Sono stato in dubbio fino a pochi minuti fa, lo ammetto senza problemi. Pubblicare il tradizionale post per la serata inaugurale del Teatro alla Scala di Milano, oppure non farlo?

Non farlo sarebbe stato ragionevole per tanti motivi, non ultimo la scomparsa di una delle colonne portanti di questo blog, e cioè Giuliano, del quale ho appena scritto in circostanze drammatiche. E, dal punto di vista emozionale, ho fatto difficoltà a superare la mia tristezza.
D’altro canto, questa specie di animale preistorico che risponde al nome “Di tanti pulpiti” è nato per parlare di musica: “episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie, sempre tra il serio e il faceto”, così recita il sottotitolo. E, inoltre, sono un sostenitore della necessità di andare avanti nonostante la contingenza sfavorevole. Lo faccio sempre, con i miei metodi, le mie regole e i miei tempi, certo, ma lo faccio.
Perciò, con una punta di nostalgia, ecco qui alcune mie considerazioni sulla Prima alla Scala, com’è tradizione di questo luogo virtuale.
Serata che ovviamente sarà diversa dagli anni scorsi, ma che si presta in ogni caso a qualche speculazione.
Su Twitter, unico social che frequento, poco tempo fa ho lanciato un sondaggio tra i miei lettori e simpatizzanti, che recitava così:
La prima alla Scala di Milano è stata sospesa e sostituita da un concerto di arie d’opera con grandi interpreti che sarà trasmesso su RAI1. Voi avreste preferito un’opera o vi va bene il concerto?
Questo il risultato, che mi pare eloquente:
Opera 80,8%
Concerto 19,2%
Qualcuno potrebbe obiettare che le alternative erano troppo secche e che probabilmente le risposte sono state “di pancia”, ed è vero. Resta il fatto che, almeno per me, delineano una tendenza.
Dal momento che anch’io avrei preferito un’opera, provo ad argomentare.
Si parla tanto, e spesso a sproposito o solo perché fa figo, di “trasformare in opportunità le difficoltà” e, santo cielo, quest’anno le difficoltà non mancano di certo.
La Scala è il più ricco teatro italiano e il più famoso teatro del mondo (a torto o ragione, ora non è importante) e perciò se c’era un luogo dove si doveva mettere in pratica la regoletta di cui sopra questo era il teatro milanese.
I motivi sono tanti e il primo e sicuramente il più importante è che le fondazioni, per statuto, devono diffondere la Cultura (sì, quella cosa con la quale non si mangia).
La scusa del Covid-19 è farlocca perché, se è vero che la prevista Lucia di Lammermoor sarebbe stata troppo onerosa da affrontare in sicurezza per la presenza di numerosi solisti, del Coro e dell’Orchestra, è anche vero che il repertorio operistico è vastissimo e comprende molti titoli che si possono eseguire – soprattutto in assenza di pubblico – con pochi interpreti sul palco e un’orchestra cameristica. Non mi metto neanche a citarli.
Inoltre, si sarebbe potuto proporre qualche capolavoro inedito o dimenticato, facendo così davvero cultura e divulgazione alta e non abbassando l’asticella con un concertone nazionalpopolare il cui significato metaforico è molto, troppo simile al paternalismo dell’attuale Presidente del Consiglio che ci ripete ogni volta che può che “andrà tutto bene”, che “il Natale è una festa spirituale ed è meglio passarla da soli” e altre porcherie del genere.
No, non va tutto bene, della cristianità tirata fuori solo perché fa comodo non me ne frega nulla e, semmai a Conte passasse per la testa di suggerircelo, puntualizzo anche che a colazione mangio quello che voglio.
Accetto e rispetto tutte le regole, con fastidio, ma le accetto. Però le raccomandazioni accorate, l’ottimismo peloso, i buoni sentimenti ostentati mi fanno imbestialire.
L’Italia, paese sfortunato, avrebbe potuto usare una delle sue vetrine più scintillanti e in vista per dare un esempio di attenzione, di professionalità, d’intelligenza.
Invece – e sia detto col massimo rispetto per tutti gli artisti impegnati nel concerto e per tutta la macchina organizzativa, per i lavoratori del teatro – domani in televisione andrà in onda la solita Italia: quella che mortifica gli italiani.
Niente recensione, quest’anno, perché non voglio contribuire in alcun modo a diffondere l’immagine di una classe dirigente politica, teatrale, che non sa rispondere alle esigenze della Cultura, come ha dimostrato più volte anche in questi giorni con iniziative e dichiarazioni (da parte del ministro competente, tra l’altro) aberranti e insensate.
Quindi, “A riveder le stelle”? Magari! Per me, dal punto di vista intellettuale, sarà l’opposto: una descensus averno.
Questa è la mia posizione, a cui aggiungo quella, molto più urbana e intelligente, di Alfonso Antoniozzi, su di un argomento laterale.
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