Succede che anche un vecchio trombone pantofolaio come me vada in trasferta: questa volta la mia meta è stata Lubiana, dove c’è un Teatro dell’Opera che, come potete vedere, è di una bellezza allucinante.

Il palazzo è stato costruito nel 1892 e l’ispirazione architettonica è, diciamo così, molto familiare (strasmile).
Le meraviglie proseguono all’interno e…

…anche sul palco, in quest’occasione, le cose sono andate molto bene.
Il Teatro dell’Opera di Lubiana è un gioiellino che si trova a meno di un’ora di automobile da Trieste e vi si svolge un’interessante stagione lirica e di balletto.
Nei giorni scorsi era prevista una nuova produzione di Káťa Kabanová di Leóš Janáček, uno dei tanti geniali compositori che nei teatri italiani trovano poco spazio perché sono ritenuti “difficili” per un pubblico legato a doppio filo con il repertorio classico e, scusate, più scontato. Si pensi, solo per fare un esempio, che al Teatro alla Scala di Milano questo capolavoro è stato rappresentato per la prima volta dieci anni fa!
Per fortuna negli ultimi anni qualche episodica produzione ha cercato di riparare in qualche modo a una deficienza culturale imbarazzante, ma Janáček continua a essere un artista straordinario a insaputa dell’appassionato medio.
Tratta da un dramma di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij (Il temporale), Káťa Kabanová è uno dei capolavori sommi del Novecento operistico, esordì a Praga nel 1922 e racconta una storia di disagio personale nell’ambito di una famiglia (piccolo) borghese in Russia.
La trama è molto semplice e in estrema sintesi si può descrivere così: alienata e perseguitata da una famiglia oppressiva e in particolare da Marfa, suocera tiranna, Káťa tradisce il marito Tichon. Distrutta dal rimorso, confessa la sua “colpa” pubblicamente mentre è in corso un violento temporale. La povera ragazza non regge il successivo terremoto emozionale e si uccide gettandosi nel Volga.
L’allestimento di Frank Van Laecke è riuscito e piacevole nel suo minimalismo scarno ma espressivo, curatissimo nei particolari, coerente con lo spirito dell’opera e realizzato bene nelle scene di Philippe Miesch che si amalgamano virtuosamente con le splendide luci dello stesso Van Laecke e di Jasmin Šehić. Eleganti e appropriati i costumi firmati da Belinda Radulović.
Il lavoro sulla recitazione dei cantanti è certosino e non si limita solo ai protagonisti ma coinvolge l’intera compagnia artistica; le efficaci controscene e le coreografie (Frank Van Laecke, Gregor Luštek) danno ulteriore movimento a uno spettacolo teso, dinamico e agile. Insomma, una lezione di teatro musicale.
La concertazione di Jaroslav Kyzlink è coerente con l’espressività della regia e la circostanza è da sottolineare perché avviene sempre più raramente. Molto buona la prova del Coro e dell’Orchestra del Teatro di Lubiana, che brilla in tutte le sezioni.
Il direttore sceglie agogiche stringenti, tese, ma non rinuncia certo a impreziosire le poche oasi liriche e i rarefatti squarci melodici della ricchissima partitura mantenendo sempre un’ammirevole trasparenza di suono e un passo teatrale spedito. Le dinamiche sono varie ma controllate anche nei momenti in cui basterebbe un niente per riuscire clangorosi.
Ottimo il rendimento dei cantanti, tutti artisti residenti del teatro, che hanno affrontato scritture vocali scomode, caratterizzate da un declamato a volte anche violento e arduo da rendere senza cadere nel parlato. Brillanti – e vale per tutti – anche le capacità attoriali di recitazione e mimica.
Brilla, nella parte eponima, la bravissima Urška Breznik, capace di tratteggiare con classe le mille sfaccettature di un personaggio tormentato con voce ampia, di colore accattivante e ben gestita anche negli acuti. Commovente il delirante finale, che a tutti gli effetti considero una scena della pazzia.
Vlatka Oršanić è stata una Marfa fredda, quasi feroce nella sua crudeltà. Bene anche i due tenori Rusmir Redžić, imbelle Tichon e Edvard Strah, passionale Boris. Elegante e impeccabile dal lato vocale Elena Dobravec (Varvara) e a posto anche Matej Vovk, coinvolto Kudryash. Buona la caratterizzazione di Saša Čano, Dikoj arrogante e violento.
Meritano una citazione di merito anche gli interpreti delle parti minori: Ivan Andres Arnšek (Kuligin), Barbara Sorč (Glasha), Klementina Savnik (Feklusha), Višnja Fičor, Aljaž Žgavc e la ballerina e mima Urša Vidmar.
Pubblico sufficientemente numeroso, considerato che ho assistito alla terza replica consecutiva dello spettacolo che ha riscosso un grande successo. Premiata dagli applausi e da numerose chiamate al proscenio tutta la compagnia artistica; entusiasmo per la magnifica Urška Breznik.
Di questa Káťa Kabanová c’è ancora un’ultima recita venerdì 27 maggio, consiglio di organizzare una trasferta.
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