Venerdì il mio intenso fine settimana all’insegna di Rossini prevedeva la prima tappa, nell’orrida Venezia, questa volta non al consueto Teatro La Fenice ma al Teatro Malibran, dove si rappresenta la non frequentatissima L’occasione fa il ladro. Sabato invece l’appuntamento è qui a Trieste, per lo Stabat Mater di cui riferirò nei prossimi giorni.
E proprio “per colpa” della relativa vicinanza del Malibran alla stazione ferroviaria, ho deciso di non abbandonarmi alle gioie del vaporetto e di raggiungere il teatro a piedi.
Ah, che decisione idiota! Non ho tenuto conto del clima tropicale umido che ormai domina sull’Italia e a maggior ragione a Venezia, perciò quella ventina di minuti di camminata si sono trasformati in un’indesiderata sauna.
Ho sudato più io del Celeste Formigoni quando deve pagarsi un biglietto aereo di tasca sua (smile).
Tenete presente poi che durante il cammino un disgraziato non può distrarsi perché tocca fare lo slalom tra i venditori di griffe contraffatte, che ti espongono la merce in tempo reale in mezzo ai piedi. Da non sottovalutare anche i novelli Caronte che cercano di traghettarti all’interno di ristoranti dai quali, probabilmente, non si esce vivi o si muore al momento della presentazione del conto.
E tutto questo in apnea, per difendersi dalla micidiale sequenza odore di pizza-odore di vongole- odore di fritto che si ripropone di continuo.
Cavolo, sembrava di essere sulle Rive qui a Trieste, i giorni precedenti alla Barcolana (strasmile).
Ma bando alle ciance e passiamo alle cose serie o meglio, per questa volta, alle burlette o farse.
Nell’ambito di un progetto culturale interessante, il Teatro La Fenice ha deciso di affidare all’Accademia delle Belle Arti di Venezia la realizzazione di alcune opere di Rossini. Alcuni mesi fa è stato il turno dell’Inganno felice, nel marzo del 2013 sarà la volta della Cambiale di Matrimonio.
L’allestimento dell’Occasione fa il ladro – a 200 anni dalla prima – rientrava appunto in tale contesto.
L’opera, dal lato drammaturgico, si regge sul più classico degli equivoci da commedia buffa settecentesca, cioè lo scambio di persona reiterato e dovuto a un pretesto che nella fattispecie è una valigia che cambia proprietario. Ci sarebbe bisogno quindi di grande mobilità in scena, a rappresentare la mutevolezza delle situazioni e dei sentimenti dei protagonisti. Caratteri, situazioni drammaturgiche e pagine musicali che citano esplicitamente il Mozart della Trilogia Da Ponte sono evidenti: impossibile, solo per fare un esempio, non notare le affinità elettive tra il Leporello del Don Giovanni e il servitore di Don Parmenione, Martino.
La regista Elisabetta Brusa – non certo un’esordiente, peraltro – ha qualche idea “carina”, ben realizzata con l’apporto delle scene di Alberto Galeazzo e supportata dai costumi di Laura Palumbo e dalle luci di Andrea Sanson.
Già prima dell’inizio dell’opera in sala alcuni mimi attori (i servitori dei personaggi in scena) accolgono il pubblico e gli stessi si renderanno poi protagonisti di un altro piccolo squarcio di teatro nel teatro durante l’unico cambio di scena. Idea non originalissima, ma tutto sommato non stucchevole.
Singolare l’effetto della sovrapposizione, all’inizio e alla fine dell’opera, delle lettere di Rossini proiettate sul palcoscenico, così come riuscita è sembrata la scena iniziale della Tempesta – che il compositore già scrisse per la Pietra di paragone un paio di mesi prima -, mentre nel prosieguo lo spettacolo è sembrato piuttosto statico. Chiaro che una burletta che risulti statica e che in alcuni momenti faccia sentire la carezza della noia non è un risultato rimarchevole.
A questa sostanziale immobilità ha contribuito anche la direzione di Stefano Rabaglia, corretta ma mai vivace, incapace di esaltare i dinamismi razzenti dei personaggi. C’è da dire che il direttore sapeva che i cantanti non erano dotati di voci importanti e quindi, probabilmente, una certa mancanza di carattere può essere dovuta a questa circostanza. Bene si è comportata l’Orchestra della Fenice e altrettanto positivo il contributo di Alberto Boischio al fortepiano.
Prima di scrivere della compagnia di canto è necessaria una piccola premessa.
Rossini è un compositore straordinario che poteva contare su cantanti che sono entrati nella storia e nel mito dell’Arte del Canto anche e soprattutto per le qualità virtuosistiche. Questo non significa che fosse sempre ispirato e in quest’opera giovanile i passi realmente memorabili non sono tantissimi. Ovvio quindi che si senta più che in altri lavori la necessità del grande interprete. Non a caso nel recente passato l’opera è stata affrontata da icone della vocalità rossiniana: da Rockwell Blake a Luciana Serra per citare i primi che ricordo.
Questa sera, invece, la compagnia di canto era costituita da giovani artisti con già una discreta esperienza ai quali posso augurare ogni bene per la loro carriera futura, ma che inevitabilmente si sono limitati al “compitino”, peraltro svolto con diligenza e favorito dalle dimensioni ridotte della sala del Teatro Malibran.
In questo senso ho apprezzato il Don Parmenione di Omar Montanari, che ha cantato bene e ha reso credibile il personaggio senza ricorrere a quei lazzi che appartengono a una tradizione datata e ormai improponibile.
Corretto, ma molto inamidato dal punto di vista interpretativo il Conte Alberto del tenore Giorgio Misseri, al quale va riconosciuto un generale buongusto, una chiara dizione e un timbro gradevole.
Meno a fuoco mi è sembrata la caratterizzazione del giovane basso Giovanni Romeo, al quale è mancata un po’ di disinvoltura scenica nell’impersonare la figura del servo Martino. Allo stesso modo piuttosto flebile e impersonale è parso Enrico Iviglia, il tenore nei panni dello zio Don Eusebio.
Interessante la prestazione del mezzosoprano Paola Gardina (Ernestina), che ha saputo compensare dal punto di vista scenico qualche piccola mancanza vocale.
Per quanto riguarda l’interprete di Berenice, Irina Dubrovskaya, credo si possa parlare di un’artista con buone potenzialità ma ancora piuttosto acerba. La vocalità è da soubrette – ed è una constatazione e non una critica – ma l’interpretazione è stata decisamente scolastica, priva della verve che una parte come questa richiederebbe sia dal punto di vista vocale sia da quello prettamente scenico. In particolare le agilità sono sembrate poco fluide e mancavano brio, vivacità e disinvoltura.
Il pubblico, non straripante ma comunque abbastanza numeroso, ha apprezzato molto la serata, manifestando grande favore a tutta la compagnia artistica e tributando un successone al soprano Irina Dubrovskaya.
Molto esaustivo – come sempre a Venezia – il libretto di sala, che comprende un interessante excursus sulle farse “veneziane” in un atto di Rossini, tutte composte tra il 1810 e il 1813.
E questo è quanto.
Un saluto a tutti, a presto!
VENEZIA, TEATRO MALIBRAN, 12 OTTOBRE 2012: L’OCCASIONE FA IL LADRO DI GIOACHINO ROSSINI |
|
Don Eusebio |
Enrico Iviglia |
Berenice |
Irina Dubrovskaya |
Conte Alberto |
Giorgio Misseri |
Don Parmenione |
Omar Montanari |
Ernestina |
Paola Gardina |
Martino |
Giovanni Romeo |
|
|
Maestro concertatore e Direttore Stefano Rabaglia
|
Allestimento a cura della Scuola di Scenografia della Accademia di Belle Arti di Venezia
|
|
Scene |
Alberto Galeazzo |
Costumi |
Laura Palumbo |
Luci |
Andrea Sanson |
Costruzioni |
Sara Martinelli |
|
|
Maestro al fortepiano |
Alberto Boischio |
Orchestra del Teatro La Fenice
|
0.000000
0.000000
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...
Correlati
Buongiorno a Lei e ringraziandola per questa sua recensione, mi permetto di ricordare che parlare di questa burletta rossiniana vuol comunque dire parlare di un’operina inferiore nel panorama del compositore pesarese e, dunque, diventa certamente più difficile costruirci sopra un allestimento che non scadi nella noia. Il compositore la concepì in una sola settimana e il testo è assolutamente di scarsa qualità. Senza volere paragonarla alle grandi opere buffe di Rossini, basterebbe rimanere nell’ambito di quel 1812 – anno della sua nascita – per notare come le due opere buffe che la precedono: “La scala di seta” e ”La pietra del paragone” siano di ben altro spessore.
Un cordiale saluto!
"Mi piace""Mi piace"
Daniele, ciao (passiamo al “tu” informatico, ok?).
La questione che poni è stata sfiorata nel post, quando scrivo “Questo non significa che fosse sempre ispirato e in quest’opera giovanile i passi realmente memorabili non sono tantissimi.Fai bene però a ribadirlo, perché così è ancora più chiaro.
Il problema è che in sede di recensione di uno spettacolo ci si concentra più sul risultato finito che sulla genesi dell’opera che si va a esaminare, com’è giusto che sia, credo. È anche una questione di tempo e di desiderio di non scrivere articoli troppo lunghi, che normalmente non sono letti. Lo si vede anche dalle statistiche.
Ti ringrazio comunque dell’attenzione, ciao!
"Mi piace""Mi piace"
Spero che tu non disprezzi la polifonia musicale come fai con quella olfattiva!
Ti confesso che io di solito vado a piedi – dalla stazione o da piazzale Roma – anche alla Fenice (che non è tanto più lontana del Malibran, a dir il vero) proprio per “annusare”!
A parte i profumi (!) fa piacere sapere di queste iniziative, coi tempi che corrono…
Ciao!
"Mi piace""Mi piace"
daland, ciao! No no, io non disprezzo nulla in musica, sono davvero un ascoltatore onnivoro e ogni tanto (ieri, per esempio) mi concedo qualche bella divagazione rockettara 🙂
Se avessi un senso dell’orientamento decente andrei anch’io a piedi alla Fenice, ma purtroppo con ogni probabilità mi perderei in qualche calle, e mi ritroverebbero dopo qualche mese sotto forma di pranzo per i famosi gabbiani assassini lagunari.
Ciao!
"Mi piace""Mi piace"