Vorrei chiarire subito che quando parliamo del Don Giovanni di Mozart ci addentriamo in una di quelle opere d’Arte che sono da considerare tout court tra le più grandi “imprese” del genio umano.
Voglio dire che il discorso trascende la disciplina artistica, in questo caso l’opera lirica, e sconfina in un terreno che resterà inesplorato per la stragrande maggioranza delle persone normali, anche quelle che hanno la fortuna di avere una mente brillantissima (che non sia il mio caso mi pare persino superfluo evidenziarlo, ma insomma, siccome leggo cose in giro…).
Il Don Giovanni non si capisce, è una fede (vero
Giorgia? Strasmile), non c’è una chiave di lettura, ce ne sono infinite. Non c’è una via giusta e una sbagliata, ci sono solo molte interpretazioni più o meno convincenti.
Questa recensione semiseria (anzi, sarà abbastanza seria e circostanziata) si riferisce alla seconda recita, martedì 2 febbraio.
Il regista di questa ripresa scaligera (lo spettacolo è già stato visto nel 2006, mi pare), Peter Mussbach, non ha dubbi: il protagonista è un seduttore erotomane, incapace di trovare pace fisicamente e mentalmente, in continuo movimento finalizzato alla ricerca della sua soddisfazione.
Una lettura forse superficiale e semplicistica, ma che ha il merito di essere chiara, trasparente e non costringe lo spettatore ad arzigogoli intellettualoidi pretestuosi.
Lasciar le donne! Pazzo!
Lasciar le donne? Sai ch’elle per me
son necessarie più del pan che mangio,
più dell’aria che spiro!
Dichiara il seduttore, scandalizzato, a Leporello.
È il classico esempio di regia minimalista che decontestualizza la vicenda e la colloca in uno spazio atemporale che ben si presta alla rappresentazione di un mito, un archetipo.
Ecco allora che il mondo in cui vive Don Giovanni è rappresentato da due monoliti scuri, che si muovono intorno a lui creando gli spazi, i pertugi, dentro ai quali vivono i personaggi dell’opera, anch’essi incapaci di cambiare e di trovare una stabilità interiore.
Personaggi che sembrano tutti preda di un’ipercinesi dell’anima, più che del corpo.
I costumi, di Andrea Schmidt Futterer, sono funzionali a questa specie di direttiva generale tanto che i protagonisti non si cambiano mai d’abito e restano sempre uguali: abbigliamento sadomaso (Don Giovanni), un gessato volgarotto (Leporello), un completo da tamarro di campagna in ghingheri (Masetto), un grigio e indefinibile vestito (come il suo carattere, Don Ottavio), mentre il Commendatore nella scena finale, della resa dei conti, sembra un lucente personaggio di fantascienza, un robot. Viene appunto da un altro mondo.
Le signore invece, che non sembrano poi detestare tanto le attenzioni di Don Giovanni (discutibile qui la caratterizzazione di Donna Anna, nella scena iniziale) sono tutte molto sensuali: Donna Anna in abito scuro, Donna Elvira in tubino nero e filo di perle, Zerlina in abito da sposina color rosa pastello.
Non c’è spazio per sfumature, come il monolite nettamente divide lo spazio sul palcoscenico così il buio, lo scuro, appartiene ai potentati e la vivacità dei colori al popolo vittima (?) dei soprusi.
Le luci, di Alexander Koppelmann, sono anch’esse organiche all’allestimento, nelle sfumature del blu e dell’azzurro, e sono più vive solo nel finale.
Quello che conta è che si percepiva uno sforzo registico sul lavoro dei cantanti, in cui nulla era mai lasciato al caso. Mussbach può essere discusso, ovviamente, ma è un regista e non uno scenografo che si occupa di regia a tempo perso.
Sul podio di un’Orchestra della Scala in ottima serata c’era Louis Langrée che mi ha fatto temere il peggio con una Sinfonia iniziale pesantissima e roboante. Per fortuna durante la recita il direttore si è calmato e la musica di Mozart non è stata sfregiata da una lettura clangorosa, ma anzi l’accompagnamento ai cantanti e i concertati avevano sempre quella leggerezza, quell’impalpabilità eterea ma eloquente che è il tratto disitintivo della musica di Mozart. Stranamente nel finale è mancato un po’ di quel vigore indispensabile alla rappresentazione dell’abisso e della perdizione.
Erwin Schrott è stato un Don Giovanni quasi ideale dal punto di vista vocale e perfetto nel contesto di questo allestimento. Dal lato vocale gli rimprovero solo una tendenza un po’ eccessiva al parlato nei recitativi, ma per il resto è risultato magnifico. La voce è molto bella e sonora, di timbro chiaro ma ricchissima di armonici e calda, mai forzata. La dizione e la pronuncia ammirevoli, gli acuti sicuri.

Insomma una prova maiuscola e mi sbilancio anch’io, per una volta: è il miglior Don Giovanni possibile oggi e non teme neanche troppo gli inevitabili confronti con i grandi del passato, perché al di là del personaggio contingente, Schrott sa cantare e ha un’ottima tecnica. Ne sono testimonianza inequivocabile il legato e la gestione perfetta del fiato, che gli consentono un fraseggio preciso e mai noioso e mezzevoci bellissime, di cui ha fatto sfoggio tutt’altro che autocompiaciuto in più occasioni.
Il suo modello è per me (anche se Schrott non l’ha nominato,
quando l’ho intervistato) Eberhard Waechter, io ci trovo molto della leggerezza e dell’umorismo di questo cantante, nell’interpretazione del "suo" Don Giovanni.
Inoltre, in un ruolo che si presta facilmente a cadute di gusto (visto anche il costume eh?) la sua prestazione brilla, cosa rara (ah, ah, ah), per buon gusto e pertinenza stilistica.
Amen.
Alex Esposito ha caratterizzato un vivace Leporello, e se c’è stata qualche gigionata è sicuramente imputabile a una scelta registica, perché l’artista è misurato e posso dirlo per averlo sentito più volte a teatro. Tanto è sicuro del suo percorso Don Giovanni tanto è pieno di dubbi il suo servitore (non v’annoio con il pistolotto sull’alter ego, non preoccupatevi) e Esposito rende benissimo questa caratteristica con un fraseggio ansioso ma sorvegliato e una vocalità che riesce ad essere controllata anche nell’esprimere la ruspante vitalità frustrata di chi si deve accontentare degli avanzi del padrone, siano donne o pezzi di fagiano. Eccellente poi la disinvoltura scenica, in un allestimento che richiede anche, nella fattispecie, un considerevole impegno fisico.
Juan Francisco Gatell era nei panni dell’inane Don Ottavio e non mi ha convinto. Il tenore ha un timbro sbiancato, freddo e querulo e se è vero che il suo personaggio non brilla certo per determinazione, queste caratteristiche, unite a una generale monotonia interpretativa, hanno contribuito a una prestazione molto evanescente. Inoltre il volume della voce è ridotto e qualche volta (nei concertati) non si sentiva. Le due bellissime arie, ad onor del vero di difficoltà straordinaria, sono scivolate via senza alcuna emozione.
Anche Gatell, va detto, è un cantante di ottimo gusto e solo per questo non considero la sua prova del tutto negativa.
Buono
Mirco Palazzi quale Masetto, anche se la voce in alcuni momenti m’è sembrata un po’ flebile, mentre merita ogni elogio dal punto di vista scenico, perché si è mosso bene sul palco senza fare la caricatura grottesca del marito geloso.
Avrei preferito un Commendatore più corposo dal punto di vista vocale, ma non posso certo affermare che Georg Zeppenfeld abbia demeritato.
Carmela Remigio ha interpretato Donna Anna, una parte costellata di difficoltà sia vocali sia interpretative, ed è stata magnifica (ho un debole per questa ragazza, mi ricordo ancora una sua splendida Marguerite nel Faust a Trieste, qualche anno fa).

Intanto l’accento è sempre fiero e nobile, e non è scontato che sia così, e ne guadagnano in particolare i recitativi, la cui riuscita artistica è fondamentale in Mozart. E poi ha una voce gradevolissima, non certo debordante come tonnellaggio, ma di grande impatto perché proiettata benissimo.
Inoltre, e neanche questo è scontato, non si riscrive a proprio uso e consumo la parte spianandosi le agilità, i picchettati, gli acuti. Le due grandi arie sono state risolte in modo ineccepibile e accompagnate da quell’intensità emotiva che fa la differenza tra un’interpretazione onesta e una brillante. Or sai chi l’onore meritava un applauso a scena aperta che ahimé, non c’è stato. Ottima anche nel rondò Non mi dir, nel quale la cantante ha dimostrato con i fatti cosa significa avere una tecnica salda, in un’aria che ha visto soprano di gran nome naufragare in modo clamoroso.
Avevo sentito parlare male di
Emma Bell, Donna Elvira, ma a me pare che le si possa imputare solo una dizione non chiarissima e una gestione dei fiati rivedibile. La voce è discretamente potente e forse non troppo sorvegliata, specialmente nel primo atto, in cui le è scappato qualche acuto un po’ gridato. Nella seconda parte invece la prestazione è cresciuta e ha cantato bene
Mi tradì quell’alma ingrata.
Forse è troppo agitata in scena, ma non è che interpreti un personaggio calmo e tranquillo eh? Voglio dire, questa donna non fa che correre dietro a Don Giovanni per tutta l’opera e spera che sia Mr.Right contro ogni evidenza, e Mozart descrive quest’ansia implacabile con una musica nervosa, agitata.
Veronica Cangemi ha evitato, e la ringrazio, di interpretare una Zerlina leziosa e manierata. La sposina ha pepe, tanto, e l’attrazione per il nobile cavaliere è stata resa senza eccessi. Forse solo nel la “Canzone dello speziale” mancava un po’ di sensualità e malizia, ma il soprano è stata convincente nel duetto del primo atto e anche lei ha dimostrato una grande attenzione al fraseggio. La voce non è particolarmente attraente, un po’ stridula, manca di rotondità, ma la linea di canto è pulita e il personaggio è stato ben delineato.
Nel complesso io e ex Ripley abbiamo trovato trovato questo Don Giovanni scaligero molto buono, decisamente sopra la media degli spettacoli che si sentono normalmente. Tra l’altro Ex Ripley ha apprezzato le "tartarughe" di Schrott e Esposito, così tanto per umiliarmi (strasmileamaro).
Abbiamo sentito voci "belle" e visto uno spettacolo forse non straordinario ma di rilievo, interessante e stimolante.
Il pubblico milanese invece non ha manifestato grandi entusiasmi durante l’opera (sicuramente io sono un provincialotto eh?) e ha preferito accogliere tutta la compagnia di canto con grandi applausi alla fine.
Trionfo per Erwin Schrott e giubilo più contenuto per Alex Esposito e Carmela Remigio, comunque apprezzatissimi. Tiepida l’accoglienza a Juan Francisco Gatell. Buon successo per tutto il resto del cast, direttore compreso. Segnalo per dovere di cronaca un singolo “buu” a Emma Bell.
Un saluto a Giuliano e Danilo.
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