Nel leggere le mie recensioni semiserie, dovete tenere presente che la lirica è un mondo in cui invece di dire “apri la finestra”, Violetta Valery Traviata, rivolta alla sua ancella Annina, si esprime così: dà accesso a un po’ di luce.
Quindi, è un mondo inverosimile, che non esiste e non è mai esistito nel quale si muovono personaggi improbabili.
In questo mondo è quindi normale che sua Mariellestà Mariella Devia interpreti l’amante peccaminosa di Stefan Pop Alfredo Germont, che nella realtà potrebbe essere benissimo quasi suo nipote (smile).

In questo mondo il nuovo sovrintendente Antonio Calenda, alla sua prima conferenza stampa, parla per tre quarti d’ora senza significare nulla se non concetti vaghi conditi di una retorica strappalacrime e, non contento, ne fa un bignamino alla sera per gli spettatori della prima che, commossi, applaudono.
E applaudono tutti, anche quei politici in sala che sono i primi responsabili del disastro dei teatri e quei potentati economici, pure loro presenti in sala, ai quali non passa neanche per la testa di sponsorizzare il teatro della loro (mano sul cuore e sguardo fiero) città.
Applaudono, con attenzione perché altrimenti si sfaldano, anche le damazze vetuste vestite in un modo che sarebbe ridicolo anche per una diciottenne.
Andare a teatro oggi, non voglio dire sempre ma spesso, è anche sentire il pubblico applaudire cantanti che andrebbero protestati e che escono intimoriti al proscenio e, siccome sono stonati ma non scemi, si stupiscono degli applausi che ricevono.
Non si bruciano sul rogo i registini del quartiere, che costringono le primedonne a porre l’attenzione non al canto ma piuttosto allo strascico ingombrante del costume, perché altrimenti inciampano sulle scale che devono salire, inspiegabilmente, ogni tre minuti.
Insomma, non siamo ai confini della realtà ma ben oltre.
E quindi le mie recensioni semiserie sono la cosa più normale, scritte da un ormai cinquantacinquenne in evidente disarmo fisico e ancora più acclarato disagio mentale che però conserva, o almeno s’illude di conservare, un minimo di lucidità (smile).
E che non può fare a meno di ricordare che il torero Piquillo, che viene evocato nella Traviata, doveva essere un trisavolo del più noto torero Camomillo, scusate.
Allora.
Si è aperta la stagione operistica triestina con un allestimento bruttissimo della Traviata di Giuseppe Verdi, di cui dobbiamo ringraziare per la non regia Stefano Trespidi, per le orride scenografie Giuseppe De Felice Venezia, per i costumi orripilanti Filippo Guggia, per le tristissime luci Paolo Mazzon e per le insignificanti coreografie Maria Luisa Rimonti.
La mestizia, lo scoramento, la costernazione regnavano sovrani in questo spettacolo sul quale non aggiungerò altro neanche sotto tortura. O meglio, aggiungo solo che Mariella Devia alla fine diventa calva (non sto scherzando, dico davvero) per motivi imperscrutabili. Non so, forse il regista avrà visto il DVD del Roberto Devereux con la Gruberova, e avrà pensato cazzo che figata, non trovo altra spiegazione.
Solo che in quel contesto aveva un senso, qui no.

Mariella Devia interpreta Violetta da par suo, cioè da grande vocalista, ma non nuota nel suo mare e non è neanche in serata straordinaria.
Intendiamoci, sua Mariellestà è un’artista magnifica ma questa parte non le si confà particolarmente: la voce nella prima ottava risulta fioca, quando non sorda, mentre se la cava bene nel registro centrale e svetta in quello acuto, nonostante il mi bemolle di tradizione che chiude il primo atto non sia propriamente una folgore.
Però ha una gestione della respirazione che le consente un legato perfetto e soprattutto d’accentare con proprietà in ogni circostanza. Inoltre nei concertati la voce passa l’orchestra con facilità, perché la corretta emissione favorisce una proiezione del suono eccellente. Ma non è Violetta, le manca un po’ di brio, un po’ di giovanile sfrontatezza, e non sto parlando d’età anagrafica, sia chiaro.
Il momento migliore, com’era ampiamente prevedibile, è risultato lo splendido Addio del passato, alla fine del quale, peraltro, si è sentita la suoneria di un telefonino (non sono riuscito ad individuare il colpevole, ma è meglio così…). Bello anche il duetto con Germont padre, segnatamente dite alla giovine in cui il soprano trova accenti davvero commoventi.
Pieno di buone intenzioni il tenore Stefan Pop, però a dispetto di una voce adatta alla parte e anche abbastanza gradevole, le buone intenzioni bisogna realizzarle e il giovane artista ci riesce solo parzialmente. Si fida troppo dei suoi discreti mezzi e si strozza sull’acuto della cabaletta O mio rimorso, quando avrebbe potuto senza scandalo scegliere l’ottava inferiore. Trova qualche discreta mezzavoce in qualche occasione ma complessivamente il suo Alfredo non lascia traccia significativa. Sicuramente Pop è un cantante che ha buon gusto nel porgere ed è già una cosa, perché, ad esempio, nella famosa scena della borsa (nella quale spesso si sentono cose inenarrabili) riesce a risultare efficace senza ricorrere ad eccessi interpretativi.
Pessima la prova di Gianfranco Montresor nei panni di Giorgio Germont. Il baritono ha cercato di risolvere di forza il personaggio, forte di una voce di discreto volume, ma con risultati anche imbarazzanti.
Come segnalato da un mio lettore è sembrata insopportabile la dizione artefatta che avrebbe voluto favorire la salita agli acuti, e inoltre si sono sentiti, evidentissimi, problemi d’intonazione. Ovvio che l’aria del secondo atto sia uscita piattissima, priva di sentimento. Per non parlare poi della cabaletta, spesso tagliata e che invece ci è stata inflitta (sto parlando di no non udrai rimproveri, in cui il cantante sembrava impiccato).
Di routine la prestazione di Asude Karayavuz nei panni di Flora.
Tra i personaggi di secondo piano, segnalo la bella prova di Lucia Premerl (Annina) e le interpretazioni convincenti di Alessandro Svab (Marchese D’Obigny) e Manrico Signorini (Dottor Grenvil).
Sufficienti tutti gli altri comprimari, Iorio Zennaro (Gastone), Gianluca Margheri (Barone Douphol), Alessandro De Angelis (Giuseppe), Giuliano Pelizon (Domestico) e Ivo Federico (Commissionario).
Il Coro non si è comportato male, ma la compagine triestina può fare sicuramente meglio.
Il giovanissimo Andrea Battistoni, dopo un Preludio davvero promettente in cui l’Orchestra del Verdi ha sfoderato un suono bellissimo, si è perso in una direzione arruffata ed evanescente che se è stata quasi sempre rispettosa delle esigenze dei cantanti, è parsa più volte clangorosa nelle strette e superficiale nel fraseggio. In particolare è mancato, e molto, il calore e l’abbandono nei momenti più drammatici, che sono passati senza che ci fosse traccia delle grande emozioni di cui è piena la partitura.

Il pubblico ha applaudito lo spettacolo e timidamente anche a scena aperta i cantanti, ma senza entusiasmi eccessivi, che sarebbero stati decisamente fuori luogo.
Mariella Devia ha raccolto i maggiori consensi e se li è meritati, tutto sommato. Resta il rammarico per averla sentita appena ieri a Trieste, in una parte che non gli si addice e comunque nella fase discendente della sua carriera, anche se, lo dico sottovoce, nonostante tutto la sua Violetta è più plausibile oggi di quando debuttò, qualche anno fa, il personaggio. Avercene, comunque, di cantanti così.
Insomma un’apertura di stagione in tono minore, ma bisogna accontentarsi.
Forse.
Un saluto a tutti.
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