Vado molto meno di quanto vorrei alla Società dei Concerti di Trieste, ed è un peccato perché le serate sono sempre di gran livello.
Credo di averlo scritto già altre volte, nella musica (da camera, nella fattispecie) il Quintetto è una scuola di vita: tutti gli interpreti concorrono alla bontà del risultato finale, senza prevaricazioni, ma al contempo il loro contributo è scoperto, evidente, al contrario di quanto avviene nella musica sinfonica dove i singoli scompaiono nell’opima abbondanza di flusso sonoro. Questa banale considerazione ha avuto conferma nel concerto di ieri sera dove è stato appunto il Quintetto, declinato dalle diverse sensibilità di Amédée-Ernest Chausson e Johannes Brahms, a essere protagonista con l’ensemble di Kolja Blacher che comprende tre componenti dei Berliner Philharmoniker (Christoph Strueli, Christoph von der Nanhmer e Kyoungmin Park) e altri due solisti di assoluto valore (Claudio Bohorquez e Özgür Aydan). In un Teatro Verdi piuttosto affollato, considerato che era una serata organizzata dalla Società dei Concerti, si è cominciato con il Concerto in re maggiore per violino, pianoforte e quartetto d’archi op.21 di Chausson, strutturato in quattro movimenti ed eseguito per la prima volta nel 1892. Sono rimasto molto colpito dalla fresca e felice inventiva del compositore francese, che mi è sembrato in alcune occasioni (certi arpeggi del pianoforte, in particolare) anticipare suggestioni dell’Impressionismo di Debussy e l’Espressionismo di Ravel, oltre che rifarsi ai cromatismi wagneriani mantenendo un certo esprit tipicamente francese che si è manifestato specialmente nel quarto movimento (Très animé). L’andamento emotivo della pagina musicale è fluido, ma alterna con efficacia sprazzi vivaci ad altri più malinconici – il Grave del terzo movimento – mantenendo una narrazione tesa e vibrante. Eccellente, ça va sans dire, il rendimento dei solisti che hanno dialogato ritagliandosi momenti virtuosistici di grande impatto, come nei rimandi tra violino e pianoforte. Dopo l’intervallo è stata la volta del Quintetto in fa minore per pianoforte e archi op.34 di Brahms, che esordì dopo una genesi travagliatissima nel 1866. In questo caso si è percepita evidente un’atmosfera più saldamente legata all’Ottocento, sia nell’architettura complessiva della composizione sia nella drammaticità spinta di alcuni tratti che hanno ricordato apertamente la monumentalità quasi geometrica di Beethoven. Il pianoforte è usato in modo del tutto diverso, per esempio, con severa drammaticità e anche con una presenza più corposa di decibel. Interessante, a questo proposito, il saggio di Enzo Beacco contenuto nel libretto di sala, che si sofferma sulle problematiche della corda percossa da un martelletto e quella accarezzata sulla cordiera. Nella pagina Brahmsiana, di struttura poderosa che tradisce in qualche modo l’originale provenienza sinfonica, convivono echi di danza popolare e oasi riflessive anche drammatiche, ma sempre nell’ambito di un’esposizione che tiene alta la tensione ritmica. I due movimenti estremi acclarano in modo palese, con la loro simmetricità, la provenienza beethoveniana dell’ispirazione ma al contempo la rendono emotivamente mossa e sorprendente. Anche in questo caso l’esecuzione è stata eccellente e ha messo in mostra la qualità dell’insieme degli interpreti. Successo pieno per l’ottavo appuntamento della stagione della Società dei Concerti triestina, con ripetute chiamate al proscenio dei protagonisti che hanno generosamente donato un bis al partecipe pubblico in cui ho notato, con grande soddisfazione, una notevole presenza di giovani.
médée-Ernest Chausson
Concerto in re maggiore per violino, pianoforte e quartetto d’archi op.21
Johannes Brahms
Quintetto in fa minore per pianoforte e archi op.34
Ciao Paolo, immagino sia stato un Concerto molto bello. Al di là del Quintetto di Brahms che è un classico, io amo moltissimo il Concert di Chausson, che per me, oltre ad essere il suo capolavoro, è uno dei brani da camera più belli di tutta la musica francese dell’ottocento. Il Grave in particolare è un brano di grandissima bellezza sonora e di notevole profondità armonica, che anticipa veramente Debussy e Ravel.
Peraltro Chausson è stato uno di quelli che ha aiutato maggiormente Debussy all’inizio della sua carriera, tranne poi allontanarsene per incompatibilità caratteriali.
Grande merito alla società dei concerti di Trieste per avere ospitato un simile concerto.
Leo ciao, ti dirò che onestamente non conoscevo la pagina di Chausson, ma mi ha davvero colpito. Mi sono informato e ho letto che è stato un uomo poliedrico e problematico e questo me l’ha reso ancora più simpatico. Affinità caratteriali, credo.
La Società dei concerti è davvero da lodare, peccato come ho scritto in apertura che non riesca ad andarci con maggior frequenza. Ci sarò al prossimo concerto, probabilmente.
Ciao e grazie!
Ciao Paolo, immagino sia stato un Concerto molto bello. Al di là del Quintetto di Brahms che è un classico, io amo moltissimo il Concert di Chausson, che per me, oltre ad essere il suo capolavoro, è uno dei brani da camera più belli di tutta la musica francese dell’ottocento. Il Grave in particolare è un brano di grandissima bellezza sonora e di notevole profondità armonica, che anticipa veramente Debussy e Ravel.
Peraltro Chausson è stato uno di quelli che ha aiutato maggiormente Debussy all’inizio della sua carriera, tranne poi allontanarsene per incompatibilità caratteriali.
Grande merito alla società dei concerti di Trieste per avere ospitato un simile concerto.
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Leo ciao, ti dirò che onestamente non conoscevo la pagina di Chausson, ma mi ha davvero colpito. Mi sono informato e ho letto che è stato un uomo poliedrico e problematico e questo me l’ha reso ancora più simpatico. Affinità caratteriali, credo.
La Società dei concerti è davvero da lodare, peccato come ho scritto in apertura che non riesca ad andarci con maggior frequenza. Ci sarò al prossimo concerto, probabilmente.
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