè, visto che abbiamo parlato, nel post precedente, di Domingo in quest’opera, il confronto non si pone neanche, meglio specificarlo.
E visto che siamo a Halloween, mi fa piacere ricordare che Cappuccilli era anche, quando voleva, un grande burlone.
C’è un disco celeberrimo, la Cavalleria Rusticana di Mascagni diretta da Gavazzeni per la Decca, in cui il baritono triestino interpreta un sanguigno Compar Alfio. Ebbene, quando ormai il dramma è compiuto e Alfio uccide in duello Turiddu (per l’occasione uno spettacolare Luciano Pavarotti) il testo prevede che l’ultima frase sia “Hanno ammazzato Compare Turiddu” e che a cantarla sia una donna. E, invece, è Cappuccilli che imita la voce di una donna (strasmile).
E quindi grazie a Piero Cappuccilli, scomparso qualche anno fa e grazie anche all’amico e collega Rino Alessi per questo suo bellissimo lavoro, che si può acquistare anche in Rete a questo indirizzo.
Poi, come dicevo all’inizio, c’è anche il presente.
La crisi finanziaria in cui si dibattono i teatri italiani può essere di stimolo a cercare nuove vie, a incoraggiare iniziative interessanti.
Mi pare che questo sia il caso dell’Accademia Lirica Santa Croce-Scuola Internazionale di Canto di Trieste, diretta dal basso triestino Alessandro Svab.
I giorni 4, 5, 6 novembre i giovani artisti dell’accademia presenteranno alla Sala Tripcovich il “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini, dopo che già quest’estate si sono esibiti nella piazza del paese carsolino di Santa Croce.
In occasione della conferenza stampa di presentazione, l’altro giorno, mi ha colpito molto l’entusiasmo di Alessandro Svab per questa sua creatura.
Io sono sempre più convinto che il futuro dei teatri passi anche attraverso la formazione di un nucleo di artisti “residenti”, meglio se usciti dalle scuole e accademie cittadine, come succede, solo per fare un esempio clamoroso, a Vienna.
Auguri quindi ai giovani interpreti che si accingono a questa specie di battesimo del fuoco davanti al pubblico triestino, che spero accorra numeroso.
L’iniziativa prevede anche due recite mattutine, dedicate anche alle scuole.
Buon fine settimana a tutti, vi lascio un Piero Cappuccilli quale Simon Boccanegra nelle memorabili recite scaligere con Abbado sul podio.
 
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Mini recensione semiseria del Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi: esordio di Placido Domingo come…baritono!

La scorsa settimana, a Berlino, il tenore Placido Domingo ha debuttato nel Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi (qui Daland anticipava la notizia).
La particolarità è che il Topone, così lo chiamano i suoi fan, non ha interpretato la parte di Gabriele Adorno, che è appunto per tenore, ma quella del protagonista che è scritta per baritono.
Domingo è un grande artista ed aveva annunciato già qualche anno fa che gli sarebbe piaciuto chiudere la carriera da baritono e inoltre, per quanto possa sembrare strano, non è neanche il primo cantante che s’esibisce in questa specie di salto mortale. Lo stesso Placido, qualche anno fa, ha inciso un Barbiere di Siviglia di Rossini interpretando la parte di Figaro, con risultati, a parer mio, piuttosto modesti.
Mario Del Monaco, tenore straordinario, incise la cavatina di Figaro pure lui, come divertissement, tanti anni fa.
Altri cantanti hanno cominciato la carriera da baritono ed hanno trovato consacrazione artistica nel ruolo di tenore, uno per tutti, Carlo Bergonzi.
Piero Cappuccilli (Simone storico!), invece, cominciò a studiare da tenore e s’affermò come baritono. Addirittura c’è il caso di Ramon Vinay, che cantò la parte del Moro nell’Otello di Verdi e successivamente chiuse la carriera quale Jago, nella stessa opera.
Insomma, l’occasione del debutto di Domingo è ghiotta (il classico evento, come si dice oggi) ma non è un unicum.
Il debutto avrebbe dovuto essere trasmesso in diretta dalla radio tedesca, ma sembra che Domingo stesso abbia bloccato tutto perché non si sentiva ancora perfettamente sicuro degli esiti della recita.
Le vie di Internet, peraltro, sono infinite, e grazie ad un componente del Corriere della Grisi, che ringrazio qui pubblicamente (BUH, Tamburini, paura de che? Non ho capito poi cosa abbia fatto "prunier", ma transeat), anch’io ho potuto sentire la registrazione della serata.
Allora, com’è andata?
Bene, a mio parere, che condivido (strasmile), Domingo ha cantato abbastanza bene, ma non ha interpretato il Doge di Genova ma…Placido Domingo.
Voglio dire che, per quanto bravo e nonostante Domingo abbia da sempre un registro centrale molto buono, ciò non basta per cantare da baritono. Il timbro della voce resta tenorile e le famose atmosfere notturne e marine che caratterizzano l’opera verdiana rimangono inespresse. Allo stesso modo le screziature caratteriali di questo personaggio difficilissimo, le malinconie, gli improvvisi scatti d’orgoglio, sono come ammortizzati da un colore uniforme indefinito, non certo sgradevole, ma non pertinente col carattere del Doge corsaro.
Per non parlare poi della particolare importanza che attribuiva al baritono lo stesso Giuseppe Verdi, proprio come voce capace di rendere l’ambiguità di un personaggio.
Segnalo anche un piccolo vuoto di memoria nell’affrontare il testo. Evidentemente quest’opera porta un po’ di sfiga (smile) a Domingo, in questo senso, perché già a metà degli anni 90, al Metropolitan, combinò un casino nel recitativo che precede l’aria “Cielo pietoso”.
Tutto qui.
La mia non è una stroncatura, ci mancherebbe, ho sentito baritoni veri cantare questa parte in modo indecente; Domingo è artista vero, musicista finissimo e in ogni caso ha classe da vendere, ma non credo che sarà ricordato per questa performance, bensì per tutto ciò che ha regalato agli appassionati da tenore eccellente.
Inoltre, essendo pure Direttore d’orchestra, oltre che tenore e ora baritono, lo nomino immediatamente nuovo mostro (strasmile).
Lo spettacolo, il cui allestimento è stato affidato al regista Federico Tiezzi (buato alla prima) girerà tutto il mondo e si potrà vedere alla Scala di Milano l’anno prossimo.
La direzione di Daniel Barenboim mi è parsa assai fracassona e non volevo scriverlo dopo l’ascolto della registrazione, ma le testimonianze concordi al mio parere di chi era presente mi autorizzano a sottolinearlo.
Molto più interessanti le prestazioni degli altri interpreti del lavoro verdiano.
Deludente la prestazione di Kwangchul Youn, ottimo basso wagneriano, nel ruolo di Fiesco e non certo straordinaria la prova, quale Paolo Albiani, di Hanno Müller-Brachmann.
Note molto positive per Anja Harteros

temperamentoso soprano, nella difficilissima parte di Amelia Grimaldi. Qualche durezza negli acuti all’inizio, ma poi l’artista si è confermata tra le più meritevoli del momento, attenta com’è anche all’importanza di quella parola scenica tanto cara a Verdi.
Il migliore in campo è risultato senza dubbio il tenore Fabio Sartori, un cantante che vorrei sentire più spesso in Italia, dov’è guardato con sospetto perché non ha il fisico di un modello, il che mi pare proprio inaccettabile.
L’opera lirica, sino a prova contraria, è prima di tutto canto. Sembra incredibile che si debba rimarcarlo.
Ciao a tutti.
 
 

Non l’avrei giammai creduto!

Anch’io, come molti tenutari di blog, sfrutto un programmino gratuito per la rilevazione delle statistiche.
È divertente capire attraverso quali strani canali anonimi visitatori arrivano a leggere le mie recensioni semiserie.
Ebbene, mi è stato fatto notare che Di Tanti Pulpiti è, tra i siti che si servono di ShinyStat, costantemente tra i primi 100 blog italiani che si occupano di musica in generale e, udite udite, il primo tra quelli che parlano di musica lirica.
Beh, sono contento!
Ringrazio quindi chi è arrivato qui con chiavi di ricerca fantasiose come spartiti gratis. mi scappa la pipi papà (strasmile) oppure chi voleva sapere quante stanze ha il conservatorio di Venezia ma, soprattutto, i miei ringraziamenti vanno a chi mi segue con costanza e, ovviamente, a tutti gli artisti che ho visto e continuerò a vedere in teatro.
Succede che ogni tanto qualcuno si inferocisca, ahimé, però l’importante è che mi abbiano sempre riconosciuto di essere in buona fede e di non avere pregiudizi di sorta.
Ecco qui una carrellata di foto, e buon fine settimana a tutti.

Crociato1

 

FInale I atto

 

Tosca alla Fenice, 30.05.08

 

Tosca alla Fenice, 30.05.08

 

Francesco Meli

 

I mimi convitati di pietra.

 

Brünnhilde1

Recensione semiseria di Sacrificium di Cecilia Bartoli.

Il mondo della discografia operistica è in crisi da molto tempo, è un fatto noto a tutti gli appassionati.
Le cause sono molteplici e a mio parere la più rilevante è la possibilità che oggi ci si può organizzare una discoteca completa con il metodo del file sharing.
Io stesso, soprattutto per ciò che riguarda gli artisti contemporanei, attingo a piene mani da fonti non ufficiali.
Sono pochi i cantanti lirici sui quali le grandi case discografiche investono: una è sicuramente il mezzosoprano Cecilia Bartoli.
Romana, dotata di grande comunicativa sul palco e sempre spumeggiante nelle interviste, l’artista è una delle più controverse interpreti di Mozart, Rossini e in generale di tutto il barocco.
La sua presenza garantisce il sold out in teatro e i dischi sono sempre venduti in quantità enorme se rapportata alla media.
Cecilia è un personaggio a tutto tondo e conta su schiere agguerritissime di fan e altrettanto assatanate legioni di detrattori incattiviti. Io cerco di stare nel mezzo, o almeno ci provo.
Lei, spesso, ci mette del suo per attizzare le polemiche, sia con dichiarazioni provocatorie sia con atteggiamenti da superdiva, per non parlare che spesso si presenta vestita ai recital con abbigliamenti, come dire, stravaganti e inconsueti. Un nuovo mostro pure lei, insomma (smile).
Per me già il fatto che intorno alle sue prestazioni si creino discussioni, anche accanite, è cosa positiva perché la gente s’incuriosisce e magari poi s’appassiona e approfondisce.
Da pochi giorni è uscita la sua ultima fatica discografica, Sacrificium, una raccolta di arie barocche (in due compact ) che un tempo erano cantate dai castrati, buona parte delle quali inedite.
Come sempre per le incisioni della Bartoli la Decca cura molto il packaging (i detrattori sostengono proditoriamente che le copertine sono la parte migliore dei dischi della Ceciliona…) e anche in quest’occasione non si fa eccezione. Io mi limito a dire che è molto interessante il booklet (100 pagine) sul “fenomeno dei castrati” che è proprio quel Sacrificium al quale s’allude nel titolo e di cui io ho parlato già altre volte su questo blog.
Ad accompagnare la Diva c’è il Maestro Giovanni Antonini alla testa del Giardino Armonico, un’orchestra da camera italiana specializzata in musica barocca.
Dal mio punto di vista proprio Antonini, che stacca tempi da partenza di Formula Uno in più occasioni, fa risaltare alcuni difetti storici della Bartoli: a quelle velocità, scusatemi, persino una dizione corretta sarebbe impervia per chiunque! Ceciliona già di suo ha un modo molto personale di concepire il legato (miglioratissimo) e le agilità, e qui si trasforma, ogni tanto, in una versione moderna della bambola meccanica Olympia di Offenbach che fa lo jodel (strasmile)!
Una catena di montaggio di note spesso indistinguibili l’una dall’altra.

Quando i ritmi sono giusti o accettabili sale non voglio dire il clangore, ma almeno il rumore eccessivo sì! E non parliamo poi di alcune atmosfere che di suggestivo, rarefatto o struggente non hanno nulla. In questo modo il meraviglioso larghetto handeliano “Ombra mai fu”, ad esempio, ne esce molto male. Peccato poi che non ci sia il recitativo che precede l’aria.

Inoltre è indiscutibile che il registro grave di Cecilia ogni tanto sconfini nel parlato e che spesso ansimi, accenni, boccheggi, cinguetti e s’affanni. Interpretazione? Ai posteri con quello che segue.
Non sempre è così, però. Ci sono alcuni momenti  in cui la cantante e il direttore raggiungono un compromesso accettabile e quindi il risultato artistico è molto buono. La Bartoli canta forse con una tecnica molto personale, ma è un’artista vera, al di là delle baracconate di regime che ogni tanto ci propina (La sonnambula che ha inciso l’anno scorso, ad esempio…).
Cito, in questo senso, gli ottimi risultati raggiunti in due arie: “Sposa non mi conosci” di Geminiano Giacomelli e “Profezie, di me diceste” di Antonio Caldara. Molto bella anche “Son qual nave” che forse qualcuno ricorderà perché si sentiva nel film (orribile, a mio parere) Farinelli, e scritta per Farinelli stesso dal fratello Riccardo Broschi.
In generale, trovo che l’operazione sia meritoria per gli ottimi intenti divulgativi e di complessivo ottimo gusto. Questa incisione di Cecilia Bartoli, già in classifica in Francia, dove è molto amata, merita di essere conosciuta.
Tenuto conto di tutto, qualità artistica e booklet, 15 arie per 100 minuti di musica, 23 euro non sono neanche tanti.
Se poi vi regalano il disco, ancora meglio (strasmile)!
Il booklet in traduzione italiana (senza foto) si può scaricare da qui ed è un bene, perché il libretto originale (oltre a non essere tradotto in italiano: solo inglese, tedesco e francese) è scritto in caratteri troppo piccoli per un vecchio come me.
Buon fine settimana a tutti.
 
 
 
 

Recensione semiseria della Traviata al Teatro Regio di Torino.

Questa sera si è aperta la stagione operistica al Regio di Torino, con La Traviata di Giuseppe Verdi. L’opera è finita da poco e scrivo queste mie impressioni di getto e a…note ancora calde (smile)!
Prima di passare alla recensione semiseria vorrei esprimere la mia ammirazione per lo staff dirigenziale del teatro torinese, che per la prossima stagione ha allestito un cartellone molto interessante.
Peccato che Torino non sia proprio dietro l’angolo, per un triestino, però credo che qualche visitina al Regio sia d’obbligo.
Insomma si diceva di questa Traviata, opera popolare e conosciuta, rappresentata spesso e ovunque in tutto il mondo.
Elena Mosuc, nel ruolo del titolo, è stata una splendida Violetta ed ha cantato senza forzare la sua natura di soprano leggero. L’artista, che è dotata di una tecnica saldissima, ha superato bene le difficoltà del secondo e terzo atto, notoriamente pesanti per il suo tipo di vocalità.
In questo modo ne è uscita una Violetta giovane e molto commovente, senza la necessità di ricorrere ad effettacci. Magnifico, in particolare, l’Addio del Passato, che ha strappato un lungo applauso al pubblico.
Credo che in teatro sia scappata più di qualche lacrimuccia.
Francesco Meli esordiva o quasi nella parte di Alfredo (nelle interviste ha ricordato d’aver già affrontato il personaggio una decina d’anni fa, quasi per caso) e il suo è stato un ottimo debutto ufficiale.
Meli ha una voce ideale per questo ruolo e ha tratteggiato un personaggio molto credibile, senza troppi sdilinquimenti e isterismi, che sono i pericoli in cui è più facile cadere nell’interpretare Alfredo Germont.
Il tenore inoltre è sembrato molto efficace anche là dove spesso si sentono grossi casini (cachinni e ululati vari, i cosiddetti effetti veristici) e cioè nella famosa scena della borsa.
Ho sentito qualche piccola indecisione negli attacchi, ma può essere benissimo che la trasmissione radio inganni perché i microfoni amplificano anche i sospiri: peccati veniali, nel caso.
Mi ha un po’ deluso, invece, la prestazione di Carlos Alvarez nei panni di Germont padre. Da un artista del suo livello mi sarei aspettato una maggior attenzione alla psicologia del personaggio che, invece, ho sentito risolto per la terza volta consecutiva (Venezia e Firenze i precedenti) in modo superficiale, puntando tutto sul volume e trascurando le nuances interpretative.
Peccato, perché la voce è davvero bella ed importante e non lo scopro certo io.
Detto che i comprimari e il Coro sono stati all’altezza della situazione, non saprei che giudizio esprimere sull’Orchestra, che è stata trascinata (in modo assai sorprendente per me) dal direttore Gianandrea Noseda ad una prestazione molto discutibile.
Il volume è sembrato sempre molto alto, e questo può essere sempre un problema di microfoni, ma la direzione è sembrata davvero pesante e clangorosa, in alcuni momenti addirittura fastidiosa (quegli accordi tenuti a dismisura alla fine del secondo atto non possono essere un problema radiofonico però eh?).
Un ultimo appunto.
Non ho ascoltato tutte le interviste negli intervalli, ma sarebbe interessante sapere perché è stato mutilato di brutto il finale, privato delle ultime drammatiche frasi di Alfredo e del Medico.
Boh!
Il pubblico ha apprezzato molto la serata, che era molto attesa tanto che i biglietti per la prima e le recite successive erano esauriti già da molto. Applausi per tutta la compagnia di canto.
Siccome nelle ultime settimane mi sono fatto una specie di full immersion in quest’opera, consentitemi di non parlare più di Traviata almeno sino al 18 dicembre, quando al Teatro dell’Opera di Roma il titolo sarà riproposto con Daniela Dessì al quasi debutto (ha cantato Violetta nei primi anni 90 e poi non l’ha più ripresa).
 
 
 

Giuseppe Verdi e Luciano Pavarotti.

Il 10 ottobre 1813 nasceva Giuseppe Verdi e per l’occasione persino Google ha personalizzato, l’altro ieri, il suo logo.
Oggi 12 ottobre 2009 Luciano Pavarotti avrebbe compiuto 74 anni.
Senza entrare in analisi tecniche sofisticate, ho pensato di fare un piccolo regalino ai miei lettori.


 
Dal mio punto di vista, tra i personaggi verdiani, Pavarotti fu straordinario come Duca di Mantova nel Rigoletto e quale Renato in Un ballo in maschera.
 
Qui invece, sempre in formato mp3, “Ma se m’è forza perderti” dal Ballo in maschera.

Se qualcuno ha altri desideri in merito alla coppia Pavarotti- Verdi, provi a chiedere, magari posso accontentarlo.
 

Detto questo, buona settimana a tutti!

Mini recensione semiseria della Traviata a Firenze.

Dopo l’ascolto della Traviata su RADIO3, ieri sera, credo di poter affermare che la serata sia stata, dal punto di vista artistico, abbastanza simile al Rigoletto e al Trovatore che l’hanno preceduta e cioè piuttosto modesta.
Le avvertenze sono le solite, trattandosi di una recensione che si basa su ascolto radiofonico.
Andrea Rost ha cantato la sua Violetta con i mezzi a disposizione, che sono quelli di un lirico leggero con una buona esperienza professionale alle spalle, che le ha consentito di non incorrere in errori clamorosi.
Brava e decisamente più a suo agio nel primo atto, nel quale si è distinta per un “Sempre libera” di buon livello, mentre decisamente più in difficoltà è sembrata nei due atti successivi, in cui qualche volta è ricorsa a qualche effetto verista per dare peso drammatico alle lunghe frasi verdiane, che richiederebbero un’ampiezza vocale che non le appartiene.
Nel complesso però ha figurato discretamente e gliene va dato atto.
Il suo Alfredo era il tenore Saimir Pirgu, altra voce leggerissima, che con Verdi c’entra pochino.
L’artista è molto giovane, se non sbaglio non arriva a trent’anni, e quindi la sua prestazione va considerata anche alla luce di questa circostanza.
Ieri sera non ha brillato, soprattutto perché è mancata completamente l’attenzione alla parola scenica, che tradotto dal critichese significa che l’interpretazione è stata uniforme, scolastica, piatta, deficitaria di sentimento. Quando ha cercato la mezzavoce si percepiva un notevole sforzo nel controllo della voce, che è stata un paio di volte sul punto di spezzarsi.
Rivedibile, magari non in Verdi però e neanche in Puccini di cui invece ha cantato recentemente il Rodolfo della Bohéme.
Luca Salsi (giovane anche lui) era il vecchio Germont e ha la vocalità adatta ad affrontare il repertorio verdiano però, anche qui, l’interprete è da rifinire ampiamente. Troppo spesso il canto era sbilanciato sul tutto forte e l’accento piuttosto truculento a sproposito.
Peraltro il pubblico gli ha tributato un lunghissimo applauso dopo l’aria “Di Provenza il mar, il suol” ed è giusto segnalarlo.
Pesantissima la direzione di Daniele Callegari, un direttore che ho sentito molto più a suo agio in altre occasioni. Troppi zum pà pà, decisamente.
Coro e Orchestra mi sono sembrati all’altezza, più che nelle precedenti occasioni di questa manifestazione.
Credo che gli ultimi due commenti del post precedente, di vissidarte e daland, siano un ottimo consuntivo degli esiti della seconda edizione di Recondita Armonia al Comunale di Firenze.
Si tratta di un’iniziativa da elogiare senz’altro, che porterà qualche soldino nelle casse del teatro in un momento molto difficile dal punto di vista economico.
Il pubblico ha risposto benissimo e anche questo è un aspetto che non si può sottovalutare.
Buon fine settimana a tutti, qui siamo in clima di Barcolana, speriamo che la bora non combini qualche casino!
 

Un paio di considerazioni semiserie sul Rigoletto e il Trovatore a Firenze.

Dal momento che nel post precedente mi sono lamentato del costo esorbitante del biglietto per la Messa da Requiem al Festival Verdi di Parma, segnalo l’ottima iniziativa del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, che per il secondo anno ha organizzato la manifestazione “Recondita armonia”, partita sabato scorso.
Prezzi bassi (dai 50 euro della platea in giù), addirittura popolarissimi per i giovani sotto i 26 anni, programma di schietta impronta tradizionale e cioè la cosiddetta “trilogia popolare” verdiana (Rigoletto, Trovatore, Traviata).
Altre caratteristiche, in ordine sparso: copertura delle “prime” da parte di RADIO3, registi al guinzaglio per contenere le spese, insomma un’operazione meritoria sotto ogni punto di vista, a mio parere.
L’obiettivo dichiarato è di avvicinare i giovani, ma non solo, anche chi per i motivi più disparati non frequenta il teatro d’opera, alla musica lirica.
I dirigenti del Maggio hanno dichiarato che, in questo senso, la scorsa edizione è stata un successo, perché molti spettatori “debuttanti” si sono poi riproposti in teatro in altre occasioni. Ne sono certo e, tra l’altro, ne ho avuta diretta testimonianza io stesso.
1.02.09 Lucia di Lammermoor

Ma, dal lato puramente artistico, come stanno andando le cose?

Premetto che ho sentito le opere per radio, quindi le avvertenze sono sempre le stesse: si tratta di una fruizione monca e parziale, oltretutto spesso pesantemente condizionata dalle tecniche di trasmissione che falsano molte cose. Alcuni artisti sono penalizzati dalla radio, altri ne guadagnano.
Non ho il tempo di scrivere una vera e propria recensione e quindi mi limito a qualche considerazione generale.
La manifestazione è cominciata sabato col Rigoletto e credo di poter affermare che sia stata una recita di bassa routine, forse non particolarmente censurabile ma che raggiunge una sufficienza stentata.
Il baritono Alberto Gazale è stato un discreto Rigoletto, il soprano Désirée Rancatore una Gilda corretta, ma scolastica, bamboleggiante e stereotipata, il tenore Gianluca Terranova (inizialmente previsto nel secondo cast, ha sostituito James Valenti) ha interpretato il ruolo del Duca come spesso gli accade ultimamente, cioè male e palesando una generale propensione a forzare gli acuti.
Il direttore, Stefano Ranzani, mi è sembrato discutibile perché ha diretto a fisarmonica: lentezze esagerate e accelerazioni improvvise.
Inoltre buona parte di coloro che erano presenti hanno lamentato una regia (intesa soprattutto come scenografia) non soddisfacente, ma in questo caso non posso dire nulla se non che se si vogliono contenere i costi è necessario risparmiare sull’allestimento.
Qualcuno potrebbe obiettare che c’è stato persino il bis di “Sì vendetta”. Ok, però ora bissare questo duetto è diventata una tradizione, praticamente succede ad ogni recita appena decente.
Domenica sera è stata la volta del Trovatore e qui invece, con l’unica e parziale eccezione del soprano Kristin Lewis nella parte di Leonora, la compagnia di canto è stata piuttosto deficitaria.
Segnalata la discreta prova del basso Rafael Siwek quale Ferrando (che nell’opera in questione è comunque un ruolo minore) e la buona concertazione del direttore Massimo Zanetti,  bisogna sottolineare come gli altri protagonisti siano stati scarsini a voler essere generosi.
Anna Smirnova si è distinta più che altro per il tentativo d’immedesimazione nel personaggio di Azucena, una vecchia strega. Molte urla, abbondanti suoni artificiosamente cavernosi, gestione dei fiati almeno discutibile.
Il baritono Juan Jesús Rodríguez mi ha tolto le castagne dal fuoco, in un certo senso, perché se c’è un aspetto che esce chiaramente anche dal mero ascolto radiofonico, quello è l’intonazione, e questo Conte di Luna era stonato troppo spesso. Inoltre il tono era sempre truculento, feroce, non si è sentito insomma alcun tentativo d’interpretazione che lasciasse intendere un approfondimento della psicologia del personaggio.
Stuart Neill, il tenore che impersonava Manrico è stato disastroso sotto ogni punto di vista e non solo perché ha steccato clamorosamente nella famosa cabaletta “Di quella pira” (chi gliel’ha fatto fare di eseguirla integralmente…) ma soprattutto perché con questo ruolo, almeno nell’occasione specifica, ha dimostrato di non avere alcuna affinità. Quando ha tentato di addolcire un po’ il canto, di piegarsi ad un minimo sindacale d’interpretazione (la parola scenica, questa sconosciuta!) ha mostrato tutti i suoi limiti.
Mi è sembrato vistosamente peggiorato dalle ultime volte in cui l’ho sentito, come Don Carlo a Milano (quando sostituì, a mio parere più che dignitosamente, Giuseppe Filianoti) e quale Canio all’Opera di Roma.
In entrambe le recite ho sentito qualche sbavatura nell’Orchestra e nel Coro, che so per esperienza diretta essere di livello eccellente.
Inspiegabili, dal mio punto di vista, gli applausi a tutti e le ovazioni alla Lewis.
In buona sostanza, una volta fatti i complimenti ai dirigenti del teatro fiorentino per la bella iniziativa, mi pare sia indispensabile, da appassionato, segnalare che si debba per il futuro lavorare meglio nella scelta dei cast.
Come non sempre succede che artisti costosissimi siano poi anche bravi sul palco, allo stesso modo il necessario contenimento dei costi non deve essere una scusa per una qualità scarsa o generale sciatteria.
Giovedì, sempre RADIO3, trasmette la Traviata, speriamo che gli esiti artistici siano migliori rispetto a questo Trovatore assai discutibile.
Buona settimana a tutti.

Recensione semiseria della Messa da Requiem al Festival Verdi di Parma.

Il Festival Verdi si è aperto ieri con la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, nella suggestiva location del Duomo di Parma.
Intanto, e mi pare giusto, faccio vedere questa foto scattata proprio ieri a fianco del Teatro Regio.

Sacrosanta protesta al Teatro Regio di Parma.  

Poi, apro una piccolissima polemica personale, mi sia consentito.
Caro sovrintendente Mauro Meli, i biglietti per assistere a questo Requiem dalle navate laterali erano esageratamente cari, il prezzo era sproporzionato perché da quella posizione, porca miseria, non si vedeva praticamente nulla: il Coro e l’Orchestra erano nascosti quasi totalmente dalle colonne e quindi 85 euro a persona sono una follia.
Bene, detto questo, andiamo avanti in modo semiserio.
Ad un certo punto stavo per cadere dalla sedia (sedie tipo osteria, di legno) per le risate perché uno spettatore in piedi al mio fianco, competente al punto da sapere a memoria tutto il testo liturgico e posseduto dallo spirito di Arturo Toscanini (mimava con gesto discutibile un direttore d’orchestra) ha dato spettacolo.
Ve lo dovete figurare mentre mormorava, che ne so, Agnus Dei oppure Sanctus e oltre a gesticolare si lasciava andare a gesti apotropaici ravanandosi i gioielli di famiglia o si grattava il didietro, come fosse posseduto (voglio dire, posseduto nel senso d’indemoniato, ecco). Il massimo l’ha raggiunto quando, a fior di labbra, ha esalato Libera me Domine e si è messo le dita nel naso.
Una cosa esilarante, sembrava lo facesse apposta (ultrasmile)!
Il direttore Lorin Maazel è stato chiamato in extremis a sostituire Temirkanov e in qualche occasione la mancanza di feeling o prove con i solisti si è sentita. Molta confusione nel Kyrie iniziale, con il soprano Svetla Vassileva (ma anche gli altri) un po’ fuori tempo.
Poi però, già dal Dies Irae la situazione è migliorata e credo di poter affermare che nel suo complesso sia stata una serata assai riuscita ed estremamente emozionante.
Sugli scudi l’Orchestra del Regio e il Coro preparato da Martino Faggiani, che hanno fornito una prestazione impressionante per precisione e compattezza. Forse, e dico forse, l’Orchestra ha più affinità con il “fortissimo” che con il “pianissimo”, però è giusto sottolineare che con l’acustica della cattedrale bisognava in qualche modo scendere a patti. Non escludo che da una posizione logistica diversa dalla mia si possano aver provato sensazioni diverse.
Prestazione rimarchevole anche dai solisti, ma qui è necessario qualche distinguo perché erano impegnati una fuoriclasse, un eccellente cantante in serata discreta, una discreta cantante non troppo in palla e un giovane artista molto acerbo ma promettente.
Semplicemente straordinaria mi è sembrata il mezzosoprano Daniela Barcellona,

Requiem Parma sicura negli acuti e timbratissima nei gravi, per non parlare poi della bellezza della voce! Tra l’altro mi è parsa, tra i quattro solisti, quella più a suo agio con i tempi, in alcuni momenti piuttosto spediti, del direttore.

Il suo Recordare (il momento più felice anche della Vassilleva), l’incipit del Lacrymosa e il Lux Aeterna sono stati memorabili.
Bravissima Daniela, una volta di più!
Bene si è comportato il tenore Francesco Meli che ha cantato ricordandosi delle numerosissime indicazioni d’espressione di Verdi. La salita al SI bemolle nell’Ingemisco è stata fluida e sicura, la voce ha sempre “passato” l’orchestra ed in alcuni momenti sotto c’è una specie di terremoto, lo sottolineo per chi non conosce questo Requiem. Forse al bravo Meli manca un po’ d’esperienza nel campo specifico: voglio dire, con il tempo quell’inter oves locum praesta (dall’Ingemisco) sarà connotato dalla necessaria devozione ed umiltà.
Svetla Vassileva, soprano, non era in serata felicissima, e la sua prestazione si può definire alterna. Spesso non si è sentita e altrettanto spesso l’intonazione ha lasciato a desiderare. In alcune occasioni ha dovuto forzare e infatti dopo un urlaccio nella prima parte del Libera me, nel tentativo d’alleggerire la voce ha sporcato (diciamo una mezza goccia di muco di pavarottiana memoria) il DO che chiude il pezzo, che le è rimasto un po’ in gola. Nel corso della serata altri acuti le sono usciti benissimo invece, e ha cantato molto bene il Recordare, come già detto sopra.
La prova del basso Alexander Vinogradov, a mio parere, si può definire corretta. La voce non si espande bene ma non difetta di volume, bensì di armonici e ampiezza, appare un po’ secca (anche qui, quanto conta l’acustica?). Ragguardevole però il Confutatis maledictis, bisogna pur dirlo.
Qui però termina questa specie di indigesta autopsia che lascia davvero il tempo che trova e bisogna dare spazio alle emozioni.
La verità è che il prode Amfortas (accompagnato per l’occasione da ex Ripley che ha scattato le foto)è rimasto pure lui, come tutto il numerosissimo pubblico, senza fiato dopo l’ultima nota e si è ripreso solo perché sono scoppiati gli applausi, insistiti e meritatissimi, a tutti gli artisti.

Il direttore e i solisiti. Anzi, direi quasi che gli applausi sono partiti troppo presto, avrei avuto bisogno di ancora qualche secondo di raccoglimento.
 

Buon fine settimana a tutti.
 
P.S.
Non riesco ad accedere al blog di Daland, che suppongo abbia scritto della stessa serata. Appena ce la faccio, linko la sua recensione, così i lettori leggono un’altra opinione in merito.
Ore 21.08 ecco qui la recensione di Daland.
 
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