Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: giugno 2022

Consuntivo della stagione al Teatro Verdi di Trieste

COMUNICATO STAMPA

TEATRO VERDI DI TRIESTE 2022: LA STAGIONE DELLA RIPARTENZA

Trieste, 30 giugno 2022: Spettatori in costante crescita dal primo spettacolo a gennaio, un ritorno del pubblico da fuori città e dall’estero e la presenza sempre più numerosa di giovani e giovanissimi. Il Teatro Verdi di Trieste chiude la stagione 2022 con uno slancio importante, dopo due anni difficili dettati da chiusure e restrizioni. 

La stagione lirica e di balletto è iniziata il 21 gennaio con il debutto mondiale di “Amorosa presenza” di Nicola Piovani. Doppio appuntamento dall’8 febbraio con Carmen Suite e Scheherazade, per proseguire dal 4 marzo con Tosca e dal 1° aprile con Don Pasquale. Dal 6 maggio in scena Rigoletto, titolo finale l’inedito dittico di Pagliacci/Al Mulino.

A margine della stagione ufficiale anche altri appuntamenti, le due opere in un atto, favole dedicate a un pubblico di tutte le età, con Cendrillon e Il Castello incantato, mentre a maggio si è tenuto anche il “Concerto di primavera”.

Nel corso di un incontro con la stampa oggi il sovrintendente del Teatro Verdi Giuliano Polo ha tracciato un bilancio della stagione da poco conclusa, definita “la stagione della ripartenza”, con un avvio avvenuto in un momento caratterizzato da “una fase acuta della pandemia, che ha determinato un calo della sottoscrizione degli abbonamenti del 40% circa. Abbiamo dovuto applicare rigorose misure di sicurezza per lavoratori e pubblico che sicuramente non hanno favorito l’afflusso”. Nonostante le dovute restrizioni però “la vendita – precisa – ha registrato un buon andamento, in alcuni casi ottimo, in particolare per Tosca e Rigoletto, compensando in buona parte il calo degli abbonati”.

Passando ai numeri, Polo ha ricordato come ci siano state “più di 25 mila presenze complessive, con una media di circa 700 spettatori a recita, per un tasso di riempimento della sala del 65%, considerando anche i posti di scarsa visibilità”. Come detto Tosca e Rigoletto sono state le opere più apprezzate dal pubblico, “con un tasso medio di riempimento superiore al 75% e con alcuni sold out”. Dati positivi, in un quadro generale contraddistinto spesso dall’incertezza dettata dall’aumento dei contagi. Motivo per cui, prosegue Polo, “siamo parzialmente soddisfatti dei risultati, perché dopo la pandemia la capacità di ripresa era in forte dubbio”.

Nel corso della stagione il teatro ha osservato con grande scrupolo tutte le misure di emergenza legate al Covid, per la tutela del pubblico e per quella dei lavoratori, “che vanno ringraziati – sottolinea il sovrintendente – per l’impegno e la disponibilità anche per quanto riguarda questo aspetto. Un impegno che ci ha consentito di contenere i contagi in misura tale da non precludere mai il regolare svolgimento della stagione”.

Un altro dato rilevante della stagione 2022 è il ritorno a teatro dei ragazzi, “un aspetto importantissimo – evidenzia – sono stati presenti nel corso di tutti gli spettacoli e questo sicuramente ci fa grande piacere. A loro la fondazione riserva tariffe vantaggiose ma assolutamente non simboliche, c’è quindi una riscoperta del teatro da parte di giovani e giovanissimi, che abbiamo visto varcare la soglia del Verdi e seguire con entusiasmo i titoli proposti. Per gli under 34, under 30 e le scuole c’è stata una presenza media per ciascun titolo d’opera di 500 ragazzi, per un totale di 6mila presenze. All’Opera Ragazzi si sono registrati 600 abbonamenti, mentre le due opere in un atto hanno fatto segnare 2.512 biglietti”.

Nel 2022 il teatro ha nuovamente accolto anche tanti spettatori da fuori città, “un incremento costante di persone – ricorda Polo – giunte da fuori Trieste ma anche da altre regioni italiane e da diversi Paesi, 3.600 in tutto, il 15% del totale circa”.

Da rilevare anche i riscontri positivi della critica, espressi in generale su tutto il cartellone, che, ricordiamo, ha portato in scena due prime assolute mondiali, “Amorosa presenza” e “Al Mulino”. Cresciuti costantemente anche gli utenti dei social collegati al Teatro Verdi, che hanno offerto durante tutta la stagione foto, video e informazioni su prove, spettacoli e altre iniziative avviate nel corso dell’anno. 

Tra le novità del 2022 da citare anche il ritorno della “Prolusione all’opera”, che ha proposto al pubblico un approfondimento storico e musicale in riferimento a quattro titoli. Incontri curati con grande professionalità da Gianni Gori.

Due opere realizzate dal teatro inoltre sono state protagoniste di altrettante trasferte in regione: Rigoletto al Teatro Verdi di Pordenone e Tosca al Teatro Nuovo Giovanni da Udine.

“Conclusa la stagione ufficiale, il teatro non si ferma e a luglio – anticipa il sovrintendente – sono previsti due ulteriori eventi. Si comincia con ‘Il Pipistrello’, dal 10 luglio, che riprende la tradizione estiva dell’operetta, per proseguire il 24 luglio con un concerto sinfonico dedicato a Ludwig van Beethoven”.

Nel dettaglio, Il Pipistrello sarà in scena dal 10 al 17 luglio, operetta in tre atti di Johann Strauss jr, su libretto di Carl Haffner e Richard Genée, in un nuovo allestimento della Fondazione.

Maestro Concertatore e Direttore Nikolas Nägele, regia di Oscar Cecchi, scene di Paolo Vitale, coreografie di Lukas Zuschlag, Maestro del Coro Paolo Longo. Nel cast figurano Manuel Pierattelli (Gabriel von Eisenstein), Marta Torbidoni (Rosalinde), Alessandro Scotto di Luzio (Alfred), Federica Guida (Adele), Anastasia Boldyreva (Principe Orlofsky), Fabio Previati (Dottor Falke), Stefano Marchisio (Frank), Andrea Binetti (Frosch), Federica Vinci (Ida) e Andrea Schifaudo (Dottor Blind). Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione, Corpo di ballo della SNG Opera in balet Ljubljana. 

Spettacoli domenica 10, martedì 12 e giovedì 14 luglio alle 20.30, sabato 16 e domenica 17 luglio alle 17. Biglietti già in vendita alla biglietteria del teatro, a partire da 18 euro, con promozioni speciali per i giovani under 30 e da 30 a 34 anni.

Domenica 24 luglio alle 20.30 ci sarà un Concerto sinfonico interamente dedicato a Ludwig van Beethoven; in programma l’Ouverture Leonore III, la Fantasia in do minore per pianoforte, soli, coro e orchestra, la Settima sinfonia.  Il concerto è organizzato in collaborazione con la Società dei Concerti nell’ambito del Progetto Beethoven. Sul podio il Maestro Marco Seco, al pianoforte Alessandro Taverna. Maestro del Coro Paolo Longo. Coro e Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste che, in questa occasione, si esibirà unitamente all’orchestra LAFIL-Filarmonica di Milano. Biglietti già in vendita alla biglietteria del teatro, a partire da 11 euro, con promozioni speciali per i giovani under 30 e da 30 a 34 anni.

Sempre a luglio sarà presentata anche la prossima stagione sinfonica e lirica 2022-23, con alcune importanti novità, in una data che verrà comunicata a breve.

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La lunga estate calda del vecchio blogger.

Chissà, forse qualcuno ha notato (non credo) che ho aggiunto un piccolo particolare all’intestazione del blog. Prima c’era scritto così:

Di Tanti Pulpiti, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Ora è così:

Di Tanti Pulpiti, dal 2006 episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

È importante? Lo è per me, perché di blog, che oggi sono cascami della Rete – nella migliore delle ipotesi – ne sono rimasti “pochi”, distrutti dalla valanga dei social più immaginifici e ineffabili. Perciò chi ha un blog vivo deve curarlo, amarlo, coccolarlo.
In realtà sono un blogger ancora da prima (2002), ma il passaggio tra piattaforme varie (Tiscali e Splinder) è stato crudele e molto è andato perduto. E, a dirla tutta, scrivo sul Web dal 1997. Insomma, sono 25 anni, che pochi non sono.
In questi cinque lustri ne ho viste di tutti i colori sia su queste pagine sia nella vita. Soprattutto nella vita, cristo, ma si va avanti.
Ora, nel 2022, mi si presenta un’estate caldissima non solo dal punto di vista del meteo – che dio maledica il caldo, io vivrei nel ghiaccio se potessi – ma anche dal lato impegni.
Da luglio ai primi giorni di settembre ho in agenda 14 serate in teatro solo tra Trieste e Lubiana; penso che se ne aggiungeranno altre a breve. Ce la farò? Boh, non sono più un ragazzino.
Vedrò e ascolterò musiche dei più grandi compositori di sempre interpretate da grandi artisti: da Anna Netrebko a Juan Diego Florez, da quello che resta di Placido Domingo a Esa-Pekka Salonen sino a Riccardo Muti e tanti, davvero tanti ancora.
Ho avuto agende peggiori, credetemi.
Perciò in questo giurassico luogo virtuale (e su Operaclick), gestito da un ancor più giurassico blogger, potrete leggere di teatro musicale. Non mi considero un critico, ma solo un modesto recensore.
Tuttavia spero di riuscire a raccontarvi bene delle magie e delle meraviglie che, nonostante le continue brutture che ci sbattono in muso, continuano ad accadere nel mondo. E se questo vi darà cinque minuti di serenità, fatemelo sapere.
E poi, dopo aver ricevuto questo premio , sento la necessità di scrivere sempre meglio, ché di cronache, recensioni e articoli vari pieni di errori e orrori ortografici e consecutio agghiaccianti ne abbiamo tutti abbastanza.
Pubblico questo articoletto perché proprio oggi la Zia quantistica avrebbe compiuto 94 anni, un altro modo per ricordarla.
Nel frattempo mi butto in lavatrice per rinfrescarmi.

Lo strano dittico Pagliacci/Al mulino ottiene un buon successo al Teatro Verdi di Trieste. Al mulino, opera di Ottorino Respighi in prima mondiale, è una piacevole sorpresa.

Ultimo appuntamento della stagione del Verdi – è stato aggiunto in luglio un estemporaneo Pipistrello, probabilmente per dare un contentino agli appassionati dell’operetta -, il dittico Pagliacci/Al mulino si è rivelato interessante e coinvolgente. Unica criticità, a mio parere, l’eccessiva lunghezza della serata che si è conclusa a mezzanotte.
Forse il teatro di una città che sta diventando turistica dovrebbe prendere esempio proprio dal modello di Venezia a cui, a torto o ragione, si ispira apertamente e programmare l’inizio degli spettacoli almeno un’ora prima del classico orario delle 20.30, o perlomeno farlo quando la durata supera le tre ore.
Pagliacci di Leoncavallo mancava dal teatro triestino da vent’anni e perciò vale la pena, credo, spendere due parole su quest’opera che un’intera generazione di autoctoni non ha potuto vedere sul palcoscenico di casa.
Fortunatissima da subito, Pagliacci all’esordio a Milano il 21 maggio 1892 beneficiò della direzione di Arturo Toscanini e l’aria più famosa, Vesti la giubba, fu incisa in tempi pioneristici (1903) da Enrico Caruso per la casa statunitense Victor, vendendo qualcosa come un milione di copie.
Erano i tempi in cui cavalcando l’onda del successo di Cavalleria rusticana di Mascagni si componevano opere con soggetti ispirati – a dire il vero con una certa libertà – al movimento culturale del Verismo. Giordano, Cilea, Mascagni e, tirandolo per i capelli, anche Puccini in parte della sua produzione sono da considerarsi compositori veristi.
Personaggi di basso stato spesso sordidi e marginali, ambientazioni fortemente legate a territori specifici, vicende cruente, sono le caratteristiche salienti dell’opera verista.
Nei Pagliacci convergono numerose anime. Può essere vista come un grande esperimento di metateatro, con il famoso Prologo che ci spiega come “il teatro e la vita non sono la stessa cosa” mentre lo svilupparsi la vicenda ci dice il contrario. E, del resto, sembra che per quanto artatamente mascherato il fatto di sangue – l’ennesimo femminicidio e un omicidio – di cui si narra sia realmente accaduto in un paesino calabrese.
Ruggero Leoncavallo, wagneriano fradicio, prese dal nume tutelare la convinzione che un compositore dovesse scrivere il libretto per la sua musica e infatti così è per Pagliacci. Ma se Wagner è ermetico, visionario, criptico ed elegiaco nei suoi versi, al contrario Leoncavallo è diretto, sanguigno, astutamente volgare nel suo libretto. E altrettanto empatica, emotivamente coinvolgente è la sua musica che asseconda e rinforza le parole forti dei versi.
Valerio Galli, sul podio di un’Orchestra del Verdi che si è ben disimpegnata in tutte le sezioni, ha interpretato la partitura con equilibrio e in linea con la regia di Victor Garcia Sierra, a sua volta ben supportata dai costumi tradizionali e colorati di Giada Masi, dalle scene di Paolo Vitale e dall’impianto luci di Stefano Gorreri : i contrasti dinamici e agogici intensi ma calibrati hanno dato rilievo sia ai momenti più tragici sia alle brevi oasi liriche dell’opera. Non è, Pagliacci, opera da salotti raffinati bensì da polverose piazze popolari; il suono rude, grasso ed epidermico è uno stile, come nelle rozze fotografie di strada di Bruce Gilden che immortalano un’umanità borderline stravolta da un flash sparato in faccia.
Nella regia, ridondante solo nelle proiezioni iniziali e con qualche sospetto di horror vacui qua e là, si ritrova tutto ciò che nell’immaginario collettivo deve esserci in uno spettacolo di strada itinerante: donne barbute, figuranti con i trampoli, giostre e accalcarsi di persone col tasso alcolico elevato immerse in un microclima sociale che palesa disagio ed emarginazione. C’è chi vuole qualcosa di più, come Nedda e Silvio, chi ci sguazza come Canio e chi, come Tonio, contribuisce con rabbia a inchiodare a terra le aspirazioni degli altri per vendicarsi di una natura che gli è stata matrigna.
In questo senso, Devid Cecconi colora il suo Tonio con la disperata prepotenza di un personaggio di Dostoevskij: non si può salvare il mondo con la bellezza? Beh, allora portiamolo al livello più sordido con l’abominio morale e l’odio. Un’interpretazione intensa, alla quale il baritono aggiunge una vocalità straripante ma controllata e una recitazione misurata nei gesti e nella mimica.
Valeria Sepe, voce di soprano che si espande negli acuti, è una Nedda minuta e fragile che si fa amare per il suo tragico e inesausto desiderio di guardare le stelle anche se immersa nel fango. Si concede non a Silvio, ma al miraggio di una vita migliore.
Amadi Lagha è un Canio di tradizione, sobrio nella recitazione in una parte che si presterebbe a eccessi e dotato di voce di buon volume e colore mediterraneo. Gli manca, forse, una personalità artistica più marcata che renda incisivo il fraseggio, ma il personaggio è risolto compiutamente.
Senza due bravi interpreti di Silvio e Beppe Pagliacci è monca e l’accorato Min Kim interpreta bene il sogno di Nedda allo stesso modo dell’elegante Blagoj Nacoski nell’insidiosa parte dell’Arlecchino. Completavano dignitosamente il cast Damiano Locatelli e Francesco Paccorini.
Molto bene il Coro, purtroppo ancora costretto alla mascherina, ed eccellente la prova dei ragazzini del coro di voci bianche.
Successo pieno per tutta la compagnia artistica, più volte chiamata al proscenio da un pubblico magari non foltissimo ma partecipe.
Dopo un lungo intervallo è stata la volta della sofferta opera di Ottorino Respighi, Al mulino, rimasta incompiuta. Nel libretto di sala si spiega con dovizia di particolari quali sono state le strategie e le motivazioni di Paolo Rosato e Fabrizio Da Ros – sul podio dell’orchestra in questa prima mondiale – per completare dopo più di un secolo la partitura. Un lavoro ancora in fieri, a detta dei prefati protagonisti.
Dal mio punto di vista l’opera soffre di qualche lungaggine e di un libretto un po’ troppo verboso nel linguaggio, ma questa prima uscita mi ha convinto perché la musica è coinvolgente nella sua enfatica solennità che non affonda mai nelle melmose spiagge della magniloquenza stentorea.
La vicenda è semplice e si svolge In Russia ai primi del Novecento in una famiglia contadina disagiata, dove un padre padrone (Anatolio) maltratta per ignoranza e maschile paternalismo spinto la giovane figlia Aniuska la quale, ovviamente, si innamora di un ribelle oppositore del regime zarista, Sergio. Nicola, operaio segretamente innamorato della bella mugnaia, non vuole in alcun modo che la giovane realizzi il suo sogno e fa il delatore rivelando all’ordine costituito il nascondiglio del fuggitivo Sergio. Aniuska sbrocca alla grande e annega tutti, buoni e cattivi, nelle acque del fiume che alimenta il mulino.
Ed è appunto il mulino protagonista della messinscena di Daniele Piscopo, che firma appunto regia, scene e costumi. Allestimento pienamente riuscito nella sua relativa semplicità, che con la sua cupezza incombente macina i sentimenti dei protagonisti e accompagna una musica spesso tetra, violenta e minacciosa dall’incessante incedere.
I cantanti, “costretti” a un declamato teso e agitato, sono stati tutti all’altezza della situazione sia dal lato vocale sia da quello scenico ma, almeno dalla mia posizione, alcuni sono sembrati sottodimensionati per volume perché l’orchestra è parsa davvero un muro difficile da superare.
A Domenico Balzani non fa certo difetto il volume e con la sua interpretazione ha dato rilievo al viscido Nicola.
Zi Zhao Guo (Sergio) è uscito tutto sommato bene da una parte tenorile che mi è sembrata impervia, mentre Afag Abbasova-Budagova Nurahmed (Aniuska), brava dal lato attoriale, ha palesato i limiti di una voce forse troppo esile e ha risolto il personaggio per impegno e partecipazione emotiva.
Ancora brillante Blagoj Nacoski (Ufficiale) e accettabile, ma meno centrata, la prestazione di Min Kim nei panni del crudele Anatolio. Funzionale allo spettacolo il rendimento di Cristian Saitta (Pope), Anna Evtekhova (Maria) e Giuliano Pelizon (Soldato), mentre nella breve ma impegnativa parte tenorile (“Solo”) è stato eccellente Francesco Cortese. Buona la prova del Coro.
Fabrizio Da Ros ha diretto con grande pathos la compagine triestina, anche in questa occasione brillante, ed è riuscito a trasmettere quella sensazione angosciosa di catastrofe imminente che mi pare la cifra distintiva dell’opera.
Alla fine anche in questo caso il pubblico ha applaudito tutta la compagnia artistica, decretando così un franco successo a questa nuova produzione del Verdi.

Pagliacci
  
Canio/PagliaccioAmadi Lagha
Nedda/ColombinaValeria Sepe
Tonio/TaddeoDevid Cecconi
Beppe/ArlecchinoBlagoj Nacoski
SilvioMin Kim
Un contadinoDamiano Locatelli
Altro contadinoFrancesco Paccorini
  
DirettoreValerio Galli
Maestro del coroPaolo Longo
RegiaVictor Garcia Sierra
ScenePaolo Vitale
CostumiGiada Masi
LuciStefano Gorreri
  
Coro dei Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti dal Maestro Cristina Semeraro
  
Al mulino
  
AniuskaAfag Abbasova-Bugadova Nurahmed
NicolaDomenico Balzani
SergioZi Zhao Guo
PopeCristian Saitta
AnatolioMin Kim
MariaAnna Evtekhova
SoloFrancesco Cortese
SoldatoGiuliano Pelizon
  
DirettoreFabrizio Da Ros
Regia, scene e costumiDaniele Piscopo
  
Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste
  




Divulgazione semiseria dell’opera lirica: il dittico Pagliacci/Al mulino al Teatro Verdi di Trieste.

Con il singolare dittico Pagliacci/Al mulino si chiude, venerdì prossimo 10 giugno, la stagione operistica al Verdi di Trieste. Una stagione di transizione per vari motivi: Il Covid e l’avvicendamento del sovrintendente sono i più evidenti. Aspetto con ansia il cartellone nuovo, sperando in qualche titolo meno scontato e anche a una stagione sinfonica degna di tal nome.
Pagliacci di Leoncavallo è opera davvero singolare e fortunatissima da subito. All’esordio a Milano il 21 maggio 1892 beneficiò della direzione di Arturo Toscanini e l’aria più famosa, Vesti la giubba, fu incisa in tempi pioneristici (1903) da Enrico Caruso per la casa statunitense Victor, vendendo qualcosa come un milione di copie!
Erano i tempi in cui cavalcando l’onda del successo di Cavalleria rusticana di Mascagni si componevano opere con soggetti ispirati – a dire il vero con una certa libertà – al movimento culturale del Verismo. Giordano, Cilea, Mascagni e, tirandolo per i capelli, anche Puccini in parte della sua produzione sono da considerarsi compositori veristi. Personaggi di basso stato spesso sordidi e marginali, ambientazioni fortemente legate a territori specifici, vicende cruente, sono le caratteristiche salienti dell’opera verista.
Nei Pagliacci convergono numerose anime. Può essere vista come un grande esperimento di metateatro, con il famoso Prologo che ci spiega come “il teatro e la vita non sono la stessa cosa” mentre lo svilupparsi la vicenda ci dice il contrario. E, del resto, sembra che per quanto artatamente mascherato, il fatto di sangue – l’ennesimo femminicidio e un omicidio – di cui si narra sia realmente accaduto in un paesino calabrese.
Ruggero Leoncavallo, wagneriano fradicio, prese dal nume tutelare la convinzione che un compositore dovesse scrivere il libretto per la sua musica e infatti così è per Pagliacci. Ma se Wagner è ermetico, visionario, criptico ed elegiaco nei suoi versi, al contrario Leoncavallo è diretto, sanguigno, astutamente volgare nel suo libretto. E altrettanto empatica, emotivamente coinvolgente è la sua musica che asseconda e rinforza le parole forti dei versi.
Se digitate la chiave di ricerca “Al mulino” sui motori di ricerca vi farete una cultura sugli agriturismi e magari potete prenotare un pranzo. Dell’omonima opera del compositore Ottorino Respighi si trova poco e io ne so nulla (oh, mica si può sapere tutto eh?): perciò mi limiterò a dare qualche notizia ricavata dalla Rete.
Di Respighi come artista, invece, Trieste è sempre stata estimatrice, tanto che il Verdi è uno dei pochi teatri italiani ad aver proposto (troppi anni fa) chicche come La campana sommersa o La fiamma, oltre che, naturalmente, il celeberrimo poema sinfonico I pini di Roma.
Si tratta di un progetto artistico e musicologico fino a ieri considerato impossibile quello di portare in scena “Al mulino”, opera lirica in due atti e un intermezzo, che il compositore Ottorino Respighi, morto a Roma nel 1936, aveva lasciata incompleta. Rosato ha completato l’orchestrazione che Respighi non aveva terminato in seguito ad un diverbio col librettista Alberto Donini, ed ha anche ricostruito il libretto musicato da, compositore nato nel 1879 a Bologna, che solo in parte coincide con quello che Donini aveva scritto, risultando per buona parte invenzione del compositore stesso.
Dopo la rottura tra Respighi e Donini, quest’ultimo aveva affidato il proprio libretto a Leopoldo Cassone e l’opera andò in scena il 17 novembre 1910 al Teatro Vittorio Emanuele di Torino. Anche Respighi si era dedicato ad una nuova opera, Semirâma, su libretto di Alessandro Cerè, che andò in scena il 20 novembre del 1910 al Teatro Comunale di Bologna. A Bologna c’era però stata una prima esecuzione del Mulino respighiano, nella versione per canto e pianoforte, sotto forma di audizione privata nel salotto della cantante Margherita Durante nel giugno del 1908, a testimonianza del fatto che Respighi, grande amante della Russia (dove aveva avuto modo di suonare come violista e di studiare composizione con Nikolaj Rimskij-Korsakov), era comunque legato a questo lavoro. Elsa Olivieri Sangiacomo (moglie di Respighi), spiegò che per portare in scena la musica di Al mulino di Respighi sarebbe stato necessario scriverci sopra un nuovo libretto, ed inoltre si era resa conto che alcune sue parti erano nel frattempo state utilizzate dal marito in altre opere. Infine, il secondo atto risultava orchestrato solo per metà.
Ad oltre un secolo di distanza dalla data di composizione de Al mulino, superate le difficoltà legate ai diritti morali e d’autore, appare di grande interesse storico e musicologico la possibilità di ascoltare un lavoro sì giovanile ma che è già ricco di spunti e modalità propri del compositore più maturo.

L’ambizioso progetto, fortemente voluto dal direttore d’orchestra Fabrizio Da Ros (primo da sinistra nella foto in altro) e avviato con Paolo Rosato (nella foto in alto e in basso) e col benestare della Fondazione Cini di Venezia (che gestisce l’Archivio Ottorino Respighi), vede ora finalmente la luce grazie alla Opera Production di Enrico Copedè e al Teatro Verdi Trieste

A sabato, per la consueta recensione.

Dittico Pagliacci/Al mulino al Teatro Verdi di Trieste

COMUNICATO STAMPA

PAGLIACCI/AL MULINO

Trieste, 7 giugno 2022: Il Teatro Verdi di Trieste chiude il cartellone della Stagione Lirica e di Balletto 2022 con un inedito dittico, Pagliacci/Al Mulino, in scena dal 10 al 18 giugno. Una stagione contraddistinta da un crescendo costante, in termini di presenze, che giunge all’epilogo con un doppio spettacolo e con un’attesa prima esecuzione mondiale.

“Pagliacci”, opera in due atti su musica e libretto di Ruggero Leoncavallo, nel nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, sarà diretto da Valerio Galli, con la regia di Victor Garcia Sierra e le scene di Paolo Vitale. Costumi di Giada Masi, light designer Stefano Gorreri. Maestro del Coro Paolo Longo. Il cast è composto da Amadi Lagha e Rubens Pellizzari (Canio/Pagliaccio), Valeria Sepe e Afag Abbasova-Budagova Nurahmed (Nedda/Colombina), David Cecconi e Stefano Meo (Tonio/Taddeo). E da Blagoj Nacoski (Peppe/Arlecchino), Min Kim (Silvio), Damiano Locatelli (Un contadino) e Francesco Paccorini (Altro contadino). Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione, con la partecipazione de “I piccoli cantori della Città di Trieste” diretti dal Maestro Cristina Semeraro. La prima rappresentazione di “Pagliacci” è andata in scena al Teatro Verdi di Trieste nel 1896, ultima in ordine di tempo nel 2003.

Al Mulino, dramma lirico in due atti di Ottorino Respighi da un libretto di Alberto Donini, ricostruzione del libretto e completamento dell’orchestrazione di Paolo Rosato, nel nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste e in prima esecuzione mondiale, sarà diretto da Fabrizio Da Ros. Regia, scene e costumi di Daniele Piscopo. Maestro del Coro Paolo Longo. Il cast è formato da Afag Abbasova-Budagova Nurahmed e Rinako Hara (Aniuska), Domenico Balzani (Nicola), Zi Zhao Guo e Motoharu Takei (Sergio), Cristian Saitta (Pope), Min Kim (Anatolio), Anna Evtekhova (Maria), Blago Nacoski (Ufficiale), Francesco Cortese e Dax Veleich (solo-lontano), Giuliano Pelizion e Armando Badia (Soldato). Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione.

“Pagliacci è una delle opere che ho più̀ a cuore – spiega Valerio Galli nelle sue note musicali – la città in cui sono nato e vivo, Viareggio, è stata la culla dei compositori veristi. Puccini, Mascagni, Cilea, Leoncavallo, hanno vissuto la loro quotidianità̀ e la loro arte in questo luogo. Hanno composto qui molte delle loro opere, talvolta scrivendone alcune parti sui muri delle locande, come Leoncavallo con La Candidata e Puccini con La Bohème. C’è una generazione, quella degli anziani del paese, che ricorda ancora moltissimi aneddoti legati alla loro presenza. Mio nonno Carlo mi ha trasmesso la passione per questi compositori e per le loro opere, non sempre apprezzate dai critici e musicisti. Personalmente considero il Verismo un filone importantissimo della produzione musicale italiana, ha avuto la forza di superare lo stile classico verdiano. Leoncavallo aveva una cultura ampia, europea. Ammirava molto Wagner. Il Coro del primo atto di Pagliacci contiene degli echi wagneriani, riporta ad atmosfere tedesche, pur essendo un’opera italianissima”. “Tornare a Trieste a dirigere Pagliacci – sottolinea ancora Galli – per me è una gioia. Mi piace la presenza del mare, è nelle mie corde, dona un prezioso respiro di libertà. Un Teatro sul mare è meraviglioso. Anche Leoncavallo aveva un legame profondo con il mare”.

Tra le sue note di regia Victor Garcia Sierra spiega come “La musica di quest’opera ci fa toccare con mano un arcobaleno di sentimenti: odio, speranza, gelosia e amore. Ho provato a mostrare la parte umana dei personaggi, che non sono lontani da ognuno di noi; la parte oscura di un uomo che sbaglia il modo di amare, un uomo che non riesce ad accettare l’amara verità̀ di una donna che non vuole più̀ stargli accanto. La regia ha intenzione di mostrarvi, in una versione non classica, l’essenza del pensiero del Compositore stesso, in un paese ancora affamato di divertimento, intento ad evadere la monotonia di tutti i giorni; i personaggi del circo diventano calore e colore, ma ognuno di loro porta dentro sé una storia da raccontare e tutto si evolve, cambia e si trasforma”.

Paolo Rosato, parlando di “Al Mulino”, in una riflessione dedicata all’opera, scrive: “Quando alcuni anni fa Fabrizio Da Ros mi chiese la disponibilità̀ a collaborare ad un ambizioso progetto quale quello di portare alla sua prima esecuzione Al Mulino, la seconda opera composta da Ottorino Respighi, che per una serie di vicende non era stata completata nella orchestrazione e che dunque non era mai eseguita se non in una versione per voci e pianoforte, in forma privata, a Bologna nel 1908, accettai con entusiasmo prima ancora di chiedermi come avrei proceduto nel lavoro che mi aspettava”. E conclude: “Si sarebbe potuto procedere con un software, per completare l’orchestrazione. Il software avrebbe avuto però bisogno di un inserimento di migliaia di dati forniti attraverso criteri selezionati comunque da un essere umano. Si è scelto, invece, di affidare ad un umano, che è egli stesso un compositore, con una propria e personale estetica musicale, l’intera operazione. Nonostante i limiti che ciò̀ comporta, e grazie ai correttivi introdotti, il sottoscritto, in accordo con Fabrizio, ritiene che l’operazione, così condotta, possa essere per il momento accettata ….. Anche criticata e giudicata, ovviamente, ma tutto ciò non potrà che giovare al riconoscimento di un capolavoro, riscoperto, del grande Ottorino Respighi. O almeno è questo è ciò che fortemente mi auguro”.

Daniele Piscopo, tra le note di regia, racconta che “quando un pittore si trova davanti a una tela bianca deve scegliere cosa fare, quali colori utilizzare, quale tecnica, quale soggetto e soprattutto quale messaggio vuole comunicare. In questo caso il soggetto lo offre il nostro Respighi, che attraverso le parole di Donini, compone un dramma dalle tinte cupe macchiato dal sangue della guerra. Dare vita a un’opera che non ha mai risuonato in un teatro è una grande responsabilità̀.

Di fronte a un quadro di questo tipo, le scelte sono due: la prima è quella di seguire la strada dell’onirico, ovvero una narrazione frutto dell’immaginazione di un personaggio che condiziona la visione globale della storia; la seconda è quella di scegliere la strada dell’iperrealismo, che ha come scopo una fedele e dettagliata rappresentazione del vero. Io ho scelto la via dell’impressionismo, dove attraverso i contrasti di luci e ombre viene rappresentato lo stato d’animo dei diversi personaggi”.

Pagliacci/Al Mulino sarà in scena: venerdì 10 giugno alle 20.30, sabato 11 giugno alle 16, domenica 12 giugno alle 16, martedì 14, giovedì 16 e sabato 18 giugno sempre alle 20.30.

I biglietti sono in vendita presso la biglietteria del teatro, aperta da martedì a sabato dalle 9 alle 16, e nei giorni di spettacolo dalle 9 alle 13 e dalle 18 alle 21. Domenica dalle 10 alle 13, e nei giorni di spettacolo anche dalle 15 alle 16. Chiusura il lunedì. Biglietti in vendita anche sul circuito Vivaticket: http://www.vivaticket.com/it/acquista-biglietti/verdi-trieste

Attive sempre le scontistiche per i giovani, per la fascia under 30 e per il pubblico tra i 30 e i 34 anni.

Per gli appuntamenti di prolusione alle opere della stagione 2022, alle ore 18 di mercoledì 8 giugno, nel Ridotto del teatro (Sala Victor De Sabata), Gianni Gori presenterà l’opera. Parteciperanno anche il direttore d’orchestra Fabrizio Da Ros e il compositore Paolo Rosato.

L’incontro è ad ingresso libero.

Conclusa la stagione ufficiale il teatro offre al pubblico un ulteriore appuntamento con l’opera, con “Il pipistrello”, dal 10 al 17 luglio. I biglietti sono già in vendita.

Foto, video e notizie sullo spettacolo sono pubblicati anche sui social ufficiali del teatro: Facebook, Instagram, Twitter, Youtube e Telegram.

Presentato a Trieste il “Progetto Beethoven”, in sinergia tra il Teatro Verdi e la Società dei concerti

Presentato oggi il Progetto Beethoven, la rassegna musicale estiva organizzata dalla Società dei Concerti di Trieste che dal 20 giugno al 24 luglio porterà a Trieste, ma anche a Sagrado, Monfalcone e Gorizia, 200 artisti tra orchestre, strumentisti di fama, solisti, e direttori d’orchestra di rilievo internazionale. 

Carmela Remigio

Il progetto nasce in occasione del 90° Anniversario dalla fondazione della Società dei Concerti di Trieste e costituisce il primo appuntamento di una serie di celebrazioni che culmineranno il 26 novembre 2022, data in cui si festeggerà questo importante traguardo.

«Questa nuova rassegna estiva – spiega il direttore artistico della Società dei Concerti Trieste, Marco Seco – vuole essere trampolino di lancio di un progetto più ambizioso, quello di realizzare il prossimo anno un Festival nel mese di settembre, in cui molteplici discipline, ovvero musica, danza, teatro, si alterneranno su diversi palcoscenici della città come il Castello di San Giusto, Piazza dell’Unità d’Italia, il Teatro lirico Giuseppe Verdi, il Teatro Il Rossetti, il Castello di Miramare, Porto vecchio, i Caffè letterari, il Museo Sartorio, il Museo Revoltella, il Molo Audace e altri luoghi che diverranno contenitori estemporanei di cultura».

I programmi proposti quest’estate ripercorrono la vita musicale del compositore attraverso una selezione di composizioni che esprimono la massima espressione della libertà, della sua musica e dei suoi più alti ideali. Tra le sinfonie verranno eseguite la prima che segna una cesura rispetto al passato, la sinfonia in do minore n.5 una delle composizioni più iconiche e famose del repertorio Beethoveniano, e due sinfonie che in cui si percepisce maggiormente la forza vitale della musica di Beethoven attraverso un inarrestabile movimento di danza. 

Inoltre ascolteremo il concerto per pianoforte e orchestra n. 3 dalle mani del pianista e direttore tedesco Alexander Lonquich, le musiche di scena per l’”Egmont” con i testi del dramma di J. W. Goethe recitati dall’attore Fabrizio Bentivoglio, l’aria per soprano e orchestra “Ah, perfido!” dalla straordinaria voce del soprano Carmela Remigio e la Fantasia Corale eseguita al pianoforte dal pianista Alessandro Taverna. Non mancheranno alcune delle ouverture più famose come Leonore n. 3 e Le creature di Prometeo. A coronamento una vasta scelta di pagine cameristiche di raro ascolto come il settimino e le Volk songs per voce e trio che verranno proposte con la partecipazione di interpreti di assoluto rilievo. 

I luoghi di realizzazione degli eventi, grazie alle collaborazioni con i relativi enti, sono i più significativi di Trieste dal punto di vista storico, artistico e culturale: il Castello di Miramare, il Castello di San Giusto, il Teatro Giuseppe Verdi di Trieste, il Museo Sartorio. Ci saranno inoltre degli appuntamenti anche fuori Trieste dove si terranno tre concerti in luoghi di grande fascino: il Palazzo Lantieri di Gorizia, l’Azienda Agricola di Castelvecchio, l’Hotel Europalace di Monfalcone e altri luoghi inediti come la realtà “esterna” alla città vera e propria di Trieste (con un concerto a Opicina alla Società Culturale Slovena).

Ad aprire le danze il 20 giugno al Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste un appuntamento speciale pensato unicamente per i soci in preparazione del Festival.

Una presenza artistica di rilievo del Progetto Beethoven sarà la residenza in città per circa 10 giorni della prestigiosa orchestra LaFil Filarmonica di Milano che durante il suo soggiorno realizzerà due concerti sinfonici al Castello di San Giusto (19 e 21 luglio) con una proposta sinfonica (Sinfonie n. 5 e 8) e di concerti (n. 3 per pianoforte e aria da concerto per soprano) con solisti e direttori d’orchestra scritturati dalla SdC (Carmela Remigio, Alexander Lonquich, Felix Mildemberger) e due concerti cameristici, uno al Museo Sartorio, il 23 luglio, e uno ad Opicina, il 22 luglio, quest’ultimo ad ingresso libero, con i componenti della medesima orchestra. 

Verranno inoltre coinvolti al Castello di Miramare, il 16 luglio, il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia “Il Rossetti” per l’esecuzione delle musiche di scena dell’ “Egmont” di J. W. Goethe e della Sinfonia n.1 con l’Orchestra di Padova e del Veneto, la cantante Valentina Corò, l’attore Fabrizio Bentivoglio e il direttore Marco Angius.

Gran finale con l’Orchestra ed il Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste che nel concerto del 24 luglio al Teatro Verdi si uniranno a LaFil Filarmonica di Milano nell’esecuzione, sotto la bacchetta di Marco Seco, della “Fantasia Corale” per pianoforte, soli, coro e orchestra (pf Alessandro Taverna), dell’Ouverture Leonora n. 3 e della Sinfonia n. 7.

La rassegna è organizzata con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e del Comune di Trieste, sponsor Orologeria Bastiani rivenditore autorizzato Rolex e con la collaborazione de Il Rossetti Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, il Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste, il Museo Storico e il Parco del Castello di Miramare, il Comitato AMUR, Europalace Hotel BW Signature Collection, Azienda Agricola Castelvecchio, Palazzo Lantieri, Le Dimore del Quartetto e Associazione Dimore Storiche Italiane.

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