Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Sintetiche considerazioni sul quarto concerto al Teatro Verdi di Trieste. Il Barocco, una leggenda metropolitana.

Il quarto concerto della rassegna “Giovani talenti” è dedicato alla musica barocca. A Trieste (e non solo) il barocco non è certo conosciuto e popolare, anzi, credo che molti lo considerino come una leggenda metropolitana, al pari dell’Unicorno o delle case infestate dai fantasmi.
In realtà, alcune istituzioni musicali minori – absit iniuria verbis – praticano e diffondono la musica barocca, ma si rivolgono a un pubblico di nicchia o comunque ristretto numericamente. La totale mancanza di informazione da parte dei media fa il resto.
Dopo la bella intervista a Federico Maria Sardelli ci voleva un intervento che abbassasse di molto il livello degli articoli e io – come ben sanno i miei happy few – sono uno specialista di questa disciplina.
Ho pensato perciò di dare qualche indicazione for dummies sull’argomento, in modo che chi seguirà il concerto possa farlo in maniera consapevole.

Per prima cosa mi pare opportuno precisare che il Barocco è stato un movimento culturale – come il Romanticismo, di cui ho scritto qui – trasversale, che ha influenzato tutte le Arti e in particolare quelle figurative come la scultura e la pittura, per esempio.
La corrente di pensiero nasce in Italia, verso la fine del 1600, e mi piace visualizzarla nella mia testolina come un fiume in piena rinvigorito nel suo scorrere da una moltitudine di affluenti. Difficile sintetizzarne le caratteristiche precipue ma forse il senso più profondo del Barocco è il tentativo di dare al pensiero e all’Arte una forma alternativa, fantasiosa e sovrabbondante di elementi, uscendo da canoni claustrofobici e schematici.
Nel contesto, quindi, nella musica barocca sono protagonisti ornamenti, eccessi e spettacolari virtuosismi. Oratorio, concerto e concerto grosso, melodramma sono alcuni degli ingredienti del pranzo di gala barocco, che annovera tra gli chef più famosi nomi immortali come Monteverdi, Scarlatti, Vivaldi, Händel, Bach, Rameau, Lully e, parzialmente, Haydn.

La serata inizierà con l’incipit (i primi due salmi) della composizione sacra Vespro della beata vergine di Claudio Monteverdi, composta nel 1610. Il Vespro è una pagina musicale monumentale, permeata da un’atmosfera rarefatta e intima tipica della liturgia religiosa.
A seguire l’Ouverture da Le malade imaginaire, una comédie-ballet di Molière con le musiche di Marc-Antoine Charpentier, che è quasi una sintesi di ciò che è la musica barocca, con i suoi contrasti e strappi coinvolgenti.
Sarà poi la volta di Bach, colto nel Concerto per violino e orchestra in La minore, che si sviluppa in tre movimenti: Allegro, Andante e Allegro assai.
Non aspettatevi il “solito” concerto per violino che siete abituati ad ascoltare, in cui il solista domina incontrastato o quasi: pensate piuttosto al concetto di primum inter pares, in cui gli archi condividono democraticamente melodia e virtuosismo.
Seguirà Jean-Baptiste Lully, con la sua Passacaille da Armide: la passacaglia è una forma musicale che, per certi versi, può essere considerata come frutto serotino del canto gregoriano. Armide, invece, è un’opera lirica che fu rappresentata per la prima volta nel 1686 a Parigi.
Chiuderà il concerto la Sinfonia n.100 in Sol maggiore di Franz Joseph Haydn, conosciuta come la Sinfonia militare. Passatemi una battuta: di militare ha poco, se non qualche squillo di tromba nell’Allegretto del secondo movimento. Per il resto il Minuetto ha (quasi) la grazia di un Mozart e il mood generale è piuttosto improntato al brio e alla leggerezza.
Non mi resta che augurarvi buon ascolto, sperando che queste mie sintetiche considerazioni vi aiutino a godere meglio la serata.
A seguire il testo dei due salmi dal Vespro della Beata Vergine.

N. 1 – DEUS IN ADJUTORIUM
(sex vocibus et sex instrumentis)
Deus in adjutorium meum intende.
Domine ad adiuvandum me festina.
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto:
sicut erat in principio et nunc et semper
et in saecula saeculorum. Amen.
Alleluia.
O Signore, affrettati ad aiutarmi.
Signore recati velocemente ad aiutarmi.
Gloria al Padre, al Figlio, e allo Spirito Santo,
com’era in principio e ora e per sempre
e per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Alleluia.
N. 2 – PSALMUS 109: DIXIT DOMINUS
(sex vocibus et sex instrumentis)
Dixit Dominus Domino meo: Sede a dextris meis,
donec ponam inimicos tuos scabellum pedum
tuorum.
Virgam virtutis tuae emittet Dominus ex Sion:
dominare in medio inimicorum tuorum.
Tecum principium in die virtutis tuae in
splendoribus sanctorum: ex utero ante luciferum
genui te.
Juravit Dominus et non poenitebit eum, tu es
sacerdos in aeternum secundum Melchisedech.
Dominus a dextris tuis, confregit in die irae suae
reges. Iudicabit in nationibus implebit ruinas
conquassabit capita in terra multorum.
De torrente in via bibet:
propterea exaltabit caput.
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto.
Sicut erat in principio et nunc et semper et in
saecula saeculorum. Amen.
Disse il Signore al mio Signore: «Siedi alla mia
destra, affinché io ponga i tuoi nemici a sgabello
dei tuoi piedi».
Il Signore stende lo scettro del tuo potere da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici.
A te il principato nel giorno della tua potenza tra
santi splendori; dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato».
Il Signore ha giurato e non si pente: «Tu sei
sacerdote per sempre al modo di Melchisedech»
Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel
giorno della sua ira. Giudicherà i popoli e compirà
lo sterminio: stritolerà la testa ai cadaveri.
Lungo il cammino si disseta al torrente:
solleva alta la testa.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo cosi
com’era in principio e ora e sempre e nei secoli
dei secoli. Amen.



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Intervista a Federico Maria Sardelli, protagonista al Teatro Verdi di Trieste.


Federico Maria Sardelli è senza alcun dubbio uno dei principali direttori di musica barocca; lo è per capacità tecniche in primis, ma soprattutto per l’amore che ha dimostrato nei confronti del Barocco da sempre. Modo Antiquo, l’ensemble che ha fondato nell’ormai lontano 1984, è un punto di riferimento per la divulgazione e l’esecuzione della musica medievale e barocca.
Persona di grande cultura e arguzia, Sardelli è un artista a tutto tondo che conserva sempre quel tratto luciferino tipico degli spiriti liberi.

Alla testa dell’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, Sardelli sarà protagonista del prossimo concerto della rassegna “Giovani talenti”, che si potrà vedere sull’emittente regionale Telequattro sabato prossimo alle 21.00 e, in replica, domenica alle 23.30.

Potevo evitare di rivolgergli qualche domanda? Probabilmente sì, ma purtroppo sono curioso, perciò a seguire l’intervista che gentilmente mi ha concesso.

Maestro Sardelli, lei ha dedicato la sua vita artistica al Barocco. Come le è nata questa passione?

Da bambino ero circondato da musica, che risuonava in continuazione nella mia casa: era Beethoven, Haydn, Mozart, di cui mio padre era fervente appassionato. Per me la musica s’identificava con il classicismo e il romanticismo, non esisteva altro. Poi, un giorno, a undici anni, la folgorazione: in casa d’un pittore che abitava vicino a noi sentii un brano che mi colpì profondamente e m’innamorò: seppi che era il Tempo impetuoso d’Estate di Vivaldi. Avevo 11 anni e scoprii la musica barocca, che diventò una passione dominante: ogni ‘paghetta’ settimanale fu da allora destinata a comprare dischi e partiture di questo nuovo ed entusiasmante stile.

Cosa può insegnare, oggi, la musica barocca?

Molto, moltissimo. È, anzitutto, uno stile ricco, pieno d’immaginazione e d’idee. È uno stile che ha una forte componente ritmica, direi trascinante, una caratteristica che nei nostri tempi calamitosi piace molto: fate ascoltare a dei bambini un qualunque concerto di Vivaldi e inizieranno a muoversi e ballare. Inoltre, è lo stile dei contrasti coloristici, del chiaroscuro, delle passioni: dubito che ci sia qualcuno, ai nostri giorni, che non si commuova all’ascolto della ciaccona finale del Dido and Æneas di Purcell «When I am laid in earth», o non provi entusiasmo all’esordio del Gloria di Vivaldi. È un linguaggio – per quanto vario e mutevole nel corso del secolo e mezzo abbracciato impropriamente dalla definizione di «barocco» – che conosce oggi una diffusione straordinaria e continua a essere attraente. Ci insegna l’ordine, la simmetria, la geometria delle forme; e, al contempo, come violare intelligentemente questa simmetria mantenendo un equilibrio perfetto fra consonanze e dissonanze. Ci insegna che le regole son lì per essere osservate e anche un po’ disattese, ma sempre con grazia ed equilibrio.

Perché in Italia il Barocco è ai margini della programmazione dei teatri, al contrario di ciò che succede all’estero e in Francia in particolare?

Perché l’Italia è arrivata tardi, rispetto ad altre nazioni europee. Quando negli anni Settanta del secolo scorso nei Paesi Bassi, in Inghilterra e poi in Francia e in Germania si iniziava a far musica su strumenti d’epoca, eseguendo la musica pre-classica alla luce dei trattati e delle informazioni storiche, qui da noi si continuava a far Vivaldi o Bach alla maniera di sempre. Siamo arrivati in ritardo e scontiamo ancora questo ritardo. Oggi l’Italia annovera molti e ottimi gruppi specializzati nella musica barocca, ma il sistema di produzione teatrale è ancora legato alla tradizione belcantistica e se ne scolla raramente. Alcuni teatri italiani, secondo che siano retti da direttori artistici illuminati, programmano opere barocche, ma ancora non vi è quella consuetudine che ammiriamo in Francia o in Germania. Io sarò felice quando vedrò che Vivaldi e Händel saranno considerati operisti da mettere in cartellone al pari di Mozart, Rossini e Verdi.

L’ho chiesto anche al suo giovane collega Michele Spotti: cosa pensa dello streaming, avrà giocoforza un futuro o sarebbe meglio farne un uso diverso?

Come tutte le risorse tecnologiche e gli strumenti d’ogni tipo, possono essere buoni o cattivi secondo l’uso o l’abuso che se ne fa. Il cellulare è una benedizione, purché uno non vi stia incollato tutto il giorno a ciattare, Youtube offre un repertorio monumentale e utilissimo, purché non si creda che la musica debba essere ascoltata là sopra, etc. Lo strìming – me lo lasci deformare in italiano – è un modo utilissimo e benedetto per ascoltare o vedere spettacoli quando uno si è rotto una gamba e non può andare in teatro, oppure in caso di pandemia mondiale o invasione delle cavallette. La musica, il teatro, sono ovviamente un’altra cosa e, appena potremo tornare a vedere gli spettacoli dal vivo, saranno in pochi a rimpiangere l’ascolto e la visione sui tablet o i computer, funestati da zap zip e interruzioni di linea o da suoni scatolari. Ben venga dunque lo strìming, benedetto in questi giorni difficili, ma non crediamo che lo spettacolo e la musica possano esser da esso surrogati.

Il programma del suo concerto è davvero impegnativo. Qual è il criterio col quale è stato pensato?

Se mi avessero chiesto un titolo per sintetizzarne il senso, avrei detto: «Potere e musica in antico regime». Si parte dal Vespro di Monteverdi – i primi due salmi, Dominum ad adiuvandum me e Dixit Dominus – si passa all’ouverture del Malade imaginaire di Charpentier, la Passacaille d’Armide di Lully, un concerto per violino di Bach e si termina con la grande sinfonia Militare di Haydn. È la rappresentazione plastica del potere d’antico regime: il potere di Dio e della religione, dipinto dal saettante esordio dei salmi guerrieri di Monteverdi, il potere dei re, descritto nella glorificazione di Re Sole da parte dei suoi sudditi Charpentier e Lully, il potere della musica, di cui Bach è espressione, e infine il potere militare, immortalato dalla sinfonia di Haydn che ci descrive la fine d’un mondo dissolto di lì a poco dalla Rivoluzione.
Un bel cimento.

Ok, buio in sala e pronti all’ascolto!

Domenica 14 febbraio: pomeriggio e serata da non perdere su RAI5

Se questo pomeriggio siete a casa e non sapete che fare, vi consiglio caldamente di attacarvi alla televisione. Le pagine musicali sono straordinarie e i direttori formidabili!

COMUNICATO STAMPA

Su Rai5 OSN Amore in musica, il 14 febbraio dalle ore 15.00

Prêtre, Sinopoli, Sawallisch, Chung, Gatti, Luisi e Bychkov. Sette grandi bacchette per sette memorabili concerti in compagnia dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. È “Orchestra Rai, amore in musica”, la maratona musicale – realizzata da Marta Teodoro – che Rai Cultura propone domenica 14 febbraio a partire dalle 15 fino a nottesu Rai5. Ogni concerto è preceduto da un’introduzione curata da Francesco Antonioni e Valentina Lo Surdo, e seguito da un’intervista a un professore della compagine Rai che ha partecipato al concerto trasmesso. L’offerta musicale si arricchisce così con ricordi personali, aneddoti e consigli per l’ascolto.

Si inizia alle 15.00 con Georges Prêtre e con il concerto all’Auditorium del Lingotto di Torino con il quale il grande direttore francese tenne a battesimo la neonata Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il 24 settembre del 1994, in occasione del Prix Italia. In programma la Suite da Der Rosenkavalier (Il cavaliere della rosa) di Richard Strauss, quella dal balletto L’oiseau de feu (L’uccello di fuoco) di Igor Stravinskij e il celeberrimo Boléro di Maurice Ravel.  

A seguire, alle 16.15, il secondo concerto di battesimo della compagine Rai, registrato pochi giorni dopo quello di Prêtre, il 29 settembre 1994 all’Auditorium Rai di Torino. Sul podio Giuseppe Sinopoli, del quale ricorre quest’anno il ventennale della scomparsa, che ha avuto un rapporto costante con l’Orchestra della Rai. Il programma accosta due “ultime sinfonie”: la Quarta di Robert Schumann e la Quarta di Johannes Brahms, due compositori legati da una forte affinità umana e spirituale. 

Terzo appuntamento, alle17.30, è con il grande direttore tedesco Wolfgang Sawallisch, e con un concerto del 21 giugno 1996 dall’Auditorium Rai di Torino. In quegli anni Sawallisch era direttore principale della Philadelphia Orchestra e della NHK Symphony Orchestra di Tokyo. In programma l’Ottava Sinfonia in do minore di Anton Bruckner, dedicata all’Imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria.

Alle 19 è la volta del coreano Myung-Whun Chung, protagonista di un concerto registrato il 30 maggio 2018 all’Auditorium Rai di Torino, con l’enfant prodigeAlexander Malofeev, che interpreta Rapsodia su un tema di Paganini op. 43 per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov. Completa il programma la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 di Ludwig van Beethoven detta ”Eroica”, monumentale affresco celebrativo scritto per Napoleone Bonaparte, la cui composizione tenne occupato il musicista per oltre un biennio, dal 1802 al 1804.

Alle 20.40 sale sul podio Daniele Gatti, del quale è riproposto il concerto del 9 gennaio 2020, che ha segnato il debutto con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. In programma la monumentale Sinfonia n. 9 in re maggiore composta da Gustav Mahlerfra il 1908 e il 1910. Ultima sinfonia portata a termine dall’autore ed eseguita postuma dall’amico e allievo Bruno Walter nel 1912, la Nona è una sorta di testamento spirituale dell’artista, in cui il presagio di morte si mescola a un infinito amore per la vita e a un senso profondo di commiato.

Alle 22.20è la volta di Fabio Luisi, protagonista insieme al violinista Nikolaj Szeps-Znaider di un concerto registrato il 5 aprile 2019. In programma il Concerto in si minore per violino e orchestra op. 61 di Edward Elgar, che Szeps-Znaider esegue con il suo Guarnieri del Gesù del 1741 appartenuto a Fritz Kreisler, dedicatario e primo interprete della partitura nel 1910, seguito dalla Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 di Beethoven. Composta nel 1812, la sinfonia è un miracolo di perfezione formale che abbandona la drammatica celebrazione dell’individualismo eroico beethoveniano a favore di una straripante fantasia, che ai contemporanei parve spinta ai limiti della stravaganza.

Chiude la maratona, alle 24.10, il russo Semyon Bychkov, con un concerto programmato all’Auditorium Rai di Torino il 3 dicembre 2011 con i fratelli Renaud e Gautier Capuçon, rispettivamente violinista e violoncellista. La serata è interamente dedicata a Johannes Brahms: si apre con la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73, seguita dal Concerto per violino, violoncello e orchestra in la minore op. 102.

Mini guida all’ascolto per il terzo concerto al Verdi di Trieste: la caccia al romantico.

Viandante sul mare di nebbia (Der Wanderer über dem Nebelmeer) di Caspar David Friedrich

Il terzo concerto al Teatro Verdi di Trieste, per la rassegna Giovani talenti, può essere considerato un tuffo nel Romanticismo. Forse vale la pena interrogarsi brevemente su cosa sia stato questo movimento culturale.
La prima caratteristica che mi preme sottolineare è che si è trattato di una temperie trasversale e transnazionale, che ha attraversato le Arti in tutta Europa. Gli ingredienti del Romanticismo sono molti, e spesso apparentemente in contrasto tra loro.
In questa specie di pentolone si ritrovano paesaggi brumosi, cavalieri senza macchia e senza paura, poeti dannati, eroine esangui, demoni e tanti altri archetipi di una corrente di pensiero che non così raramente s’interseca col sogno e l’illusione onirica. Non a caso uno dei manifesti del Romanticismo è il celebre dipinto Viandante sul mare di nebbia (Der Wanderer über dem Nebelmeer) di Caspar David Friedrich.

Uno, nessuno e centomila, mi verrebbe da chiosare con un po’ di sano cinismo.
Tra i compositori romantici Frédéric Chopin ha un posto di rilievo, perché alcune vicende della sua vita – la sfortuna nelle relazioni sentimentali, la morte precoce – lo rendono un perfetto testimone del suo tempo.
Chopin fu anche un grandissimo pianista e il Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra, Op. 11 che aprirà il programma al Teatro Verdi è un abito che si è cucito su misura quando era ancora giovanissimo.
Scritto in tre movimenti – Allegro maestoso, Romanza, Rondò – la pagina si caratterizza per una presenza molto rarefatta dell’orchestra che dialoga sommessamente col solista al pianoforte.
Prevale una cantabilità piuttosto pronunciata, screziata da qualche ripiegamento sombre che ne aumenta il fascino. Il Rondò finale, invece, si impone per l’immediata comunicativa, frutto di reminiscenze di danze popolari.
Nella seconda parte della serata è prevista la Sinfonia n. 7 in re minore op. 70 di Antonin Dvořák, in cui ritroviamo molte delle caratteristiche del concerto per pianoforte di Chopin, ovviamente declinate in modo diverso, perché diverso è il linguaggio della forma musicale sinfonica.
Scritta nei classici quattro movimenti (Allegro maestoso, Poco Adagio, Scherzo vivace, Allegro), basterebbe il sottotitolo del primo movimento (Del tempo torbido) per classificarla come appartenente al genere romantico.
In realtà la pagina si distingue – com’è ovvio, siamo nel 1885 – per marcate influenze wagneriane che si manifestano, per esempio, nel suono degli archi gravi e in una magniloquenza generale, non priva di grandi intuizioni melodiche. Ancora, come in Chopin, appaiono evidenti le origini popolaresche di una musica che alterna momenti spumeggianti e marziali ad altri in cui prevale un intimismo più raccolto.
Buon ascolto, quindi, e a presto.

Intervista a Michele Spotti, che dirigerà l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste nel prossimo concerto della rassegna “Giovani talenti”.

Quello degli uffici stampa dei teatri è un mondo affascinante e particolare, in cui con una certa frequenza i termini sono usati in modo creativo, diciamo così. Un grande classico di questi cortocircuiti semantici è l’uso dell’aggettivo giovane, che può essere riferito ad artisti che vanno sino ai 45 anni quando, obbiettivamente, giovani non si è più.
Nel caso di Michele Spotti, invece, giovane è pertinente, perché il direttore ha 27 anni. A dispetto dell’età, Spotti può vantare già una corposa esperienza in teatri di livello e, soprattutto, un repertorio ampio che spazia da Mozart a Strauss, passando per Rossini, Donizetti e Offenbach.
Ho approfittato della sua presenza a Trieste per rivolgergli qualche domanda, in attesa del concerto che sarà trasmesso da Telequattro sabato prossimo alle 21 e domenica in replica, alle 23.30.

ph. Marco Borrelli

Nonostante la sua giovane età, lei pratica già un repertorio piuttosto vasto. C’è un compositore verso il quale sente di avere una predilezione particolare?

La predilezione la ho esclusivamente verso lo studio. Amo certamente alcuni tipi di linguaggi, come per esempio il belcanto per l’opera e quello romantico per il sinfonico, ma non c’è nessun autore che prevarichi sull’altro. Ho una vivida passione per lo studio, di qualunque tipo esso sia: letterario, linguistico, artistico…la chiave per infervorarmi verso un repertorio e di conseguenza verso un autore sta nel documentarmi sul background storico-culturale dell’epoca in cui l’autore è vissuto, per coglierne ulteriormente le sottigliezze compositive e goderne appieno nel momento della concertazione prima e della direzione poi.

Ci sono accorgimenti da prendere, dal punto di vista di un direttore, per far sì che il distanziamento in orchestra imposto dalle regole anti Covid-19 non vada a incidere sulla qualità del suono?

La qualità sonora nel momento in cui ci sono pannelli di plexiglas che alterano il normale cursus del flusso sonoro, inevitabilmente va a compromettere un’omogeneità di insieme in maniera significativa. Da sottolineare è sicuramente l’enorme sforzo da parte dei professori d’orchestra, davvero lodevoli in questa difficile situazione. Per quanto riguarda il direttore d’orchestra, la concertazione è sicuramente l’operazione più alterata, in quanto sono alterati gli equilibri sonori. Sicuramente il “distanziamento” è l’antitesi di “orchestra” ma sicuramente è una misura necessaria per sopravvivere.

Dal primo lockdown a oggi ha avuto modo di dirigere col pubblico in sala?

Se dovessimo intendere sala chiusa, ho avuto modo esclusivamente al Petruzzelli di Bari, dove a settembre ho diretto l’Elisir d’amore. Altre direzioni col pubblico, all’aperto, sono state “Der Bürger als Edelmann” di Strauss diretto a Martina Franca e i concerti al Rossini Opera Festival, tra cui anche quello con Juan Diego Flórez. Il calore del pubblico è una linfa vitale di cui abbiamo un disperato bisogno.

Al Teatro Verdi di Trieste lei affronterà due pagine musicali affatto diverse, una sinfonia e un concerto per pianoforte e orchestra. Rapportarsi con un solista crea qualche problema in più o, scherzosamente, l’unione fa la forza?

La musica è complicità. Non necessariamente bisogna avere un rapporto personale con il/la solista. Tra veri professionisti la complicità si può trovare con un semplice sguardo, un’occhiata, un respiro all’unisono. É importante avere sinergia anche con tutta l’orchestra in modo tale da essere un veicolo di energia per la buona riuscita dell’esecuzione.

Qual è la sua opinione sui concerti in streaming? Ritiene siano un “male necessario” e che verranno abbandonati appena possibile oppure pensa che possano essere un fattore di crescita per la divulgazione della musica colta anche in futuro?

Certamente lo streaming oggi è un’arma importante per poter tenere viva la sensazione di esecuzione. Tiene vivo uno degli scopi principali di chi fa musica, donare la propria arte al prossimo. Ovviamente non può essere paragonato all’esecuzione dal vivo. Io sarei propenso ad un uso dei social media e dello streaming non per rappresentare interi concerti, ma per instillare pillole di curiosità e preparazione storico-culturale e perché no anche piccole analisi musicali per poter avvicinare così chi non è avvezzo al repertorio sinfonico ed operistico.

In bocca al lupo, allora!

Un saluto a Trieste, città bellissima, che mi ha accolto con grande calore.

Asmik Grigorian e Matthias Goerne cantano il Crepuscolo della vita con l’orchestra della RAI.

Comunicato stampa

Giovedì 11 febbraio alle 20.30 in diretta su Radio3 e in live streaming su www.raicultura.it

Dirige l’ungherese Gergely Madaras

Sono due tra i più grandi interpreti vocali di oggi, Asmik Grigorian e Matthias Goerne, i protagonisti del concerto dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai in programma a porte chiuse giovedì 11 febbraio alle 20.30, all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino. La serata è trasmessa in diretta su Radio3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura, che la proporrà anche sul suo canale televisivo Rai5, giovedì 25 marzo alle 21.15.

Il soprano Asmik Grigorian, figlia del tenore armeno Gegham Grigorian e del soprano lituano Irena Milkevičiūtė, negli ultimi anni è balzata agli onori delle cronache del mondo musicale internazionale per l’intensità delle sue interpretazioni. Vincitrice dell’International Opera Award come giovane interprete nel 2016, ha letteralmente incantato il pubblico del Festival di Salisburgo nel 2018 per la sua interpretazione della Salome di Richard Strauss, arrivando a un livello di identificazione quasi fisica con il personaggio della conturbante principessa giudaica. Stessi apprezzamenti espressi per la sua Marietta in Die tote Stadt (La città morta) di Korngold nel 2019 alla Scala. Per il suo debutto con l’Orchestra Rai propone i Vier letzte Lieder op. 150 (Quattro ultimi Lieder), che segnano la fine della parabola creativa di Richard Strauss. Dei quattro Lieder scritti nel 1948, a un anno dalla morte dell’autore, tre sono basati su liriche di Hermann Hesse – Frühling (Primavera), September (Settembre) e Beim Schlafengehen (Andando a dormire) – mentre il quarto – Im Abendrot (Al tramonto) è svolto su un testo di Joseph von Eichendorff. Testamento creativo del compositore e di un’intera civiltà distrutta dalla guerra, il ciclo coglie con nostalgia crepuscolare la bellezza della natura nel momento in cui fatalmente sfiorisce. 

Il basso-baritono tedesco Matthias Goerne è uno dei liederisti più apprezzati al mondo: ha fatto della raffinatezza la cifra distintiva delle sue interpretazioni. Per il suo ritorno con l’Orchestra Rai – dopo il successo dello scorso luglio con la Sinfonia n. 14 di Dmítrij Šostakóvič diretta da Fabio Luisi – propone una scelta di canti tutti su testi di Michelangelo Buonarroti. Si tratta dei Drei Gedichte von Michelangelo (Tre poesie di Michelangelo) di Hugo Wolf, su testi tradotti in tedesco da Walter Robert-Tornow, scritti nel 1896, un anno prima della crisi maniacale causata dalla sifilide che nel 1903 condusse il compositore alla morte in manicomio. I tre Lieder di Wolf, orchestrati da Wolfgang Fortner nel 1972, non sono eseguiti assieme, ma alternati con tre brani tratti dalla Suite su rime di Michelangelo Buonarroti op. 145a di Šostakóvič – NotteDante e Morte – scritti tra il 1974 e il 1975, ultimo anno della vita del compositore. Si tratta di una riflessione sull’arte, l’amore e la morte, condotta a partire da testi del grande artista italiano tratti dalle sue Rime, tradotti in russo da Abram Efros.

Sul podio è impegnato l’ungherese Gergely Madaras, Direttore musicale dell’Orchestra Filarmonica di Liegi e Direttore principale della Savaria Symphony Orchestra, nel suo paese natale. Tra i canti su testi di Michelangelo, che aprono il concerto, e i Quattro ultimi Lieder di Strauss, che lo chiudono, propone la Suite op. 80 dalle Musiche di scena per Pelléas et Mélisande di Gabriel Fauré, scritte per una rappresentazione del dramma di Maeterlinck al Prince of Wales Theatre di Londra, che Fauré diresse nel 1898. Pagine altamente emblematiche dello stile del compositore francese, artigiano della musica che si è sempre tenuto lontano dalle tendenze imperanti, e che qui si esprime con una raffinatezza timbrica particolarmente ricercata.

In ottemperanza alle ultime disposizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i concerti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai si svolgono a porte chiuse, senza la presenza del pubblico nell’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino.

A un anno dalla scomparsa, omaggio a Mirella Freni su RAI5

Quattro spettacoli per tutte le domeniche di febbraio

È dedicata a Mirella Freni a un anno dalla scomparsa, avvenuta il 9 febbraio 2020, la tradizionale programmazione operistica della domenica mattina alle 10 che Rai Cultura propone sul suo canale Rai5. Nel mese di febbraio dunque, sono proposti quattro grandi spettacoli che hanno visto protagonista il grande soprano italiano in teatro o in televisione.

Si inizia domenica 7 febbraio con Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, andata in scena al Teatro alla Scala nel 1989 nell’allestimento firmato da Lamberto Puggelli con la direzione musicale di Gianandrea Gavazzeni, del quale il 5 febbraio ricorre il venticinquesimo anniversario della scomparsa. Protagonisti sul palco accanto a Mirella Freni sono Fiorenza Cossotto, Peter Dvorský, Alessandro Cassis, Ernesto Gavazzi, Osvaldo Di Credico, Patrizia Dordi e Sara Mingardo. La regia televisiva è curata da Brian Large.

Il secondo appuntamento, domenica 14 febbraio, è con la storica edizione realizzata dalla Rai per la TV di Cecchina, ossia la buona figliola, che Niccolò Piccinni trasse dal dramma giocoso di Carlo Goldoni. La direzione musicale è di Franco Caracciolo, mentre la regia è affidata a Virginio Puecher. Con Mirella Freni ci sono Sesto Bruscantini, Werner Hollweg, Rita Talarico, Valeria Mariconda, Gloria Trillo e Bianca Maria Casoni.

Il terzo spettacolo, domenica 21 febbraio, vede Mirella Freni protagonista accanto a un altro grandissimo modenese: Luciano Pavarotti. È La bohème, andata in scena al Teatro Regio di Torino nel 1996 in occasione del centenario dell’opera di Puccini, che vide la luce proprio nel capoluogo piemontese. Lo spettacolo è firmato da Giuseppe Patroni Griffi, mentre la direzione musicale è affidata a Daniel Oren. Sul palco accanto ai due protagonisti anche Nicolai Ghiaurov, Lucio Gallo, Anna Rita Taliento e Pietro Spagnoli. La regia televisiva è di Ilio Catani.

L’ultima domenica, il 28 febbraio alle 10, è in compagnia del capolavoro di Gaetano Donizetti L’elisir d’amore, proposto nella storica edizione realizzata negli studi televisivi della Rai di Torino nel 1968. Nel cast, accanto a Mirella Freni, Sesto Bruscantini, Renzo Casellato, Enrico Dezan ed Elena Zilio. La direzione musicale è affidata a Mario Rossi, la regia è di Alessandro Brissoni, mentre le coreografie sono ideate da Susanna Egri.

Comunicato stampa.

Il secondo concerto al Teatro Verdi di Trieste, nell’ambito della rassegna “Giovani talenti”.

Sembra che Mario Draghi possa essere il prossimo Presidente del Consiglio. Non mi avventuro certo in questioni politiche, ma sarebbe bello che nel consueto discorso d’investitura parlasse anche di teatri e di tutti gli eventi legati alla cultura. Riapriamo i teatri, sostenere che tutti ne abbiamo bisogno non è uno slogan vuoto, ma una vera e propria priorità trasversale. Ovvio, con tutte le cautele del caso, contingentando il numero degli spettatori e ricordandoci che il nemico da combattere è ancora lì presente, ma credo ragionevolmente che si possa fare.
Sabato prossimo alle 21.00, sempre sull’emittente regionale Telequattro, andrà in onda la registrazione del secondo concerto che si svolgerà al Teatro Verdi di Trieste. La trasmissione sarà poi replicata domenica 7 febbraio, alle 23.30.
Anche in quest’occasione mi fa piacere scrivere due parole di presentazione delle pagine musicali previste.
Si comincerà con Toccata per marimba, vibrafono e orchestra di Anders Koppel.
È un brano che non conosco, ma è facile prevedere – viste le attitudini artistiche del compositore – che si ascolterà musica contemporanea, probabilmente influenzata dal jazz e dal pop.
Più facile inquadrare il secondo brano, visto che si parla di uno dei monumenti della musica sinfonica e cioè la Prima sinfonia di Johannes Brahms, che ci mise vent’anni per scriverla.
Eseguita per la prima volta nel 1876 a Berlino, la sinfonia si sviluppa nei classici quattro movimenti.
Hans von Bülow, forse infelicemente, la battezzò come “la decima sinfonia di Beethoven” ma oggi possiamo capire meglio il senso di questa definizione avventurosa e rivalutarla in senso positivo, considerando che von Bülow – per inciso, il primo a dirigere il Tristan di Wagner – volesse solo affermare che la musica di Brahms avrebbe potuto essere un’evoluzione di quella di Beethoven.
Ma qual è il mood di questo immenso capolavoro? Difficile dirlo, perché la musica è talmente ricca di suggestioni, cromatismi e atmosfere cangianti da non poter essere definita con precisione; etichettarla semplicemente come musica romantica sarebbe davvero fuorviante e limitativo. Io ci sento una grande energia, un afflato etico imponente, una sorprendente alternanza e compenetrazione di ritmo e melodia: tutti elementi e tasselli di un piano architettonico monumentale.
Com’è stato detto efficacemente, quindi, non una decima sinfonia di Beethoven ma il primo capolavoro sinfonico di un compositore che della lezione di Beethoven ha fatto tesoro per guardare avanti nella consapevolezza di una salvifica rinnovazione.
Il concerto si chiuderà con Der Schicksalslied op.54 per coro e orchestra, un’altra pagina di Brahms.
È un brano complesso, in tre movimenti (Adagio, Allegro, Adagio), che richiede un controllo delle dinamiche particolarmente curato da parte del direttore d’orchestra perché il pericolo di uno sgradevole magma sonoro è tutt’altro che lieve.
Il testo è tratto da un poema del poeta romantico tedesco Friedrich Hölderlin, a seguire i versi tradotti in italiano.
In bocca al lupo agli interpreti e buon ascolto a tutti.

Canto del destino
Ihr wandelt droben im Licht
Auf weichem Boden, selige Genien!
Glänzende Götterlüfte
Rühren euch leicht,
Wie die Finger der Künstlerin
Heilige Saiten.

Schicksallos, wie der schlafende
Säugling, atmen die Himmlischen.
Keusch bewahrt
In bescheidener Knospe,
Blühet ewig
Ihnen der Geist.

Und die seligen Augen
Blicken in stiller
Ewiger Klarheit.

Doch uns ist gegeben,
Auf keiner Stätte zu ruhn.
Es schwinden, es fallen
Die leidenden Menschen
Blindlings von einer
Stunde zur andern,
Wie Wasser von Klippe
Zu Klippe geworfen,
Jahrlang ins Ungewisse hinab.
Voi errate trasvolando nella luce
su morbidi cammini, o geni celesti!
Deliziosi elise!
vi sfiorano leggermente
come le dita dell’artista
toccano le corde.

Senza destino, come il dormiente
neonato, alitano le creature celesti.
Castamente custodito
come gemma discreta,
fiorisce eterno
il loro spirito.

E gli occhi beati
guardano in tranquilla
eterna chiarezza.

Pertanto a noi è dato
di non riposare in alcun luogo.
Svaniscono, cadono
i poveri uomini,
alla cieca, da un’ora
all’altra
come l’acqua da un masso
all’altro precipitato
in fondo all’ignoto.
Friedrich Hölderlintraduzione di Luigi Bellingardi
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RAI5: DUE SPETTACOLI IN PRIMA ASSOLUTA FIRMATI DA DAMIANO MICHIELETTO.

Salome di Strauss in diretta dalla Scala con Zubin Mehta sul podio

La domanda di matrimonio e L’orso di Čechov prodotti con il Teatro Stabile del Veneto

Il nuovo allestimento di Salome del Teatro alla Scala, affidato a Michieletto, avrebbe dovuto andare in scena nel marzo 2020: le prove erano già avanzate quando, il 23 febbraio, l’attività dei teatri è state interrotta dalla prima ordinanza di contenimento della pandemia. A un anno di distanza lo spettacolo arriva finalmente sulla scena del teatro milanese, prima nuova produzione scaligera dopo il lockdown, con la direzione di Zubin Mehta, che proprio con questo titolo debuttò nella buca scaligera nel 1974, per interpretarlo poi altre numerosissime volte, e inciderlo nel 1990 con i Berliner Philharmoniker.

ph. Serena Pea

Una serata di grande opera e prosa con due spettacoli in prima assoluta firmati da Damiano Michieletto. È la proposta di Rai Cultura che sul suo canale Rai5, sabato 20 febbraio, programma la Salome di Richard Strauss con Zubin Mehta sul podio, in diretta dal Teatro alla Scala di Milano a partire dalle 19.50, e a seguire due celebri atti unici di Anton Čechov, La domanda di matrimonio eL’orso, realizzati con il Teatro Stabile del Veneto al Teatro Goldoni di Venezia, dalle 21.45 circa.
«Ho voluto rappresentare la dinastia di Erode come l’emblema di una crudele tragedia familiare – dice Michieletto – Salome è orfana del padre, ammazzato da sua madre Erodiade che ne ha sposato il fratello. La ragazza è descritta da Oscar Wilde, nel testo su cui Strauss si basa per la sua opera, come una colomba, pallida, con manine bianche e piccoli piedi: è un’adolescente traumatizzata dall’ambiente familiare violento e malato che è la corte di Erode, al quale viene offerta dalla stessa madre. In questo incubo familiare compare Giovanni il Battista, che rappresenta la voce della verità, quella che fa emergere il passato di violenza e sangue. È confinato in una cisterna descritta come una tomba, di cui è pericoloso sollevare il coperchio. Jochanaan è come un’epifania: viene a squarciare il velo sotto il quale venivano nascosti i segreti della dinastia di Erode».
Lo spettacolo di Damiano Michieletto si avvale delle scene di Paolo Fantin, dei costumi di Carla Teti, delle luci di Alessandro Carletti e della coreografia di Thomas Wilhelm. La regia televisiva è di Arnalda Canali.
In scena nei panni della protagonista Elena Stikhina al debutto scaligero, insieme a Wolfgang Koch come Iochanaan, Gerhard Siegel come Herodes e Linda Watson come Herodias.
Dopo la diretta dalla Scala, alle 21.45 circa si prosegue con due spettacoli di prosa proposti in prima visione assoluta, realizzati con il Teatro Stabile del Veneto e registrati lo scorso dicembre al Teatro Goldoni di Venezia. Michieletto propone un suo personale adattamento drammaturgico di due celebri atti unici cechoviani: La domanda di matrimonio e L’orso,che il regista raccorda in modo singolare, creando un unico racconto in cui personaggi, dall’apparenza granitica, rivelano in circostanze improbabili tutte le loro più segrete fragilità.

ph. Paolo Fantin

«L’idea è quella di prendere due atti unici piuttosto popolari e presentarli uniti insieme, senza interruzione – dice il regista– Al personaggio del servitore è affidato il compito di traghettare la vicenda dal primo atto al secondo, attraverso un monologo in cui racconta il tempo passato e i destini familiari.  Ecco quindi che La domanda di matrimonio e L’orso, che Čechov chiama “scherzi”, diventano un’unica storia: due scherzi in un atto. 
Nel creare questa continuità narrativa – prosegue Michieletto – ho scelto di non indugiare alla ricerca di un tipo di comicità troppo esibita, che ho tradotto in maniera più interiore. La comicità ovviamente resta una cifra fondamentale, ma va cercata piuttosto nei piccoli dettagli: nel cane che zoppica, nei tic nervosi, nelle discussioni sul tempo atmosferico, che rivelano le fragilità dei personaggi. Una comicità intessuta di micro-drammi, piccole crisi, problemi fisici e insicurezze. Sono queste che rendono i protagonisti così vicini».

Anche in questo caso lo spettacolo di Damiano Michieletto si avvale delle scene di Paolo Fantin, dei costumi di Carla Teti e delle luci di Alessandro Carletti. La regia televisiva è di Daniela Vismara. 

In scena Giancarlo Previati, Petra Valentini, Edoardo Sorgente, Andrea Pennacchi e Nicola Stravalaci che interpreta il ruolo del servo, a cui è affidato il compito di traghettare l’azione da un atto unico all’altro.

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