E si è arrivati alla sera della prima.
Serata di gala, ovviamente, che comporta alcuni stereotipi, varie baracconate di regime e pure qualche figura retorica inutile.
In ordine sparso: maggioranza di uomini vestiti col frac (badate ben non io…), percentuale consistente di politici d’accatto, potentati ignari di cosa succeda sul palcoscenico, donne(?) con abbigliamenti (?) stravaganti, spesso leopardati quando non addirittura ghepardati, carabinieri in alta uniforme, vigili in alta uniforme e alta uniformità di sorrisi stampati su visi evidentemente mondati dalle rughe con l’ausilio di qualche bisturi

(mica c’è nulla di male, però
memento balestra semper ultrasmile).
Il momento più divertente della serata è stato quando, nel foyer, il vestito di una gran dama di piccole dimensioni è stato involontariamente agganciato dai galloni di un signore in uniforme che non s’è accorto del contatto e continuava a procedere con lo sguardo fiero, pancia in dentro e petto in fuori.
Pareva la scena di un film comico muto, di quelli alla Buster Keaton (strasmile).
Poi però si è fatto sul serio, nel senso che una mia amica che curava la diretta dell’evento per la più nota radio locale, mi ha chiesto (a tradimento, senza avvertire! Smile, ciao Sara e Oscar) un parere sul Trovatore e sui tagli alla cultura: spero di aver biascicato qualcosa di decente.
Prima della prima, si è esibito sul palco il Sovrintendente Giorgio Zanfagnin, che ha fatto coram populo il punto della situazione finanziaria del Verdi di Trieste, che, al pari di tutte le altre fondazioni liriche italiane, è in forte sofferenza per i tagli al FUS. Sembra, e di questo va riconosciuto il merito anche ai dipendenti, che in questi mesi difficilissimi hanno mantenuto un atteggiamento responsabile, che Trieste stia messa meglio di altri. Il bilancio è in pareggio, si continuano a produrre spettacoli.
Il Trovatore di ieri sera, ad esempio, è stato coprodotto assieme
all’Opera Royal de Wallonie di Liegi e affidato alla regia di
Stefano Vizioli, che tra l’altro legge questo blog e quindi devo stare attento a ciò che scrivo (strasmile).
In realtà mi va di lusso, perché l’allestimento del regista è riuscito bene e merita d’essere visto.
Due enormi scale e due grandi carri sovrastano la scena, insinuando un senso di claustrofobia che giustifica il fatto che gli artisti cantino spesso al proscenio, quasi a significare che i sentimenti si estrinsecano fuori da quella cappa. Per il resto, anche attraverso l’impianto luci di Franco Marri, Vizioli punta saggiamente sul lato notturno dell’opera senza renderla inutilmente tetra. Sono molto belle, in particolare, le scene del carcere e del convento. Suggestiva nella sua semplicità anche la sortita di Leonora, con la luna a fare da sfondo. Sobri e appropriati i costumi di Alessandro Ciammarughi, che firma anche la scenografia.
La vicenda non subisce alcun trasposizione temporale e, come peraltro nel libretto, non c’è nulla che riconduca alla Spagna in modo preciso.
Insomma un allestimento tradizionale rivisitato con buon gusto e intelligenza, che non pecca di reazionario conservatorismo ma neanche d’intellettualismi un tanto al chilo (non so che voglia dire, ma mi pare che si capisca, smile).
Volendo cercare il pelo nell’uovo, la gestione dei movimenti di massa potrebbe essere migliorata, ma sono davvero particolari nell’ambito di una regia centrata.
Dal lato musicale la serata è stata condizionata dalla direzione di Maurizio Barbacini, che mi limiterò a definire superficiale e chiassosa ma che ha avuto il demerito di condurre ad una prestazione fiacca ed imprecisa l’Orchestra del Verdi, che di solito s’esprime a livelli ben più alti (in particolare basterebbe ricordare l’Aida dell’anno scorso, con il giurassico Nello Santi sul podio)
Serata interlocutoria anche per il Coro, e chi mi legge sa che io sono sempre prodigo di complimenti per questi artisti.
Francesco Hong era nei panni di Manrico, parte difficile anche perché notissima e quindi esposta a confronti spesso ingenerosi. Il tenore ha epidermicamente superato la prova, anche se si è limitato, tutto sommato, a sparare acutazzi a nastro (qualcuno, forse, pure leggermente calante).
Scarso, per non dire nullo, l’approfondimento psicologico del personaggio, con la sola eccezione della scena del carcere, nella quale ho sentito qualche tentativo di addolcire il canto, insomma un’intenzione interpretativa. Quasi assenti legato e fraseggio, ahimé. Però, tanto per fare un raffronto ravvicinato, molto ma molto meglio dello Stuart Neill di Firenze.
La Leonora di
Tatiana Serjan, invece, senza che mi faccia gridare al miracolo, mi ha convinto.
Il soprano ha un’idea precisa del famoso concetto di parola scenica tanto caro a Verdi e, forte anche di una fisicità e una presenza sul palco notevoli, ha tratteggiato un personaggio che lascia il segno. Passionale e delicata, determinata e allo stesso tempo conscia dell’ineluttabilità del suo destino.
La voce è affetta da un leggero vibrato stretto e la dizione perfettibile, ma nell’aria di sortita e nella forse ancor più temibile D’amor sull’ali rosee è risultata bravissima. Gli acuti sono puntuti, ma penetranti, incisivi.
Il fraseggio è curato e la voce ha la sufficiente ampiezza per reggere un ruolo che è tipicamente da lirico drammatico. Per me è stata la migliore della serata.
Discreto il Conte di Luna di
Alberto Gazale,

ma anche in questo caso avrei preferito che il baritono ricercasse una maggior ricchezza di colori interpretativi: l’aria Il
balen del suo sorriso, affrontata con iniziale cautela, è stata risolta tutta sul forte e mezzoforte. In generale è mancato un po’ di slancio amoroso: voglio dire, è uscita meglio la parte truce, vendicativa, del personaggio, a scapito dei momenti (pochi, a dire il vero) in cui il Conte s’abbandona al sentimento.
La voce è anonima ma gradevole e la linea di canto pulita, senza forzature. Gazale mi è sembrato convincente dal punto di vista attoriale e la dizione è stata chiarissima.
Note meno positive per Mariana Pentcheva, che l’anno scorso cantò qui a Trieste un’ottima Amneris.
Il mezzosoprano è stata in costante ed evidente difficoltà nel registro acuto, forzando molto la voce.
Il celeberrimo Stride la vampa comunicava solo un’indefinita agitazione, più dell’artista stessa che altro, mentre dal punto di vista drammaturgico è proprio è il momento chiave, lo snodo di tutta la vicenda.
Sono certo che nelle prossime recite la Pentcheva farà meglio, la prima è sempre un’incognita, ma mi ha deluso profondamente.
Carlo Cigni, nel ruolo di Ferrando, è stato autorevole e preciso, anche se la voce non è particolarmente attraente. Bene dal punto di vista della recitazione nella fondamentale scena del riconoscimento di Azucena (dell’agnizione, scrivono quelli che parlano bene, smile). Insomma, una buona prova per il basso.
Di buon livello la prestazione di tutti gli altri artisti impegnati nei ruoli minori.
Rimarchevole la Ines accorata e struggente di Alice Quintavalla, e sonoro il Ruiz di Antonello Ceron. Bravi, nelle loro piccole parti, Daniel De Vicente (Un messo) e Giovanni Alberico Spiazzi (Uno zingaro).
Il pubblico ha premiato tutta la compagnia di canto con applausi, anche a scena aperta (addirittura richieste di bis per Francesco Hong dopo l’acutazzo della pira).
All’uscita del teatro, pochi minuti dopo la fine dell’opera, era distribuito in omaggio Il Piccolo, quotidiano triestino: "Sosteniamo il Teatro Verdi", diceva in prima pagina. Un impegno che il giornale deve aver preso particolarmente a cuore, visto che c’era già stampata la recensione dello spettacolo appena concluso…
Domenica, con ogni probabilità, andrò a sentire il secondo cast.
Nel frattempo, sono auspicabili e benvenuti interventi di chi ha visto al recita in questione o ne seguirà altre.
Non sono capace d’inserire le foto in modo decente, pazienza, ho fatto casino una volta di più.
Hello everybody.
P.S.
Ero in compagnia di ex Ripley e vi posso assicurare che questa è, senza entrare in particolari, è la cosa più importante.
P.P.S.
Mi devo decidere a corrompere in qualche modo le arcigne (ma graziosissime) maschere del teatro: il Verdi è l’unico posto dove non riesco a scattare foto di straforo (strasmile).
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Hanno detto: