Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Recensione abbastanza seria di La fille du régiment di Gaetano Donizetti al Teatro Verdi di Trieste: Andrea Binetti, gran primadonna.

Insomma, anche questa è andata nonostante la mia temporanea infermità motoria. Infatti, novello Toti, ho lanciato la carrozzina oltre l’ostacolo e mi sono visto la prima in un lussuosissimo e per me inusuale palco.
Certo, mi sono perso più volte nei meandri del teatro e a un certo punto mia moglie ex Ripley mi ha usato indegnamente per fermare le porte dell’ascensore, ma pazienza (strasmile).

La fille du régiment di Gaetano Donizetti è un’opera di difficile collocazione, poiché se è vero che alcuni stilemi sono tipici dell’opèra-comique è altrettanto vero che l’influenza melodica prettamente italiana ne caratterizza le arie e anche la parte orchestrale. Mi verrebbe da dire perciò che la Fille è una specie di autoritratto in musica del suo autore, che viveva a Parigi ma aveva sempre con lui il bagaglio tecnico e di esperienza di operista italiano.
Il Teatro Verdi di Trieste ha riproposto l’opera in un allestimento che si rifà a quello del 2009 (firmato da Davide Livermore) di cui mantiene parzialmente le scene di Pier Paolo Bisleri: tutto il resto cambia ed è affidato alla regia e alle luci di Sarah Schinasi la quale, cito la nota sul libretto di sala, sostiene che

la scatola del palcoscenico sia un’unità dove si racconta la storia di Marie e Sulpice e gli artisti dialoghino tra loro senza mai rivolgersi al pubblico direttamente, con diagonali e posizioni di riflessione che li obbligano a costruire l’interiorità del personaggio sulla parola al ritmo della musica e su questo filo creare la relazione che viaggia dal palcoscenico al pubblico.

 

Boh. Un tanto dovevo ai lettori.
Lo spettacolo dal mio punto di vista è sembrato piuttosto modesto, certo non brutto tout court, ma sicuramente poco empatico e sostanzialmente irrisolto perché non coglie né la timida semplicità di Tonio né la briosa vitalità scapestrata protofemminista di Marie, che persegue la felicità rifiutando facili scorciatoie e rimanendo fedele ai propri ideali.
Simon Krečič, sul podio di un’Orchestra del Verdi brillante (molto bene si sono portati archi e legni), è stato protagonista di un’interpretazione equilibrata della partitura che ha messo in bella evidenza sia gli episodi più patetici sia quelli in cui l’esprit francese è più marcato. Molto buono l’accompagnamento ai cantanti, sostenuti con meticolosa attenzione.
Ottimo il rendimento del coro, coinvolto anche dal punto di vista scenico, e capace di interventi misurati e al contempo incisivi.
Gladys Rossi è stata protagonista di una prova in crescendo per quanto la coloratura non mi sia sembrata sempre efficace e fluida, ma probabilmente passata l’emozione dell’esordio il rendimento migliorerà nelle prossime recite. Buona comunque la sua interpretazione di ll faut partir e Par le rang e par l’opulence.
Chi conosce le qualità di tenore contraltino di Shalva Mukeria non sarà rimasto sorpreso dalla splendida esecuzione di Ah mes amis, che credo avrebbe potuto cantare ad libitum tanto facili e lucenti sono sembrati i suoi acuti. Meritatissimo il lungo applauso a scena aperta che gli ha dedicato il pubblico triestino. Il tenore però, a dispetto di una presenza scenica volenterosa e non di più, è stato efficace anche per accento e morbidezza di emissione nella bellissima Pour me rapprocher de Marie.
Disinvolto nella recitazione e convincente dal lato vocale, Andrea Borghini ha ben figurato nella parte di Sulpice, palesando una voce sonora e gradevole.
Elegante e di buon gusto anche la prestazione di Rossana Rinaldi nei panni della Marquise de Berkenfeld.
Molto buono il livello dei comprimari, artisti del coro della fondazione: Dario Giorgelè, simpatico Hortensius, Giuliano Pelizon, solido caporale e il dinamico Dax Velenich nei panni di un paesano. Bravo anche Fumiyuki Kato, coprotagonista della lezione di piano del secondo atto.
Andrea Binetti, elegantissimo in una mise da gran dama, si è guadagnato la palma di primadonna della serata con un’interpretazione estroversa il giusto della buffa Duchesse de Krakentorp.
Il pubblico ha accolto con grande favore lo spettacolo e ha tributato applausi a tutti e un’ovazione a Shalva Mukeria.

 

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