Circa quattro mesi fa ho prenotato il biglietto per il Roméo et Juliet di Gounod alla Fenice di Venezia, spinto dalla curiosità di ascoltare per la prima volta dal vivo il tenore Jonas Kaufmann (non ho ancora capito come si scriva, con due effe o con una?).
Mi era completamente sfuggito il fatto che la recita si svolgesse la domenica che precede il martedì grasso, altrimenti non ci sarei andato neanche se ci fosse stato Alfredo Kraus nel ruolo di Roméo.
Odio il carnevale e sull’orrida Venezia mi sono espresso più volte. A tutto questo aggiungete che sapevo della defezione di Jonas Kaufmann, ufficialmente colpito da un attacco di ernia del disco (la vox populi riferisce altro, ma la dietrologia non mi affascina molto).
Insomma, non ci sono andato volentieri.
Ancora, sono salito sul treno e nello scompartimento mi sono trovato insieme a due ragazze vestite da gattine mezze nude,
che hanno avuto l’idea geniale di fare un paio di moine a un gruppo di militari che stava salendo. Sostanzialmente la carrozza è stata invasa e occupata armi in pugno.
Uno dei ragazzotti, stranamente insensibile al fascino delle due sirene, si è seduto di fronte a me e ha indossato l’iPod. Bene, per due ore e mezza (sì perché ci voleva pure il ritardo, per migliorarmi la giornata)ha battuto il tempo della sua compilation di heavy metal con l’anfibio.
Peccato che sotto l’anfibio ci fosse il mio piede.
Tralascio, per carità di patria, il livello delle conversazioni (non sto parlando di cultura, ma di buon senso e ragionevolezza) che ho dovuto subire durante il viaggio, ma invito chiunque abbia ancora speranza nel futuro di questo paese, ad intraprendere un viaggio in compagnia di una ventina di ragazzi di età variabile tra i 19 e i 23 anni e ascoltare.
Certo, non tutti sono così, ma la media è questa ed è inutile e controproducente negarlo.
È evidente a chiunque non abbia interessi di parte da difendere che la nostra società è arrivata al punto di non ritorno e quindi, prima o poi, la famosa civiltà occidentale farà la fine dell’impero romano, implodendo miseramente. Altroché i cosacchi ecc.
Baricco peraltro, e
qui potete leggere il suo pensiero, fa un discorso abbastanza serio ma poi sbaglia clamorosamente la conclusione: non dobbiamo decretare definitivamente che la televisione è la realtà, ma spostare il Paese dalla televisione.
Ricordo che Baricco deve le sue fortune alla televisione, perché prima della trasmissione “L’amore è un dardo” lo conoscevano in quindici persone, di cui sette erano parenti.
Bene, sto divagando più inutilmente del solito.
Il regista
Damiano Michieletto firmava questo allestimento, in coproduzione col Verdi di Trieste, e ha fatto un buon lavoro, dal mio punto di vista. Michieletto ha sicuramente visto
questo film e anche
quest’altro e pure
questo. Conosce Marilyn Manson e Andy Warhol, inoltre, e sa che oggi, ovunque, i ragazzi si muovono in branco.
Quindi i Capuleti e i Montecchi sono due bande rivali,

con tutto ciò che ne può conseguire: risse, bulli vari (ahia, strasmile), territori marcati con il graf(f)iti writing (oggi sono in difficoltà con le effe, non se ne esce)
Tutta l’opera si svolge su di un enorme giradischi a testina (lo so che può sembrare allucinante, ma in teatro l’effetto era bello).

Il regista non ha tradito o frainteso lo spirito dell’opera, anche se in alcuni momenti le discrepanze con il libretto erano stridenti.
Roméo era impersonato dal tenore Eric Cutler che si è disimpegnato egregiamente, seppure gli acuti in qualche occasione non siano sembrati perfettamente a fuoco, come fossero un po’ schiacciati.
Molto buona e ricca di intenzioni interpretative la celeberrima Ah! Lève toi soleil!
Nino Machaidze,

attesissima dopo la prova nei Puritani a Bologna, è partita davvero male (ma male male) nel valzer iniziale Je veux vivre. Controllo dei fiati pessimo, forse dovuto all’emozione, non so.
Il soprano però si è ripresa molto bene e alla fine è parsa un’eroina credibile (in alcuni punti mi sono pure commosso…nel duetto che chiude il secondo atto, per esempio).
Bravo il baritono Marcus Werba, Mercutio, che supera bene la prova dell’aria iniziale della Regina Mab e appare incisivo e presente anche nel fraseggio, oltre che dotato di ottima disinvoltura scenica.
Il migliore della serata è risultato Giorgio Giuseppini, nella parte fondamentale di Frère Laurent. Voce non enorme, ma proiettata bene e interpretazione di ottimo gusto.
Ha cantato male, invece, Ketevan Kemoklidze (Stéphano). Il mezzosoprano, anche lei alle prese con una gestione dei fiati almeno problematica, ha palesato pure seri problemi d’intonazione.
Restando tra i mezzi, non bene neanche la Gertrude di Anne Salvan, quasi afona.
Buono il tenore Juan Francisco Gatell quale Tybalt, così così Nicolò Ceriani (l’ho sentito molto più in palla, anche recentemente) nei panni di Pâris e Luca Dell’Amico in quelli di Capulet.
Meritano almeno la menzione Antonio Feltracco (Benvolio), Matteo Ferrara (Gregorio) e Michele Bianchini (insomma, non straordinario il suo Duc de Vérone).
Il direttore Carlo Montanaro si è limitato a portare a termine l’opera, dirigendo in modo molto uniforme, però almeno non ha pigiato troppo sul volume di un’orchestra molto buona.

C’è da considerare che dopo le bordate di mano de pedra Kovatchev nella Norma triestina sono pronto a tutto.
Ottimo il Coro.
Pubblico molto contento, teatro completamente esaurito.
In palco con me una gentile coppia di coniugi tedeschi, affascinati dal teatro alla Fenice che vedevano per la prima volta. Hanno cercato, inutilmente, di convincermi che Kauffman sia il più grande Cavaradossi di sempre, ma forse ho capito male io, perché parlavamo in un inglese grottesco (strasmile).
Ritorno a casa fantozziano, a dire poco.
Ho perso il treno, ho litigato per cambiare il biglietto, sono salito su un carro bestiame e mi sono lasciato così alle spalle, senza alcun rimpianto, una Venezia più orrida del solito.
Vabbè, c’è di peggio nella vita, direi.
Alla prossima e ciao a tutti.
P.S.
Mi scuso con tutti per la mia perdurante latitanza nei vostri blog. Credetemi sulla parola, ho giustificazioni serie, anzi semiserie (smile).
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