Mi chiedo, ogni tanto: Ma perché vai nell’orrida Venezia, Amfortas? Effettivamente succede che mi faccia queste domande esistenziali. Poi, però, appena scendo la scalinata che porta dalla stazione al primo girone infernale lagunare, trovo la risposta: ci vado perché così sono sempre informato sulle ultime, straordinarie, alzate d’ingegno del genere umano. Ieri sono bastati pochi passi e mi sono imbattuto in una marea di venditori ambulanti che vendevano i supporti per farsi i selfie.
Nella mia ignoranza tipica del provinciale triestino, non ne conoscevo l’esistenza. Voglio dire, chi non vorrebbe farsi un selfie mentre è sbranato da un gabbiano assassino gigante oppure quando si rotola per i dolori lancinanti alle viscere post spaghettata con vongole adulterate? Oppure mentre paga 29 eurazzi per due ore di sosta in Piazzale Roma? Dai! Sono momenti dei quali bisogna conservare memoria.
E poi, ma questo ho potuto apprezzarlo alla fine, in quale altro luogo posso vedere pantaloni brutti come quelli che indossava il direttore, Stefano Montanari? Una via di mezzo tra una mutazione genetica e una severa malattia epidermica. Terribili (strasmile).
Ecco, con questo spirito mi sono recato ieri al Teatro La Fenice, per assistere alla ripresa del Don Giovanni di Mozart per la regia di Damiano Michieletto il quale, questa volta, sorprende non per qualche trovata esteriore ma per aver pensato un allestimento che si può definire d’impianto tradizionale, piuttosto fedele al libretto e allo stesso tempo illuminato da qualche stimolante intuizione.
Purtroppo non sono ancora disponibili le foto della serata (a parte le due che troverete più avanti, che si riferiscono alle prove) perciò vi rimando alle immagini che scattai io nel 2011.
Don Giovanni vive in simbiosi con la sua abitazione nelle cui stanze si sviluppa tutta la vicenda. Potremmo affermare che il palazzo è una delle incarnazioni del libertino, un uomo che muta stati d’animo a velocità della luce allo stesso modo in cui, vorticosamente, ruotano gli ambienti della sua casa. In queste stanze, come marionette prive di volontà perché esistono solo in funzione dei capricci del gran burattinaio burlador, si muovono gli altri personaggi. Personaggi che suggeriscono tutti i vizi e le paure di Don Giovanni stesso: la dissolutezza, il sadomasochismo, la paranoia, le allucinazioni, il panico, la paura della morte. E altro, difficile da sintetizzare sino a quando il cerchio non si chiude nel finale con una specie di coup de théâtre magari non originalissimo, ma di sicuro effetto.
Davvero memorabile nella sua selvaggia semplicità la trasformazione della famosa cena in un’orgia sfrenata, scena che pur prevedendo abbondanti nudità non ha assolutamente nulla di volgare o peggio ancora di manierato, didascalico, stolidamente illustrativo. Chi se ne intende, almeno un po’, di simbolismo psicoanalitico si può divertire a ricercare i significati meno palesi di alcune scene particolarmente ansiogene: vedi Don Ottavio incapace di aprire le porte mentre canta l’aria Il mio tesoro intanto.
L’idea di Michieletto è realizzata in modo brillante dalle scene imponenti e al contempo claustrofobiche di Paolo Fantin, dai costumi semplici ma bellissimi di Carla Teti e dalle luci inquietanti ed evocative di Fabio Barettin, che proiettando e ingigantendo le ombre dei protagonisti accrescono la tensione.
Insomma un esempio di come una regia possa incrementare il fascino di una delle vette dell’Arte tout court.
Anche dal lato prettamente musicale arrivano buone notizie, a partire dalla direzione tesa e stringente di Stefano Montanari, capace di evidenziare il lirismo delle arie (cos’erano gli archi “sotto” Dalla sua pace!) e allo stesso tempo di enfatizzare senza clangori le strette e le pagine più nervosamente concitate dell’opera, ben supportato da una brillante Orchestra della Fenice.
Alessio Arduini, nonostante una voce non torrenziale interpreta splendidamente la parte del protagonista grazie a un fraseggio eloquente e cesella un Don Giovanni nevrotico, tracotante ma allo stesso tempo fragile e vittima dei propri fantasmi.
Alex Esposito è un Leporello incontenibile, ipercinetico e qualche volta un po’ troppo sopra le righe ma nella visione registica di Michieletto l’eccesso è anche contenuto oltre che forma e perciò questa esuberanza contribuisce a delineare in modo convincente il personaggio.
Nella geniale opera di Mozart il ruolo di Donna Elvira è fondamentale, verrebbe quasi da dire che sia il motore della vicenda. Maria Pia Piscitelli è sembrata in qualche occasione affaticata dal punto di vista vocale, ma ha ampiamente compensato qualche incertezza nelle agilità con una straordinaria prestazione attoriale che le ha consentito di restituirci il ritratto incisivo di una donna palpitante e passionale, vera.
Molto buona la prestazione di Jessica Pratt (Donna Anna), più coinvolta del solito anche dal punto di vista scenico e in ogni caso dotata di grandiose potenzialità vocali, che le hanno consentito di eseguire brillantemente le sue bellissime arie, mentre i recitativi mancavano, a volte, di quella dizione scolpita e di quell’accento che li valorizzano.
Ottimo Juan Francisco Gatell, tenore che di volta in volta conferma una costante crescita artistica. Don Ottavio è una parte di grande difficoltà, non particolarmente acuta, ma richiede un controllo perfetto della respirazione altrimenti non se ne viene a capo. Eccellente, in particolare, la grande aria Il mio tesoro intanto, cantata con gusto e pertinenza stilistica nonostante il grande impegno fisico richiesto dalla regia.
Brillante, peperina il giusto ma capace anche di ripiegamenti malinconici la Zerlina della brava Caterina Di Tonno e convincente l’imbronciato e infantile Masetto di William Corrò. Buono anche l’apporto di Attila Jun, autorevole Commendatore.
Bravissimi gli artisti del Coro, assai impegnanti anche dal lato scenico. Un plauso a Roberta Ferrari, impeccabile e precisa al cembalo.
Prima della recita una rappresentante sindacale ha espresso (in italiano e inglese) solidarietà ai colleghi del Teatro dell’Opera di Roma e ha duramente (e giustamente) stigmatizzato l’assurda decisone presa nella capitale nei confronti di coro e orchestra.
Teatro esaurito, successo pieno per uno spettacolo di altissimo livello artistico complessivo. Alle singole trionfo per Alex Esposito e vivissimo apprezzamento per tutta la compagnia.
In chiusura un paio di curiosità semiserie: la povera Maria Pia Piscitelli è scivolata nella scena che precede l’apparizione del Commendatore e ho seriamente pensato che si fosse fatta male, ma per fortuna mi sbagliavo.
Alex Esposito invece di dire Questo pezzo di fagiano piano piano vo’ inghiottir ha detto fagianA. E vedendo la scena, effettivamente…
A seguire la locandina, un saluto a tutti, alla prossima!
VENEZIA, TEATRO LA FENICE 12 ottobre 2014: Don Giovanni |
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Don Giovanni |
Alessio Arduini |
Donna Anna |
Jessica Pratt |
Don Ottavio |
Juan Francisco Gatell |
Il Commendatore |
Attila Jun |
Donna Elvira |
Maria Pia Piscitelli |
Leporello |
Alex Esposito |
Masetto |
William Corrò |
Zerlina |
Caterina Di Tonno |
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Maestro concertatore e direttore Stefano Montanari |
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Regia |
Damiano Michieletto |
Scene |
Paolo Fantin |
Costumi |
Carla Teti |
Light designer |
Fabio Barettin |
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Orchestra e Coro del Teatro La Fenice |
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti |
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Ciao Amfortas, io questo Don Giovanni di Michieletto prima o poi devo proprio vederlo, e che bel cast – mi incuriosisce la Donna Anna della Pratt!
Nel suo Masetto a Salisburgo, Arduini (per quanto si può giudicare da una trasmissione tv) mi è piaciuto. Sono curiosa per la fagianA, ma immagino di dover aspettare le foto per capire (aneddoto a proposito di vocali: sempre guardando lo spettacolo da Salisburgo ho gustato il “bifolchiccio vil” rivolto ad Arduini dal mio Don di riferimento).
Non sapevo dei braccini da selfie con tecnologia bluetooth. Vedi che passi avanti, la tecnologia. Ne avrai comprati tre, immagino.
Baci, Laura
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Laura, ciao! Questo è davvero un bellissimo Don Giovanni e vale una gita in laguna. Credo che lo riprenderanno anche in futuro perché riscuote sempre successo. Arduini aveva già ben figurato nel Così Fan tutte, l’anno scorso. Tra l’altro, non so se lo sai, Michieletto ha pensato alla trilogia nel suo complesso, perché l’impianto scenografico di base resta lo stesso.
Sul sito del teatro le foto non ci sono ancora perciò risolvo io l’arcano: siccome la scena della cena è trasformata in un’orgia, Leporello addenta il piedino di una ragazza e non il noto volatile. Sui braccini da selfie, perdonami, ma mi astengo. Come forse avrai visto dal commento di Alucard non sono riuscito a nascondere la gioia della scoperta.
Alla Pratt manca sempre qualcosa per passare da brava a magnifica, o perlomeno è sempre stato così nelle ormai numerose volte che l’ho vista a teatro.
Ciao 🙂 e grazie!
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Arrivi sempre tardi. Settimana scorsa, in Piazza Duomo a Milano, c’erano decine di idiots che giravano con quei terribili bastoni da selfie. Eppoi: dove e’ la foto dei pantaloni del direttore? E io come faccio ad andare a dormire questa sera con la terribile curiosita’ che mi attanaglia il cervello?
Iris
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Iris, ciao. Sì sono tardo, lo so bene. E sono provinciale, l’ultima volta che ero a Milano un tipo ha cercato di vendermi il Duomo e non abbiamo concluso solo perché non avevo a mano i 100Euro che mi chiedeva. Non ho foto dei pantaloni, ma erano un’orrida commistione tra l’animalier e il camouflage. Non so se mi spiego.
Ciao e grazie!
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Leggendo la tua recensione ho praticamente rivisto lo spettacolo: bravo!
Lo spettacolo merita molto, ma mai quanto la tua faccia dopo che hai visto il braccio telescopico 🙂
Alla prossima!
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Alu, ciao. Ti prego, non infierire. Devo ancora riprendermi soprattutto ora che ho realizzato che l’accrocchio è ormai di casa ovunque. Vivo fuori dal mondo, o meglio, vivo a Trieste.
Ciao e grazie!
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è la nuova religione. Una volta (al tempo di Don Giovanni) c’erano le donne col rosario in mano, oggi tutti – uomini e donne – religiosissimi col selfie in mano. (o col prolungo, che il rosario queste cose non le ha mai avute).
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Giuliano, ciao! Guarda, davvero non so che dire, anche perché la parte del fustigatore di costumi non mi piace poi tanto. Però, obiettivamente, questa dei selfie è proprio una moda stupidina. Ieri un mio amico di tastiera ha scritto una cosa che mi sento di sottoscrivere, te la linko qui.
Ciao!
Ecco qui, Lapo.
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Ho visto Don Giovanni a la Fenice e non mi ha piaciuta, il twist del ulitma scena che il direttore ha nserito. Mi piaceva vedere piu colore nell abiti e nelle scene che erano prive di colore, e meno nudita e oscenita che ha ridotto l opera un po redicola in qualche scene. Qualche volta l orchestra superava il canto.
Communque mi ha piaciuto la prestazione degli artisti principali, il coro e le mure finte che giravano quasi continuamente.
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Alex, ciao. Mi spiace che non ti sia piaciuto l’allestimento che io invece considero tra i più belli e intriganti degli ultimi anni. Non mi sembrava neanche particolarmente forte dal punto di vista delle nudità e soprattutto non ho trovato mai volgarità. Almeno concordiamo per quanto riguarda i cantanti 🙂
Ciao e grazie.
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