Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Julian Rachlin e Christoph Eschenbach in concerto al Festival di Lubiana. E due parole “in difesa” di Cajkovskij.

Al Festival di Lubiana si susseguono i concerti e forse l’abbondanza di offerta potrebbe aver influito sulla non debordante presenza del pubblico alla serata di ieri. Intendiamoci, sempre tanti spettatori, ma non il sold out.
Anche in quest’occasione gli assenti hanno avuto torto, perché gli artisti dell’appuntamento di ieri nella sala del Cankarjev dom si sono resi protagonisti di uno splendido concerto.
Si è iniziato con un omaggio ad Anton Lajovic, compositore sloveno (1878-1960), di cui è stato eseguito l’Adagio, brano musicale caratterizzato da un’evidente ispirazione romantica. Musica rilassante ma priva di sdilinquimenti e melassa, improntata a un uso disteso e avvolgente degli archi screziato da cromatismi affidati ai legni e all’arpa, il tutto all’insegna di un filone musicale che mi è sembrato, nel gusto, a metà tra Gounod e Saint-Saëns.
È stata poi la volta del Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 di Johannes Brahms, pagina musicale giustamente celeberrima in cui è fondamentale che il podio mantenga un equilibrio logistico e narrativo tra orchestra e solista. Orchestra, appunto, che in questo caso è tutt’altro che figlia di un dio minore soprattutto nell’imponente introduzione sinfonica del primo movimento, per poi lasciare gradatamente il centro dell’attenzione al violino. Non a caso, il notoriamente acido Hans von Bülow lo definì non un concerto per violino ma un concerto contro il violino; definizione che oggi, vista la notorietà planetaria del brano, più che ridere ci fa sghignazzare.
Strutturato in tre movimenti (Allegro-Adagio-Allegro) e dedicato al grande Joseph Joachim – primo interprete del brano nel 1879 –  il concerto si caratterizza per un’atmosfera gioiosa e luminosa, in cui gli squarci melodici sono ravvivati dal virtuosismo stellare del solista che sfocia in un brillantissimo e scoppiettante finale colmo di suggestioni popolari.
Julian Rachlin è un artista moderno nel migliore senso del termine: impeccabile dal punto di vista tecnico, certo, ma anche capace di essere empatico e comunicativo con l’espressione e la mimica. Eccellente il suo controllo delle dinamiche, espressività al top nelle melodie, virtuosismo evidente ma non esibito.
Ottima l’intesa col grande vecchio Christoph Eschenbach sul podio, che a sua volta partecipe e composto ha guidato la Filarmonica slovena a una prova maiuscola per qualità di suono e raffinatezza di gusto interpretativo.
Gran successo per Julian Rachlin, acclamato vigorosamente dal pubblico.

Ogni volta che ascolto la musica di Cajkovskij – e per fortuna accade spesso – mi ricordo di quanto ingiuste siano state le critiche di cui l’artista è stato bersaglio per troppo tempo, frutto di uno specioso pregiudizio di natura politica.
La Sinfonia N.5 in mi minore op.63 è una delle composizioni che più si attirò le accuse di sentimentalismo ed eccesso di languidezza laddove, oggi, io sento solo genuino sentimento.
Poi, certo, si potrà pure affermare che la Quinta abbia un andamento schizofrenico ma cosa dire di fronte all’incontaminata purezza della melodia del corno che introduce l’Andante del secondo movimento? Come non restare soggiogati dall’incalzare del “Tema del destino” nell’Introduzione? E la mesta leggerezza del valzer non fa forse vibrare le corde più nascoste del nostro vissuto?
Christopher Eschenbach dirige a memoria e con gesto scabro ed essenziale la partitura ricavando dall’orchestra un suono bellissimo, ricco e al contempo austero, privo di qualsiasi concessione a un facile effettismo coloristico e piacione. Un’interpretazione coinvolgente, che ha stregato il pubblico che alla fine ha lungamente acclamato il direttore e la compagine di casa.

Anton LajovicAdagio
Johannes BrahmsConcerto in re maggiore per violino e orchestra
P.I. CajkovskijSinfonia N.5 in mi minore op.63
  
DirettoreChristoph Eschenbach
ViolinoJulian Rachlin
  
Orchestra Filarmonica Slovena
  
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Grande serata al Teatro dell’opera di Lubiana: Una fiammeggiante Nuška Drašćek Rojko nei panni della Pulzella d’Orléans di Pëtr Il’ič Čajkovskij incendia il pubblico.

Su OperaClick stiliamo la classifica dei migliori spettacoli di ogni anno; credo che per il 2020 difficilmente potrò fare a meno di segnalare questa serata! Insomma, tra Lucrezia Borgia e Pulzella l’anno è cominciato benissimo.
E, con un minimo di orgoglio dico che quando vidi Káťa Kabanová (per il regista) e La Cenerentola (per la protagonista), fui facile profeta.

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Divulgazione semiseria della musica lirica: Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij al Teatro Verdi di Trieste

Comincia venerdì prossimo la stagione lirica del Teatro Verdi di Trieste, e lo fa con un’opera bellissima: Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
Deve essere molto adrenalinica l’occasione di ri-cominciare una stagione in teatro, ci avete mai pensato? I preparativi, i casini vari, gli inconvenienti, i famosi finanziamenti di Schrödinger che vanno e vengono come guidati da quel mago perverso e ignorante che si chiama Stato. E poi, come per incanto, quei maghetti buoni che sono gli artisti impegnati nella produzione e i dipendenti del teatro fanno sì che lo spettacolo cominci. Così il censore di turno, nell’esercizio delle sue finzioni tra velluti rossi e la grande bellezza di un teatro all’italiana può distruggere tutto con quattro righe scritte alla membro di segugio.
Meglio non pensarci, accidenti, quella del critico musicale deve essere un’attività infame e paramalavitosa (strasmile). Leggi il resto dell’articolo

La stagione sinfonica 2016 e il Rigoletto d’apertura della stagione lirica 2016-2017.

Questa è l’ultima recensione che firmo per La Classica Nota, una creatura che ho amato moltissimo e che mi ha dato tante soddisfazioni e anche qualche amarezza.
Per fortuna la musica NON finisce mai.
Sipario.

 

Per me era finita così, ma dopo qualche mese è successo questo e perciò mi sono sentito in dovere di reagire.

Con questo articolo rimedio, parzialmente, alla folle e criminale decisione di un oscuro censore del Piccolo, quotidiano di Trieste, di cancellare dalla Rete il blog d’autore La Classica Nota di cui ero titolare.
Per l’ultima volta chiedo scusa a tutti gli artisti e al Teatro Verdi per l’incresciosa situazione e per i perversi accadimenti.
Il prossimo post sarà finalmente normale, nel senso che parlerà di Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij, operà che aprirà la stagione lirica di quest’anno.
Ovviamente le statistiche qui, su Di tanti pulpiti, sono alle stelle. Ci tengo a sottolinearlo anche se nella contingenza è del tutto marginale.
Qui ci sono anche alcune foto del Rigoletto di cui sopra, per provare a immergerci nel magico clima del teatro lirico. Leggi il resto dell’articolo

Magnifico concerto di Elīna Garanča al Festival di Lubiana.

Beh, tenete conto che la serata è cominciata con un battibecco con una giovane spettatrice autoctona la quale, bontà sua, non voleva che scattassi foto perché era illegale. Le ho risposto che l’unica cosa che mi sembrava illegale nei paraggi fosse il fatto che indossasse una stola di pelliccia con 70° (strasmile).
Ma passiamo alle cose meno serie e cioè alla recita della serata. Leggi il resto dell’articolo

Recensione seria di Iolanta di Čajkovskij, ultima fatica discografica di Anna Netrebko.

anna net

Una sobria Anna Netrebko (ok, qui era Halloween e scherzava)

Come ho scritto nella recensione dell’ultimo disco di Jonas Kaufmann, dal mio punto di vista le grandi star hanno un dovere morale legato intrinsecamente alla loro popolarità e cioè fare, per quanto possibile, divulgazione. Leggi il resto dell’articolo

Iolanta di Čajkovskij a Lubiana (Ljubljana): Anna Netrebko superstar.

Mi attende un novembre particolarmente intenso durante il quale dovrò confrontarmi con tre pietre miliari della lirica. Nell’ordine: Otello di Giuseppe Verdi, Tristan und Isolde di Richard Wagner nell’orrida Venezia e Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini qui a Trieste. Roba forte. Leggi il resto dell’articolo

Recensione semiseria di Eugenio Oneghin a Trieste: dalla Russia con amore.

La prima considerazione che mi viene dopo aver visto questo Eugenio Oneghin (Evgenij Onegin) al Verdi di Trieste è abbastanza fastidiosa.

Partitura Onegin

Mi rendo conto che la mia città è piuttosto decentrata, però è un peccato che uno spettacolo interessante come questo non goda di visibilità sulla stampa nazionale e si debba accontentare di queste quattro righe asfittiche che scrivo io qui o su Operaclick, quando la mia recensione sarà pubblicata, impreziosita dalla traduzione in inglese di Giorgia.
Intanto da questo modesto pulpito rivolgo un plauso a tutta la compagnia artistica moscovita del Teatro Stanislavskij. Questi ragazzi, oltre che cantare complessivamente bene, sanno ballare e recitare in modo eccellente, a conferma che la preparazione in Russia non è ancora una parola vuota di significato.
Ora, non è certo il caso di fare prediche, ma senza lanciarsi in ardite speculazioni sociologiche, è evidente che da loro la scuola funziona e che c’è amore per la cultura e le tradizioni nel senso più ampio e meno strumentale dei termini.
Dalla Russia con amore per l’arte, insomma.
E quindi siamo già a due considerazioni fastidiose, ma scrivo di getto quindi magari ne seguiranno altre.
Insomma, ciò che voglio dire è che dovremmo avere l’umiltà di imparare dove c’è da farlo, invece che scimmiottare il peggio di ogni paese del mondo.
Transeat dai, ché altrimenti mi chiamano nel nuovo PdL oppure, se mi va di sfiga, nel PD (strasmile, ammazza se siamo messi male, ma i saluti fascisti di quelli li avete visti?).
L’Oneghin è un’opera molto bella, ma lo sapevo già. A dimostrazione che esistono ancora regie che non si perdono in follie (trasposizioni temporali, personaggi vestiti da UFO, volgarità assortite) la coppia di scenografi David e Aleksandr Borovskij e il regista Aleksandr Titel’ hanno messo su un allestimento molto bello, elegante, raffinato, di ottimo gusto, nel solco di una tradizione rispettosa del libretto e degli artisti.
Lo spettacolo è davvero molto difficile da descrivere a parole, consiglio chi è curioso di vedere le foto su Flickr (scattate da ex Ripley) per farsene un’idea, per quanto approssimativa.
Tatiana, la ragazza che s’innamora del cinico Onegin, era impersonata dal soprano Natal’ja Petrožickaja che ha fornito una prestazione buona per partecipazione emotiva, attoriale e linea di canto inappuntabile.

Natal’ja Petrožickaja alla festa.

Nella scena della lettera si è disimpegnata molto bene e ha ricevuto l’applauso a scena aperta del pubblico, meno incartapecorito del solito (probabilmente perché si trattava di una pomeridiana e i vampiri sono ancora nella cripta, strasmile).
La voce del soprano è bella, non particolarmente voluminosa ma neanche piccola, sale con facilità agli acuti, i centri sono pieni e i gravi timbrati. L’interpretazione sobria, la presenza scenica, favorita da una bella figura, molto gradevole. Bravissima!
Lo sprezzante (e alla fine sfigatissimo e giustamente gabbato, diciamolo) Eugenio Oneghin è stato impersonato dal baritono Dmitrij Zuev, che sembra il sosia di mio nipote Giovanni. Che c’entra, direte voi? Niente, è solo invidia. Comunque assai bravo pure lui, anche se la voce, scura, ha palesato qualche difficoltà negli acuti. Peraltro questo personaggio è veramente rognoso, costretto com’è a cantare a spizzichi e mozzicchi quasi fino alla fine, quando può finalmente sfogare la voce e dare qualche testata contro il muro per la sua idiozia.
Il suo amichetto Lenskij (sono stato contagiato da margie dalla sindrome amichetto che impera su face book…anche senza essere iscritto) era l’ottimo tenore Aleksej Dolgov. Cavolo, che bravo! Nell’aria famosa, certo, ma in tutta l’opera. Attento al fraseggio, curatissimo, alle sfumature e alle mezzevoci, mi è parso l’artista che ha meglio centrato lo spirito del personaggio.
Quando, nella scena del duello, viene ucciso da Oneghin mi è scappata una lacrimuccia! Sto invecchiando, una volta non l’avrei mai fatto. Tra l’altro, a sottolineare la sventatezza della scelta di duellare, il corpo del povero Lenskij è stato scopato via insieme alla neve come fosse un corpo morto (ehm…lo era, effettivamente).
Olga era il mezzosoprano Larisa Andreeva e si è ben comportata pure lei, senza indugiare in bamboleggiamenti inutili.
Addirittura spettacolare la prova di Dmitrij Ul’janov nei panni del vecchio Gremin: il ragazzo ha una voce da basso profondo di quelli seri e una tecnica di grande qualità che gli ha consentito di affrontare un’aria difficile. Volume notevole, tra le altre cose, legato impeccabile.
Non ho tempo di soffermarmi su tutti gli altri coprotagonisti, ma è giusto almeno nominarli perché sono stati tutti meritevoli di appausi: Natal’ja Vladimirskaja (Larina), Ella Fejginova (Filip’evna), Denis Makarov (Capitano), Roman Ulybin (Zareckij), Vjacˇeslav Sergeev (Guillot), Čingis Ajušeev (Capo dei contadini) e soprattutto Vjačeslav Vojnarovskij, che ha impersonato un Triquet molto civile e scevro da tentazioni macchiettistiche.
Il direttore Feliks Korobov ha scelto una lettura quasi cameristica della partitura, il che non è male, ma è mancata un po’ di tensione drammatica in alcuni punti chiave dell’opera (la lettera, il duello) e le feste (ce ne sono due, come già sottolineato nel post precedente) con relative danze sembravano troppo rumorose.
Molto buona la prova dell’orchestra triestina e del Coro del Teatro Stanislavskij.
Applausi per tutti, che io avrei voluto ancora più accesi.
C’è da rimarcare una circostanza.
All’inizio, prima che cominci lo spettacolo vero e proprio, alcune ragazze vestite da contadine russe sparpagliano sul palco delle foglie secche, e ai lati del palcoscenico ci sono alcune statue, o meglio, quelle che IO pensavo fossero statue: erano invece quattro mimi agghindati alla maniera degli artisti di strada e quando si sono mossi mi sono prima spaventato e poi sono scoppiato a ridere per la mia stupidità.

I mimi convitati di pietra.

Ex Ripley, invece, che è intelligente, aveva intuito che erano dei convitati di pietra.
Mi pare che uno dei due ragazzi abbia severamente guardato verso il mio palco e mormorato Di rider finirai pria dell’aurora.
È che io in strada non ci vado mai, da bravo intellettuale vivo in una torre d’avorio, cercate di capirmi.
Buona settimana a tutti (strasmile).
 

Eugenio Oneghin a Trieste: piccola presentazione semiseria e relativo ascolto serissimo.

Ogni tanto, anche recentemente, passa da questo blog qualche lettore russo.
Bene, comincio col chiedere scusa a questi lontani lettori perché spesso italianizzerò alcuni nomi dell’opera che voglio, molto brevemente, introdurre e cioè l’Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
Chiedo scusa anche per il riassunto semiserio della trama, ok?
A Trieste il lavoro, in un nuovo allestimento del Teatro Stanislavskij di Mosca, avrebbe dovuto esordire questa sera.
Purtroppo, a causa della tensione provocata dai tagli al FUS, i sindacati hanno proclamato lo sciopero e quindi l’appuntamento salta e la recita sarà recuperata il 2 aprile.
Io, e non mi va di dare troppe spiegazioni, questa volta sto senza esitazioni con i lavoratori del teatro, anche se ovviamente spiace sempre che si creino disagi agli spettatori.
Gli avvoltoi, quelli che danno la colpa del dissesto economico dei teatri ai più deboli sono sempre lì a sfruttare la situazione, mentre non si parla mai seriamente di sprechi nella gestione e di malversazioni.
Vabbè.
L’Oneghin ha una particolarità, è cioè una di quelle opere in cui una lettera, di quelle che si scrivevano una volta con carta e penna, diventa quasi protagonista o almeno rappresenta uno snodo drammatico significativo.
Se scrivessi per Abbracci e popcorn, per esempio, potrei inaugurare una serie di post col titolo “Le lettere nel cinema” (magari un filone con questo tema c’è già, che ne so, quelli hanno scritto su ogni argomento dello scibile umano, strasmile)e avrei solo l’imbarazzo della scelta.
E, sia detto per inciso, proprio la scena della lettera per il soprano e l’aria del tenore sono due momenti topici dell’opera e allo stesso tempo due di quei passi in cui si riconoscono i grandi artisti: non ci sono acuti particolarmente impegnativi, ma bisogna saper cantare, avere classe interpretativa e qualità vocali per evidenziare la molteplicità di sentimenti e le lacerazioni dei protagonisti.
La trama è molto semplice.
Onegin, un uomo estremamente pieno di se stesso, snob, arrogante, turba la vita serena di una tranquilla ragazza di campagna, Tatiana, che vive con la mamma Larina e la sorella un po’zoccola, Olga. La contadinella sognatrice s’innamora e si appalesa al bellimbusto, ma il cretino la rifiuta sdegnosamente.
La sorella generosa, invece, è innamorata e corrisposta dal solito tenore un po’scemo, Lenskij, che è amico di Onegin. Un giorno a una festa Olga e Onegin smignottano tra loro (per scherzare, ovvio…), Lenskij se ne accorge (non che ci volesse un genio eh?) e diventa una bestia, tanto da sfidare l’amico a duello. Ovviamente, dopo aver cantato la sua aria (che tenore sarebbe?), si fa uccidere.
Qualche tempo dopo Onegin a un’altra festa ritrova Tatiana, che si è fatta furba e ha sposato un vecchio, Gremin, un po’ rinco ma tanto buono e ricco. Onegin ci prova lui, questa volta, ma Tatiana lo manda a cagare. Fine.
Insomma si nota che, per una volta, la figura dell’idiota la fa l’uomo.
Più seriamente, questo è un lavoro che andrebbe indagato nelle pieghe più nascoste perché Caikovskij ci ha messo molto di suo, in questa storia, a cominciare dalla lettera.
Egli stesso, infatti, ricevette una missiva da un’ammiratrice e acconsentì a sposarla, pur sapendo di andare incontro a problemi, perché il compositore era gay. Il matrimonio durò tre settimane e non è un record, lo dico subito, perché una coppia di amici miei si è sposata e si è lasciata dopo un giorno.
Inoltre, il compositore ebbe una corrispondenza febbrile con la sua mecenate, Nadezda von Meck.
Ma c’è molto altro, come per esempio il rapporto d’amicizia ambiguo tra Oneghin e Lenskij, l’amore per le feste, di cui Caikovskij era grande frequentatore, la Russia contadina e quella borghese.
La musica è avvolgente, ricca, melodiosa, c’è molto di quel canto di conversazione che negli anni successivi divenne così caro a Puccini.
L’opera è tratta dall’omonimo romanzo di Alexsandr Puskin, in alcuni tratti ne conserva proprio le stesse parole.
C’è un allestimento di Robert Carsen che è straordinario e ne hanno ricavato un magnifico DVD che consiglio a tutti, anche a chi non ama questo regista.
Ho scelto un ascolto che mi commuove molto, perché si tratta del mio tenore preferito, Fritz Wunderlich.
Volevo allegare anche la traduzione italiana del testo, ma fa talmente schifo (dal punto di vista poetico) che ci rinuncio.
Sappiate che è un addio alla vita, basta e avanza poiché Wunderlich è stato uno di quei tenori che avrebbe reso commovente anche la classica lista della spesa.
Qui canta nella sua lingua, il tedesco.
A presto, per la recensione semiseria ufficiale, e buon fine settimana a tutti.

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