Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Divulgazione semiseria dell’opera lirica: I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, da venerdì 24 febbraio al Teatro Verdi di Trieste.

A causa della mostra fotografica, ancora in essere perché prorogata a “furor di popolo” di una settimana, questa presentazione arriva solo il giorno prima della recita: me ne scuso con i miei happy few, ma le mie energie sono limitate (smile).

Per capire come il melodramma italiano sia diventato un fenomeno artistico straordinario, bisognerebbe spendere qualche parola anche su di una figura che ormai – almeno nell’accezione dell’Ottocento – è scomparsa. Sto parlando dell’impresario: il suo lavoro è stato fondamentale per la diffusione delle opere che oggi vediamo a teatro in tutto il mondo.
Nello specifico, riferendosi a I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, la persona in questione è Alessandro Lanari, collega del più noto Domenico Barbaja, che sostanzialmente lanciò Rossini.
La figura dell’impresario si può paragonare a quella dell’agente ai giorni nostri, ma con tanto potere in più, perché gestiva non solo la distribuzione dei cantanti ma anche quella di librettisti, compositori, teatri. Insomma una vera eminenza grigia che contribuì in modo fondamentale alla distribuzione di opere dei più grandi compositori italiani: Donizetti, Bellini, Verdi e altri ancora.
Verso la fine degli anni Trenta dell’Ottocento Lanari aveva la gestione della Fenice di Venezia e pensò di “usare” Bellini per ridare lustro a un teatro che soffriva, come tutti i teatri italiani, l’esilio di Rossini.
Fu così che I Capuleti debuttarono alla Fenice l’undici marzo 1830 seppure tra mille problemi che non è il caso di affrontare in questa sede.
Ma quali sono le caratteristiche dell’opera, che debutterà venerdì prossimo 24 febbraio al Teatro Verdi di Trieste?
Innanzitutto la prevalenza delle parti femminili, perché persino la parte di Romeo è affidata a un mezzosoprano en travesti. Il tenore (Tebaldo) ha una parte difficile ma non particolarmente lunga, il basso (Capellio) è poco più che un comprimario. La situazione fa presagire che questa è opera da primadonna, Giulietta, appunto.
Assolutamente imprescindibile la presenza di un buon direttore (ma quando non lo è?) perché gli equilibri dinamici (più che agogici, a mio parere) sono fragilissimi.
Bellini è il classico compositore di confine, che traghetta la musica dalle suggestioni rossiniane e mozartiane a quel gran calderone – in senso buono – che è il Romanticismo.
Capuleti (per brevità) è un’opera fragile, delicata, la poetica è ancora belcantistica ma, come dicevo prima, guarda avanti. L’espressività di orchestra e cantanti è la parte più importante, quella che può decidere il destino di una rappresentazione.
Poi è vero, la vicenda dei Capuleti e Montecchi non sta in piedi, oggi, soprattutto nella riduzione teatrale di Felice Romani il quale, attenzione, non prese spunto dal testo di Shakespeare (pressoché sconosciuto in Italia a quei tempi) bensì da una novella di Matteo Bandello e dalla tragedia “Giulietta e Romeo” di Luigi Scevola. Poco importa perché se cambiano alcuni particolari, soprattutto per quanto riguarda la figura e il ruolo drammaturgico di Tebaldo, la sostanza non cambia. La differenza sta nella musica di Bellini, che avvolge la trama di una specie d’incantesimo fatto di melodie purissime che non a caso compaiono di frequente nei recital dei cantanti.
Conosco già l’allestimento che sarà proposto al Verdi perché l’ho visto alla Fenice di Venezia nel 2015: in quell’occasione non mi soddisfò per nulla ma ho la mente aperta, per cui magari rivisto in altro contesto e con interpreti diversi può essere che la situazione cambi radicalmente.
Lo sapremo, come sempre, dopo la recensione.

2 risposte a “Divulgazione semiseria dell’opera lirica: I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, da venerdì 24 febbraio al Teatro Verdi di Trieste.

  1. Leo 62 23 febbraio 2023 alle 9:27 PM

    Ciao Paolo,
    Mi sarebbe piaciuto molto vedere la tua mostra fotografica, anche perché mi piacciono molto le foto che sono sul sito, i colori e lo spirito autunnale che a volte suggeriscono. Oltre all’amore per la montagna che è anche il mio. Ma stando io a Roma era un po’ difficile da organizzare.
    Quanto a Capuleti è un’opera che mi piace molto, un Bellini ancora legato allo schema rossininano “en travesti” che però ha già molti degli elementi belliniani che di lì a poco esploderanno, soprattutto le armonie allargate, usate spesso anche nei recitativi. Romani si rifà, come ricordi tu a Bandello, che fu la fonte di Shakespeare, e mette in piedi un libretto che non ci riporta al romanticismo estenuato della storia, ma che secondo me funziona abbastanza, ed ha anche qualche merito letterario. Attendo con interesse la tua recensione.
    Per mio conto sono reduce dal concerto di Kissin ieri, e dalla sua camaleontica capacità di viaggiare tra gli stili. Magnifico come sempre il suo Rachmaninov ed esplosivo lo Scherzo n 2 di Chopin che è uno dei suoi cavalli di battaglia.
    Molto divertente l’intervallo con due appassionati non di primo pelo come me, mai visti prima, con cui abbiamo commentato il concerto, uno aveva anche avuto modo di sentire ABM a Stoccarda… invidia… affettuosa ma invidia… 🙂 🙂

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  2. Amfortas 24 febbraio 2023 alle 4:56 PM

    Ciao Leo, della mostra fotografica parlerò nei prossimi giorni, quando ho tempo, perché è stata davvero una bellissima esperienza e un bel successo personale.
    i Capuleti non sono la mia opera preferita ma si ascoltano di rado perciò sono contento per stasera. Per il 2 marzo ho invece un impegno irrinunciabile: a Lubiana La Grande messe des morts di Berlioz!
    Cia e grazie!

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