Al Teatro Verdi, in una Trieste ancora dilaniata dalle polemiche sulle misure cautelari per il Covid-19 e ostaggio dell’ennesimo corteo dei no green pass e no vax, si è svolto il primo dei due concerti autunnali organizzati poco tempo fa per riempire il buco di programmazione dovuto alla mancata stagione sinfonica.
I disordini hanno avuto luogo a pochi metri dal teatro e perciò, senza esprimere valutazioni sulla questione, l’unica circostanza che mi pare valga la pena sottolineare è che una volta di più la musica – ma direi l’Arte in generale – ha confermato il suo intrinseco valore salvifico di sospensione dalla realtà: la bellezza forse non salverà il mondo, ma sicuramente lo rende più vivibile. Tornando alla serata, protagonisti sono stati due artisti coevi ma affatto diversi tra loro: Camille Saint-Saëns (il Brahms francese) e Johannes Brahms. Ha aperto la serata il Concerto per violino e orchestra n.3 in si minore, op.61 del compositore francese. Strutturato in tre movimenti, il concerto è stato scritto pensando alle caratteristiche tecniche di uno dei più famosi virtuosi di sempre, Pablo de Sarasate. La pagina musicale esplora tutto lo spettro espressivo dello strumento; sono ovviamente numerosi e impervi gli sprazzi solistici – soprattutto nel Terzo movimento Molto moderato e maestoso -ma non mancano le aperture melodiche e rimandi alla musica popolare che caratterizzano buona parte della musica di Saint-Saëns. Kuba Jacovicz, figlio d’arte, si è dimostrato all’altezza della situazione sia per doti tecniche sia per espressività, palesando anche col corpo un’interpretazione intensa, passionale ed empatica del brano. Lo ha supportato brillantemente la compagine orchestrale triestina, guidata da Pinchas Steinberg, che ha saputo bilanciare con meditato equilibrio il dialogo tra solista e orchestra. Alla fine sono state numerose le chiamate al proscenio per Jacovicz, che ha regalato un bis al pubblico entusiasta. Dopo la pausa è stata la volta di uno dei monumenti della musica sinfonica e cioè la Seconda sinfonia in re maggiore, op.73 di Brahms, che vide la prima esecuzione nel 1887, tre anni prima del concerto per violino di Saint-Saëns. Contrariamente a composizioni precedenti, Brahms scrisse questasinfonia in modo spedito e senza intoppi, nella pace e nella serenità di luoghi baciati dalla bellezza della Natura e avvolto dalle influenze culturali della Mitteleuropa. Questa atmosfera rilassata e distesa si percepisce nella musica, seppure screziata da qualche evanescente ripiegamento malinconico sottotraccia forse dovuto all’incertezza intellettuale di chi, dopo Beethoven, si è cimentato col genere sinfonico. La pagina musicale è scorrevole e nonostante non manchino contrasti dinamici anche importanti, mantiene una cifra lirica e cantabile che la rende accattivante anche al primo ascolto. Di grande rilievo la prova dell’Orchestra del Verdi che ha ben figurato in tutte le sezioni. Eccellenti gli archi gravi, setosi e avvolgenti viole e violini. Brillanti anche le prestazioni dei legni e degli ottoni, in evidenza particolare in questa pagina brahmsiana. Ovviamente è stato fondamentale l’apporto di Pinchas Steinberg il quale, senza troppe teatralità e con asciutta concretezza ha ottenuto un suono omogeneo ed equilibrato dall’orchestra che ne ha raccolto le suggestioni. Il pubblico, abbastanza numeroso considerato il contesto, ha decretato un eccellente successo al direttore e alla compagine triestina
Data dello spettacolo: 07 Nov 2021
Camille Saint-Saëns
Concerto per violino e orchestra n.3 in si minore, op.61
Sembra che Mario Draghi possa essere il prossimo Presidente del Consiglio. Non mi avventuro certo in questioni politiche, ma sarebbe bello che nel consueto discorso d’investitura parlasse anche di teatri e di tutti gli eventi legati alla cultura. Riapriamo i teatri, sostenere che tutti ne abbiamo bisogno non è uno slogan vuoto, ma una vera e propria priorità trasversale. Ovvio, con tutte le cautele del caso, contingentando il numero degli spettatori e ricordandoci che il nemico da combattere è ancora lì presente, ma credo ragionevolmente che si possa fare. Sabato prossimo alle 21.00, sempre sull’emittente regionale Telequattro, andrà in onda la registrazione del secondo concerto che si svolgerà al Teatro Verdi di Trieste. La trasmissione sarà poi replicata domenica 7 febbraio, alle 23.30. Anche in quest’occasione mi fa piacere scrivere due parole di presentazione delle pagine musicali previste. Si comincerà con Toccata per marimba, vibrafono e orchestra di Anders Koppel. È un brano che non conosco, ma è facile prevedere – viste le attitudini artistiche del compositore – che si ascolterà musica contemporanea, probabilmente influenzata dal jazz e dal pop. Più facile inquadrare il secondo brano, visto che si parla di uno dei monumenti della musica sinfonica e cioè la Prima sinfonia di Johannes Brahms, che ci mise vent’anni per scriverla. Eseguita per la prima volta nel 1876 a Berlino, la sinfonia si sviluppa nei classici quattro movimenti. Hans von Bülow, forse infelicemente, la battezzò come “la decima sinfonia di Beethoven” ma oggi possiamo capire meglio il senso di questa definizione avventurosa e rivalutarla in senso positivo, considerando che von Bülow – per inciso, il primo a dirigere il Tristan di Wagner – volesse solo affermare che la musica di Brahms avrebbe potuto essere un’evoluzione di quella di Beethoven. Ma qual è il mood di questo immenso capolavoro? Difficile dirlo, perché la musica è talmente ricca di suggestioni, cromatismi e atmosfere cangianti da non poter essere definita con precisione; etichettarla semplicemente come musica romantica sarebbe davvero fuorviante e limitativo. Io ci sento una grande energia, un afflato etico imponente, una sorprendente alternanza e compenetrazione di ritmo e melodia: tutti elementi e tasselli di un piano architettonico monumentale. Com’è stato detto efficacemente, quindi, non una decima sinfonia di Beethoven ma il primo capolavoro sinfonico di un compositore che della lezione di Beethoven ha fatto tesoro per guardare avanti nella consapevolezza di una salvifica rinnovazione. Il concerto si chiuderà con Der Schicksalslied op.54 per coro e orchestra, un’altra pagina di Brahms. È un brano complesso, in tre movimenti (Adagio, Allegro, Adagio), che richiede un controllo delle dinamiche particolarmente curato da parte del direttore d’orchestra perché il pericolo di uno sgradevole magma sonoro è tutt’altro che lieve. Il testo è tratto da un poema del poeta romantico tedesco Friedrich Hölderlin, a seguire i versi tradotti in italiano. In bocca al lupo agli interpreti e buon ascolto a tutti.
Canto del destino
Ihr wandelt droben im Licht Auf weichem Boden, selige Genien! Glänzende Götterlüfte Rühren euch leicht, Wie die Finger der Künstlerin Heilige Saiten.
Schicksallos, wie der schlafende Säugling, atmen die Himmlischen. Keusch bewahrt In bescheidener Knospe, Blühet ewig Ihnen der Geist.
Und die seligen Augen Blicken in stiller Ewiger Klarheit.
Doch uns ist gegeben, Auf keiner Stätte zu ruhn. Es schwinden, es fallen Die leidenden Menschen Blindlings von einer Stunde zur andern, Wie Wasser von Klippe Zu Klippe geworfen, Jahrlang ins Ungewisse hinab.
Voi errate trasvolando nella luce su morbidi cammini, o geni celesti! Deliziosi elise! vi sfiorano leggermente come le dita dell’artista toccano le corde.
Senza destino, come il dormiente neonato, alitano le creature celesti. Castamente custodito come gemma discreta, fiorisce eterno il loro spirito.
E gli occhi beati guardano in tranquilla eterna chiarezza.
Pertanto a noi è dato di non riposare in alcun luogo. Svaniscono, cadono i poveri uomini, alla cieca, da un’ora all’altra come l’acqua da un masso all’altro precipitato in fondo all’ignoto.
Nel settembre del 1971, Herbert von Karajan inaugurò la stagione della Società dei concerti di Trieste con i “suoi” Berliner Philharmoniker di cui era a quel tempo Direttore stabile: negli anfratti di casa mia ci deve essere ancora il programma di sala della serata.Leggi il resto dell’articolo
Qui una mia intervista aRadio Capodistria, per la quale ringrazio la collega e amica Luisa Antoni, che non è responsabile di un mio orrendo errore di consecutio (strasmile).
L’intervista sarà replicata mercoledì prossimo alle 22.30 qui:
È molto bello che il primo post del 2015 sia una cronaca dal Teatro Verdi di Trieste, ed è così soprattutto per una ragione e cioè che Di Tanti Pulpiti è praticamente l’unica voce triestina che si occupa di queste faccende. Sì, lo so, ce ne sono anche un altro paio online, ma quasi sempre si limitano a un mesto lavoro di copia/incolla dei comunicati stampa del teatro, ai quali aggiungono un aggettivo qui e un sostantivo lì.
Di musica classica e lirica si parla poco e sapete cosa succede no? Che parla poco oggi e parla poco domani, poi nessuno ne parla più. Vabbè. Leggi il resto dell’articolo
Oggi sul quotidiano triestino c’è un ampio servizio in merito alle vicende finanziarie della fondazione triestina. Gli sviluppi sembrano di buon auspicio, ma è indispensabile che non si perda di vista l’obiettivo principale: la qualità artistica, senza la quale i finanziamenti servono a poco. Leggi il resto dell’articolo
Continua, con grande successo di pubblico, la stagione sinfonica al Teatro Verdi di Trieste. La sensazione è che la proposizione di capolavori del grande repertorio sia gradita e, in questo senso, attingere alla purissima fonte di Pëtr Il’ič Čajkovskij è sempre una garanzia.
Continua il silenzio, a mio parere inspiegabile, del quotidiano cittadino in merito agli esiti artistici della stagione sinfonica triestina. Tra l’altro anche della recente trasferta a Udine, per il Nabucco, il giornale non ha detto nulla.
Resto dell’idea che ho già espresso altre volte: si fa cultura e si aiuta la causa comune anche con normalissime cronache e tempestive recensioni degli spettacoli, soprattutto quando il raggelante silenzio dei media non può che configurarsi come un autentico fiancheggiamento nei confronti di chi la cultura vuole aiutarla solo a ciacole o quasi. Leggi il resto dell’articolo
Intanto premetto che sono molto soddisfatto per la scelta dei solisti per il prossimo appuntamento – lo Stabat Mater di Rossini – con la stagione sinfonica.
Certo, bisognerà ascoltarli in teatro ma i nomi di Serena Gamberoni, Laura Polverelli, Edgardo Rocha e Luca Tittoto sono già un buon inizio! Senza dimenticare, ovviamente, Gianluigi Gelmetti sul podio. Leggi il resto dell’articolo
Hanno detto: