I concerti natalizi e di fine anno, ovunque, sono accomunati da caratteristiche simili: lo stile è nazionalpopolare, i teatri sono addobbati a festa, politici e dirigenti si esibiscono in coacervi di luoghi comuni e pagine musicali eterogenee convivono a forza in programmi insensati, il pubblico applaude più o meno coinvolto e se ne va. È stato così anche a Trieste? La risposta è ni. Non c’era l’ombra di un politico – non è un male – non c’era alcun dirigente del teatro (male), il programma era insensato al top, il pubblico più che plaudente e stanco non c’era o quasi e quelli che c’erano hanno applaudito sì con moderazione ma anche con convinzione in alcuni casi. Il teatro era spoglio, senza decori a parte un vaso di fiori non meglio identificato a lato del palcoscenico. Ora, è pur vero che non sono un critico di addobbi natalizi e non brillo per savoir-faire, ma forse qualcosa di più si poteva fare. Si è cominciato con una novità, o meglio, un esperimento: due brani di Giovanni Gabrieli, compositore e organista vissuto nella seconda metà del 1500 arrangiati per dodici ottoni dal Primo trombone dell’orchestra triestina: l’ottimo Domenico Lazzaroni. Risultato: rivedibile, almeno a mio gusto, che non ho colto – ignoranza mia – altro merito che l’apertura di una strada che forse potrebbe produrre risultati interessanti in altre occasioni e che è invece ampiamente percorsa in diverse realtà mitteleuropee. L’Orchestra del Verdi, diretta fiaccamente da Jacopo Brusa, ha dato prestazioni di sé più positive. Voglio dire che se l’Intermezzo di Cavalleria annoia e non emoziona…beh, qualcosa non ha funzionato. Se L’Ouverture delle Nozze di Figaro è scivolata via piatta, al pari di una soporifera Sinfonia dal Barbiere di Siviglia qualche problema c’è stato. Sono solo esempi, ma credo che una guida più appropriata sarebbe stata utile. C’erano poi i solisti e, spiace dirlo, il basso Viacheslav Strelkov – forse non in perfetto stato di salute, peraltro non annunciato – non è stato all’altezza di un pubblico pagante. Non ci si presenta sul palco per cantare il duettino Là ci darem la mano con lo spartito; è una mancanza di rispetto per gli spettatori di chi ha approvato una simile scelta. Sospendo il giudizio sulle altre due arie di Rossini e Mozart. Per fortuna, subito dopo si è esibita Marina Comparato nella cavatina di Rosina e finalmente abbiamo ascoltato una cantante vera e soprattutto un’Artista in gran forma, anche se impegnata in un repertorio che ormai frequenta poco. Il mezzosoprano ha poi confermato classe e professionalità sia nella Barcarola da Les contes d’Hoffman sia nell’aria di Fenena da Nabucco, interpretate con garbo e civilissima teatralità. Brava anche Claudia Mavilia, che ha ben impersonato Zerlina e che ha cantato diligentemente le note di Mimì, ma dell’eroina pucciniana non ha il peso vocale né la maturità artistica per affrontare la parte neanche in concerto. Buona la prestazione di Andrea Schifaudo, accorato Nemorino e divertito Arlecchino nella Serenata da Pagliacci: voce chiara, solare, buona dizione hanno confermato un rendimento più che sufficiente. Alla fine due bis corelliani programmati e francamente non richiesti dal pubblico ci hanno fatto ricordare, più che altro, che a Trieste non ascoltiamo il Barocco da una vita.
Il settantesimo Festival di Lubiana si sta avviando felicemente alla conclusione, che avverrà la prossima settimana con un ultimo attesissimo concerto di Rudolf Buchbinder e i Wiener Philharmoniker diretti da Esa-Pekka Salonen. Nel frattempo si susseguono iniziative varie e concerti con grandi orchestre e famosi artisti. Il concerto di ieri prevedeva la Royal Philharmonic Orchestra di Londra, guidata dal suo direttore musicale Vasilij Petrenko e due eccellenti solisti: Lana Trotovšek al violino e Maksim Risanov alla viola. Inutile dire che è stato emozionante, di questi tempi grami, apprezzare la collaborazione artistica e vedere la franca stretta di mano tra Petrenko, russo, e Risanov, ucraino. La serata si è aperta con una brillante esecuzione della Sinfonia n.1 in re maggiore op. 35 (la Classica) di Sergej Prokofjev, di cui Petrenko ha saputo esprimere tutta l’energia positiva con gesto preciso – qualche volta un po’ coreografico – ed efficace. L’orchestra ha un suono bellissimo, trasparente e limpido, virtù che si addicono particolarmente a una pagina musicale brillante e gioiosa. Petrenko ha gestito con grande attenzione le dinamiche, scegliendo agogiche stringenti ma non precipitose. Eccellenti, in particolare, l’emozionante lirismo del Larghetto nel secondo movimento e la Gavotta del terzo, in cui il primo flauto – una giovane ragazza – è risultato fenomenale. Nel Finale, come del resto nell’Allegro di sortita, sono sembrate evidenti le affinità elettive con parte delle composizioni sinfoniche di Haydn. Ottima l’idea di eseguire subito dopo la Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino e viola, K1 364 di Mozart (320d), perché non ha interrotto il flusso emotivo del brano precedente. Mozart, e certa sua leggerezza sublime, si riconosce subito dalla lunga introduzione orchestrale che agevola l’intervento dei due solisti che sono sembrati in perfetta sintonia artistica e complementari nello stile esecutivo: passionale, irruente e impetuosa Lana Trotovšek; controllato, quasi severo e meditativo Maksim Risanov. Caratteristiche che, se ci pensiamo bene, appartengono anche agli strumenti: l’esuberanza del violino, il calore della viola, in un gioco di rimandi e dialoghi caratterizzati da virtuosismi spesso estremi ma anche ripiegamenti lirici di ampio respiro, come nell’intenso Andante centrale che schiude poi le porte alla spumeggiante frivolezza del Rondò finale. Pubblico in visibilio, che ha chiesto e ottenuto un bis – variazioni su Sarabanda di Händel – dai due solisti.
Di fronte ai monumenti, mi riferisco metaforicamente alla Quinta di Beethoven, si dovrebbe essere preda della Sindrome di Stendhal. Ebbene, spiace sottolinearlo, in questo caso l’affezione psicosomatica non si è palesata. Vasilij Petrenko ha dato una sua interpretazione del capolavoro di Beethoven, e questo è già un merito, se si pensa che spesso sono proprio le pagine sinfoniche più note che vengono “tirate via” meccanicamente e risultano poi “belle senz’anima”. La RSO ha fatto sfoggio di un suono compatto, impressionante per qualità e valore delle singole sezioni – cos’erano gli archi gravi, una meraviglia – però non è scattata quella scintilla che fa saltare dalla sedia. Si è percepito – almeno dalla mia posizione, l’ho affermato spesso, l’acustica del Cankarjev dom è difficile da gestire – qualche clangore di troppo. Petrenko ha saltuariamente indugiato nelle agogiche, quasi a voler sottolineare ulteriore drammaticità e imponenza a una pagina musicale che non ne ha bisogno. E insomma, alla fine, ne è uscita a mio parere una lettura pesante, quasi tetra, che non mi ha convinto se non per il magistero tecnico dell’orchestra. Il pubblico ha tributato un trionfo grandioso all’esecuzione, spazzando via queste mie personalissime e opinabili considerazioni e ottenendo un bis, un lacerto delle musiche di scena di Grieg per il Peer Gynt – Ilmattino – che ha esaltato le qualità della flautista che già si era segnalata in precedenza.
Sergej Prokofjev
Sinfonia n.1 in re maggiore op. 35
Wolfgang Amadeus Mozart
Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino e viola, K1 364 di Mozart (320d)
Teatro Verdi, 18 dicembre 2021, penultimo atto della stagione artistica a Trieste. Poi, il 31, si svolgerà il Concerto di Capodanno e, finalmente, ci lasceremo alle spalle un annus horribilis con i controfiocchi durante il quale gli spettacoli sono stati quasi sempre sotto la spada di Damocle dell’incertezza dovuta alla pandemia. Addirittura, come ovunque in Italia e nel mondo, concerti a porte chiuse, nella migliore delle ipotesi trasmessi in streaming o in televisione. Un teatro (in greco théatron, luogo di pubblico spettacolo) senza pubblico in sala è quasi un paradosso, una contraddizione in termini. Serata mozartiana che prevedeva nella prima parte la Sinfonia n.39 in mi bemolle maggiore K543, datata 1788, quando Mozart era demoralizzato perché alle prese con notevoli difficoltà economiche. Nonostante ciò, dalla pagina musicale non traspaiono certo cupezze o retrogusti problematici e anzi, la cifra distintiva del brano è una spiccata luminosità. Strutturata in tre movimenti – nel terzo Minuetto e a seguire Allegro – la sinfonia colpisce per lo straordinario equilibrio che la caratterizza e per gli echi nettamente percepibili di lavori coevi del compositore, in particolare il Don Giovanni. Ovviamente non mancano riferimenti a Haydn (nel primo e nel terzo movimento), considerato il “padre” della sinfonia o sonata per orchestra. Mozart, che come tutti i Grandi guardava al futuro, inserì in orchestra i clarinetti – a quel tempo quasi una rarità – escludendo gli oboi. Federico Maria Sardelli tornava a Trieste dopo uno di quei concerti a cui ho accennato all’inizio, monchi di pubblico, e ha dato un’interpretazione della sinfonia che ho trovato molto intelligente e appropriata. Il suo è un Mozart vigoroso, scevro da ogni leziosità che coglie in pieno l’atmosfera serena del brano nel contesto della severità architettonica della struttura sinfonica. L’Orchestra di Trieste, con archi, legni e percussioni in gran spolvero ha risposto con generosità e precisione alle sollecitazioni del direttore. Dopo l’intervallo è stata eseguita la Messa in do minore per soli, coro e orchestra K427, capolavoro di musica sacra che condivide con il Requiem dello stesso compositore la sorte di essere incompiuto. La destinazione d’uso della Messa è curiosa, doveva essere infatti un omaggio di Mozart all’amata Konstanze, che cantò alla prima esecuzione del 1783. Si tratta di una pagina musicale imponente, che si ferma nella liturgia al Benedictus e prevede la partecipazione di un doppio coro, oltre che dell’orchestra e quattro solisti. Bene ne ha sintetizzato lo spirito Giovanni Carlo Ballola:
“Mozart scrive una personale summa theologica del sacro in musica, i cui principi vengono desunti da una sterminata eredità artistica dagli orizzonti europei, sviluppata più in estensione geografica che in profondità storica, non rimontando oltre i limiti del XVIII secolo, il solo che il compositore ritenesse attingibile e spiritualmente frequentabile.”
E, infatti, all’ascolto risaltano evidenti le lezioni di Bach (nelle fughe) e Händel (nei vocalizzi dei cantanti), tanto che lo stile musicale si può definire, semplificando parecchio, assai vicino al barocco. Anche in questo caso è spiccata la bella interpretazione di Sardelli, di cui ho apprezzato il gesto limpido e preciso e l’attenzione alle dinamiche in una partitura che vive, come spesso nella musica chiesastica, di grandi contrasti. Ottima la prestazione del Coro, costretto per ovvi motivi a cantare con la mascherina e preparato da Paolo Longo. Tra i solisti ho trovato eccellenti le prestazioni del soprano Lucrezia Drei – intonatissima, sicura negli acuti e brillante nella gestione della respirazione -, e del mezzosoprano Veta Pilipenko che con la sua voce ambrata si è messa in luce nel monumentale Gloria. Il tenore Vassilis Kavayas è parso molto emozionato ma comunque nell’ambito di un rendimento positivo; bravo anche il tonante basso Cristian Saitta, che interviene solo nel Benedictus finale. Orchestra di nuovo sugli scudi, capace di un suono raccolto e al contempo emozionante e maestoso. Il pubblico, abbastanza numeroso, ha apprezzato molto la serata. Numerose le chiamate al proscenio sia dopo la prima parte sia alla fine per Federico Maria Sardelli. Entusiasmo anche per tutti i solisti e per il coro e l’orchestra della fondazione.
Il Festival Internazionale di musica di Portogruaro – quest’anno intitolato Ouverture – è giunto felicemente alla trentanovesima edizione con il consueto programma di eventi musicali, conferenze e masterclass che coinvolgono professionisti del settore e appassionati. Una manifestazione che negli anni si è ritagliata, grazie alla qualità delle proposte, uno spazio artistico rilevante e un pubblico sempre più numeroso e partecipe. Alessandro Taverna, pianista di fama più volte recensito anche su queste pagine, è il Direttore artistico della kermesse che da tempo ha tracimato gli angusti confini regionali ed è conosciuta e apprezzata, anche grazie alle trasmissioni su RADIO3, a livello internazionale. Il concerto di questa sera, che aveva come fil rouge Venezia e compositori che hanno incrociato le loro esistenze con la città lagunare, era intrigante sia per il corposo programma sia per gli artisti impegnati in un exucursus musicale che ha spaziato da Mozart a Stravinskij. A fare da apripista al concerto è stato però Ermanno Wolf-Ferrari, compositore del Novecento probabilmente più noto per alcune opere liriche (Il campiello, I quattro rusteghi, Il segreto di Susanna) ma qui colto in una composizione giovanile (1893), la Serenata per archi, che si dipana in quattro movimenti.Si tratta di un brano estremamente rigoroso nella sua, un po’scontata e convenzionale, classicità. Daniel Smith, sul podio di una brillante Orchestra della Toscana, ne ha dato una lettura vivace, attenta alla scansione ritmica, varia nelle dinamiche e con agogiche stringenti ma mai frettolose. Da sottolineare l’ottimo lavoro degli archi gravi.
Eseguito per la prima volta nel 1877, il Concerto per violino e orchestra in si bemolle maggiore di Mozart si svolge in tre movimenti ed è una pagina musicale incantevole per la freschezza melodica e l’inventiva tipicamente mozartiane, quasi un marchio di fabbrica che rende immediatamente riconoscibile l’esprit del Salisburghese. Il dialogo tra solista e orchestra è costante e, in questo senso, il buon affiatamento tra Francesca Dego e Daniel Smith si è rivelato un valore aggiunto. Francesca Dego ha confermato una volta di più di avere la classe della grande interprete, che si manifesta anche nella gioiosa compostezza sul palco oltre che nella tecnica ineccepibile che le consente di essere espressiva anche nei passi più virtuosistici ed eloquente, emozionante nei momenti più melodici. Da ammirare la naturalezza e disinvoltura dell’artista sia nelle cadenze sia nei passi più cantabili. Alla fine, dopo ripetute chiamate al proscenio, ha concesso come bis Come d’autunno, una composizione dedicatale da Carlo Boccadoro che omaggia al contempo Dante e Ungaretti.
Il concerto poi si è chiuso con la suitePulcinella (1922) di Stravinskij, notoriamente tratta dall’originale balletto con canto composto nel 1920 dal quale l’autore eliminò le parti vocali sostituendole con il suono degli strumenti. Il brano è, giustamente, considerato paradigmatico del neoclassicismo – termine forse superficiale, ma efficace, sul quale si sofferma acutamente Guido Barbieri nel programma di sala – di Stravinskij perché rilegge la musica del Settecento napoletano (Pergolesi, nella fattispecie, anche se alcuni brani sono poi risultati apocrifi) in chiave novecentesca. Si riconoscono i tipici stilemi della musica stravinskiana: gli sberleffi, le dissonanze che si stemperano all’improvviso, l’arguzia e l’ironia dissacranti e caricaturali.Anche in questo caso da lodare l’ottimo rendimento dell’Orchestra della Toscana – brillanti legni e ottoni – che Smith ha guidato con entusiasmo in una pagina che presenta non pochi rischi esecutivi. La serata è stata apprezzata dal pubblico, che ha accolto generosamente tutta la compagnia artistica manifestando il proprio gradimento con applausi più che convinti.
Ermanno Wolf-Ferrari
Serenata per archi
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per violino e orchestra n.1 in si bemolle maggiore K207
Del progetto “Giovani talenti” programmato dal Verdi di Trieste ho già riportato nel post precedente.
Il teatro non ha previsto la presenza de visu né di pubblico né di critica: capisco le motivazioni, ma proprio perché si tratta di giovani interpreti mi asterrò dallo scrivere una recensione dei concerti che dovrei ricavare da un ascolto televisivo.Leggi il resto dell’articolo
Ma non perdonare il nostro quotidiano, Il Piccolo, che al Concerto di Capodanno della maggiore realtà della regione ha dedicato questo importante ed esauriente articolo:
Si è rinnovato ieri anche l’appuntamento beneaugurale con il Concerto di Capodanno della Fondazione Teatro Lirico Verdi di Trieste, con l’Orchestra diretta dal maestro Fabrizio Maria Carminati, il Coro diretto dal maestro Francesca Tosi e i tecnici dell’ente . In programma le musiche di Johann Strauss.
(c’era anche una mini-foto)
Insomma, sembra che si possa fare anche un teatro bello, moderno. E nessuno si scandalizza.
La stagione operistica del Teatro dell’opera di Lubiana si è aperta ieri con Die Zauberflöte di Mozart, titolo di repertorio ma sempre interessante perché consente ai registi di interpretare la vicenda piuttosto liberamente. Questo significa, il più delle volte, che chi si appresta all’ascolto potrà godere di una porzione di quella meravigliosa forma d’Arte che è il teatro lirico, in cui musica e la recitazione concorrono a creare quella momentanea sospensione della realtà di cui tutti abbiamo necessità.
Čarobna piščal, SNG Opera in balet Ljubljana, režiser: Jaša Koceli, foto: Mankica Kranjec
Il Teatro Verdi di Trieste ha salutato l’anno nuovo e il suo pubblico con un concerto straordinario che si è svolto proprio per Capodanno. Una scelta inconsueta a queste latitudini ma, a giudicare dal sold out registrato al botteghino, gradita dalla cittadinanza: fila interminabile per entrare e parecchie le persone rimaste senza biglietto. Leggi il resto dell’articolo
In una città totalmente impazzita per la Barcolana, evento annuale che trasforma Trieste in un’efficace rappresentazione dell’inferno – sia detto con piratesco sorriso d’innocenza, alla Bellini – si è consumato il quinto concerto della stagione sinfonica del Teatro Verdi.
La seconda recita, cui si riferisce la recensione, è stata occasione di (grande) gioia, ma per pochi intimi. Con la città piena di turisti dovrebbe essere il contrario ma evidentemente la musica colta non incontra il gusto dei duri marinai della regata più affollata del mondo, veri o presunti che siano. Oppure, forse, Il Verdi non si vende bene. Leggi il resto dell’articolo
Il quarto concerto della stagione sinfonica triestina può essere definito, ex post, come un one woman show riuscito a metà. Lera Auerbach, artista di molteplici talenti – compositrice, direttore d’orchestra, pianista -, ne è stata infatti protagonista assoluta già ex ante. Si è molto insistito, infatti, in sede di promozione del concerto, sul suo essere donna e direttore (direttrice, direttora?) d’orchestra: un’altra donna sul podio della compagine triestina, come succede da quattro anni consecutivi. Ora, a me queste manifestazioni di political correctness fanno venire l’orticaria perché le ritengo strumentali, ma forse è un problema solo mio e quindi pazienza. Mi pare giusto però ricordare che in questo campo le distinzioni o differenze di genere sono inutili: conta solo il risultato artistico.
Hanno detto: