Ho sempre pensato che la regia possa essere un valore aggiunto a un’opera lirica, e per questa mia convinzione ho dovuto pure litigare – si fa per dire – e rispondere a mail sdegnate di appassionati scandalizzati per allestimenti a loro parere troppo azzardati. Il problema principale è che per fare una regia non bastano le idee, bisogna anche saperle realizzare bene dal punto di vista scenotecnico.
A seguire la cronaca di una serata che – dal punto di vista di cui sopra – è risultata davvero infelice.
Poi, perché il pubblico triestino abbia massacrato la regia del Flauto magico e lasciato passare l’orribile messa in scena di ieri sera, resta un mistero insondabile.
La sonnambula, che mancava al Teatro Verdi dal 2007, è esempio paradigmatico di opera scritta dal compositore in base ai cantanti che aveva a disposizione. Vincenzo Bellini, per sua fortuna, poteva contare su Giuditta Pasta e Giovanni Battista Rubini e cioè due miti del Belcanto, spesso presenti ai debutti di opere considerate immortali: Norma, Il pirata, I Puritani dello stesso Bellini e Anna Bolena di Donizetti, per citare le più note.
I personaggi protagonisti, Amina ed Elvino, a loro volta corrispondono a due dei caratteri più gettonati dell’opera della prima metà del 1800. La giovane ragazza ingenua e povera, ingiustamente sospettata di immoralità, che si riscatta nel lieto fine e l’amoroso possidente e geloso, un po’ arrogante e un po’ piagnone, che minaccia sfracelli a ogni piè sospinto ma poi si arrende all’evidenza e accompagna docilmente all’altare l’amata.
La trama è esile, ingenua, delicata, gentile, anche a volerla sovraccaricare di simboli freudiani – che pur ci sono nel libretto di Felice Romani – connotandola degli stereotipi tipici della pazzia femminile, altro cavallo di battaglia del Belcanto.
Dove troviamo, oggi, gentilezza e delicatezza? Da nessuna parte, ed è proprio per questo che l’Arte è salvifica, l’ho scritto mille volte: ci permette di sospendere per un paio d’ore gli strilli angosciosi della realtà.
La vicenda si svolge in un ambiente rurale e idillico, un villaggio svizzero sulle Alpi che è già una scelta drammaturgica, perché sulle cime alte ed innevate la collocazione di una fanciulla innocente acquista rilievo maggiore integrandosi perfettamente con la purezza della natura incontaminata. Natura che è evocata più volte con richiami ai fiori, alle foreste, ai paesaggi.
Insomma, La sonnambula sembra opera inattuale e lontana dal nostro sentire come poche altre.
Giorgio Barberio Corsetti, che firma la regia dell’allestimento qui ripreso da Fabio Cherstich, decide di trascurare l’ambientazione bucolica originale e punta invece l’attenzione sulle incerte dinamiche psicologiche del passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, accentuando con una scenografia ad hoc il lato onirico della vicenda.
Le scene di Cristian Taraborrelli – artefice anche dei costumi – sono piuttosto complesse e difficili da descrivere, perché situate nella mutevole terra di nessuno che sta tra un’incerta realtà e un vagheggiamento immaginario. Le idee però devono anche essere ben realizzate e, in questo caso, non è stato così.
C’è troppa confusione sul palco, le casette/montagne, le poltrone e i letti giganti muovono più al fastidio che alla riflessione e le macabre marionette – che dovrebbero evocare i personaggi in scena – si guardano con superstizioso disagio. Come se non bastasse, i continui movimenti degli oggetti scenici paiono spesso inutili e soprattutto sono rumorosi. Ridicola la gestualità imposta agli incolpevoli artisti del coro, che in diverse occasioni più che suggerire la partecipazione emotiva dei villici ricorda una stremata seduta di ginnastica aerobica per la terza età. L’impianto luci, di Marco Giusti, non incide in alcun modo sullo spettacolo. Allestimento, a parer mio, davvero pretenzioso, brutto e che svilisce la cristallina poetica belliniana.
Per fortuna, con qualche distinguo, la parte musicale è stata molto più centrata.
Pur con qualche incertezza si comporta bene il Coro, ben preparato da Francesca Tosi.
Guillermo García Calvo è bravo ad accompagnare i cantanti senza perdere il filo della narrazione teatrale, che nonostante qualche indugio rimane abbastanza fluida. Forse, nelle prossime recite, il direttore potrebbe osare qualcosa di più nelle dinamiche che a tratti sono sembrate eccessivamente prudenti.
L’Orchestra del Verdi gli risponde con la consueta professionalità e un plauso particolare va ai legni.
Nei panni della protagonista, Aleksandra Kubas-Kruk conferma la buona impressione già manifestata nel Rigoletto che ha aperto la stagione triestina. La sua Amina si colloca in affollata compagnia nel filone dei soprani leggeri di coloratura estesi in alto, con acuti e sovracuti penetranti e agilità solide anche se non proprio fluidissime e liquide. L’interprete è peraltro un po’ inerte nel fraseggio, tanto che tra indiscutibili prodezze vocali fa capolino un po’ di noia perché il personaggio ne esce unidimensionale e datato, moderatamente empatico. In ogni caso il pubblico le ha riservato applausi a scena aperta e un’ovazione alla fine.
Deficitaria la prestazione di Bogdan Mihai il quale, pur migliorando nel secondo atto, tratteggia un Elvino anodino, grigio e piatto nel canto, privo di estatico slancio amoroso e più isterico che orgoglioso nell’esprimere la propria gelosia. Nei concertati, inoltre, la voce – sovrastata nei duetti col soprano – scompariva del tutto.
Buona la prestazione di Filippo Polinelli nei panni del Conte Rodolfo, di cui ha restituito l’enigmatica ambivalenza di fondo ma anche la nobiltà nel fraseggio e nel portamento.
Molto buona la prova di Olga Dyadiv, che ha dato un inconsueto rilievo vocale e scenico al personaggio di Lisa, cogliendone le ambiguità e le ingenue ambizioni.
Brava anche Namiko Kishi, Teresa accorata e partecipe, e accettabile il rendimento di Marc Pujol (Alessio) e Motoharu Takei (Notaio).
Il pubblico, non straripante, ha tributato un trionfo a Aleksandra Kubas-Kruk, nutriti applausi a tutta la compagnia artistica e qualche isolato dissenso a Bogdan Mihai.
Si replica sino a sabato prossimo e due recite – 6 e 11 maggio – sono previste con Giorgio Misseri (Elvino) e Jeanette Vecchione (Amina).
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Ho appena visto la seconda compagnia (Sabato): era super! Jeannette Vecchione e’ stata grande, il tenore ottimo! Se ce la fa, vada a vederla e ci faccia una recensione: merita!
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Pier Luigi, buongiorno, purtroppo non ho tempo per recensire anche il secondo cast. Conosco molto bene le qualità di Giorgio Misseri per averlo ascoltato più volte a Trieste e Venezia e non ho dubbi sulla sua propensione per questo repertorio.
Ciao e grazie.
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sul perché di certi applausi e di certi fischi mi sono interrogato spesso anch’io… una spiegazione possibile è che il pubblico cambia di recita in recita, ma non è del tutto sufficiente. Il problema con i registi (conosci già la mia posizione) è che troppo spesso pensano solo al soggetto (alla “trama”) e non a tutto l’insieme. Alle volte basterebbe seguire la musica (questa è una battuta di spirito, s’intende), pensare a quello che scriveva Verdi nelle sue lettere, “trovare la tinta giusta” sia per la musica che per la regia. Devo dirti che qui sul versante Milano ho sbuffato e non poco (sto sbuffando un po’ anche adesso) dopo aver letto le interviste a Salvatores per La Gazza Ladra. La gazza è solo un accenno nel finale dell’opera… piuttosto che sulla gazza come volatile io avrei posto l’accento sul terribile Podestà, che imperversa e che tra l’altro in quell’opera ha una scena grandiosa. Sarebbe stato un dettaglio (una “tinta”) di grande attualità, purtroppo. Ma qui sto cambiando opera, perciò mi fermo subito 🙂
(son lontano da Trieste…)
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Giuliano , ciao. Come puoi immaginare sono al corrente della situazione a Milano e, in generale, nei teatri. Abbiamo discusso anche qui molte volte la questione delle regie che, a mio parere, è uno di quegli argomenti complessi in cui la ragione o il torto non stanno da alcuna parte, anche perché spesso – molto spesso – si tende a difendere la propria posizione e basta. Io, come appassionato in primis e come critico poi, credo che si debba valutare di volta in volta. Nella mia esperienza i registi sono assai più preparati di quanto si voglia far credere, e non solo sulla trama ma anche sul contesto storico e musicale. Certo, non tutti.
Le lettere di Verdi sono una lettura fantastica 😉
Ciao Giuliano e grazie per la costanza nei tuoi sempre stimolanti commenti. Paolo
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Caro Paolo, abbiamo appena finito di vedere la recita odierna (giovedì 11) con il secondo cast, ma la soprano è stata sostituita- credo- proprio dalla Kubas Kruk (bionda?). Bravissima, peraltro. Rebechìn del dopo teatro e commento di Amfortas entrambi divorati avidamente.
Come sempre pienamente d’accordo con te. Non aggiungo nulla sulla regia, ispirata da Gulliver, Podrecca ma soprattutto Fellini col suo lettone della Città delle Donne. Per di più, come sottolinei, distraente e rumorosa (e vagamente angosciante: ce la faranno a saltare sulla poltrona? e per scendere? e una volta arrampicata sul comò come farà senza scala?). Per fortuna c’erano gli operai con cilindro e bretelle a rimediare e a portare tutti a spasso.
Prestazione musicale buona. Direzione, orchestra e coro degni. Bravissime le cantanti: notevole Amina, squillante Lisa, brava la mamma orientale. Autorevole anche il conte di Marc Pujol. Ma ancora una volta, poco soddisfatto del tenore anche se, a sentire il tuo resoconto, non dovrei lamentarmi. Mi dici che Giorgio Misseri va bene, e mi fido. Avrà fatto meglio di Bogdan Mihail e così son contento. Comunque, se posso parlare da profano, un gradino sotto. Voce un po’ gridata, arrampicata sui toni alti. Timbro leggero, poco intenso; voce non calda. Presenza scenica modesta. Per farla breve, mi sono consolato su you tube con Alagna/Gheorgiu e Gedda/Freni..
Un caro saluto, alla prossima
Pier
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Pier, carissimo, ciao.
In questa occasione ho sentito e letto i pareri più disparati sull’allestimento e sulla regia, tutto sommato credo sia una questione di gusti, anche se dal mio punto di vista lo spettacolo non era centrato. C’è da dire che – non so per quali motivi, forse economici – qui a Trieste mancavano le proiezioni che invece c’erano nella produzione originale, quindi non abbiamo visto del tutto quello che Corsetti aveva pensato.
Per quanto riguarda i cantanti sicuramente avete visto la Kubas Kruk. La parte di Elvino è per tenore di grazia, perciò quasi mai si ascoltano cantanti con voci grandi, difficili da gestire vista la tessitura molto alta della parte. Misseri, in linea generale, ha voce adatta a queste parti. Poi sul fatto che il timbro non ti sia piaciuto rientra nella tua sensibilità personale.
Io l’ho ascoltato più volte e l’ho trovato sempre convincente perché tecnicamente è ferrato, sale agli acuti con facilità ed evita di strafare. La parte del Conte, ti correggo, è stata cantata da Filippo Polinelli. Per finire, non vorrei dire un’eresia ma credo che la Freni non abbia mai cantato Amina in teatro, né mi risulta una incisione in studio. Probabilmente ti riferisci al disco di duetti registrato con Gedda.
Ciao e grazie, Paolo
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Be’, bravo Polinelli, autorevole, pienamente nella parte e con bella voce (meno come lillipuziano che si arrampica su lettoni e cassettoni). Per la Freni, hai senz’altro ragione, ho cercato su you tube e ho trovato e sentito la coppia Gedda/Freni non videata (quindi su disco). Oltre a Kraus (con Moffo credo), che mi hai recentemente segnalato.. anche se ho imparato da te che una cosa è dal vivo e una cosa dalla registrazione. In questo senso forse sono stato ingeneroso con Misseri ( di cui ho letto il notevole curriculum) ma, come dici tu, alla fine una voce o piace o non piace.
Un abbraccio
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Pier, ciao. Sì, tieni conto che – soprattutto una volta, quando c’era la possibilità economica – le incisioni potevano avvenire anche in qualche mese. Puoi immaginare quindi con quale facilità di “rattoppare” qualche nota sporca o simili. Il teatro è fantastico anche per questo, ogni sera si ascolta qualcosa di diverso.
Ciao, Paolo
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