La prima considerazione che mi viene dopo aver visto questo Eugenio Oneghin (Evgenij Onegin) al
Verdi di Trieste è abbastanza fastidiosa.

Mi rendo conto che la mia città è piuttosto decentrata, però è un peccato che uno spettacolo interessante come questo non goda di visibilità sulla stampa nazionale e si debba accontentare di queste quattro righe asfittiche che scrivo io qui o su
Operaclick, quando la mia recensione sarà pubblicata, impreziosita dalla traduzione in inglese di
Giorgia.
Intanto da questo modesto pulpito rivolgo un plauso a tutta la compagnia artistica moscovita del Teatro Stanislavskij. Questi ragazzi, oltre che cantare complessivamente bene, sanno ballare e recitare in modo eccellente, a conferma che la preparazione in Russia non è ancora una parola vuota di significato.
Ora, non è certo il caso di fare prediche, ma senza lanciarsi in ardite speculazioni sociologiche, è evidente che da loro la scuola funziona e che c’è amore per la cultura e le tradizioni nel senso più ampio e meno strumentale dei termini.
Dalla Russia con amore per l’arte, insomma.
E quindi siamo già a due considerazioni fastidiose, ma scrivo di getto quindi magari ne seguiranno altre.
Insomma, ciò che voglio dire è che dovremmo avere l’umiltà di imparare dove c’è da farlo, invece che scimmiottare il peggio di ogni paese del mondo.
Transeat dai, ché altrimenti mi chiamano nel nuovo PdL oppure, se mi va di sfiga, nel PD (strasmile, ammazza se siamo messi male, ma i saluti fascisti di quelli li avete visti?).
L’Oneghin è un’opera molto bella, ma lo sapevo già. A dimostrazione che esistono ancora regie che non si perdono in follie (trasposizioni temporali, personaggi vestiti da UFO, volgarità assortite) la coppia di scenografi David e Aleksandr Borovskij e il regista Aleksandr Titel’ hanno messo su un allestimento molto bello, elegante, raffinato, di ottimo gusto, nel solco di una tradizione rispettosa del libretto e degli artisti.
Lo spettacolo è davvero molto difficile da descrivere a parole, consiglio chi è curioso
di vedere le foto su Flickr (scattate da ex Ripley) per farsene un’idea, per quanto approssimativa.
Tatiana, la ragazza che s’innamora del cinico Onegin, era impersonata dal soprano Natal’ja Petrožickaja che ha fornito una prestazione buona per partecipazione emotiva, attoriale e linea di canto inappuntabile.

Nella scena della lettera si è disimpegnata molto bene e ha ricevuto l’applauso a scena aperta del pubblico, meno incartapecorito del solito (probabilmente perché si trattava di una pomeridiana e i vampiri sono ancora nella cripta, strasmile).
La voce del soprano è bella, non particolarmente voluminosa ma neanche piccola, sale con facilità agli acuti, i centri sono pieni e i gravi timbrati. L’interpretazione sobria, la presenza scenica, favorita da una bella figura, molto gradevole. Bravissima!
Lo sprezzante (e alla fine sfigatissimo e giustamente gabbato, diciamolo) Eugenio Oneghin è stato impersonato dal baritono Dmitrij Zuev, che sembra il sosia di mio nipote Giovanni. Che c’entra, direte voi? Niente, è solo invidia. Comunque assai bravo pure lui, anche se la voce, scura, ha palesato qualche difficoltà negli acuti. Peraltro questo personaggio è veramente rognoso, costretto com’è a cantare a spizzichi e mozzicchi quasi fino alla fine, quando può finalmente sfogare la voce e dare qualche testata contro il muro per la sua idiozia.
Il suo amichetto Lenskij (sono stato contagiato da
margie dalla sindrome amichetto che impera su face book…anche senza essere iscritto) era l’ottimo tenore
Aleksej Dolgov. Cavolo, che bravo! Nell’aria famosa, certo, ma in tutta l’opera. Attento al fraseggio, curatissimo, alle sfumature e alle mezzevoci, mi è parso l’artista che ha meglio centrato lo spirito del personaggio.
Quando, nella scena del duello, viene ucciso da Oneghin mi è scappata una lacrimuccia! Sto invecchiando, una volta non l’avrei mai fatto. Tra l’altro, a sottolineare la sventatezza della scelta di duellare, il corpo del povero Lenskij è stato scopato via insieme alla neve come fosse un corpo morto (ehm…lo era, effettivamente).
Olga era il mezzosoprano Larisa Andreeva e si è ben comportata pure lei, senza indugiare in bamboleggiamenti inutili.
Addirittura spettacolare la prova di Dmitrij Ul’janov nei panni del vecchio Gremin: il ragazzo ha una voce da basso profondo di quelli seri e una tecnica di grande qualità che gli ha consentito di affrontare un’aria difficile. Volume notevole, tra le altre cose, legato impeccabile.
Non ho tempo di soffermarmi su tutti gli altri coprotagonisti, ma è giusto almeno nominarli perché sono stati tutti meritevoli di appausi: Natal’ja Vladimirskaja (Larina), Ella Fejginova (Filip’evna), Denis Makarov (Capitano), Roman Ulybin (Zareckij), Vjacˇeslav Sergeev (Guillot), Čingis Ajušeev (Capo dei contadini) e soprattutto Vjačeslav Vojnarovskij, che ha impersonato un Triquet molto civile e scevro da tentazioni macchiettistiche.
Il direttore
Feliks Korobov ha scelto una lettura quasi cameristica della partitura, il che non è male, ma è mancata un po’ di tensione drammatica in alcuni punti chiave dell’opera (la lettera, il duello) e le feste (ce ne sono due,
come già sottolineato nel post precedente) con relative danze sembravano troppo rumorose.
Molto buona la prova dell’orchestra triestina e del Coro del Teatro Stanislavskij.
Applausi per tutti, che io avrei voluto ancora più accesi.
C’è da rimarcare una circostanza.
All’inizio, prima che cominci lo spettacolo vero e proprio, alcune ragazze vestite da contadine russe sparpagliano sul palco delle foglie secche, e ai lati del palcoscenico ci sono alcune statue, o meglio, quelle che IO pensavo fossero statue: erano invece quattro mimi agghindati alla maniera degli artisti di strada e quando si sono mossi mi sono prima spaventato e poi sono scoppiato a ridere per la mia stupidità.

Ex Ripley, invece, che è intelligente, aveva intuito che erano dei convitati di pietra.
Mi pare che uno dei due ragazzi abbia severamente guardato verso il mio palco e mormorato Di rider finirai pria dell’aurora.
È che io in strada non ci vado mai, da bravo intellettuale vivo in una torre d’avorio, cercate di capirmi.
Buona settimana a tutti (strasmile).
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