Venerdì prossimo, 15 marzo, torna al Teatro Verdi di Trieste dopo quattro anni L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti.
Tra appassionati, ogni tanto si sente dire: Un altro Elisir? Che palle… L’eleganza dell’espressione, che ho usato libenter anch’io e non solo per Elisir è dovuta al fatto che l’opera di Donizetti è tra le più rappresentate, non solo in Italia ma ovunque, e forse la possibilità di vederla spesso ci fa pensare non che sia un lavoro minore, ma che sia facile organizzare un cast decoroso e magari un allestimento intrigante.
E invece no, al contrario è un’opera estremamente impegnativa e sentirla cantata in modo soddisfacente è cosa rara. Qualità e quantità non sempre viaggiano insieme, si sa.
E poi quando parliamo dei cantanti mitici del passato nominiamo, che ne so, i soprani Giulia Grisi, Maria Malibran, i tenori Gianni Nozzari o Gilbert-Louis Duprez, non certo Sabine Heinefetter o Gianbattista Genero, i quali come avrete capito sono stati proprio i “creatori” delle parti di Adina e Nemorino.
Ancora di meno si dice del baritono e del basso buffo, Giuseppe Frezzolini.
Curioso, da questo punto di vista, leggere che ne pensasse proprio Gaetano Donizetti di questi artisti.
Lo sappiamo da una lettera che scrisse al padre:
“…solo il tenore è discreto, la donna ha bella voce ma ciò che dice lo sa lei [una Joan Sutherland ante litteram? (N.d.Amfortas,strasmile)] il buffo è canino.”
La moglie di Felice Romani, Ernesta Branca, ci informa invece sul baritono Henri-Bernard Dabadie che a suo parere è un basso che val poco mentre sul basso buffo concorda con Donizetti, ma lo paragona a un’altra bestia: aveva voce da capretto.
Più che un’opera sembra la fattoria degli animali, perché anche gli asini non mancavano, no (strasmile)?
Ecco perché, come sostenevo all’inizio, è difficile assistere a un Elisir soddisfacente: questo melodramma giocoso in due atti necessita di artisti di elevata qualità, quattro prime parti. Per non parlare del direttore e del coro, quest’ultimo impegnatissimo e di fondamentale importanza. Felice Romani, che tanto aveva già scritto per Rossini e Bellini, s’ispirò per scrivere il libretto all’attualissimo (per quei tempi) lavoro Le Philtre di Eugène Scribe, musicato da Daniel Auber.
Insomma, nonostante la fiducia negli interpreti evidentemente non fosse proprio straordinaria, l’opera debuttò con grande successo il 12 maggio 1832 a Milano, presso il Teatro alla Cannobiana.
Ora, siccome io scartabello tra i sacri testi, vi dico su quali giornali si poterono leggere le critiche positive, ma voi non dovete ridere, promesso?
Ok.
L’opera e la compagnia di canto ottennero ottime recensioni su nientemeno che “La Gazzetta privilegiata di Milano”, il “Corriere delle Dame” e “Il censore universale dei teatri”. Chissà, magari tra qualche decina d’anni si dirà: Il tenore X e il soprano Y riportarono ottime critiche su “Di tanti pulpiti”, un blog che si occupava di musica lirica. E tutti a ridere, ovvio, ma sapete come si dice, no? Mutatis mutandis.
Nell’Elisir chi ha una collocazione drammaturgica davvero singolare è proprio Nemorino, tanto che si può affermare che a lui si deve la definizione di questo lavoro di Donizetti come opera di mezzo carattere.
Apostrofato nel testo di volta in volta come idiota, mezzo pazzo, buffone, malaccorto, scimunito (un mio gemello, accidenti) e altre delicatezze potrebbe sembrare un tipo buffo, mentre invece ha un lato drammatico molto accentuato al contrario, per esempio, della sua amata Adina, che pare essere una parente piuttosto stretta della Norina del Don Pasquale.
Spesso Nemorino, più che cantare, pensa ad alta voce, come nel caso della sortita Quanto è bella, quanto è cara. Esprime sentimenti semplici, sempre moralmente nobili.
È un sempliciotto non un buffo, tanto che si fa infinocchiare subito dalle stronzate del ciarlatano Dulcamara, che fa il suo ingresso in scena addirittura annunciato dal Coro, che lo sopravvaluta un pochino (Certo, egli è un gran personaggio, un barone, un marchese in viaggio!) Dulcamara sì che è il classico buffo i cui tratti derivano direttamente dai personaggi rossiniani, e infatti s’esprime assai spesso col sillabato che è il linguaggio dei buffi per antonomasia.
Dulcamara è, per coloro che amano trovare la modernità nell’opera, il personaggio più attuale, non ci sono dubbi in proposito.
Ha il rimedio giusto per qualsiasi guaio, perché certi disagi sono presenti sempre, oggi come allora, a tutte le latitudini. Vediamo qualche sua prodezza (smile).
Guaritore universale (io spazzo gli spedali)
Preserva il calo della libido (un uom, settuagenario e valetudinario, nonno di dieci bamboli ancora diventò)
Chirurgo plastico ante litteram (O voi matrone rigide, ringiovanir bramate?)
Insomma, chi non ha mai conosciuto o almeno visto in televisione il Dulcamara di turno? Vogliamo parlare di politica? Meglio di no, direi.
L’antagonista di Nemorino è Belcore, altro trombone ma in senso diverso da Dulcamara (che forse non è intelligente, ma certamente è almeno furbo), più rozzo e un po’ sguaiato, che si presenta a sua volta in modo molto sobrio (smile), con una fanfara (Come Paride vezzoso). Infatti è un firmaiolo, un militare.
Quindi proprio con il linguaggio Donizetti differenzia i due caratteri: umile, intimo, raccolto, per Nemorino e invece magniloquente, artificioso, volgarotto Belcore.
Adina, che oltre ad essere una furbetta frivola è anche intelligente e colta (sa leggere e intrattiene i paesani raccontando la storia di Tristano e Isotta) sceglierà Nemorino.
E veniamo infine all’aria più famosa, Una furtiva lagrima, così celebre da identificare l’opera stessa e da essere diventata imprescindibile in ogni concerto tenorile che si rispetti.
La moglie del librettista Romani, quella Ernesta Branca non troppo affidabile che ho già citato poco sopra racconta:
Tutto procedette rapidamente e pienamente d’accordo fra Poeta (Romani) e Maestro (Donizetti), fino alla scena ottava dell’atto secondo; ma qui Donizetti volle introdurre una romanza per tenore, a fine di usufruire una musica da camera, che conservava nel portafogli, della quale era innamorato. Donizetti aveva di sì strane passioncelle; talvolta odiava la propria musica, e talvolta l’adorava. Romani in sulle prime ricusò dicendo: «Credilo, una romanza in quel posto raffredda la situazione! Che c’entra quel semplicione villano, che viene lì a fare una piagnucolata patetica, quando tutto deve essere festività e gaiezza?». Ma tuttavia Donizetti insisté tanto finché ebbe la poesia.
Ammesso che sia andata così, in realtà la collocazione della romanza è fondamentale proprio per definire il carattere di Nemorino di quel patetismo che lo differenzia da tanti altri personaggi coevi.
E basterebbe questa considerazione per bollare come inappropriate moltissime interpretazioni muscolari di questo pezzo, errore nel quale sono incappati anche nomi notissimi.
Inoltre introducendo un’altra aria il tenore pareggia il conto col soprano, che ne ha due.
E poi, sempre ricordando che Nemorino è una parte patetica, intima, si noti come i versi siano brevi e semplici, proprio nello stile del personaggio che si lascia guidare dal cuore e non dalla ragione.
Grazie alla sua quasi infantile innocenza [e, direi io che sono cattivo, anche grazie al fatto che gli muore uno zio che gli lascia una fortuna (smile)], il nostro Nemorino conquista la bella del villaggio.
Beh, non possiamo che essere contenti per lui, accidenti!
A questo punto è indispensabile allegare un ascolto, direi.
La scelta è difficile, ma voglio proporvi un esempio pertinente come stile e quasi impeccabile per tutto il resto.
Signori (ma anche signore, volendo), ecco a voi Tito Schipa.
sì, Tito Schipa: con tutto il rispetto per gli altri, ma le incisioni di Schipa sono inarrivabili (dovresti mettere anche “Adina, credimi”). A me piace molto anche Pertile, incredibile con quel timbro di voce ma la finezza, l’intelligenza… L’elenco sarebbe però interminabile, aggiungo Pavarotti e arrivo a tre. E poi Bruscantini, Taddei, Dara… 🙂
Giuliano, ciao. Sì, Schipa è stato un tenore mostruoso per tecnica, voce e stile. Pertile, dal timbro meno gradevole, non gli è da meno.
Venendo a tempi un po’ più recenti, a me piace molto Cesare Valletti, che sto ascoltando or ora proprio con Bruscantini e Alda Noni. Peccato che Gavazzeni diriga con la vanga e tagli mezza opera (strasmile) ma è sempre un bel sentire.
Ah, mi sono comprato Musicofilia, anche se non ho ancora avuto il tempo di leggere.
Ciao e grazie!
Fabiana, ciao. So che sei a Vienna per vedere un Don Giovanni, beata te! Speriamo siano interpreti, qui al Verdi, e non interpeti (strasmile)!
Ciao e grazie a te per il passaggio!
sì, Tito Schipa: con tutto il rispetto per gli altri, ma le incisioni di Schipa sono inarrivabili (dovresti mettere anche “Adina, credimi”). A me piace molto anche Pertile, incredibile con quel timbro di voce ma la finezza, l’intelligenza… L’elenco sarebbe però interminabile, aggiungo Pavarotti e arrivo a tre. E poi Bruscantini, Taddei, Dara… 🙂
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Giuliano, ciao. Sì, Schipa è stato un tenore mostruoso per tecnica, voce e stile. Pertile, dal timbro meno gradevole, non gli è da meno.
Venendo a tempi un po’ più recenti, a me piace molto Cesare Valletti, che sto ascoltando or ora proprio con Bruscantini e Alda Noni. Peccato che Gavazzeni diriga con la vanga e tagli mezza opera (strasmile) ma è sempre un bel sentire.
Ah, mi sono comprato Musicofilia, anche se non ho ancora avuto il tempo di leggere.
Ciao e grazie!
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Speriamo che il Verdi ci proponga una versione intrigante e con bravi interpeti allora. Grazie per le tue pillole di saggezza (smile)
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Fabiana, ciao. So che sei a Vienna per vedere un Don Giovanni, beata te! Speriamo siano interpreti, qui al Verdi, e non interpeti (strasmile)!
Ciao e grazie a te per il passaggio!
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