Una buona Carmen ha chiuso, ieri sera, la stagione del Teatro Verdi di Trieste. Giovedì 11 luglio dovrebbero essere presentate le nuove stagioni, lirica e sinfonica, del teatro triestino: ieri il sovrintendente Stefano Pace ha confermato che per la prima ci sarà Turandot di Puccini. Per tutto il resto speriamo bene!
Ci sono opere che per l’argomento trattato sono da considerarsi sempre contemporanee oppure, meglio, che vivono in un presente atemporale. Senza alcun dubbio una di queste è Carmen di Bizet. Sarà anche, la mia, un’osservazione banale, ma i titoli dei giornali e dei media in generale ce ne danno conferma con una regolarità impressionante: ogni giorno una Carmen – e sono cauto – è sacrificata sull’altare della violenza maschile e maschilista che confonde l’amore con la possessività distruttiva e omicida.
Per questo motivo, pur rispettandone in pieno l’assunto, sono in totale disaccordo con Carlo Antonio De Lucia, regista di questa nuova produzione triestina, quando dichiara che <<rinunciare al vestito da spagnola non toglie e non aggiunge nulla alla storia>>. Proprio perché la vicenda di Carmen è universale il lavoro di regia dovrebbe liberare l’esprit della protagonista e proporcelo in chiave diversa dalla consueta oleografia.
Poco male, soprattutto se, come in questo allestimento, il lavoro artigianale di regia è di buon gusto, curato in ogni dettaglio con l’unica criticità di una gestione delle masse perfettibile. De Lucia, che firma anche luci e scene (con Alessandra Polimeno) di stampo tradizionale, può essere soddisfatto. I costumi di Svetlana Kosilova sono funzionali all’impianto registico, le coreografie curate da Morena Barcone non sono indimenticabili ma per certo forniscono un valore aggiunto allo spettacolo. 
La versione scelta dal Teatro Verdi è quella con i recitativi musicati da Ernest Guiraud e, di conseguenza, “scompare” qualche personaggio e la caratterizzazione buffa di Zuniga, tipica dell’opera-comique, sembra un po’ avulsa dal contesto marcatamente drammatico.
Oleg Caetani, alla testa di una brillante Orchestra del Verdi è stato protagonista di una prova altalenante, soprattutto perché le dinamiche sono parse appiattite, carenti di quei colori cangianti di cui la partitura è tutt’altro che avara. È mancata un po’ di tensione narrativa, di differenziazione delle atmosfere dell’opera, soprattutto nei primi due atti. Nel prosieguo mi è sembrato che il direttore abbia trovato un passo teatrale più spedito ed è sensato supporre che nelle prossime recite il risultato sarà più omogeneo. Segnalo un inusitato – per il sonnolento pubblico triestino delle prime – “Sveglia Direttore” che è piovuto, credo, dal loggione, al primo intervallo.
Molto buona la prestazione di Ketevan Kemoklidze nei panni di Carmen sia dal lato vocale sia da quello, per me più insidioso, attoriale. Carmen è un personaggio che presta il fianco a eccessi interpretativi – negli anni ho assistito a sbracamenti e scivolate di gusto terribili – e invece il mezzosoprano georgiano ha lavorato per sottrazione: sinuosa e insinuante, anche altera e sprezzante, temperamentosa ma mai volgare. La bella figura agile e snella, ovviamente, restituisce quella verosimiglianza col personaggio che spesso è un fattore sottovalutato nelle scelte dei cast. Dal punto di vista vocale l’artista è in piena comfort zone perché gestisce senza forzare sia le salite all’acuto sia il registro grave con un’emissione omogenea che le consente una linea di canto pulita.
Convincente anche Gaston Rivero quale Don José, anche se è sembrato un po’ ingessato e meno dinamico sul palco della collega. Da sottolineare il fatto che nella romanza del fiore abbia efficacemente smorzato il si bemolle finale, a conferma di una preparazione tecnica di rilievo. La voce di timbro scuro, forse non particolarmente accattivante ma dotata di un certo squillo, è sembrata coerente con la caratterizzazione di un personaggio ombroso, tormentato e insicuro, risolto più per un fraseggio incisivo che per strapotenza vocale.
Come sempre solido l’apporto di Domenico Balzani, Escamillo prorompente per vocalità e disinvoltura scenica, caratteristiche fondamentali per esaltare l’impronta virile che distingue il Toreador che si immagina a proprio agio sia nelle arene pubbliche sia in quelle, meno glamour e più boudoir, delle più circoscritte arene private.
Bravissima Ruth Iniesta, che ha connotato di qualche asperità l’insopportabile e zuccherosa Micaëla, un personaggio che io, come tanti, continuo a considerare il più ambiguo dell’opera e sul quale vorrei vedere qualche speculazione registica approfondita. Il soprano, in ogni caso, ha confermato le sue qualità tecniche unite a un timbro piacevole e solare.
Brillanti le prove della sempre più convincente Rinako Hara (Frasquita) e di Federica Carnevale (Mercédès), che hanno ben sostenuto la non agevole scena delle carte.
Bene hanno cantato e interpretato le loro parti Clemente Antonio Daliotti (Moralès) e Fulvio Valenti (Zuniga). Eleganti e sobri sono sembrati i due contrabbandieri Le Dancaïre (Carlo Torriani) e Le Remendado (Motoharu Takei).
Eccellente il rendimento dei cori: quello della Fondazione e I Piccoli Cantori della Città di Trieste.
Spettacolo da non perdere, che alternando due cast prevede repliche sino a sabato 29 giugno.
Si chiude così la stagione lirica 2018/2019 del Teatro Verdi, ma l’attività prosegue con numerose manifestazioni. Poi ci sarà la tournée giapponese in autunno e la Turandot di Puccini che aprirà la stagione del 2020.
Data dello spettacolo: 22 Jun 2019
Carmen |
Ketevan Kemoklidze |
Don José |
Gaston Rivero |
Escamillo |
Domenico Balzani |
Micaëla |
Ruth Iniesta |
Frasquita |
Rinako Hara |
Moralès |
Clemente Antonio Daliotti |
Mercèdés |
Federica Carnevale |
Zuniga |
Fulvio Valenti |
Le Dancaïre |
Carlo Torriani |
Le Remendado |
Motoharu Takei |
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Direttore |
Oleg Caetani |
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Regia e luci |
Carlo Antonio De Lucia |
Scene |
Carlo Antonio De Lucia e Alessandra Polimeno |
Costumi |
Svetlana Kosiova |
Coreografie |
Morena Barcone |
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Maestro del coro |
Francesca Tosi |
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Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti dal Maestro Cristina Semeraro |
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Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste |
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D’accordissimo su Ketevan Kemoklidze (evidentemente in Georgia hanno una fabbrica di ottime Carmen….) e su Ruth Iniesta; a proposito di Micaela, ricordo un’edizione di qualche anno fa ad Orange, nella quale questa timida fanciulla diventa una vera e propria stalker di don Jose’, arrivando perfino ad armargli la mano omicida nell’ultimo atto.
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Don, ciao. IL discorso è che purtroppo a me spiace molto che a Trieste si decida ex ante che si debba vedere solo un tipo di teatro. Ormai l’ho detto e ripetuto sino alla nausea, non si tratta di impostare tutta la stagione con titoli desueti o regie cervellotiche…mi basterebbe che ci fossero 2 opere poco note e un paio di regie che osano un po’. Non c’è speranza, mi dicono da più parti.
Ciao e grazie!
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Caro Amfortas, nel giorno del nostro onomastico (auguri) e nel mese del nostro compleanno (ri-auguri) ho assistito all’ultima dell’ultima, con incidente finale: il povero Balzani cade nel duello con Don José ed esce sostenuto da qualche contrabbandiere. Poi, nella seconda scena del terzo atto entra mestamente col bastone (come ammazzerà il toro? si chiedono tutti). Ma solo quando a fine rappresentazione entra applaudissimo ma ancora claudicante col bastone e non partecipa alla corsetta verso il proscenio, anche i disattenti come me capiscono che si è fatto davvero male nel duello. Auguri, anche perché la sua prestazione è stata di spessore (come anche nell’Andrea Chenier mi pare). Benissimo la Kemoklidze e bene anche Dario Prola, voce sufficiente per tener testa a Caetani (e a Bizet stesso) ma anche piacevole. Recita un po’ impacciato (ma chi non lo sarebbe in quella parte da pirla?) ma poi si rifà sfoderando un discreto mezzobusto, spogliato nella scena della ritirata.
Ovviamente d’accordo sul tuo commento, anche se sai che a me piacciono le messe in scena tradizionali. Forse il primo atto ricordava un po’ il presepe vivente (infaticabili facchini a torso nudo – e daje -, barbieri di strada, venditori ambulanti, ragazzi scorrazzanti). Comunque piacevole, Verdi gremitissimo e applausi a scena aperta (anche a sproposito). D’altronde la Carmen è una delle cinque opere che consiglio a chi è a digiuno di lirica.
Be’ mi dispiace che sia finita, è stata una bella stagione. Alla prossima!
PS – Poi mi son chiesto: se il regista o chi per lui si fosse ricordato di Raimondi portato trionfalmente a spalla nel film di Francesco Rosi, forse avrebbero fatto lo stesso con Balzani, risparmiandogli la scena col bastone. Bastava anche un semplice carretto portato a mano dai supporter..
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Pier, ciao e auguri a noi 😉
Molto divertente il tuo intervento sul quale ho poco da aggiungere se non che mi spiace molto per Balzani; spero si rimetta presto. Anch’io sono stato testimone di molti incidenti di percorso in tanti anni di militanza teatrale, accidenti. Mi piace ricordarne uno incruento, quando a Venezia una maniglia restò in mano a un soprano che doveva aprire una finestra, oppure quando, alcuni anni fa, proprio al Verdi un baritono mei Pescatori di perle inciampò nelle dune plasticose del terreno e venne preso al volo dai valenti professori del coro.
Quanto agli infaticabili facchini si davano talmente da fare, sullo sfondo di Piazza Tabacchi di questa Carmen, che a un certo punto avrei voluto salite sul palco e aiutarli; con risultati rivedibili, anche se a petto nudo faccio ancora la mia porca figura almeno quanto Prola.
Ora attendiamo la prossima stagione che sarà annunciata giovedì 11 luglio: me ne dicono meraviglie.
Ciao e grazie, alla prossima, Paolo
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