Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Intervista a Federico Maria Sardelli, protagonista al Teatro Verdi di Trieste.


Federico Maria Sardelli è senza alcun dubbio uno dei principali direttori di musica barocca; lo è per capacità tecniche in primis, ma soprattutto per l’amore che ha dimostrato nei confronti del Barocco da sempre. Modo Antiquo, l’ensemble che ha fondato nell’ormai lontano 1984, è un punto di riferimento per la divulgazione e l’esecuzione della musica medievale e barocca.
Persona di grande cultura e arguzia, Sardelli è un artista a tutto tondo che conserva sempre quel tratto luciferino tipico degli spiriti liberi.

Alla testa dell’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, Sardelli sarà protagonista del prossimo concerto della rassegna “Giovani talenti”, che si potrà vedere sull’emittente regionale Telequattro sabato prossimo alle 21.00 e, in replica, domenica alle 23.30.

Potevo evitare di rivolgergli qualche domanda? Probabilmente sì, ma purtroppo sono curioso, perciò a seguire l’intervista che gentilmente mi ha concesso.

Maestro Sardelli, lei ha dedicato la sua vita artistica al Barocco. Come le è nata questa passione?

Da bambino ero circondato da musica, che risuonava in continuazione nella mia casa: era Beethoven, Haydn, Mozart, di cui mio padre era fervente appassionato. Per me la musica s’identificava con il classicismo e il romanticismo, non esisteva altro. Poi, un giorno, a undici anni, la folgorazione: in casa d’un pittore che abitava vicino a noi sentii un brano che mi colpì profondamente e m’innamorò: seppi che era il Tempo impetuoso d’Estate di Vivaldi. Avevo 11 anni e scoprii la musica barocca, che diventò una passione dominante: ogni ‘paghetta’ settimanale fu da allora destinata a comprare dischi e partiture di questo nuovo ed entusiasmante stile.

Cosa può insegnare, oggi, la musica barocca?

Molto, moltissimo. È, anzitutto, uno stile ricco, pieno d’immaginazione e d’idee. È uno stile che ha una forte componente ritmica, direi trascinante, una caratteristica che nei nostri tempi calamitosi piace molto: fate ascoltare a dei bambini un qualunque concerto di Vivaldi e inizieranno a muoversi e ballare. Inoltre, è lo stile dei contrasti coloristici, del chiaroscuro, delle passioni: dubito che ci sia qualcuno, ai nostri giorni, che non si commuova all’ascolto della ciaccona finale del Dido and Æneas di Purcell «When I am laid in earth», o non provi entusiasmo all’esordio del Gloria di Vivaldi. È un linguaggio – per quanto vario e mutevole nel corso del secolo e mezzo abbracciato impropriamente dalla definizione di «barocco» – che conosce oggi una diffusione straordinaria e continua a essere attraente. Ci insegna l’ordine, la simmetria, la geometria delle forme; e, al contempo, come violare intelligentemente questa simmetria mantenendo un equilibrio perfetto fra consonanze e dissonanze. Ci insegna che le regole son lì per essere osservate e anche un po’ disattese, ma sempre con grazia ed equilibrio.

Perché in Italia il Barocco è ai margini della programmazione dei teatri, al contrario di ciò che succede all’estero e in Francia in particolare?

Perché l’Italia è arrivata tardi, rispetto ad altre nazioni europee. Quando negli anni Settanta del secolo scorso nei Paesi Bassi, in Inghilterra e poi in Francia e in Germania si iniziava a far musica su strumenti d’epoca, eseguendo la musica pre-classica alla luce dei trattati e delle informazioni storiche, qui da noi si continuava a far Vivaldi o Bach alla maniera di sempre. Siamo arrivati in ritardo e scontiamo ancora questo ritardo. Oggi l’Italia annovera molti e ottimi gruppi specializzati nella musica barocca, ma il sistema di produzione teatrale è ancora legato alla tradizione belcantistica e se ne scolla raramente. Alcuni teatri italiani, secondo che siano retti da direttori artistici illuminati, programmano opere barocche, ma ancora non vi è quella consuetudine che ammiriamo in Francia o in Germania. Io sarò felice quando vedrò che Vivaldi e Händel saranno considerati operisti da mettere in cartellone al pari di Mozart, Rossini e Verdi.

L’ho chiesto anche al suo giovane collega Michele Spotti: cosa pensa dello streaming, avrà giocoforza un futuro o sarebbe meglio farne un uso diverso?

Come tutte le risorse tecnologiche e gli strumenti d’ogni tipo, possono essere buoni o cattivi secondo l’uso o l’abuso che se ne fa. Il cellulare è una benedizione, purché uno non vi stia incollato tutto il giorno a ciattare, Youtube offre un repertorio monumentale e utilissimo, purché non si creda che la musica debba essere ascoltata là sopra, etc. Lo strìming – me lo lasci deformare in italiano – è un modo utilissimo e benedetto per ascoltare o vedere spettacoli quando uno si è rotto una gamba e non può andare in teatro, oppure in caso di pandemia mondiale o invasione delle cavallette. La musica, il teatro, sono ovviamente un’altra cosa e, appena potremo tornare a vedere gli spettacoli dal vivo, saranno in pochi a rimpiangere l’ascolto e la visione sui tablet o i computer, funestati da zap zip e interruzioni di linea o da suoni scatolari. Ben venga dunque lo strìming, benedetto in questi giorni difficili, ma non crediamo che lo spettacolo e la musica possano esser da esso surrogati.

Il programma del suo concerto è davvero impegnativo. Qual è il criterio col quale è stato pensato?

Se mi avessero chiesto un titolo per sintetizzarne il senso, avrei detto: «Potere e musica in antico regime». Si parte dal Vespro di Monteverdi – i primi due salmi, Dominum ad adiuvandum me e Dixit Dominus – si passa all’ouverture del Malade imaginaire di Charpentier, la Passacaille d’Armide di Lully, un concerto per violino di Bach e si termina con la grande sinfonia Militare di Haydn. È la rappresentazione plastica del potere d’antico regime: il potere di Dio e della religione, dipinto dal saettante esordio dei salmi guerrieri di Monteverdi, il potere dei re, descritto nella glorificazione di Re Sole da parte dei suoi sudditi Charpentier e Lully, il potere della musica, di cui Bach è espressione, e infine il potere militare, immortalato dalla sinfonia di Haydn che ci descrive la fine d’un mondo dissolto di lì a poco dalla Rivoluzione.
Un bel cimento.

Ok, buio in sala e pronti all’ascolto!

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Intervista a Michele Spotti, che dirigerà l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste nel prossimo concerto della rassegna “Giovani talenti”.

Quello degli uffici stampa dei teatri è un mondo affascinante e particolare, in cui con una certa frequenza i termini sono usati in modo creativo, diciamo così. Un grande classico di questi cortocircuiti semantici è l’uso dell’aggettivo giovane, che può essere riferito ad artisti che vanno sino ai 45 anni quando, obbiettivamente, giovani non si è più.
Nel caso di Michele Spotti, invece, giovane è pertinente, perché il direttore ha 27 anni. A dispetto dell’età, Spotti può vantare già una corposa esperienza in teatri di livello e, soprattutto, un repertorio ampio che spazia da Mozart a Strauss, passando per Rossini, Donizetti e Offenbach.
Ho approfittato della sua presenza a Trieste per rivolgergli qualche domanda, in attesa del concerto che sarà trasmesso da Telequattro sabato prossimo alle 21 e domenica in replica, alle 23.30.

ph. Marco Borrelli

Nonostante la sua giovane età, lei pratica già un repertorio piuttosto vasto. C’è un compositore verso il quale sente di avere una predilezione particolare?

La predilezione la ho esclusivamente verso lo studio. Amo certamente alcuni tipi di linguaggi, come per esempio il belcanto per l’opera e quello romantico per il sinfonico, ma non c’è nessun autore che prevarichi sull’altro. Ho una vivida passione per lo studio, di qualunque tipo esso sia: letterario, linguistico, artistico…la chiave per infervorarmi verso un repertorio e di conseguenza verso un autore sta nel documentarmi sul background storico-culturale dell’epoca in cui l’autore è vissuto, per coglierne ulteriormente le sottigliezze compositive e goderne appieno nel momento della concertazione prima e della direzione poi.

Ci sono accorgimenti da prendere, dal punto di vista di un direttore, per far sì che il distanziamento in orchestra imposto dalle regole anti Covid-19 non vada a incidere sulla qualità del suono?

La qualità sonora nel momento in cui ci sono pannelli di plexiglas che alterano il normale cursus del flusso sonoro, inevitabilmente va a compromettere un’omogeneità di insieme in maniera significativa. Da sottolineare è sicuramente l’enorme sforzo da parte dei professori d’orchestra, davvero lodevoli in questa difficile situazione. Per quanto riguarda il direttore d’orchestra, la concertazione è sicuramente l’operazione più alterata, in quanto sono alterati gli equilibri sonori. Sicuramente il “distanziamento” è l’antitesi di “orchestra” ma sicuramente è una misura necessaria per sopravvivere.

Dal primo lockdown a oggi ha avuto modo di dirigere col pubblico in sala?

Se dovessimo intendere sala chiusa, ho avuto modo esclusivamente al Petruzzelli di Bari, dove a settembre ho diretto l’Elisir d’amore. Altre direzioni col pubblico, all’aperto, sono state “Der Bürger als Edelmann” di Strauss diretto a Martina Franca e i concerti al Rossini Opera Festival, tra cui anche quello con Juan Diego Flórez. Il calore del pubblico è una linfa vitale di cui abbiamo un disperato bisogno.

Al Teatro Verdi di Trieste lei affronterà due pagine musicali affatto diverse, una sinfonia e un concerto per pianoforte e orchestra. Rapportarsi con un solista crea qualche problema in più o, scherzosamente, l’unione fa la forza?

La musica è complicità. Non necessariamente bisogna avere un rapporto personale con il/la solista. Tra veri professionisti la complicità si può trovare con un semplice sguardo, un’occhiata, un respiro all’unisono. É importante avere sinergia anche con tutta l’orchestra in modo tale da essere un veicolo di energia per la buona riuscita dell’esecuzione.

Qual è la sua opinione sui concerti in streaming? Ritiene siano un “male necessario” e che verranno abbandonati appena possibile oppure pensa che possano essere un fattore di crescita per la divulgazione della musica colta anche in futuro?

Certamente lo streaming oggi è un’arma importante per poter tenere viva la sensazione di esecuzione. Tiene vivo uno degli scopi principali di chi fa musica, donare la propria arte al prossimo. Ovviamente non può essere paragonato all’esecuzione dal vivo. Io sarei propenso ad un uso dei social media e dello streaming non per rappresentare interi concerti, ma per instillare pillole di curiosità e preparazione storico-culturale e perché no anche piccole analisi musicali per poter avvicinare così chi non è avvezzo al repertorio sinfonico ed operistico.

In bocca al lupo, allora!

Un saluto a Trieste, città bellissima, che mi ha accolto con grande calore.

Uno per tutti e tutti per uno: Francesca Tosi si racconta e immagina il futuro dei teatri.

Dopo le quattro chiacchiere con Chiara Molent, primo contrabbasso dell’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, ho chiesto anche a Francesca Tosi, Maestro del coro della fondazione triestina, che ci faccia il punto della situazione sul particolare momento che stanno attraversando i teatri.
Il coro, inteso come complesso di artisti che cantano insieme per ottenere un buon risultato, mi pare una bella metafora di quello che dovrebbe essere una comunità, soprattutto in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo.

 

Francesca, due parole per presentarsi ai nostri lettori.

Da musicista, quando apro una partitura assaporo fin dalla prima nota la traccia indicata dal compositore senza domandarmi dove mi porterà, così nella professione ho iniziato gli studi del pianoforte nella mia regione, la Toscana, che storicamente ospita istituzioni musicali di alto livello e mi sono diplomata col Maestro Daniel Rivera, mio mentore.
Grazie alla Scuola di Musica di Fiesole e alle Masterclass che grandi pianisti come Ciccolini, Perahia e Lonquic tenevano a Firenze ho sviluppato la mia preparazione musicale ed ho conosciuto il mondo del teatro lirico da cui non mi sono più allontanata. Prima al Teatro del Maggio Musicale e al Festival Puccini, poi al Teatro dell’Opera di Nizza fino ad arrivare alla bellissima Trieste, per me scoperta inaspettata e meravigliosa.

Lei è arrivata a Trieste in seguito alla tragica scomparsa di Paolo Vero e un breve interregno di Fulvio Fogliazza, suo predecessore. Com’è stato l’impatto iniziale?

La scomparsa del Maestro Paolo Vero ha lasciato un grande dolore, ho cercato di infondere una profonda motivazione negli Artisti del Coro perché continuassero ad affermare il grande valore artistico che il Coro del Verdi ha sempre dimostrato.

Il ruolo di direttore di coro è defilato in confronto ad altri, all’interno di un’organizzazione teatrale. In realtà, chi è del mestiere, sa benissimo che non è così. In sintesi, come descriverebbe il suo lavoro?

È vero, il Maestro del Coro lavora dietro le quinte e non ha grande visibilità, ma ha il privilegio di fare una professione ricchissima di sfaccettature e di stare a contatto con tutte le maestranze del teatro. Infatti, dopo la fase di puro studio della partitura, che rappresenta il momento dell’intuizione musicale, organizzo le prove musicali in sala con il coro accompagnato al pianoforte.  Vengono subito di seguito le prove in palcoscenico dove gli artisti del coro uniscono l’arte attoriale a quella vocale, e qui collaboro strettamente con il regista, lo scenografo, il costumista, i Maestri di palcoscenico, il Direttore di palcoscenico ed il Direttore d’orchestra per ottenere il miglior risultato possibile. Il Teatro d’Opera è una fantastica interazione di Arti.

Come ricorda i molti anni passati al Festival Pucciniano di Torre del Lago? Che difficoltà ulteriori si incontrano per preparare un’esibizione open air?

Gli anni al Festival Pucciniano li ricordo con grandissimo     affetto e riconoscenza, lì ho imparato cosa significa lavorare in teatro.  Rappresentare Puccini nel luogo dove il Maestro ha vissuto e composto è un’occasione unica al mondo, anche se ritengo sia più difficile fare opera all’aperto.

Qual è la differenza fondamentale, se ce n’è una, tra un direttore d’orchestra e un direttore del coro?

Dirigere in senso assoluto ha un significato univoco, credo si tratti piuttosto di conoscere le peculiarità della voce e quelle degli strumenti per dirigere bene entrambi.

Con la pandemia del COVID-19 i teatri stanno vivendo, come tutti, un momento che definire particolare è davvero un eufemismo. Cosa si fa, a Trieste, per tenere desta l’attenzione su quella che è la maggiore realtà culturale della regione, un pezzo di storia nato nel 1801?

In questo momento difficile credo sia molto importante tenere vivo l’interesse del pubblico e il Teatro Verdi realizza attraverso le proprie pagine social una campagna promozionale ricchissima, proponendo non solo video musicali realizzati da casa dagli artisti del Verdi anche ma interviste, lezioni, esecuzioni di repertorio

Queste attività, intraprese a Trieste e altrove, possono contenere in nuce qualche pericolo per la sopravvivenza della musica dal vivo?

Non credo che la musica del vivo corra alcun pericolo, queste iniziative sono molto utili per mantenere viva la fiamma, la musica tornerà a scaldarci nei teatri e nelle sale da concerto

Il Teatro Verdi è stato costretto a cancellare le produzioni di La Bohème, Pagliacci e Macbeth. Quale è stata, per lei, la rinuncia più dolorosa?

Naturalmente è strettamente personale, ma dover rinunciare a Pagliacci mi ha toccato particolarmente, la considero un capolavoro, inoltre mancava da parecchi anni nel nostro teatro.

Ci dia una specie di personale rendering di una recita teatrale che si svolgerà nel dicembre 2020. Come se la immagina?

Se nella memoria collettiva ci sarà come credo un prima e un dopo Corona Virus mi immagino due spettacoli nella stessa serata, un’opera di repertorio e una inedita di nuova composizione. Mi auguro fortemente che il pubblico potrà sedersi in teatro senza la mascherina perché vorrà dire che abbiamo superato questo momento e siamo tornati alla normalità, forse con un pizzico di coscienza in più.

Grazie per la disponibilità, Francesca.

Grazie a voi, continuate a sostenerci perché ne abbiamo bisogno!

Intervallo nell’intervallo: parliamo di teatri e di chi lavora in teatro.

Intervista fatta per OperaClick, rivista di cui sono indegnamente vicedirettore:
La contingenza è molto impegnativa per tutti e coloro che lavorano in teatro non fanno eccezione, anzi. Dai periodi di crisi, ce lo insegna l’esperienza, sono proprio le istituzioni teatrali (tutte, senza eccezioni) a uscirne peggio perché la politica è sempre stata miope nei confronti delle esigenze della cultura. Per questo motivo abbiamo deciso di contribuire a dare visibilità a chi in teatro ci lavora ogni giorno, magari senza essere sotto le luci della ribalta.
Chiara Molent è il Primo Contrabbasso del Teatro Verdi di Trieste, e ci racconta un po’ di sé.
Come nasce la tua passione per la musica?
La mia passione per la musica nasce grazie ai miei genitori, che non sono musicisti, ma sin da piccola mi hanno indirizzato allo studio del pianoforte con i corsi Yamaha. Mi sono innamorata della musica e ho capito abbastanza presto che nella vita avrei solo voluto suonare anche se non ero ben consapevole del percorso che avrei dovuto affrontare. Il contrabbasso è stata una passione che è nata successivamente. Avevo 15 anni, già allieva di pianoforte al Conservatorio di Milano, ero curiosa e interessata agli strumenti ad arco. Affascinata dai suoni gravi ho scelto il contrabbasso.

Attraverso quali vie sei arrivata a Trieste?
Il percorso che mi ha permesso di arrivare fino a qui è stato intenso e impegnativo ma sempre stimolante e gratificante. La vittoria del concorso da primo contrabbasso nel mio Teatro è stata il culmine di una serie di esperienze formative e lavorative meravigliose. Ho studiato al Conservatorio “G. Verdi” di Milano con Piermario Murelli, diplomandomi a 22 anni con lode. Qualche giorno dopo ho conseguito anche il diploma di Pianoforte, che non ho mai abbandonato. Ho studiato all’Accademia “W. Stauffer” di Cremona con Franco Petracchi. Mi sono perfezionata con le prime parti del Teatro alla Scala, Francesco Siragusa e Giuseppe Ettorre. Ho iniziato contestualmente a fare audizioni per lavorare nelle fila delle orchestre italiane più importanti. In seguito alle idoneità conseguite ho collaborato con l’Orchestra e la Filarmonica del Teatro alla Scala di Milano, del Teatro Regio di Torino, Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, Teatro Petruzzelli di Bari, Pomeriggi Musicali di Milano, Teatro Carlo Felice di Genova.
In queste ultime tre Fondazioni sono risultata idonea anche come Primo Contrabbasso. Ho avuto la fortuna di studiare e poi lavorare accanto a concertisti, solisti, e direttori di fama internazionale da cui ho imparato moltissimo. Pochi giorni prima di vincere il concorso al Teatro Verdi di Trieste avevo vinto il Concorso da Co-Principal all’Opera di Lubiana.
L’essere donna è stato un ostacolo o un vantaggio per la tua carriera?
Direi nessuna delle due. Fortunatamente nella maggior parte dei casi sono stata giudicata come musicista e strumentista e non come donna. Dipende sempre però dalle persone che si incontrano e dalla sensibilità di ognuno. Per quanto riguarda il contrabbasso, nello specifico, siamo ancora in poche a suonare questo strumento. Forse per questo motivo, o per le sue dimensioni, desta talvolta interesse che a suonarlo sia una donna. Sono convinta che gli strumenti musicali siano un mezzo di espressione delle sensibilità individuali e dei propri talenti, e che non siano destinati all’uomo piuttosto che alla donna. Se una persona è musicale e sensibile, riuscirà ad esprimersi attraverso qualsiasi strumento.
Ti senti responsabilizzata in qualche modo dalla tua singolare posizione di prima donna, giovane e prima parte dell’orchestra di una fondazione lirica?
Essere la prima donna in Italia a ricoprire stabilmente il ruolo di primo contrabbasso in una Fondazione è per me un onore e mi sento certamente responsabile del mio ruolo, ma non lo collego direttamente ad una questione di genere. So di aver “sfondato una porta” essendo la prima nel nostro paese, ma ho constatato che la preparazione e le abilità fugano ogni pregiudizio, qualora ce ne fossero stati. Aver vinto questo posto mi riempie di orgoglio come donna, musicista e per il percorso che ho fatto. Ho avuto la fortuna di essere accolta da un gruppo di colleghi fantastici, che mi stimano molto. Sono leader di una fila di contrabbassisti in gamba ed è un piacere lavorare con loro.
Quali sono le altre tue passioni?
Fino ad ora ho avuto poco tempo per attività all’infuori della musica, che ha sempre riempito le mie giornate. Nel tempo libero mi piace fare passeggiate (quelle a Trieste, sul mare, sono bellissime!) e amo molto la natura. Le piante grasse sono da sempre una mia grande passione. Infine mi piace la cucina, adoro mangiare fuori, e ho una vera passione per il sushi.

Come ti trovi a Trieste?
Benissimo. È una città assolutamente a misura d’uomo, vivibile, e con tutti i servizi sempre a portata di mano. La trovo piena di fascino, colorata, luminosa, frizzante… una città bellissima. Inoltre il nostro Teatro si affaccia sul mare, e possiamo goderci questa vista straordinaria da più punti.

Qual è il clima che si respira in questi giorni in Teatro? Ovviamente attraverso media vari o social, perché anche voi siete tutti a casa.
Purtroppo questa pandemia sta rendendo per tutti il clima molto pesante. L’incertezza su quando si riprenderà a lavorare e le conseguenze che ci saranno ci preoccupano molto. Al tempo stesso siamo fiduciosi e speriamo che nel più breve tempo possibile si possa tornare alla normalità o quantomeno riprendere il lavoro anche con modalità differenti. Cerchiamo costantemente di tenere viva l’attenzione per il nostro Teatro producendo video e pubblicando esperienze riguardanti la nostra attività di musicisti. In questo momento difficile la musica diventa un mezzo per esprimere unione e solidarietà. Fra colleghi ci si sostiene a distanza, sempre in compagnia dei nostri strumenti. Vorremmo tornare a lavorare al più presto, perché per noi è importante suonare insieme per il nostro pubblico.
Hai qualche aneddoto da raccontare, non necessariamente spiritoso, successo durante l’esecuzione di un’opera, un concerto o comunque un’esibizione pubblica?
A volte capita che durante le prove si sentano dei rumori inattesi in buca, magari dal lato opposto al tuo. Spesso per la distanza non si riesce a capire cosa sia successo e serpeggia tra i musicisti una certa curiosità. L’anno scorso, per esempio, durante la prova generale di “Elisir D’amore” di Donizetti, nel pizzicare con troppa enfasi accompagnando la delicatissima aria “Una Furtiva Lagrima” ho colpito involontariamente con l’arco che avevo in mano la lampada del leggio. Ho causato un botto molto forte, la lampadina si è spenta e i colleghi vicino si sono spaventati e trattenuti dal ridere. Abbiamo ovviamente proseguito cercando di restare impassibili.
Suoni o vorresti suonare in qualche complesso da camera?
Ho suonato con qualche collega in formazione cameristica e per anni in quintetto insieme a quattro compagni di studio del Conservatorio. Con questo gruppo abbiamo anche vinto una borsa di studio ed inciso un DVD per Limen Music. La musica da camera mi appassiona e mi piacerebbe continuare a suonare anche in formazioni cameristiche.
Che ne dici della nostra rivista?
Che vuoi che dica, la “nostra” musica ha poco spazio ovunque, posso solo essere contenta del vostro lavoro, continuate a sostenerci perché ne abbiamo bisogno ora più che mai. Buona fortuna a tutti e un affettuoso saluto ai vostri lettori!

Intervista a Gianluigi Gelmetti: si parla anche di Trieste e del Teatro Verdi.

Negli ultimi anni Gianluigi Gelmetti è stato molto presente a Trieste. Ho colto la ghiotta opportunità e ho approfittato per fargli un po’ di domande sull’opera lirica e sul teatro.
Ne è uscita una chiacchierata a “tutto campo” che tocca gli argomenti sui quali gli appassionati dibattono ogni giorno. Leggi il resto dell’articolo

#normaproject: Intervista a Fabrizio Maria Carminati, direttore di Norma di Vincenzo Bellini al Teatro Verdi di Trieste

Fabrizio Maria Carminati alle prova - foto di Fabio ParenzanOrmai manca meno di una settimana alla prima di Norma, perciò ho pensato di disturbare Fabrizio Maria Carminati, che sarà sul podio dell’Orchestra del Verdi, per fargli qualche domanda.
Trovate tutto qui, su La classica nota.
E attenzione, domani torno a Venezia dopo un po’ di tempo per lo Stiffelio di Verdi.
Pensatemi in lotta con i gabbiani assassini mascherati… (strasmile)

In attesa di Falstaff al Teatro Verdi di Trieste. Intervista a José Miguel Pérez-Sierra, che sarà sul podio dell’orchestra triestina.

Lo so, aspettate i miei commenti sulla nuova stagione lirica e sinfonica del Teatro Verdi, ma nel frattempo è in arrivo Falstaff, giovedì prossimo 25 giugno, perciò abbiate un po’ di pazienza e godetevi questa bella intervista che ho realizzato per OperaClick.
José Miguel Pérez-Sierra ha già diretto a Trieste, l’anno scorso, L’occasione fa il ladro di Rossini.
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Recensione abbastanza seria dell’Elisir d’amore di Donizetti al Teatro La Fenice di Venezia.

Serata speciale ieri, al Teatro La Fenice di Venezia, perché è avvenuto una specie di miracolo.
Samantha Cristoforetti (@astrosamantha) ha ricevuto il premio “Stelle della Fenice nel Mondo”, una spilla in oro e metallo appositamente realizzata dagli artigiani vicentini del Consorzio Argento Italiano, che è stata consegnata prima dello spettacolo ai genitori Sergio e Angela.
Ma dove sta il miracolo? – chiederete –

Astrosamantha!

Astrosamantha!

Beh, il miracolo sta nel fatto che questo vecchio cinico nel vedere Samantha che ci parlava dallo spazio mentre scorrevano le immagini satellitari dell’orrida Venezia si è accorto che – almeno vista da lassù – Venezia non è poi così brutta e, oltretutto, si è un po’ commosso. Vi pare poco (strasmile)?

Venezia da...lassù!

Venezia da…lassù!

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Recensione semiseria dell’Attila di Giuseppe Verdi al Teatro Verdi di Trieste: si omaggia Verdi e saltano fuori Wagner e Mozart!

La prima notazione positiva che mi viene in mente, a proposito dell’Attila a Trieste, è che gli spettatori non hanno disertato (come temevo) il teatro. Era un rischio concreto, sia per lo scarso appeal del titolo (intendo per il pubblico meno appassionato, non certo per i melomani duri e puri) sia perché siamo in estate e fino a due giorni fa faceva un caldo orribile. Pubblico numeroso, quindi, almeno alla prima di venerdì scorso. Spero che l’affluenza sia buona anche nelle recite di domenica e martedì.Attila, Trieste 21.06.2013 https://amfortas.wordpress.com/
Un altro omaggio a Verdi nell’anno del bicentenario e ancora con un titolo non molto frequentato dopo Il corsaro di qualche mese fa e il più recente e noto Macbeth. Leggi il resto dell’articolo

Macbeth di Giuseppe Verdi al Teatro Verdi di Trieste: primo sguardo sbilenco.

Speravo di scrivere ancora un post in occasione del Macbeth ma, purtroppo, non ce la faccio.
In compenso ecco qui le interviste ai protagonisti, che ho raccolto per OperaClick: ebbene sì, ho chiesto alla Theodossiou se pensava di avere una voce brutta a sufficienza per cantare la Lady. Insapettatamente, non mi ha insultato (smile)!
Un saluto a tutti.

Direi che in prossimità del Macbeth di Giuseppe Verdi che debutterà venerdì 8 marzo al Teatro Verdi di Trieste – e premetto che festeggiare le donne con un personaggio come Lady Macbeth è stato un colpo di genio (strasmile) – si può cominciare a dare il solito sguardo sbilenco a questo straordinario capolavoro che io amo particolarmente. Leggi il resto dell’articolo

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