I miei fan mi perdoneranno, ma oggi salto la parte più interessante e cioè quella che riguarda l’orrida Venezia, perché ieri c’era tanta gente che mi devo ancora riprendere dall’ansia. Vi dico solo che davanti a me, in platea, c’era Paolo Bonaiuti che batteva il tempo sulla moglie che gli stava seduta vicino. Una tragedia agghiacciante. E io posso pure sfidare i gabbiani assassini ma i politici no eh? Quindi abbiate pietà (strasmile).

Quando s’inizia a parlare di Die Zauberflöte (Il Flauto magico) di Mozart è inevitabile fare riferimento al cosiddetto viaggio iniziatico e, qualche volta, si rischia di complicare un po’ l’approccio sia all’ascolto e alla visione dell’opera sia la lettura di una recensione.
In realtà il viaggio iniziatico è solamente quello che noi, tutti noi, abbiamo intrapreso seppure con modalità diverse: è un percorso che porta alla coscienza civile e alla maturità, alla distinzione tra il bene e il male (in minuscolo entrambi, ché non sopporto la retorica inutile) e in generale alla conoscenza. Mozart aggiunge qualche difficoltà – sia detto con il sorriso sulle labbra – a questo percorso così trafficato, disseminandolo di simboli esoterici e massonici in particolare. 
Damiano Michieletto, regista di questa nuova produzione alla Fenice di Venezia, dà della Zauberflöte un’interpretazione che mi è sembrata né più né meno che memorabile, perché coglie in pieno lo spirito del lavoro mozartiano riproducendo il viaggio iniziatico in un ambiente familiare a chiunque: l’aula di una scuola (che, a vedere le crepe sulle pareti, è sicuramente pubblica) immersa in uno spazio onirico dove i personaggi dell’opera interagiscono e crescono insieme, ognuno con le proprie difficoltà emozionali e affettive da superare.
Creando questo non luogo Michieletto non pecca d’intellettualismo e, anzi, il lato fiabesco è ben evidenziato e valorizzato attraverso le proiezioni sulla “lavagna” attorno alla quale gira lo spettacolo. Una volta di più è certosino il lavoro sulla recitazione e sulle controscene, un valore aggiunto che molti scenografi prestati alla regia sconoscono.
Lo spettacolo è impossibile da raccontare, va visto in teatro, e se proprio devo trovare un limite a quest’allestimento è che pare addirittura troppo ricco di inventiva pur mantenendo un’ammirevole coerenza drammaturgica.
Le scene di Paolo Fantin sono molto ben realizzate e allo stesso modo sono splendide le luci di Alessandro Carletti. Ricchi di fantasia i costumi di Carla Teti e mirabolanti le proiezioni di Carmen Zimmermann e Roland Horvath.
È un allestimento colto e intelligente, privo di trovate gratuite, rispettosissimo del senso del testo e dello spirito dell’opera e totalmente estraneo a qualsiasi tentazione di épater le bourgeois.
Ho grande stima di Antonello Manacorda, che mi pare trovare in Mozart una dimensione artistica confortevole e anche questa volta sono rimasto favorevolmente colpito dalle sue scelte interpretative. Il direttore ha la capacità di condurre tempi stringati (e lo si capisce già dall’Ouverture) senza che il suono orchestrale ne esca troppo secco o impoverito. Allo stesso tempo non mancano il brio e la brillantezza ed è fondamentale in un’opera come questa, che al primo livello di lettura può essere considerata una meravigliosa fiaba. Nei momenti che definirei più ieratici è bandita la retorica a favore di una snella narrazione, arricchita da una connotazione sonora più importante ma raffinata ed espressiva, che mai scade nella ridondanza. Ottima è sembrata anche l’attenzione al palco, in uno spettacolo che chiede alla compagnia artistica anche doti dinamiche e attoriali notevoli. E, circostanza fondamentale, l’ispirazione interpretativa è sempre “in tono” con quella registica. In questo modo la musica e la regia si compenetrano e ricreano per l’ennesima volta quella magia che chiamiamo “teatro lirico”.
Eccellente il rendimento dell’Orchestra della Fenice, così come magnifico è stato il Coro, per l’occasione affidato a Ulisse Trabacchin.
Antonio Poli ha dato vita a un Tamino di assoluto rilievo, affrancandolo da certe svenevolezze d’antan che affliggono ancora i tenori mozartiani. L’ingenuità e l’innamoramento si possono esplicare anche con una voce virile, sonora e omogenea.
Ekaterina Sadovnikova non sarà la Pamina del secolo ma nonostante il timbro un po’ anonimo ha tratteggiato un personaggio convincente dal lato vocale e incisivo dal punto di vista attoriale.
Strepitoso Alex Esposito, che è talmente bravo e disinvolto come attore che spesso ci si scorda che è anche un eccellente cantante, capace di gestire sempre al meglio una voce dal bel timbro e di volume importante. Il suo Papageno ingenuamente ipercinetico ma mai sopra le righe è da ricordare.
Olga Pudova si è ben disimpegnata nella difficile parte della Regina della Notte e poco importa se i fa sovracuti di Der Hölle Rache le siano costati qualche fatica, perché il personaggio, spogliato dei consueti tratti da virago, ha acquisito una femminilità materna che di solito resta in ombra.
Buona anche la prova di Goran Jurić, soprattutto per l’intensità e la varietà di fraseggio, mentre la voce è sembrata mancare di quella severa morbidezza che richiederebbe la parte di Sarastro.
Molto bravo anche Marcello Nardis (Monostatos), al quale Michieletto richiede una caratterizzazione insidiosa che il tenore risolve bene sia dal lato scenico sia da quello vocale.
Spigliate e divertenti, oltre che vocalmente a posto, le Tre Dame Cristina Baggio, Rosa Bove e Silvia Regazzo negli inconsueti panni di suore istitutrici alquanto vivaci.
Spiritose e brave le due Papagena, l’attrice Daniela Foà e il soprano Caterina Di Tonno.
Bravi i ragazzini solisti del Münchner Knabenchor, qui trasformati in minatori che guidano i personaggi nelle viscere della conoscenza.
Completavano discretamente la compagnia artistica Michael Leibundgut, William Corrò e Federico Lepre.
Teatro esaurito e alla fine successo per tutti, con applausometro a fondo scala per Alex Esposito e Antonio Poli.
Venezia, Teatro La Fenice 24 ottobre 2015: Die Zauberflöte di W.A.Mozart |
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Sarastro |
Goran Jurić |
Tamino |
Antonio Poli |
Oratore |
Michael Leibungdut |
Primo sacerdote/secondo armigero |
William Corrò |
Primo armigero/secondo sacerdote |
Federico Lepre |
Pamina |
Ekaterina Sadovnikova |
Papageno |
Alex Esposito |
Papagena |
Caterina Di Tonno |
Regina della notte |
Olga Pudova |
Prima dama |
Cristina Baggio |
Seconda dama |
Rosa Bove |
Terza dama |
Silvia Regazzo |
Monostatos |
Marcello Nardis |
Tre geni |
Solisti del Münchner Knabenchor |
Una vecchia |
Daniela Foà |
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Direttore Antonello Manacorda |
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Regia |
Damiano Michieletto |
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Scene |
Paolo Fantin |
Luci |
Alessandro Carletti |
Costumi |
Carla Teti |
Video designer |
Carmen Zimmermann e Roland Horvath |
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Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
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Maestro del coro Ulisse Trabacchin |
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Bello spettacolo che ha di sicuro vivacizzato un’opera che ha qualche punto morto. Come al solito concordo in tutto.
Unica domanda: le figure con teste animali cosa rappresentavano? Forse è spiegato sul libretto di sala.
P.S. Mi sorprende che fosse Bonaiuti a battere il tempo e non la moglie (strasmile).
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Alu, ciao. Non ho letto il programma di sala perché non ne ho avuto ancora il tempo. Forse le bestie antropomorfe volevano significare che a Venezia non ci sono solo i gabbiani assassini, ma anche animali meno spaventosi 😊
Quando hai tempo e voglia mi dici che ti ha raccontato sulla recita quella splendida ragazza che conosci (non qui, ovvio). Forse si riferiva alla lama della spada o fioretto che fosse o, pensavo stanotte, al rogo che non è divampato. A Venezia hanno una lunga tradizione di fuochi veri in palco (non sto facendo battute di cattivo gusto, mi riferisco agli spettacoli) e io mi aspettavo una bella vampata. Chissà, forse avrebbe mandato fuori tempo almeno uno dei due coniugi vip…
Ciao e grazie!
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Bonaiuti… fammi pensare… un portiere di riserva della Juve, poi titolare nell’Udinese. Era lui? (come fai a riconoscerlo, oggi? mica dalle figurine Panini…)
🙂
sic transit gloria mundi – beh, almeno io lo spero…però non si sa mai
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Giuliano, ciao. Sai che non mi ricordavo del portiere? Davvero, eppure da juventino di solito ho una memoria da elefante per queste cose. Oltretutto ieri, quando ho letto della scomparsa di Tumburus – ok, con la Juve non c’entrava – ci sono rimasto malissimo. A casa mia Paride era molto noto, perché faceva parte del Bologna che vinse lo scudetto nel 1964 e sai, mio papà era interista 😉
Ciao Giuliano e grazie.
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…ma Janich era triestino?
🙂
(sic transit etc era riferito all’ex ministro, ma temo che ce ne ricorderemo a lungo…)
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Credo che Janich sia friulano, ma non ne sono sicuro.
In realtà il Buonaiuti non è stato riconosciuto da me bensì dai miei due torbidi compagni di teatro….
Ciao!
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Solo una domanda: che cosa c’è che non va nel Flauto Magico di Mozart per doverlo stravolgere con questa puerile e risibile parodia?
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gattomannaro, ciao! Sono un tuo fedele lettore e ti ammiro molto per la tua crociata contro i registi, e anche per il tuo stile scanzonato. Mi spiace – in questo caso – non essere d’accordo con te. Dal mio modesto punto di vista il Flauto magico di Mozart è stato onorato dall’allestimento di Michieletto e tutt’altro che stravolto. Abbiamo opinioni diverse, succede 🙂
Ciao e grazie per il tuo primo intervento da queste parti.
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Ovvio che intendevo il tuo “primo intervento” in veste felina, no? Ciao!
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