Al Teatro Verdi di Trieste, dopo una Madama Butterfly non entusiasmante e due ottimi concerti di musica sinfonica, è arrivato il momento dell’opera buffa con Il barbiere di Siviglia di Rossini. Solita domanda retorica: potevo io non scrivere qualcosa prima della prima? Certo che potevo, ma sapete com’è, c’è sempre qualcuno che magari di quest’opera sa poco o nulla. E allora ecco qui, in ordine sparso dieci cose da sapere sul Barbiere di Siviglia. Comincerei con un evergreen (strasmile):
Nel proseguo sinteticamente altre notiziole, ricordando che – come ci ha anticipato Bugs Bunny – il libretto è stato tratto da una trilogia teatrale del francese Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais che comprende anche Le Nozze di Figaro musicate da Mozart. Il Barbiere di Siviglia, prima di Rossini, fu musicato con enorme successo nel 1872 da Giovanni Paisiello.
L’opera debuttò al Teatro Argentina di Roma il 20 febbraio 1816: fu un fiasco clamoroso.
Il titolo originale è Almaviva o sia L’inutil precauzione.
Il lavoro è tratto da una commedia scritta da Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, da cui il compositore Giovanni Paisiello aveva già tratto, nel 1787, il suo Barbiere di Siviglia che ebbe un successo straordinario.
La presunta rivalità tra Paisiello e Rossini spinse a scrivere nel libretto di Cesare Sterbini il seguente Avvertimento pubblico, una mostruosa excusatio non petita che chissà, forse incendiò ancora di più gli animi:La commedia del signor Beaumarchais intitolata Il barbiere di Siviglia, o sia L’inutile precauzione si presenta in Roma ridotta a dramma comico col titolo di Almaviva, o sia l’inutile precauzione all’oggetto di pienamente convincere il pubblico de’ sentimenti di rispetto e venerazione che animano l’autore della musica del presente dramma verso il tanto celebre Paisiello che ha già trattato questo soggetto sotto il primitivo suo titolo. Chiamato ad assumere il medesimo difficile incarico il signor maestro Gioachino Rossini, onde non incorrere nella taccia d’una temeraria rivalità coll’immortale autore che lo ha preceduto, ha espressamente richiesto che Il barbiere di Siviglia fosse di nuovo interamente versificato, e che vi fossero aggiunte parecchie nuove situazioni di pezzi musicali, che eran d’altronde reclamate dal moderno gusto teatrale cotanto cangiato dall’epoca in cui scrisse la sua musica il rinomato Paisiello. Qualche altra differenza fra la tessitura del presente dramma, e quella della commedia francese sopraccitata fu prodotta dalla necessità d’introdurre nel soggetto medesimo i cori, sì perché voluti dal moderno uso, sì perché indispensabili all’effetto musicale in un teatro di una ragguardevole ampiezza. Di ciò si fa inteso il cortese pubblico anche a discarico dell’autore del nuovo dramma, il quale senza il concorso di sì imponenti circostanze non avrebbe osato introdurre il più piccolo cangiamento nella produzione francese già consagrata dagli applausi teatrali di tutta l’Europa.
L’aneddotica del fiasco della prima è ricca e spumeggiante e va dal tenore Manuel Garcia che rompe una corda della chitarra mentre canta l’aria di entrata, all’interprete di Basilio che scivola, si rompe il naso e continua a cantare sanguinante, a un gatto nero che salta sul palco e molesta i cantanti (strasmile).
La famosa Ouverture in realtà fu scritta per Aureliano in Palmira, sempre di Rossini, nel 1813. Nel Barbiere ci sono altri autoimprestiti (prassi normale a quei tempi): da Elisabetta, Regina d’Inghilterra e da Sigismondo.
La parte di Rosina è scritta originariamente per contralto. La prima interprete fu Gertrude Righetti-Giorgi, che fu anche la prima Angelina, protagonista di La Cenerentola.
Al Teatro Verdi di Trieste l’opera debuttò nel 1817, mentre l’ultimo allestimento risale al 2017.
Nel 2020 Il barbiere di Siviglia è stata la sesta opera più rappresentata al mondo.
Bene, ora non mi resta che darvi appuntamento alla recensione di sabato prossimo, un saluto a tutti, anzi, that’s all folks!
A pochi giorni dall’apertura ufficiale della nuova stagione operistica, il Teatro nazionale croato Ivan de Zajc di Fiume presenta a Trieste la stagione operistica, concertistica e di balletto. La conferenza-evento al Caffè Tommaseo, impreziosita da alcune performance degli artisti delle compagnie stabili del teatro, è stata organizzata dall’Associazione Amici della lirica Giulio Viozzi, che da diversi anni segue e promuove l’attività artistica del vivace teatro fiumano. Proprio l’assidua frequentazione di questo teatro da parte del pubblico triestino ha portato anni fa alla scelta di presentare a Trieste quella parte della ricca e sfaccettata stagione del Zajc dedicata agli amanti della musica e della danza.
Hanno preso parte all’incontro il sovrintendente del teatro Marin Blažević, il direttore artistico del Balletto Maša Kolar, il direttore musicale principale Valentin Egel, mentre i numeri di canto e danza a corredo della presentazione sono stati a cura di Leonora Surian Popov, Serena Ferraiuolo, Anamarija Knego e Michele Pastorini.
OPERA
La stagione operistica del Zajc, curata dal direttore artistico Filip Fak, comprende cinque titoli. L’apertura del 24 novembre sarà nel segno dell’amatissima Zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart, nella regia di Renata Carola Gatica, con la direzione del maestro Valentin Egel e un cast di giovani promesse dell’opera, talenti da scoprire e che certamente conquisteranno il pubblico di tutte le generazioni con il fascino eterno di questa fiaba simbolica.
Seguiranno nel mese di marzo due atti unici in coproduzione con il TNC di Osijek. Si tratta dell’insolita e intrigante combinazione del Gianni Schicchi di Puccini e di Arlecchino di Ferruccio Busoni. La regia del primo è curata dal celebre Fabrizio Melano, che da oltre quarant’anni collabora con i maggiori teatri d’opera internazionali e principalmente con il Metropolitan di New York. L’Arlecchino di Busoni, nella regia di Marin Blažević, è la parodia di diverse opere, ma anche dello stesso genere dell’opera lirica. Al fianco dei solisti dell’Opera di Fiume si esibiranno i membri del Dramma Italiano di Fiume e i solisti dell’Opera di Osijek. L’eccellente Giorgio Surian interpreterà Gianni Schicchi, Anamarija Knego vestirà i panni di Lauretta, mentre Andrea Tich sarà Arlecchino.
La collaborazione con l’Orchestra filarmonica di Zagabria si concretizzerà in questa stagione d’opera nella première dello spettacolo di punta della nuova stagione, ovvero Erwartung di Arnold Schönberg, definita dall’autore stesso come la “rappresentazione al rallentatore di un secondo di pura eccitazione spirituale” nella descrizione musicale della notte angosciosa vissuta da una donna che cerca nel bosco il proprio amante. La protagonista sarà Dubravka Šeparović Mušović. Accanto a questa première, il dittico al femminile verrà completato dalla ripresa di Didone ed Enea di Henry Purcell, proposta al pubblico per la prima volta nel 2018 nella regia della giovane regista finlandese Mirva Koivukangas.
Nei mesi scorsi l’Opera di Fiume ha proposto alcune fortunate riprese di Madama Butterfly, Tosca e Cavalleria rusticana, mentre altre riprese sono in programma nel 2022, a partire dall’opera Roméo et Juliette di Charles Gounod, seguita dal Tristan und Isolde di Wagner nella regia della statunitense Anna Bogart con ospiti d’eccezione nei ruoli principali: Maida Hundeling nelle vesti di Isotta e Lars Cleveman nei panni di Tristano.
CONCERTI
Maida Hundeling ha dato l’avvio anche alla stagione concertistica del Zajc con il recente concerto di gala in un’antologia di brani d’opera. L’orchestra del teatro, l’unica in Croazia ad affiancare attività sinfonica ed operistica, sarà impegnata in dicembre nell’esecuzione della Sinfonia n. 4 di Čajkovskij e del Concerto per violino di Max Bruch con il solista Anton Kyrylov. Seguirà il Concerto di Capodanno dal titolo suggestivo Le mille e una notte e musiche dai tratti esoticì.
All’inizio dell’anno sarà possibile ascoltare la Sinfonia n.2 di Gustav Mahler sotto la direzione del maestro Philipp von Steinaecker, in collaborazione con il coro della Radiotelevisione croata. Seguirà una serata dedicata alla musica russa, con la miniatura Il Lago incantato di Lijadov e il Concerto per violino e orchestra di Prokofiev interpretato dal giovane violinista tedesco Niklas Liepe.
Il concerto successivo proporrà l’anteprima croata di un brano insolito, un Concerto per chitarra, basso elettrico e orchestra di Lauri Porra con l’autore nelle vesti di solista. Sarà anche presentato per la prima volta a Fiume il Concerto per orchestra di Witold Lutoslawski diretto dal maestro Ville Matvejeff.
L’Orchestra sinfonica di Fiume celebrerà la settimana pasquale con l’esecuzione della celeberrima Passione secondo Matteo di Bach, mentre nel concerto successivo il Maestro Valentin Egel dirigerà un singolare abbinamento tra l’ultima sinfonia di Haydn e la prima sinfonia di Brahms, precedute dalle brahmsiane Variazioni su un tema di Haydn.
Una chicca speciale è rappresentata dall’evento a conclusione della stagione 2021/2022: il violoncello solista dell’Orchestra filarmonica di Berlino Bruno Delepelaire, ha composto un concerto su commissione dell’Orchestra filarmonica di Fiume e ne sarà l’interprete principale. Nella stessa serata sarà possibile ascoltare anche il Concerto per violoncello di Elgar e la Sinfonia n.1- Titano di Gustav Mahler.
BALLETTO
Nella stagione 2021/2022 il Balletto di Fiume, diretto da Maša Kolar, presenterà un programma basato sull’eccellenza e la varietà. Assecondando le aspettative del pubblico, Lo schiaccianoci sarà il classico delle feste natalizie in una splendida produzione firmata dal coreografo Mauro de Candia.
Nel mese di febbraio andrà in scena la prima del balletto Trilogia mediterranea che comprende Pulcinella del coreografo italiano Giovanni di Palma (un omaggio alla commedia dell’arte), Preludio al pomeriggio di un fauno di Claude Debussy, Rapsodia spagnola nella coreografia di un nome emergente della danza europea, ovvero Filipe Portugal.
Un nome affermato come quello del celebre coreografo Jiříj Bubeniček darà voce nel mese di aprile alla più romantica delle storie d’amore, Romeo e Giulietta, nel suo magnifico connubio tra Shakespeare e Prokofiev.
FOTO in allegato dagli spettacoli DIDONE E ENEA, ROMEO E GIULIETTA, TRISTANO E ISOTTA
Associazione triestina Amici della Lirica Giulio Viozzi/Via G. Mazzini, 26 – Trieste/info@amiciliricaviozzi.it
HNK Ivana pl. Zajca/PRESS OFFICE tel.++385.51.355.915/ email: milena.jerneic@hnk-zajc.hr
OPERA 2021/22
Wolfgang Amadeus Mozart
IL FLAUTO MAGICO
Direttore d’orchestra: Valentin Egel
Regista: Renata Carola Gatica
Prima produzione a Fiume: 24 novembre 2021
Collaborazione con il Dramma Italiano e coproduzione con il Teatro nazionale di Osijek
Fidelio, unica opera lirica di Beethoven, ha avuto una genesi travagliata nonostante il compositore avesse concentrato tutte le energie al progetto per ben due anni, dal 1804 al 1806. Dopo che l’opera ricevette un’accoglienza tiepidissima venne il tempo delle modifiche, dei ripensamenti, delle numerose variazioni alla prima stesura. Finalmente, nel 1814 Vienna salutò la versione definitiva. Il genere operistico del Singspiel, in cui alla musica si alternano dialoghi parlati, fu ritenuto da Beethoven come il più adatto per rappresentare la vicenda, tratta da un testo francese (Léonore, ou l’amour conjugal) di Jean-Nicola Bouilly. Beethoven è il compositore che ha traghettato la musica del Settecento ad affacciarsi non solo al Romanticismo del secolo successivo ma sino alle porte del Novecento. La lezione mozartiana, appresa e sedimentata, si proietta a impreziosire l’opera d’Arte totale di Wagner e, per certi versi, di Richard Strauss. Fidelio, proprio per la sua natura di opera di transizione, pone gli esecutori (il direttore, in particolare) di fronte a un bivio: da una parte un’interpretazione protoromantica, dall’altra una visione meno densa e più rarefatta che si rifà a Mozart. Trovare un equilibrio, in una partitura sovrabbondante di sinfonismo, è difficile. Per il regista, invece, il problema è dare dinamicità a una vicenda in cui l’azione è poca e i personaggi sono caratterizzati in maniera piuttosto secca e brusca, quasi fossero archetipi. Inoltre, si dovrebbe cercare di sottolineare o valorizzare il messaggio di fratellanza universale che fa da sottotesto alla trama. No all’oppressione, no alla violenza, sì alla giustizia e alla speranza in un mondo migliore. Immagino che Joan Anton Rechi avesse ben presenti le prefate istanze, ma purtroppo la sua regia non ha colto nel segno sotto alcun punto di vista, limitandosi a una messa in scena statica, grigia in senso lato, appesantita da elementi simbolici piuttosto oscuri, come l’enorme testa scultorea del primo atto. Nella seconda parte la segreta in cui si trova la prigione di Florestan è rappresentata da un buio cunicolo a cerchi concentrici: il risultato non è parso felicissimo, francamente. Se le scene di Gabriel Insignares non hanno convinto, i costumi di Sebastian Ellrich hanno peggiorato la situazione: sciatti, quasi monocromatici quelli dei prigionieri e banalissimi per i protagonisti. Bellissimo, invece, l’impianto luci di Fabio Barettin, che è riuscito a dare una certa tridimensionalità alle scene. Myung-Whun Chung, sul podio di un’eccellente Orchestra della Fenice in cui archi e legni si sono distinti per bellezza di suono, non ha risolto l’enigma Fidelio e anzi, si è complicato la vita sin dall’inizio, scegliendo inopinatamente per l’Ouverture la Leonore n.3 che Beethoven scrisse per la seconda edizione. Un retaggio di una tradizione ormai superata (fu Mahler a proporla per la prima volta), che in ogni caso prevedeva l’inserimento del brano poco prima del finale. Chung, peraltro, ha connotato di leggerezza le parti di più marcata ascendenza mozartiana (il meraviglioso quartetto Mir ist so wunderbar) e ha dato risalto con dinamiche anche imponenti all’anima sinfonica dell’opera; è sembrato però che la narrazione teatrale proseguisse senza un progetto omogeneo, in modo un po’ caotico. Tra i cantanti ha ben figurato la granitica Tamara Wilson, capace di tratteggiare una Leonore fiera e determinata e al contempo dolce e impaurita. La voce è importante e ben gestita, per quanto qualche acuto risulti aspro e tagliente. Ian Koziara era nei panni, temibilissimi, di Florestan, e ne è uscito malconcio. Nella grande aria che apre il secondo atto ha cominciato con una pregevole messa di voce, ma poi è naufragato nel finale in cui la voce si è strozzata senza rimedio. Il tenore si è poi ripreso ma sarebbe da risentire in altra occasione. Il monolitico e crudele Don Pizzarro ha trovato un buon interprete in Oliver Swarg, che ne ha accentuato i tratti luciferini. Bene anche Tilmann Rönnebeck nell’ambigua parte di Rocco e l’empatico Bongani JusticeKubheca quale Don Fernando. Buone anche le prestazioni di Ekaterina Bakanova (Marzelline sobria, priva di smancerie) e LeonardoCortellazzi (gradevole Jaquino). Bravissimi Dionigi D’Ostuni e Antonio Casagrande, primo e secondo prigioniero. Molto buona, considerate le circostanze – le stringenti norme per il Covid-19 -, la prova del Coro preparato come sempre da Claudio Marino Moretti. Il pubblico che affollava La Fenice – sostanzialmente un sold out – è stato generoso di applausi per tutta la compagnia artistica, festeggiando in particolare Tamara Wilson e Myung-Whun Chung.
Don Fernando Bongani Justice Kubheka Don Pizzarro Oliver Zwarg Florestan Ian Koziara Leonore Tamara Wilson Rocco Tilmann Rönnebeck Marzelline Ekaterina Bakanova Jaquino Leonardo Cortellazzi
Primo prigioniero Dionigi D’Ostuni
Secondo prigioniero Antonio Casagrande
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Direttore Myung-Whun Chung Mestro del Coro Claudio Marino Moretti Regia Joan Anton Rechi Scene Gabriel Insignares Costumi Sebastian Ellrich Light designer Fabio Barettin
Pochissime gioie, ultimamente a Trieste. Per fortuna ci sono il teatro e la musica, che ci preservano almeno un po’ da certi orrori…
Dopo la serata della settimana scorsa – che si è svolta in condizioni ambientali difficili -, l’attività del Verdi di Trieste è ripresa ieri con il secondo concerto della rassegna autunnale con la musica di Antonin Dvořák, Richard Strauss e Alexander von Zemlinsky. Si tratta di artisti nati in pieno Ottocento che si sono affacciati al secolo successivo declinando in modo personale l’arte della composizione prediligendo generi musicali diversi, tanto che fatico a trovare un fil rouge nel programma che non sia la parentela culturale tra i protagonisti, tutti di estrazione mitteleuropea. Il concerto per violoncello e orchestra n.2 in si minore op.104 di Dvořák, una pagina musicale emozionante come poche, ha aperto la serata. Il brano prende spunti da quella autentica miniera che è la musica popolare, a cui hanno attinto moltissimi compositori di tutte le epoche. Strutturato nei classici tre movimenti la pagina si caratterizza per il notevole equilibrio tra il solista e l’orchestra, quasi a contraddire lo schema del concerto romantico in cui l’orchestra è spesso quasi ancella del solista. Il suono caldo del violoncello sembra seguire l’andamento di un fiume carsico, che ogni tanto scompare per poi risorgere vigoroso e lussureggiante. Mischa Maischy è stato protagonista di una splendida prestazione che, per quanto mi riguarda, è cominciata già dal look più da rockstar che da inamidato concertista. Il violoncello è sembrato quasi un prolungamento del corpo e dell’anima su cui avvinghiarsi, contorcersi e vibrare in unisono. Ne è uscita un’interpretazione viva, palpitante, rivelatrice dell’impegnativo brano del compositore ceco. Ottima l’intesa col giovane direttore Nikolas Nägele il quale, con altrettanta passione, ha ottenuto un suono omogeneo ed equilibrato da un’Orchestra di Trieste più che mai in palla, in cui si sono distinti legni e fiati. Grandioso (e meritato!) successo per Maischy, che ha generosamente concesso ben tre bis. Dopo l’intervallo è stato Richard Strauss, colto in una famosa pagina giovanile, a emozionare il pubblico. Il poema sinfonico giovanile Tod und Werklärung (Morte e trasfigurazione) è una specie di ideale ponte con il Tristan und Isolde di Wagner, soprattutto dal punto di vista concettuale. La morte vista non come atto finale e definitivo della vita bensì come mezzo per raggiungere una dimensione diversa. Una visione consolatoria? Forse, ma l’immortalità è propria degli artisti, che percepiscono scenari diversi dalla gente comune e la aiutano a vivere con la speranza che ci sia, comunque, un domani. La musica di Strauss è sempre molto densa, anche quando a farla da padrone sono gli strumenti più delicati come i flauti, i clarinetti o i fagotti. Nägele sceglie agogiche rilassate, che lasciano apprezzare il virtuosismo dei professori d’orchestra ma che al contempo mantengono tesa la narrazione grazie a un raffinato uso di dinamiche anche fortemente contrastate. Ne sortisce un’interpretazione convincente di un brano che prova a sciogliere con delicatezza uno dei drammatici nodi gordiani dell’esistenza. Brillante anche in questo caso la prestazione dell’orchestra, capace di una trasparenza e nitidezza di suono che nella musica di Strauss è difficile da ottenere. IL concerto si è chiuso con il Salmo 13 per coro e orchestra op24 di Alexander von Zemlinsky, che ci è sembrato molto adatto ai tempi (grami) che stiamo vivendo. Sdegno, paura, speranza, sono sentimenti che ci pervadono spesso e che sono espressi nei versi del salmo anche bruscamente. L’intervallo orchestrale contribuisce ad aumentare una tensione che poi si scioglie nel finale. Ottima, in questo caso, la prestazione del Coro della Fondazione, preparato da Paolo Longo. Alla fine il folto pubblico ha manifestato grande entusiasmo per la serata, applaudendo con convinzione e chiamando più volta al proscenio i protagonisti.
Antonin Dvorák
Concerto per violoncello e orchstra n.2 in si minore op.104
Al Teatro Verdi, in una Trieste ancora dilaniata dalle polemiche sulle misure cautelari per il Covid-19 e ostaggio dell’ennesimo corteo dei no green pass e no vax, si è svolto il primo dei due concerti autunnali organizzati poco tempo fa per riempire il buco di programmazione dovuto alla mancata stagione sinfonica.
I disordini hanno avuto luogo a pochi metri dal teatro e perciò, senza esprimere valutazioni sulla questione, l’unica circostanza che mi pare valga la pena sottolineare è che una volta di più la musica – ma direi l’Arte in generale – ha confermato il suo intrinseco valore salvifico di sospensione dalla realtà: la bellezza forse non salverà il mondo, ma sicuramente lo rende più vivibile. Tornando alla serata, protagonisti sono stati due artisti coevi ma affatto diversi tra loro: Camille Saint-Saëns (il Brahms francese) e Johannes Brahms. Ha aperto la serata il Concerto per violino e orchestra n.3 in si minore, op.61 del compositore francese. Strutturato in tre movimenti, il concerto è stato scritto pensando alle caratteristiche tecniche di uno dei più famosi virtuosi di sempre, Pablo de Sarasate. La pagina musicale esplora tutto lo spettro espressivo dello strumento; sono ovviamente numerosi e impervi gli sprazzi solistici – soprattutto nel Terzo movimento Molto moderato e maestoso -ma non mancano le aperture melodiche e rimandi alla musica popolare che caratterizzano buona parte della musica di Saint-Saëns. Kuba Jacovicz, figlio d’arte, si è dimostrato all’altezza della situazione sia per doti tecniche sia per espressività, palesando anche col corpo un’interpretazione intensa, passionale ed empatica del brano. Lo ha supportato brillantemente la compagine orchestrale triestina, guidata da Pinchas Steinberg, che ha saputo bilanciare con meditato equilibrio il dialogo tra solista e orchestra. Alla fine sono state numerose le chiamate al proscenio per Jacovicz, che ha regalato un bis al pubblico entusiasta. Dopo la pausa è stata la volta di uno dei monumenti della musica sinfonica e cioè la Seconda sinfonia in re maggiore, op.73 di Brahms, che vide la prima esecuzione nel 1887, tre anni prima del concerto per violino di Saint-Saëns. Contrariamente a composizioni precedenti, Brahms scrisse questasinfonia in modo spedito e senza intoppi, nella pace e nella serenità di luoghi baciati dalla bellezza della Natura e avvolto dalle influenze culturali della Mitteleuropa. Questa atmosfera rilassata e distesa si percepisce nella musica, seppure screziata da qualche evanescente ripiegamento malinconico sottotraccia forse dovuto all’incertezza intellettuale di chi, dopo Beethoven, si è cimentato col genere sinfonico. La pagina musicale è scorrevole e nonostante non manchino contrasti dinamici anche importanti, mantiene una cifra lirica e cantabile che la rende accattivante anche al primo ascolto. Di grande rilievo la prova dell’Orchestra del Verdi che ha ben figurato in tutte le sezioni. Eccellenti gli archi gravi, setosi e avvolgenti viole e violini. Brillanti anche le prestazioni dei legni e degli ottoni, in evidenza particolare in questa pagina brahmsiana. Ovviamente è stato fondamentale l’apporto di Pinchas Steinberg il quale, senza troppe teatralità e con asciutta concretezza ha ottenuto un suono omogeneo ed equilibrato dall’orchestra che ne ha raccolto le suggestioni. Il pubblico, abbastanza numeroso considerato il contesto, ha decretato un eccellente successo al direttore e alla compagine triestina
Data dello spettacolo: 07 Nov 2021
Camille Saint-Saëns
Concerto per violino e orchestra n.3 in si minore, op.61
TEATRO VERDI DI TRIESTE – RASSEGNA D’AUTUNNO – PRIMO CONCERTO
Sabato 6 novembre primo dei due concerti sinfonici al Teatro Verdi di Trieste, per una mini rassegna d’autunno grazie alla quale il pubblico ritroverà artisti importanti del panorama mondiale e che si aggiunge agli spettacoli già annunciati per il 2021.
Protagonisti sabato 6 novembre alle 20.30 il direttore Pinchas Steinberg e il violinista Kuba Jakowicz. Il programma prevede Camille Saint-Saëns, concerto per violino e orchestra n. 3 in si minore op. 61, e Johannes Brahms, seconda Sinfonia in re maggiore. Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi. Per Steinberg è un gradito ritorno a Trieste, dopo aver diretto al Verdi il concerto inaugurale della Stagione Sinfonica 2018. Nato in Israele, ha studiato violino negli Stati Uniti con Joseph Gingold e Jascha Heifetz, e composizione a Berlino con Boris Blacher. Ha debuttato come direttore d’orchestra nel 1974 con la RIAS Symphony Orchestra di Berlino, il primo di una lunga serie di prestigiosi impegni con importanti orchestre in tutto il mondo. Risale al 1980 invece il suo debutto al Teatro Verdi di Trieste, in occasione della Stagione Sinfonica di primavera. Ha inoltre ricoperto la carica di Direttore ospite permanente presso la Wiener Staatsoper, Direttore Principale della Radio Symphonie Orchester di Vienna, Direttore musicale dell’Orchestre de la Suisse Romande a Ginevra e Direttore Principale della Budapest Philharmonic Orchestra. Gli impegni recenti includono concerti e produzioni operistiche a Parigi, Tokyo, Sydney, Madrid, Budapest, Berlino, Barcellona, Monaco, Torino, Helsinki. Kuba Jakowicz, classe 1981, nato a Varsavia, ha ereditato la passione per la musica dal padre. Si è messo in luce nel 2001 con la Filarmonica di Monaco, l’Orquesta National de España a Madrid e l’Orchestre National de Montpellier e da allora ha girato tutto il mondo, esibendosi con grandi orchestre, in occasione di tanti eventi internazionali di rilievo. È stato l’ultimo allievo del prof. Tadeusz Wroński, uno dei padri della scuola violinistica polacca. Il secondo concerto si terrà sabato 13 novembre sempre alle 20.30 con il direttore Nikolas Nägele e il violoncellista Mischa Maisky.
I biglietti per i due concerti d’autunno sono in vendita in ogni ordine di posto all’interno del teatro. La biglietteria è aperta da martedì a sabato dalle 9 alle 16. Domenica dalle 9 alle 13:30.
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