Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Divulgazione semiseria dell’opera lirica: la prima del Teatro alla Scala di Milano vedrà protagonista Attila di Giuseppe Verdi, il flagello dei nasi.

Dunque, siamo nell’imminenza della prima scaligera, evento che scatena gli istinti più bassi – e già non sono alti di solito – dei melomani: quest’anno l’onore e l’onere dell’apertura spetta all’Attila composto da Giuseppe Verdi. Un’opera che non è mai entrata davvero nel cuore degli appassionati ma che, almeno dal mio punto di vista, non è certo così disprezzabile.

I critici, che notoriamente non servono a nulla, spesso si sono accaniti sulle incongruenze del libretto, come se altre opere più popolari di Verdi fossero un modello di scorrevolezza e coerenza.
Il fatto è che qualche appunto può essere giustificato da un paio di circostanze in particolare e cioè sia dalla provenienza protoromantica della tragedia teatrale di Zacharias Werner da cui Temistocle Solera (e Piave) trasse il libretto sia dal fatto che i caratteri dei personaggi – come spesso succede nel primo Verdi – sono appena tratteggiati e non hanno certo una rilevante profondità psicologica, con l’unica eccezione del protagonista. E Verdi, che concepiva il teatro solo in chiave di estrema sintesi drammaturgica, in questo ha le sue “colpe”, perché volle rifarsi alla sua cup of tea, e cioè all’intreccio tra sentimenti privati in un contesto politico o ambientale più ampio. E, forse la fonte originale non si prestava troppo a un’operazione di questo tipo. Ricordo che siamo nei cosiddetti anni di galera, quelli in cui il compositore scriveva a ritmi quasi donizettiani.
Altra protagonista è la Natura, che nel suo scorrere inesorabile fa quasi da testimone agli eventi: la notte dell’incendio di Aquileia, il temporale e la successiva alba sul mare lagunare in cui di navicelle coperto è il flutto, la quiete di un bosco sulle malinconiche riflessioni di Odabella, la claustrofobica caverna dell’incubo di Attila.
Chi avrà voglia di seguire la prima in televisione o alla radio sentirà nominare un tale Wodan: ebbene è proprio il leggendario Wotan wagneriano en travesti, diciamo così. Insomma, si omaggia Verdi e salta fuori Wagner, come nella migliore tradizione di inenarrabili polemiche tra i fan dei due compositori.
Qui potete leggere la trama dell’opera.

Alla prima del 17 maggio 1847, nella ben nota orrida Venezia, l’opera raccolse un successo di stima, sembra a causa della prestazione non particolarmente brillante dei cantanti e di alcuni casini scenografici.
Tra l’altro – e questo dovrebbe far pensare molto i detrattori delle regie diversamente tradizionali, ma non comincio neanche perché è una battaglia persa – Verdi, che era sempre attento a tutti i progressi scenotecnici, sfruttò l’ultima diavoleria tecnologica che al Teatro La Fenice (reverenza) era disponibile: l’illuminazione a gas.
Durante la scena del banchetto di Attila l’odore della cera delle candele accese non fu apprezzato, tanto che la Gazzetta Privilegiata di Venezia scrisse, tra le altre cose:

il flagello di Dio non si faccia il flagello dei nasi

Per sua fortuna il delicato critico del tempo non può apprezzare gli odori della Venezia odierna (strasmile).
La parte di Odabella, fanciulla guerriera protofemminista, è davvero impervia e alla prima fu interpretata da Sophie Löwe, soprano tedesco che creò nel 1844 il personaggio di Elvira nell’Ernani dello stesso Verdi.
Un altro protagonista molto noto alla prima di Venezia fu il basso Ignazio Marini, nel ruolo del titolo.
Il “creatore” della parte di Foresto fu invece Carlo Guasco ma la curiosità riguarda un altro tenore che riprese la parte a Milano, nel 1847, il celeberrimo Napoleone Moriani noto anche come “il tenore della bella morte”.

L’Artista chiese a Verdi un’aria alternativa per Foresto e fu accontentato.
Alla Scala – riferiscono testimoni dell’epoca – fu applaudito furiosamente. Del tutto ininfluente il fatto che il divo, assai sensibile al richiamo del denaro – non per nulla il detto pecunia non olet è un evergreen – si vendette l’autografo verdiano.

Comunque, nel 1977 Luciano Pavarotti registrò l’aria con l’Orchestra della Scala di Milano, guidata da Claudio Abbado.

Eccola qui e, sinceramente, dopo aver sentito Pavarotti e Abbado è meglio che io prudentemente mi taccia per non rovinare l’incanto:

 

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10 risposte a “Divulgazione semiseria dell’opera lirica: la prima del Teatro alla Scala di Milano vedrà protagonista Attila di Giuseppe Verdi, il flagello dei nasi.

  1. Enrico 6 dicembre 2018 alle 9:23 am

    Grande la foto di Abatantuono, il “fratello di Dio!” “So’ Attila! A come atrocità, doppia T come terremoto e tragedia, I come iradiddio, L come lago di sangue, e A come adesso vengo lì e vi faccio….” Bene ora che ho citato l’Attila di riferimento del ‘900😋 lascio da parte gli scherzi e chiedo a chi ne sa più di me: c’è mai stata una messa in scena dell’Attila verdiano tradizionale, ma con legionari con vesti ed armi del V Secolo? Come è noto erano ben diversi dai legionari che tutti hanno in mente e che sono quelli del I e II Secolo; ricordo che nel celebre Attila scaligero del 1991 ed anche in quello rappresentato a Trieste qualche anno fa l’esercito romano rappresentato in scena era appunto quello del I e II secolo…non è clamoroso come la scena del film “Quo Vadis” anni ‘50 in cui Vinicio e Petronio (mi pare) giocano a scacchi circa 5-6 secoli prima che tale gioco venisse inventato (e poco meno di un millennio prima che arrivasse in Europa) ma insomma….saluti e complimenti per il tuo blog!

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    • Amfortas 6 dicembre 2018 alle 9:38 am

      Enrico, ciao. Sinceramente non so risponderti, ma il tuo commento mi torna utile per ricordarmi che spesso gli interventi dei lettori sono più intelligenti dei miei testi 😉
      Grazie dei complimenti, ciao

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  2. Giuliano 6 dicembre 2018 alle 9:48 PM

    il preludio all’aria di Odabella, brevissimo e straordinario, lo devo a Bernardo Bertolucci (Strategia del ragno, 1970) che ne fa il motivo conduttore del film. Mi era sempre sfuggito, poi vedendo il film mi ero trovato a chiedermi: è Verdi, ma dove???
    Ma secondo te, perché alle volte i compositori non sviluppano come si deve questi momenti? Mi vengono in mente anche cose di Wagner, di Puccini…
    Comunque l’Attila è bello, ha il difetto comune delle opere degli “anni di galera”, alcune scene sono sviluppate come si deve, altre sono tirate via, ma è comunque un bell’ascolto. Forse il più grande Attila è stato Samuel Ramey…

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    • Amfortas 7 dicembre 2018 alle 9:36 am

      Giuliano, Ciao, sai che non ricordavo del film? Grazie.
      La parte di Attila è davvero molto difficile e sono d’accordo con te, di quelli sentiti Ramey è proprio perfetto anche come presenza…barbara, nel senso che a petto nudo mi dicono facesse la sua porca figura. C’è anche il dvd a testimoniarlo. E poi la tessitura gli stava nella giusta in quel periodo.
      Cambiando compositore, l’introduzione che più mi affascina è di Rossini, ed è quella che precede l’entrata di Tancredi che, in qualche modo, ha ispirato il titolo del blog.
      Ciao e grazie!

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    • Paola Datodi 7 dicembre 2018 alle 6:36 PM

      peccato che come varie altre opere appunto degli “anni di galera” sia rimasto tanto a lungo nel dimenticatoio… immaginare un Attila di Chaliapine (l’ho scritto bene?) o più tardi di Tancredi Pasero… un Ezio di Mattia Battistini, Titta Ruffo…

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      • Amfortas 7 dicembre 2018 alle 7:41 PM

        Paola, ciao. Le traslitterazioni dal russo sono sempre un problema ma l’importante è che si capisca 🙂
        Pensa che in Italia Attila è stato ripreso nel dopoguerra, in Italia, appena nel 1962 a Firenze.
        Ciao e grazie!

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  3. vittynablog 6 dicembre 2018 alle 11:40 PM

    Ciao Amfortas, vengo a portarti un premio! Ti ho nominato per il Sunshine Blogger Award 2018, un riconoscimento per bloggers che con le loro pagine ispirano gioia e positività. Spero ti farà piacere e accetterai di buon grado di giocare con noi…. ti lascio il link del mio ultimo post per conoscere le modalità del gioco:

    https://vittynablog.wordpress.com/2018/12/06/sunshine-blogger-award-2018-oh-yes/

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  4. Paola Datodi 8 dicembre 2018 alle 2:40 am

    un’aria per Moriani? ampiezza di vedute da parte di Verdi, se si pensa che Giuseppina Strepponi prima di legarsi a lui lo era stata col tenore in questione avendone due figli! Ma probabilmente nel 1847 l’amicizia di Verdi con la cantante non era ancora amore

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    • Amfortas 8 dicembre 2018 alle 9:09 am

      Paola, ciao. Sì , Moriani e Strepponi cantarono molto insieme ed ebbero una relazione contrastata…avevo letto tanti anni fa non ricordo dove che il motivo della loro separazione fu proprio la morte precoce dei due figli. Prendila con il beneficio d’inventario perché non ricordo la fonte.
      Ciao e grazie!

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