Nell’imminenza della Barcolana, che notoriamente smuove masse di folla inconsuete per Trieste – ieri spostarsi in città era una cosa molto vicina a un girone infernale – si è svolto il quarto appuntamento della stagione sinfonica triestina. Il protagonista è stato Mario Brunello, violoncellista e artista a tutto tondo, oltre che uomo di cultura impegnato felicemente da molti anni nel sociale. In una bella intervista al quotidiano locale Brunello ha paragonato il suono del violoncello piccolo – il suo strumento per il concerto a Trieste – a quello della voce di controtenore. Entrambi, violoncello piccolo e controtenore, sono stati coinvolti nei cambiamenti di gusto del pubblico, il primo a favore dello strumento quale lo conosciamo oggi, il secondo travolto dalla comparsa della voce femminile di soprano. Ricordo che le donne non hanno potuto per secoli esibirsi in pubblico, tanto che la Chiesa le considerava nella migliore delle ipotesi meretrices honestae. Il programma prevedeva nella prima parte due pagine musicali: il Concerto in re magg. BWV 1054 (dalConcerto per violino BWV 1042 di J. S. Bach) e il Concerto in la magg. per violoncello piccolo e orchestra H 439 (W 172) di Carl Philipp Emanuel Bach, quinto dei venti figli di Johann Sebastian. In questi due brani, quasi come un bonario convitato di pietra, emerge prepotente la figura di Antonio Vivaldi, il prete rosso, che della musica barocca è stato esponente sublime. Padre, figlio e padre spirituale, uniti dalla koinè del Barocco. E anche i due brani proposti confermano la stretta parentela di sangue artistico e storico: la struttura in tre movimenti, con il secondo a fare da cerniera emotiva (Largo mesto, Adagio, ovviamente entrambi in minore) tra i due Allegri lo conferma. L’Orchestra del Verdi, ovviamente in formazione cameristica d’archi e supportata dalla bravissima Adele D’Aronzo al clavicembalo, ha assecondato con precisione e gusto l’estro interpretativo di Brunello, che per l’occasione era anche direttore. Per quanto riguarda appunto Mario Brunello, non voglio neanche soffermarmi troppo per non risultare pleonastico: è in simbiosi col suo violoncello piccolo (il violinone, come l’ha definito) dal quale estrae passione, vitalità, inventiva. Il virtuosismo, ovviamente stellare, è solo la parte più esteriore della sua arte. Sono il controllo delle dinamiche, la capacità di trarre note dolenti e al contempo luminose, il lirismo controllato scevro della ricerca di facili effetti che delineano la statura dell’interprete. Pubblico in visibilio, ulteriormente eccitato dai bis, entrambi trascrizioni per violoncello: un’anticipazione del programma della seconda parte dedicato a Nino Rota (Improvviso, Un dialogo sentimentale) e un grande classico bachiano (Andante Seconda sonata per violino).
Sono davvero grato al Teatro Verdi e a Mario Brunello – che nella prefata intervista esprime la necessità che la musica dialoghi con la quotidianità – per le scelte della seconda parte del programma, dedicato alla musica di quell’artista straordinario che è stato Nino Rota. Troppo spesso liquidate come “musica da film” – una locuzione ignorante che puzza di diminutio eche scorda come la musica fosse strutturale ai tempi del muto- le composizioni di Rota sono invece pagine musicali che reggono benissimo la serata anche se private di immagini cinematografiche, perché sono frutto dell’Arte di un artista di primo livello che si è cimentato con successo in generi musicali diversi, dall’opera lirica alla musica sacra. Simpaticamente sceneggiata dalla compagine triestina, con i professori d’orchestra che hanno citato Fellini all’inizio e in chiusura hanno abbandonato un po’ alla volta il palcoscenico a concerto in corso, la musica di Rota è stata eseguita mirabilmente. L’ascolto attento ha rivelato come il compositore fosse capace non solo di venire incontro alle esigenze dei registi ma anche di catturarne l’anima in una specie di portfolio emotivo. Il gusto per il grottesco di Fellini, il sentimentalismo un po’ mieloso di Zeffirelli, la briosa decadenza di Visconti. Eccellente la prestazione dell’Orchestra del Verdi, che se nella prima parte del concerto aveva palesato la morbidezza degli archi, nel proseguo ha convinto pienamente in tutte le sezioni con ottoni e percussioni in grande evidenza. Ci tengo a citare, in particolare, lo splendido rendimento di Paola Fundarò, primo oboe della fondazione triestina. Chiudo con una nota di amarezza: all’uscita dal teatro sono ripiombato nel girone infernale dantesco che ho citato all’inizio. La Dea Barcolana richiede sacrifici e, maledizione, il buongusto è stato giustiziato ferocemente coram populo in Piazza Verdi.
Johann Sebastian Bach
Concerto in re magg. BWV 1054 (dalConcerto per violino BWV 1042 di J. S. Bach)
Carl Philipp Emanuel Bach
Concerto in la magg. per violoncello piccolo e orchestra H 439 (W 172)
Nino Rota
Suite dai film Prova d’orchestra e Romeo e Giulietta, Ballabili dal film Il Gattopardo
Serata davvero bella, emozionante.
Ai tanti che mi hanno chiesto la mia opinione sull’incarico a Ezio Bosso, rispondo che valuterò l’artista di volta in volta con la consueta serenità.
Ok? (strasmile) Leggi il resto dell’articolo
Pomeriggio interessante soprattutto perché a Trieste – pensate a quale enormità sto dicendo – è più facile ascoltare musica barocca che vedere una coalizione di sinistra che non litiga.
Altroché il Prete Rosso, l’esorcista ci vorrebbe.
Un saluto a tutti, alla prossima che sarà una presentazione semiseria di un’opera semiseria come La Cenerentola di Rossini, che debutterà al Teatro Verdi di Trieste l’otto aprile.
Hanno detto: