Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Divulgazione semiseria dell’opera lirica: Turandot di Giacomo Puccini.

Venerdì 12 maggio al Teatro Verdi di Trieste “va in onda” la prima di Turandot di Giacomo Puccini e ovviamente mi sento in dovere di scrivere qualche spigolatura sull’opera per i miei happy few.
Opera amatissima e popolare Turandot, lasciata incompiuta da Puccini, che morì mentre ne stava scrivendo le ultime due scene poi completate da Franco Alfano con la supervisione di Arturo Toscanini.
Ripensando a Turandot, la prima circostanza che mi colpisce è l’indicazione temporale in cui si svolge la vicenda: al tempo delle favole, a Pekino (sì, scritto così).
Se ci pensate è molto bello, rilassante, tornare per un paio d’ore al tempo delle favole: è proprio l’essenza di ciò che dovrebbe essere il teatro, una momentanea sospensione della (e dalla) realtà che, come ben sappiamo, non è che sia poi così allegra e spensierata per nessuno.
Il libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni fu tratto da una nota fiaba di Carlo Gozzi, già messa in musica con esiti alterni da Antonio Bazzini e Ferruccio Busoni.
Le cosiddette fiabe, lo affermo da sempre, andrebbero rilette con gli occhi di un adulto perché nascondono significati simbolici piuttosto inquietanti che per fortuna da bambini non si colgono. Pensate alla produzione dei fratelli Grimm o di Hans Christian Andersen, che non a caso sono definite fiabe iniziatiche. Per fortuna mio papà si è limitato a raccontarmi Il pesciolino d’oro di Aleksandr Puškin che, come potete vedere, effetti nefasti ne ha causati non pochi (strasmile).
Comunque, la trasposizione teatrale non segue fedelmente il testo originale, tanto che per esempio il personaggio di Liù – centrale in Puccini – è inventato di sana pianta e non esiste in Gozzi. Puccini aveva ben presente le esigenze teatrali e anzi si riteneva investito della missione di scrivere solo ed esclusivamente per il teatro. Di conseguenza grandi dibattiti, tantissima corrispondenza, qualche volta spiritosa, altre pungente, con i librettisti. I librettisti, poveri, sono proprio maltrattati per default dai compositori…si pensi a Verdi e Piave o Cammarano, solo per citare un caso.
Puccini si arrovellò tanto sul finale dell’opera, scrivendo e riscrivendo la musica, scartando molti versi che gli venivano proposti dai librettisti: non trovava una quadratura che lo soddisfacesse del tutto. Purtroppo la malattia che lo minava da tempo non indugiò, invece; morì il 29 novembre del 1924 per i postumi dell’operazione a cui era stato costretto.
Per l’editore Ricordi quindi ci fu il problema di affidare a qualcuno la scrittura del finale dell’opera, sulla base degli appunti lasciati da Puccini. La vicenda è complicata, non voglio farla troppo lunga.
Il compito fu affidato a Franco Alfano, supportato (o meglio, osteggiato) da Arturo Toscanini. Il risultato è che il finale probabilmente si avvicina abbastanza all’idea di Puccini ma ne confonde lo stile compositivo, anche nella versione rivista da Toscanini.
Ancora nel 2002 Ricordi affidò a un compositore contemporaneo la stesura di un altro finale. Luciano Berio, a parer mio, fece un gran lavoro proprio perché volle differenziare la “sua” musica da quella di Puccini. Ma queste sono speculazioni personali e perciò del tutto risibili.
In cuor mio sono del parere di Toscanini, che la sera della prima rappresentazione – Teatro alla Scala, 25 aprile 1926 – interruppe l’esecuzione dopo il corteo funebre che segue la morte di Liù: sono perciò molto soddisfatto che probabilmente sarà proprio questa la soluzione che si adotterà per la prima al Verdi.
Turandot è un’opera che si stacca nettamente, a mio parere, dal resto della produzione di Puccini, tanto che in molti si sono chiesti come mai sia diventata così popolare. La risposta sta nel genio di Sor Giacomo, capace di far convivere nella partitura elementi di assoluta novità insieme a certi stilemi più tradizionali. Le parti melodiche ci sono, ma paiono quasi dejà vu o meglio illusioni di una musica ormai estinta, fagocitata dal Moloch del Novecento, il secolo della follia. Non è un caso che Webern consideri “importante” Turandot, e lo scriva al suo maestro Schönberg, padre della musica seriale.
Le percussioni hanno un’importanza fondamentale e sono usate sia a scopi coloristici sia per tingere di esotico, di quell’oriente che era ai tempi l’ultimo grido della moda, la partitura. Il coro assume le vesti di un vero personaggio, e le sorti di una buona riuscita dell’opera passano in modo rilevante proprio per il coro.
In quanto ai cantanti le difficoltà sono notevoli, soprattutto per quanto riguarda la parte della “Principessa di gelo”: scrittura ostica, acuta e difficile anche dal lato interpretativo oltre che tecnico.
Il tenore è condannato, oggi, a un Nessun dorma che si avvicini all’idea che ha la vulgata di “Vincerò”, un’aria che non è mai stata scritta (strasmile).
Liù ha difficoltà vocali moderate, ma il fraseggio e l’accento devono essere convincenti, altrimenti il personaggio ne esce insipido. Tutto sommato abbordabile la parte da basso di Timur. Decisivo il rendimento delle “maschere” o ministri Ping, Pong e Pang: se la loro prestazione non è all’altezza sono problemi seri perché reggono in modo decisivo la parte centrale dell’opera.
Ovviamente il direttore deve trovare la giusta misura, soprattutto nelle dinamiche che possono essere insidiose. Come in tutto Puccini, fondamentale è il lavoro di concertazione che deve rendere preciso il canto di conversazione.
Un paio d’anni fa mi ricordai di Turandot in un momento difficile, era il periodo del lockdown severo causato dalla pandemia.
È tutto, per ora.

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La musica espressionista: ovvero della mia mostra fotografica personale.

L’urlo di Edvard Munch
Lo sguardo rosso di Arnold Schönberg

Anche le peggiori catastrofi possono succedere: infatti, lunedì prossimo 6 febbraio ci sarà il vernissage della mia mostra fotografica intitolata “La musica espressionista”. A seguire il testo che ho scritto per la presentazione dell’evento (una volta gli eventi erano cose serie strasmile)

La musica espressionista

Erwartung e Pierrot Lunaire sono due “opere liriche” di Arnold Schönberg, compositore che è considerato il fondatore dell’espressionismo musicale. Da questi lavori ho elaborato la mostra fotografica che si snoda in due percorsi diversi.
Ho voluto trattare Erwartung per quello che è, una composizione musicale e perciò i titoli equivalgono a termini che si leggono nelle partiture. Nella seconda serie dedicata a Pierrot Lunaire, i titoli delle foto – tradotti in italiano – sono gli stessi dei Lied nel testo originale. Fa eccezione solo l’ultimo scatto, che è una mia interpretazione.
Nella esposizione che state per vedere è indispensabile seguire l’ordine cronologico delle foto per capire la narrazione (o almeno provarci!).
Le immagini sono una mia esegesi – tutt’altro che didascalica o calligrafica – di due vicende differenti. Ognuno trovi la propria chiave di lettura, perché l’Arte (non certo la mia, bensì quella di Schönberg) è in continuo movimento: parla in modo diverso a ciascuno di noi.
Quando, nei primi anni del Novecento, la musica era tutta “una gelida manina” e le ipertrofiche orchestre tardo romantiche erano una prassi – si pensi agli immensi organici di Mahler, Strauss e non solo – arrivò Arnold Schönberg insieme a una bella compagnia che comprendeva, tra gli altri, Anton Webern e Alban Berg. Il compositore austriaco mise tutto in un metaforico frullatore, miscelò per bene e ne uscì una musica che, al tempo, sembrò indigeribile e lo rimane ancora per quota parte non irrilevante del pubblico odierno. Pochi strumenti, canto declamato quando non parlato (Sprechgesang: cantar parlando, il contrario del recitar cantando), dissonanze anche sgradevoli, atonalità, nessuna melodia, pochissimo lirismo.
Erwartung (1909) e Pierrot Lunaire (1912) sono due tra le più famose sue composizioni: la prima in un atto, uno psicodramma la cui onirica ed esile trama sembra quasi scritta su testo di Freud, che pochi anni prima aveva pubblicato “L’interpretazione dei sogni”: una donna vestita di bianco cerca in un oscuro bosco il suo uomo (marito, compagno?) e tra simboli e paure alla fine lo trova.
La seconda un allucinato melologo in cui una persona disagiata vestita da Pierrot (nella mia interpretazione una donna en travesti, visto che la parte è scritta per voce femminile recitante) prova ogni sorta di esperienze. Due testi traumatici e non uso questo aggettivo a caso, perché in tedesco Traum – dal greco τραῦμα, ferita – significa sogno.
Il fil rouge che unisce i due lavori è l’alienazione, il rifiuto e il conflitto con se stessi, l’ambiguità, la distorsione dell’anima e le conseguenti immagini evocate.
“L’Arte è un campanello d’allarme”, sosteneva il compositore. E visto ciò che accadde pochi anni dopo nel mondo, direi che la definizione è tutt’altro che peregrina. Con queste due “opere liriche” Schönberg contribuì alla diffusione della koinè dell’Espressionismo, temperie culturale che attraversò sì la Musica ma anche la Pittura (Munch, Kandinskij, Klee) e non solo.
Buona visione, anzi, buon viaggio.

Paolo Bullo

La lunga estate calda del vecchio blogger.

Chissà, forse qualcuno ha notato (non credo) che ho aggiunto un piccolo particolare all’intestazione del blog. Prima c’era scritto così:

Di Tanti Pulpiti, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Ora è così:

Di Tanti Pulpiti, dal 2006 episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

È importante? Lo è per me, perché di blog, che oggi sono cascami della Rete – nella migliore delle ipotesi – ne sono rimasti “pochi”, distrutti dalla valanga dei social più immaginifici e ineffabili. Perciò chi ha un blog vivo deve curarlo, amarlo, coccolarlo.
In realtà sono un blogger ancora da prima (2002), ma il passaggio tra piattaforme varie (Tiscali e Splinder) è stato crudele e molto è andato perduto. E, a dirla tutta, scrivo sul Web dal 1997. Insomma, sono 25 anni, che pochi non sono.
In questi cinque lustri ne ho viste di tutti i colori sia su queste pagine sia nella vita. Soprattutto nella vita, cristo, ma si va avanti.
Ora, nel 2022, mi si presenta un’estate caldissima non solo dal punto di vista del meteo – che dio maledica il caldo, io vivrei nel ghiaccio se potessi – ma anche dal lato impegni.
Da luglio ai primi giorni di settembre ho in agenda 14 serate in teatro solo tra Trieste e Lubiana; penso che se ne aggiungeranno altre a breve. Ce la farò? Boh, non sono più un ragazzino.
Vedrò e ascolterò musiche dei più grandi compositori di sempre interpretate da grandi artisti: da Anna Netrebko a Juan Diego Florez, da quello che resta di Placido Domingo a Esa-Pekka Salonen sino a Riccardo Muti e tanti, davvero tanti ancora.
Ho avuto agende peggiori, credetemi.
Perciò in questo giurassico luogo virtuale (e su Operaclick), gestito da un ancor più giurassico blogger, potrete leggere di teatro musicale. Non mi considero un critico, ma solo un modesto recensore.
Tuttavia spero di riuscire a raccontarvi bene delle magie e delle meraviglie che, nonostante le continue brutture che ci sbattono in muso, continuano ad accadere nel mondo. E se questo vi darà cinque minuti di serenità, fatemelo sapere.
E poi, dopo aver ricevuto questo premio , sento la necessità di scrivere sempre meglio, ché di cronache, recensioni e articoli vari pieni di errori e orrori ortografici e consecutio agghiaccianti ne abbiamo tutti abbastanza.
Pubblico questo articoletto perché proprio oggi la Zia quantistica avrebbe compiuto 94 anni, un altro modo per ricordarla.
Nel frattempo mi butto in lavatrice per rinfrescarmi.

Divulgazione semiseria dell’opera lirica: Tosca di Giacomo Puccini al Teatro Verdi di Trieste.

Sarah Bernhardt fotografata da uno dei più grandi di sempre: Nadar

Riprende l’attività al Teatro Verdi di Trieste con Tosca di Giacomo Puccini. E questa è la buona notizia; la brutta è che anch’io riprendo a scrivere di musica (smile).
Ora, di Tosca si potrebbe semplicemente dire che è l’ennesima opera tratta da un testo teatrale che parla della necessità che ha il Potere, sempre e in ogni epoca, di zittire ed eliminare il dissenso. Tema attuale, anche in questi giorni. Ma io sono prolisso, perciò, se non vi accontentate di questa sintesi, annoiatevi pure col resto (strasmile).
Da sempre tra le dieci più eseguite al mondo, Tosca continua a esercitare un fascino particolare sul pubblico che ne fa una delle opere più amate a tutte le latitudini. Trieste non fa eccezione, perché le vicende della cantante Floria Tosca sono state raccontate spesso sul palcoscenico del teatro triestino; l’ultima produzione risale al 2017.

Eppure a Mahler (reverenza) non piacque per niente, tanto che scrisse così:

Ieri sera dunque sono stato a vedere la «Tosca» di Puccini. Esecuzione ottima sotto ogni punto di vista, si resta veramente strabiliati di trovare qualche cosa di simile in una città austriaca di provincia. Ma l’opera! Nel primo atto solenne processione con un continuo scampanio (le campane si sono dovute far venire dall’Italia). Nel secondo atto un tale viene torturato tra urli orrendi e un altro pugnalato con un acuminato coltello da pane. Nel terzo atto di nuovo immenso scampanio su una veduta di tutta Roma dall’alto di una cittadella – di nuovo un’altra diversa serie di campane – e un tale viene fucilato da un plotone di soldati. Prima della fucilazione mi sono alzato e sono andato via. Non occorre aggiungere che il tutto è messo irisieme come sempre con abilità da maestro; al giorno d’oggi ogni scalzacane sa orchestrare in modo eccellente.

Nientemeno.
Fedele D’Amico (reverenza) sosteneva che dal punto di vista drammaturgico e musicale Tosca fosse in qualche modo l’antesignana di un filone che avrebbe poi portato a Salome, Elektra e Wozzeck. Il top, per certi versi, del Novecento musicale. Ma, ed è fondamentale notarlo, non per la figura della protagonista bensì per quella, mostruosa nella sua perfidia, di Scarpia.
Puccini vide una recita di La Tosca di Victorien Sardou nel 1889, a Milano: la protagonista era Sarah Bernhardt. Se ne innamorò (della pièce teatrale, non della Bernhardt, strasmile) e chiese all’editore Ricordi di acquisire i diritti del testo drammaturgico. Sembra che Sardou non fosse proprio entusiasta della cosa, tanto da mettersi di traverso all’operazione che comunque si chiuse col debutto a Roma, il 14 gennaio 1900 con libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.
Ma, di là di queste notizie storiche, qual è – a mio parere, ovvio – il motivo vero del successo di quest’opera? Rispondo con una piccola provocazione: il motivo è il cinema!
Voglio dire che Puccini coglie con Tosca – non a caso testo teatrale cucito sartorialmente addosso alla diva Bernhardt – gli umori del pubblico del tempo, che incominciava ad apprezzare la settima arte.
I personaggi principali sono tutti eccessivi, ambigui e assolutamente finti, cinematografici appunto.
Nella cantante Floria Tosca convivono erotismo e religione, sottomissione e furia omicida. Attrazione per il Potere, per la relazione pericolosa.
Il Barone Scarpia è definito così dal Mario Cavaradossi:

Bigotto satiro che affina con le devote pratiche la foia libertina e strumento al lascivo talento fa il confessore e il boia.

Un sadico che come Jago – qui un ventaglio, in Verdi un fazzoletto – si crea l’opportunità per far scoppiare la gelosia a proprio uso e consumo. Un mostro che galleggia tra il sacro e il profano, tra il Potere e la Chiesa.
Il terzo vertice del triangolo amoroso, Mario Cavaradossi, sembra il classico vaso di coccio. Fragile, instabile, innamorato della vita più che di Tosca. Profondamente tenore nell’esteriore entusiasmo e nella triste fine. Mi sembra una di quelle persone che sono brave in tutto, ma part-time, quando hanno tempo e voglia.
La concisione drammatica, il passo teatrale incalzante sono stemperati dalle consuete aperture liriche, tipiche di Puccini, ma è nei dialoghi – il sempre citato canto di conversazione pucciniano – che si capisce il vero carattere dei personaggi.
Poi certo, c’è la musica, ci sono le romanze e le arie, i duetti, le melodie. Sono la parte più popolare, la colonna sonora mi verrebbe da dire, della vicenda.
Si colgono alcune analogie con Otello di Verdi.
C’è stato un momento, durante la faticosa collaborazione tra Verdi stesso e il librettista (e mai come in questo caso appare limitativo definirlo così!) Arrigo Boito in cui fu paventata la possibilità d’intitolare l’opera Jago invece di Otello: anche il lavoro di Puccini potrebbe chiamarsi Scarpia e non Tosca.
I due perfidi personaggi hanno più di qualche affinità, anche se differiscono molto dal punto di vista psicologico. Sono entrambi baritoni per esempio; ancora, fanno leva sulla gelosia per ottenere il loro scopo e si servono di un oggetto qualsiasi per ingannare le loro vittime: un fazzoletto nel caso di Jago, un ventaglio per il corrotto barone romano Scarpia.
Sono due geni del male, due disgraziati; a fare le spese della loro cattiveria sono i buoni: Desdemona, Otello, Tosca, Cavaradossi.
Sempre dal punto di vista psicologico e della narrazione è interessante notare che i personaggi forti, nelle due opere, si uccidono: Otello si pugnala, Tosca salta giù dai bastioni di Castel Sant’Angelo.

Allora, almeno per questo estremo sacrificio, è giusto che le opere siano passate alla storia della cultura e dell’Arte con i nomi di Otello e Tosca.
Dal punto di vista strettamente musicale però le gemme sono altre. La misteriosa alba di Roma, intermezzo nel terzo atto. Gli accordi iniziali che fotografano Scarpia, il soggiogante Te Deum che chiude il primo atto.
Il mio consiglio è perciò quello di ascoltare Tosca in modo meno superficiale, per cogliere con orecchie nuove quello che si cela nelle pieghe della partitura, nel canto di conversazione.
Forse, chissà, l’ennesima Tosca vi sembrerà meno scontata del solito.

Tra Gaber e il Covid-19: gli uomini che perdono i pezzi (e non per loro colpa).

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Anno nuovo, vita nuova (mah).

Dunque, siccome perdura l’impossibilità di andare a teatro, per tenere viva l’attenzione sull’opera e dintorni ho deciso che da oggi pubblicherò alcuni comunicati stampa, selezionati tra i tanti che m’arrivano ogni giorno.
Avrò un occhio di riguardo per gli streaming e gli eventi trasmessi in televisione; alla fine anche questo è un modo di fare informazione e di sostenere il teatro. Se non lo facciamo noi “del mestiere” o gli appassionati, non lo fa nessuno. Non apro polemiche, per il momento.
Ma c’è dell’altro e cioè che oltre ai prefati comunicati pubblicherò qualche foto o serie di foto (portfolio, per esempio): uno ce l’ho già bello pronto.
Chissà che un giorno non riesca addirittura a capire come funziona il nuovo editor di WordPress, che mi sta facendo uscire pazzo (strasmile).
Detto questo, ecco il primo comunicato stampa, che riguarda la programmazione di RAI5:

Il Teatro Verdi di Trieste

RAI5: UNA SETTIMANA DI OPERE FIRMATE

DA DAMIANO MICHIELETTO

Dall’11 al 15 gennaio la mattina alle 10 e mercoledì 13 anche in prima serata

È dedicata al regista veneto Damiano Michieletto la programmazione operistica della settimana dall’11 al 15 gennaio che Rai Cultura propone sul suo canale Rai5 tutte le mattine alle 10 e il mercoledì anche in prima serata.

Si inizia lunedì 11 gennaio con L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, andato in scena al Macerata Opera Festival nell’estate del 2018. Protagonisti Mariangela Sicilia, John Osborn, Iurii Samoilov, Alex Esposito e Francesca Benitez. Sul podio Francesco Lanzillotta. Regia tv a cura di Francesca Nesler.

Segue, martedì 12 gennaio, il Sigismondo di Gioachino Rossini, andato in scena al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 2010 con la direzione musicale di Michele Mariotti. Protagonisti sul palco Daniela Barcellona, Andrea Concetti, Olga Peretyatko, Antonino Siragusa, Manuela Bisceglie ed Enea Scala. Regia tv a cura di Tiziano Mancini.

Mercoledì 13 gennaio l’appuntamento è doppio: la mattina alle 10 va in onda Il viaggio a Reims di Rossini, andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma nel 2017 con Stefano Montanari sul podio. Nel cast Mariangela Sicilia, Anna Goryachova, Maria Grazia Schiavo, Francesca Dotto, Juan Francisco Gatell, Adrian Sâmpetrean, Nicola Ulivieri. Regia tv di Carlo Gallucci. In prima serata alle 21.15 invece, sempre dell’Opera di Roma e sempre del 2017, è proposta La damnation de Faust di Hector Berlioz, che si è aggiudicata il Premio “Abbiati” della Critica Musicale Italiana. Sul podio è protagonista Daniele Gatti. Nel cast Pavel Černoch, Alex Esposito, Veronica Simeoni e Goran Jurić. Regia tv di Claudia De Toma.

Giovedì 14 gennaio è la volta della Vedova allegra di Franz Lehár, ancora dell’Opera di Roma, andata in scena al Teatro Costanzi nel 2019. Nel cast Nadja Mchantaf, Paulo Szot, Anthony Michaels- Moore, Adriana Ferfecka, Peter Sonn, Marcello Nardis. Regia tv di Claudia De Toma.

Chiude il ciclo, venerdì 15 gennaioMadama Butterfly di Giacomo Puccini, prodotta dal Teatro Regio di Torino nel 2014. Interpreti principali: Amarilli Nizza, Massimiliano Pisapia, Alberto Mastromarino, Giovanna Lanza. Sul podio Pinchas Steinberg. Regia televisiva a cura di Francesca Nesler.

La successiva settimana operistica, dal 18 al 22 gennaio, sarà dedicata a Emma Dante.

Foto spettacoli Michieletto: https://www.dropbox.com/sh/r2cfjyp98ldnr12/AAAbZgXG1v8WMX_6o_-KUMW7a?dl=0

Comunicato stampa

RAI5: UNA SETTIMANA DI OPERE FIRMATE

DA EMMA DANTE

Dal 18 al 22 gennaio la mattina alle 10

È dedicata alla regista siciliana Emma Dante la programmazione operistica della settimana dal 18 al 22 gennaio che Rai Cultura propone sul suo canale Rai5 tutte le mattine alle 10 ad esclusione del martedì ma con un doppio titolo il giovedì.

Si inizia lunedì 18 gennaio con la Carmen di Georges Bizet, spettacolo inaugurale della stagione 2009/2010 del Teatro alla Scala, che segna inoltre il debutto di Emma Dante nella regia operistica. Protagonisti sul palco Jonas Kaufmann, Erwin Schrotte e Anita Rachvelishvili. Sul podio Daniel Barenboim. Regia tv di Lorena Sardi.

Mercoledì 20 gennaio l’appuntamento è con L’angelo di fuoco di Sergej Prokof’ev, andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma nel 2019 con Alejo Pérez sul podio Nel cast Ewa Vesin, Leigh Melrose, Anna Victorova e Mairam Sokolova. Regia tv di Carlo Gallucci.

Giovedì 21 gennaio è la volta del dittico La voix humaine, tragédie lyrique di Francis Poulenc tratta dalla pièce omonima di Jean Cocteau – con protagonista Anna Caterina Antonacci – e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni – con Marco Berti, Carmen Topciu e Gezim Myshketa tra gli interpreti principali –, andato in scena al Teatro Comunale di Bologna nel 2017. Sul podio Michele Mariotti. Regia tv di Arnalda Canali.

Chiude il ciclo, venerdì 22 gennaioLa Cenerentola di Gioachino Rossini, andata in scena nel 2016 al Teatro dell’Opera di Roma con la direzione musicale di Alejo Pérez. Protagonisti sul palco Serena Malfi, Juan Francisco Gatell, Vito Priante, Alessandro Corbelli, Damiana Mizzi, Annunziata Vestri, Ugo Guagliardo. Regia tv a cura di Francesca Nesler.

La successiva settimana operistica, dal 25 al 29 gennaio, sarà dedicata a Davide Livermore.

Foto spettacoli Dante: https://www.dropbox.com/sh/0j131o62ovvh9sm/AAC1r-wFpl7ExFvOX7xiFxO-a?dl=0

Comunicato stampa

RAI5: UNA SETTIMANA DI OPERE FIRMATE

DA DAVIDE LIVERMORE

Dal 25 al 29 gennaio la mattina alle 10 e mercoledì 27 anche in prima serata

È dedicata al regista torinese Davide Livermore la programmazione operistica della settimana dal 25 al 29 gennaio che Rai Cultura propone sul suo canale Rai5 tutte le mattine alle 10 e il mercoledì anche in prima serata.

Si inizia lunedì 25 gennaio con Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma nel 2016. Protagonisti Chiara Amarù, Edgardo Rocha, Florian Sempey e Ildebrando D’arcangelo. Sul podio Donato Renzetti. Regia tv a cura di Carlo Gallucci.

Segue, martedì 26 gennaioDemetrio e Polibio prima opera lirica di Gioachino Rossini, andata in scena al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 2010 con la direzione musicale di Corrado Rovaris. Protagonisti sul palco Maria José Moreno, Victoria Zaytseva, Yijie Shi, Mirco Palazzi. Regia tv a cura di Tiziano Mancini.

Mercoledì 27 gennaio l’appuntamento è doppio: la mattina alle 10 va in onda Ciro in Babilonia di Rossini, andato in scena al Teatro Rossini di Pesaro con Will Crutchfield sul podio. Nel cast Ewa Podleś, Michael Spyres e Jessica Pratt. Regia tv di Daniele Biggiero. In prima serata alle 21.15 invece è proposto il Don Pasquale di Gaetano Donizetti andato in scena al Teatro alla Scala nel 2018. Sul podio Riccardo Chailly. Nel cast Ambrogio Maestri, Rosa Feola, René Barbera, Mattia Olivieri e Andrea Porta. Regia tv di Patrizia Carmine.

Giovedì 28 gennaio è la volta dell’Attila di Giuseppe Verdi ancora del Teatro alla Scala e ancora andato in scena nel 2018 con la direzione musicale di Riccardo Chailly. Nel cast Ildar Abdrazakov, Saioa Hernández, George Petean, Fabio Sartori, Francesco Pittari e Gianluca Buratto. Regia tv di Patrizia Carmine.

Chiudono il ciclo, venerdì 29 gennaio, I vespri siciliani di Verdi, prodotti dal Teatro Regio di Torino nella versione andata in scena nel 2011 per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Sul podio Gianandrea Noseda. Interpreti: Maria Agresta, Gregory Kunde, Ildar Abdrazakov e Franco Vassallo. Regia tv di Arnalda Canali.

Foto spettacoli Livermore: https://www.dropbox.com/sh/ri5n0ajeq408kqk/AAAAkuV1lVR3apR2xciJMvh0a?dl=0

Sinfonia d’autunno (no, non quella di Bergman).

Come qualcuno sa, da qualche tempo ho ripreso l’antica passione per la fotografia. In autunno, non lo scopro certo io, i colori e le atmosfere sono particolarmente suggestive. Negli ultimi giorni ho scattato alcune foto che non mi spiacciono e perciò, visto che per ora gli impegni musicali sono ancora ridotti – ma verso fine mese ci sarà una discreta accelerazione – , le propongo qui su questo contenitore virtuale cui sono sempre più affezionato: sta invecchiando e le rughe si vedono piuttosto bene. Una metafora? No, ché non so neanche cosa significhi (strasmile).
Le foto sono state scattate perlopiù sul carso triestino e sloveno. Leggi il resto dell’articolo

Alcune foto della Regata Barcolana n.51 a Trieste.

La kermesse della Barcolana è sempre una buona palestra di allenamento per i fotografi dilettanti e professionisti e anche la 51esima edizione, caratterizzata dalla bonaccia, non ha fatto eccezione. Leggi il resto dell’articolo

Val Visdende, una situazione tragica. Il cambiamento climatico è la sola priorità.

Per questa volta niente musica, sono spiacente. Leggi il resto dell’articolo

Musica e fotografia, due passioni incontenibili.

La scorsa settimana è stata, per il qui presente Amfortas aka Paolo Bullo, piuttosto densa d’impegni e anche di soddisfazioni. Di solito la mia vita scorre piatta e incolore, come quei personaggi operistici di secondo piano di cui ci si scorda il nome con facilità o, peggio, che non sono indicati neanche con un nome proprio. Che ne so, L’araldo, Un soldato o Il figlio semideficiente della protagonista (strasmile).

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In questo caso, invece, grazie alla quasi contemporanea organizzazione di due eventi, mi sono divertito parecchio. Leggi il resto dell’articolo

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