Dopo una breve pausa estiva è ripresa l’attività del Teatro La Fenice, in quell’orrida Venezia croce e delizia – mai citazione fu più appropriata (smile) – del qui presente (si fa per dire) Amfortas.

Ed è subito, appunto, Traviata di Giuseppe Verdi che esordì proprio in questo teatro il 6 marzo 1853 (fu un fiasco tremendo, bene ricordarlo) e che nell’allestimento ormai storico di Robert Carsen riaprì nel 2004 la stagione operistica dopo la forzata parentesi dovuta al terribile rogo del 1996.
Il lavoro di Carsen dopo tanti anni non mostra neanche una piccola ruga, anzi, per certi versi, è sempre più attuale.
Il denaro con la sua carica di corruzione morale scandisce le tappe della via crucis laica di Violetta. I soldi, anche fisicamente, sono ovunque: all’inizio, sul letto di Violetta e poi le banconote cadono come foglie secche dagli alberi nel secondo atto, oltre a essere presenti nei momenti più tradizionalmente deputati come la scena della borsa durante la festa a casa di Flora.
Dappertutto intorno a Violetta c’è denaro e in ogni dove trasudano vanità, culto per l’apparenza, superficialità. In siffatto contesto la scelta di rappresentare Alfredo come un fotografo glamour è coerente e allo stesso modo è funzionale la triste ostentazione di corpi alla festa di Flora, in cui cowboy e cowgirl si esibiscono in una sorta di grottesca lap dance. Travestimenti di anime e corpi che ritroviamo – ben più umilianti, ahimè, quando penso alle olgettine travestite da poliziotte – nelle cronache giudiziarie dei quotidiani.
E allora, dalla grettezza di Germont padre, dalla sudicia avidità di Grenvil e di Annina – che appena muore Violetta se ne va con la pelliccia della padrona -, dall’offensivo clamore per il Carnevale la figura della Traviata esce in tutta la sua dirompente carica di umanità e la statura morale del personaggio ne esce, ancora una volta, esaltata.
Contribuiscono in modo fondamentale all’eccellente riuscita dello spettacolo i costumi volutamente pacchiani di Patrick Kinmonth che firma anche le anfibie scenografie – sospese tra gli anni venti del secolo scorso e i giorni nostri – e l’impianto luci a cura dello stesso Carsen e Peter Van Praet. Adeguate le coreografie di Philippe Girardeau.
Peraltro un certo Julian Budden (mica pizza e fichi, smile) a proposito delle solite polemiche sulla liceità dell’ambientazione moderna della Traviata si esprime così:
La verità è che non importa affatto l’epoca in cui viene collocata La Traviata: è la più intimistica delle composizioni drammatiche di Verdi, e i sentimenti in essa ritratti sono propri di ogni essere umano in tutte le epoche.
Amen.
Il giovane e talentuoso direttore Diego Matheuz è perfetto nell’esaltare la musica di Verdi e assecondare la regia di Carsen, anche a rischio di far sforare di un paio di decibel l’ottima Orchestra della Fenice in qualche singola occasione. La direzione è scabra, nervosa, cruda e non concede nulla a un facile sentimentalismo.
Così già nel Preludio gli echi della tragedia imminente si avvertono precisi e inquietanti, e la brillantezza del famoso brindisi sottintende la vacuità di un divertimento che è più di facciata che reale. Matheuz possiede il raro pregio di essere vigoroso e incalzante e allo stesso tempo morbido, rotondo, quasi riflessivo. L’Orchestra risponde bene e ne esce un suono avvolgente e pulito, caldo.
Questa produzione è stata pensata per la Violetta di Patrizia Ciofi e infatti il soprano – dopo tante recite nel corso degli anni – ha raggiunto uno straordinario livello artistico in questa parte mitica. Fraseggiatrice di gran classe, la Ciofi si fa valere per il canto in primis – intonazione adamantina, accento, acuti – e cesella con una recitazione magnifica un personaggio che è difficile dimenticare. Come ho avuto modo di scrivere in altra occasione, Patrizia Ciofi possiede il personaggio e non ne è posseduta, perciò ottiene l’effetto teatrale drammatico senza ricorrere a sbracamenti e trucchetti vari. Ne sia esempio la famosa lettura della lettera nel finale, teatro spesso di gigionate terribili e risolta invece qui con classe e disperata eleganza. Insomma, una prova magnifica, da fuoriclasse.
Alfredo era, in quest’occasione, il giovane Antonio Poli, tenore che ha già avuto modo di segnalarsi in altre produzioni anche alla Fenice. Ebbene non posso che confermare che l’artista è potenzialmente tra i più interessanti della sua generazione, anche se al momento si apprezza di più per la vocalità solare, l’impeto giovanile e il bel timbro che per l’attenzione all’approfondimento psicologico del personaggio. E notevoli sono anche le doti di equilibrista (smile), perché è riuscito a stare in piedi nonostante un evidente scivolone sulle foglie/banconote nel secondo atto. Forse il suo Alfredo, appunto, è un po’ troppo monolitico e legato allo stereotipo di un’incosciente baldanza giovanile, mentre qualche ripiegamento riflessivo aggiungerebbe verità psicologica al personaggio. La sua prova è comunque da considerarsi buona.
Papà Germont – carattere odiosissimo – è stato ben interpretato da Giovanni Meoni. Il baritono ha trovato gli accenti giusti nel duetto del primo atto con Violetta e anche la necessaria morbidezza per risolvere il noto andante “Di Provenza il mar, il suol”. Pensate che Meoni mi ha reso sopportabile persino l’orrida cabaletta “No non udrai rimproveri”, che non è merito da poco (smile)! A parte gli scherzi, anche dal punto di vista attoriale Meoni ha convinto, grazie a una recitazione sobria e composta.
Di discreta routine si possono considerare le prove dei numerosi comprimari, che trovate in locandina alla fine del post, ma mi fa piacere segnalare l’autorevole prestazione di Luca Dall’Amico nei panni del Dottor Grenvil.
Assai bene ha figurato il Coro della Fenice di Venezia, istruito da Claudio Marino Moretti.
Il pubblico – teatro esaurito, non certo una novità per la Fenice ma rara avis in tutti gli altri teatri italiani e non solo – all’inizio è apparso distante e freddino ma poi ha regalato applausi anche a scena aperta.
Alle singole grande successo per tutta la compagnia artistica e trionfo ultrameritato per Patrizia Ciofi.
Restano da dire ancora un paio di cose, perché l’orrida Venezia non si smentisce mai: sono ulteriormente aumentati i biglietti dei vaporetti – la corsa singola è arrivata felicemente ai 7 euro – e c’era ovunque il solito casino cosmopolita che favorisce la mia naturale propensione all’eremitismo.
Inoltre, alla stazione ferroviaria alle 22.20 è impossibile mangiare qualcosa. Tutto chiuso.
Assalito dai morsi della fame, mi sono disputato a colpi di karate con un paio di gabbiani lagunari fuorilegge (uno aveva, giuro, anche il fazzoletto sul becco) un avanzo di panino che ho trovato vicino a una coppia di giapponesi addormentati (morti?).
Poi, finalmente rifocillato, mi sono seduto sul lurido sedile del regionale veloce di Trenitalia che mi ha riportato a Trieste.
La prossima settimana tocca a Rigoletto, a presto, quindi.
Un saluto a tutti!
VENEZIA, TEATRO LA FENICE, 5 SETTEMBRE 2012: LA TRAVIATA DI GIUSEPPE VERDI
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Violetta Valery |
Patrizia Ciofi |
Alfredo Germont |
Antonio Poli |
Giorgio Germont |
Giovanni Meoni |
Flora Bervoix |
Annika Kaschenz |
Annina |
Marina Bucciarelli |
Gastone |
Iorio Zennaro |
Barone Douphol |
Armando Gabba |
Dottor Grenvil |
Luca Dall’Amico |
Il Marchese d’Obigny |
Matteo Ferrara |
Giuseppe |
Ciro Passilongo |
Un domestico di Flora |
Antonio Corsano |
Un commissionario |
Salvatore Giacalone |
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Direttore |
Diego Matheuz |
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Regia |
Robert Carsen |
Scene e costumi |
Patrick Kinmonth |
Coreografie |
Philippe Girardeau |
Luci |
Robert Carsen e Peter Van Praet |
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Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
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Caro Amfortas mi sono iscritta al tuo blog dopo aver letto che seguirai la stagione veneziana.Ieri c.ero anch.io in teatro e mi trovo daccordo con la tua recensione.mi piace anche il tuo stile che conoscevo già perchè ti seguo da molto.bravissima Patrizia Ciofi ma ho apprezzato molto anche il tenore che ha una voce molto bella ciao e evviva la Fenice e Venezia -)
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Luciana, bene, sono contento che ci siamo trovati d’accordo e grazie dell’apprezzamento 🙂
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e l’anno prossimo..???
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Federica, ho beccato la tua domanda al volo :-), che vuoi dire? Scusa ma sono ancora rintronato dall’ora abbondante di jogging…
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Invidierrima Amfy !!! Mi sarebbe veramente piaciuto vedere la regia di Carsen e soprattutto sentire la Ciofi nel finale dell’opera… e vabbé !
P.s. Ti segnalo un errorino di battitura, hai scritto Antonio Monti (lapsus?). Ciau !
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Alu, grazie per la correzione, ho scritto giusto nei tag e nella locandina e ho cannato nella recensione, succede! Ed era un lapsus di sicuro, accidenti.
Comunque, per quanto mi renda conto che non è la stessa cosa, questa Traviata è disponibile in DVD. Tra l’altro, se ben ricordo, dovrebbe essere la versione 1854 che differisce per alcuni particolari da quella più conosciuta. In particolare c’è la versione più acuta dell’andante di Papà Germont, che peraltro resta noiosetto comunque.
I cambiamenti furono apportati da Verdi anche perché, dopo la prima, il baritono Felice Varesi (che era già in declino a 40 anni) non cantò più la parte.
Ciao e grazie!
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Grazie dell’info e fra parentesi non sopporto proprio le arie di Germont padre…
P.S. Leggesti di Thielemann alla Fenice? 😀
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Alu, se ti riferisci al concerto del prossimo maggio, è già nel mio carnet! Ciao 🙂
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