Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Categorie: boito

Foto, fischi, e un paio d’informazioni.

Un lettore di nome Massimo, alcuni giorni fa, mi aveva chiesto se sapessi qualcosa su altre recite del Mefistofele al Teatro dell’Opera di Roma, riferendosi in particolare allo spettacolo del 23 marzo.


Purtroppo non so nulla di quella data, però oggi su OperaClick è stata pubblicata la recensione dell’amico e collega Gabriele Cesaretti, presente in teatro il giorno 20.
La valutazione, nella sostanza, non si discosta da quella che feci io alla prima e, mi preme sottolinearlo, conferma che i cantanti non erano amplificati, ad ulteriore smentita delle chiacchiere in tal senso.Mefistofele Roma

L’unica anomalia, ma chi ne sa di teatro capirà bene come non possa certo costituire motivo di scandalo, era la registrazione del fischio nella cosiddetta, appunto “Ballata del fischio”.
Un tanto per chiarezza.
Poi, se ce la faccio perché è un momentaccio, questa sera alle 20.30 vado alla Sala Tripcovich-De Banfield a sentire il giovani dell’Accademia Lirica di Santa Croce, una creatura del basso triestino Alessandro Svab, che in questi giorni si sottopongono a una specie di tour de force: questa sera affrontano Il tabarro di Giacomo Puccini e completano il programma con alcune arie da musical famosi (replicano anche domani alle 18).
Lunedì invece è in programma la Petite messe sollennelle di Rossini.
Seguirà, spero, relativa recensione semiseria.
Inoltre, visto che ho deciso di investire una ventina di euro scarsi per un abbonamento “pro” su Flickr, vi allego ancora un paio di foto del Mefistofele e qualche altra immagine di spettacoli ai quali ho assistito nei mesi scorsi.
Nell'ordine, la Brünnhilde nella Götterdämmerung alla Fenice di Venezia,
Brünnhilde1

Francesco Meli, qui nei panni di Oronte nei Lombardi all'ultima crociata al Regio di Parma e, a seguire, la meravigliosa Daniela Dessì nella Tosca a Venezia, con la regia di Robert Carsen.

Francesco MeliTosca alla Fenice, 30.05.08

Buon fine settimana a tutti.
 

Pubblicità

Recensione semiseria del Mefistofele di Arrigo Boito al Teatro dell’Opera di Roma, polemiche comprese.

Il collega forumista Enrico Stinchelli (che è uno dei conduttori della trasmissione “La Barcaccia” su RADIO3) sul forum di OperaClick ha scritto che alla prima di questo Mefistofele al Teatro dell’Opera di Roma i cantanti erano amplificati, notizia poi ribadita in trasmissione.
Si sarebbe perpetrata, dunque, una vera e propria truffa ai danni degli spettatori. Stinchelli sostiene di aver visto l’impianto d’amplificazione per caso, dopo lo spettacolo.
Partitura Mefistofele

Io ero presente a questa prima e non ho sentito né tantomeno visto traccia d’amplificazione, quindi non modifico di una virgola la recensione che avevo già scritto prima di sapere della presunta truffa.
In attesa di un comunicato chiarificatore della Direzione del Teatro, se ci sarà, io mi limito ad affermare che se c’era amplificazione (il cui scopo, lo scrivo per i non addetti ai lavori, dovrebbe essere quello di aumentare il volume dei cantanti) è stata fatta male: il basso Orlin Anastassov non si sentiva comunque dalla prima fila di balconata dov’ero io.
La mia opinione, per quello che può valere, è che non ci fosse alcun “trucco” ma, ovviamente, se mi dovessi sbagliare lo scriverò qui senza problemi.

Il Mefistofele di Arrigo Boito meriterebbe qualcosa di più di una recensione semiseria, ma purtroppo non ho tempo per un esame approfondito di questo lavoro.
Una cosa è certa, liquidare, come spesso ho letto in giro, il Mefistofele come “brutta musica” è sbagliato e disonesto, se non altro per rispetto a Boito stesso che è stato un uomo d’ampi e molteplici ingegni, esponente di quell’afflato culturale chiamato scapigliatura che movimentò assai le discussioni tra gli intellettuali nella seconda metà del XIX secolo.

Questa casta o classe vero pandemonio del secolo: personificazione della follia che sta fuori dai manicomii; serbatoio del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti

Così definisce la scapigliatura Cletto Arrighi (anagramma di Carlo Righetti), che s’inventò questo termine passato alla storia. Una piccola mania, quella di alcuni scapigliati, di firmarsi con l’anagramma del proprio nome. Lo stesso Arrigo Boito compare come Tobia Gorrio quale autore del libretto della Gioconda di Ponchielli, per esempio.
E allora comincio subito con una lode (e ahimè, sarà una delle poche) ad Anna Cepollaro che ha curato il libretto di sala, ricco d’informazioni interessanti e approfondimenti e neanche particolarmente caro.
Lo spettacolo, firmato da Filippo Crivelli, recuperava sotto forma di proiezioni alcuni bozzetti di Camillo Parravicini: forse gli originali erano degni di rilievo, non lo so perché non li ho visti.
Le proiezioni erano offensive da quanto erano brutte e inutili, con tanto di avviso Windows sulla destra del palcoscenico all’inizio dello spettacolo, che segnalava che la temperatura (del proiettore?) era vicina al limite di guardia.
In compenso mancavano le didascalie del libretto e siccome l’opera la conoscevamo in 10 in tutto il teatro e il testo è fondamentale (ricordo che è di Boito stesso), lascio a voi trarre le conclusioni sulla lungimiranza di questa scelta.
Le scene di Andrea Miglio non erano malaccio mentre convenzionali mi sono parsi i costumi di Anna Biagiotti, ma non sgradevoli. L’impianto luci di Agostino Angelini senza infamia e senza lode, ma molto fastidioso era l’occhio di bue che seguiva i protagonisti durante l’opera.
Orride le coreografie di Gillian Whittingham, banalissime e scontate.
Il direttore Renato Palumbo ha diretto in modo discontinuo, slentando i tempi in alcuni passi, per esempio nel duetto Lontano, lontano, peraltro uno dei momenti migliori dal punto di vista vocale, e nell’introduzione all’entrata di Elena, che già di suo è abbastanza soporifera.
Inoltre, il livello di decibel era spaventoso nel Prologo e nell’Epilogo, un’esplosione di suono a mio parere eccessiva anche considerato che i fortissimo sono previsti.
Nel complesso la prova di Palumbo è stata sufficiente, perché ci sono stati anche alcuni momenti suggestivi (il Sabba, la scena del carcere, per esempio).

L’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma è sembrata spesso imprecisa, in particolare negli ottoni assai spernacchianti. Così così il Coro, anch’esso sbilanciato sul fortissimo più del lecito.
Bravi invece i ragazzi del Coro di Voci Bianche di Roma, che hanno una parte non irrilevante nell’opera.
Orlin Anastassov era nei panni di Mefistofele e non riesco a trovare un pregio che sia uno nella sua prova.
La voce è più da baritono che da basso, ma soprattutto è secca, povera d’armonici, sempre indietro negli acuti e gutturale nei gravi.
Può contare su di un’efficace presenza scenica, ma l’approfondimento del personaggio si è limitato a “guardate come so’ fico e distaccato sembro er demonio”(smile).
Son lo spirto non ha avuto nulla di misterioso e rivelatore, come allo stesso modo Ecco il mondo è scivolato via e sarebbe un momento di grande impatto drammaturgico. Manca totalmente personalità a questo cantante e Mefistofele è parte in cui ci vuole anche carisma.
Tra l’altro la voce non passava quasi mai l’orchestra e si sentiva a stento: direi che quando non si percepiva si apprezzava di più, ecco.
Certo, mi è scappata qualche parolaccia, quindi il suo come diavolo l’ha fatto (strasmile).Cast Mefistofele

Stuart Neill, povero, è entrato vestito come una vecchia monaca o una colf d’altri tempi, non so. Tenete presente che non ha un fisico felice, perché è un Cubo di Rubrik senza i colori e con le gambe tozze.
All’inizio si è adeguato al costume e ha cantato come una centenaria: voce chioccia, sgraziata. Poi è migliorato (ma la voce è brutta e senescente comunque) e se è vero che ha cantato tutte le note previste (discreto nella difficile Ogni mortal mister gustai) di una parte non facile, la sensazione era che spesso non sapesse ciò che stava dicendo. Aggiungeteci una dizione approssimativa e la pronuncia yankee e sappiatemi dire.
Quando Amarilli Nizza è entrata in scena ho pensato “Ecco un artista”, come fa Tosca quando crede che Cavaradossi finga di morire mentre invece ci lascia la pelle sul serio.
Intendiamoci, il soprano non ha fatto nulla d’eccezionale ma almeno ha dato vita al personaggio, anche se gli acuti risultano asprigni e qualche effettaccio avrebbe potuto risparmiarselo.
 Brava e partecipe all’inizio del terzo atto (L’altra notte in fondo al mare, accompagnata bene da Palumbo ma lentissima), nella successiva  scena del carcere inoltre ha interpretato con efficacia la disperazione (e redenzione) di Margherita. Emozionante, ecco.
Un po’ meno a fuoco nella parte di Elena, ma non è una pagina che possa esaltare troppo le qualità della Nizza, che peraltro ha ottenuto ciò che si raccomandava Boito e cioè una netta separazione psicologica tra i due caratteri femminili.
Comunque la sua prova è stata rimarchevole e nel contesto della serata è sembrata di un altro mondo dal punto di vista artistico.
Non hanno demeritato il mezzosoprano Chiara Calli (Marta e Pantalis) e il tenore Amedeo Moretti (Wagner).
Pubblico scarsino per essere un’opera che si allestisce così di rado e grande fuga al secondo intervallo.
Contrariamente a quanto successe per l’Otello di Muti, poca mondanità e nessun aneddoto divertente da raccontare.
Sarà per la prossima volta!

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: