A pochi giorni dall’atteso Rigoletto si è svolto al Teatro Verdi di Trieste un “Concerto di primavera” interessante e raffinato, che prevedeva due pagine musicali di rara esecuzione firmate da Igor Stravinskij e Benjamin Britten. I brani sono sostanzialmente coevi – risalgono entrambi a metà Novecento del secolo scorso – e hanno in comune una laica religiosità che si esprime con atmosfere tipiche della musica corale sacra. La Cantata per soli, coro femminile e cinque strumenti di Stravinskij, eseguita in apertura di serata, è stato il primo passo del compositore verso la musica dodecafonica e si basa su testi poetici medievali di autore ignoto. La struttura, che si compone di sette parti, prevede oltre al coro femminile tre interventi molto impegnativi di tenore e soprano affidati a due artisti del coro della fondazione: il soprano Luisella Capoccia e il tenore Francesco Cortese. Entrambi sono usciti bene da una prova difficile, nonostante un piccolo incidente proprio nel finale del Ricercar per il bravissimo Cortese, brillante a destreggiarsi in una parte lunga e soprattutto scomodissima per tessitura vocale. Buona anche la prova del soprano, che ha messo in mostra una voce piccolina ma educata. Eccellente l’apporto del coro femminile e dei professori d’orchestra: Valter Zampiron e Daniele Porcile al flauto, Giovanni Scocchi all’oboe e corno inglese, Matteo Salizzoni al violoncello e Marco Bardi all’oboe, che ha sostituito la prevista Paola Fundarò. A seguire è stata eseguita A ceremony of Carols di Britten – anche in questo caso i testi sono parzialmente anonimi – un lavoro singolare e di grande fascino in cui il coro femminile è protagonista assoluto. Diviso in tre parti (Procession, Carols e Recession) prevede anche un interludio per arpa sola, qui interpretato dalla puntuale Sofia Marzetti, e due brevi interventi solistici di soprano e contralto (brave Vida Matičič Malnaršič e Anna Katarzyna Ir). L’esecuzione è stata emozionante grazie al clima raccolto e al contempo brillante creato dal coro, capace di esprimersi con sentimento e precisione. Paolo Longo, da quest’anno alla testa del coro della fondazione, ha diretto la “sua” compagine con la consueta passione in un repertorio che ama e che gli è particolarmente congeniale. Pubblico scarso ma partecipe e generoso di applausi per una serata gradevole che si è chiusa con il bis di una Carol. Un appunto al management del Verdi: forse sarebbe il caso, a maggior ragione quando si ascoltano brani non troppo noti, di stampare un libretto di sala meno striminzito.
gor Stravinskij
Cantata per soli, coro femminile e cinque strumenti
Il Festival Internazionale di musica di Portogruaro – quest’anno intitolato Ouverture – è giunto felicemente alla trentanovesima edizione con il consueto programma di eventi musicali, conferenze e masterclass che coinvolgono professionisti del settore e appassionati. Una manifestazione che negli anni si è ritagliata, grazie alla qualità delle proposte, uno spazio artistico rilevante e un pubblico sempre più numeroso e partecipe. Alessandro Taverna, pianista di fama più volte recensito anche su queste pagine, è il Direttore artistico della kermesse che da tempo ha tracimato gli angusti confini regionali ed è conosciuta e apprezzata, anche grazie alle trasmissioni su RADIO3, a livello internazionale. Il concerto di questa sera, che aveva come fil rouge Venezia e compositori che hanno incrociato le loro esistenze con la città lagunare, era intrigante sia per il corposo programma sia per gli artisti impegnati in un exucursus musicale che ha spaziato da Mozart a Stravinskij. A fare da apripista al concerto è stato però Ermanno Wolf-Ferrari, compositore del Novecento probabilmente più noto per alcune opere liriche (Il campiello, I quattro rusteghi, Il segreto di Susanna) ma qui colto in una composizione giovanile (1893), la Serenata per archi, che si dipana in quattro movimenti.Si tratta di un brano estremamente rigoroso nella sua, un po’scontata e convenzionale, classicità. Daniel Smith, sul podio di una brillante Orchestra della Toscana, ne ha dato una lettura vivace, attenta alla scansione ritmica, varia nelle dinamiche e con agogiche stringenti ma mai frettolose. Da sottolineare l’ottimo lavoro degli archi gravi.
Eseguito per la prima volta nel 1877, il Concerto per violino e orchestra in si bemolle maggiore di Mozart si svolge in tre movimenti ed è una pagina musicale incantevole per la freschezza melodica e l’inventiva tipicamente mozartiane, quasi un marchio di fabbrica che rende immediatamente riconoscibile l’esprit del Salisburghese. Il dialogo tra solista e orchestra è costante e, in questo senso, il buon affiatamento tra Francesca Dego e Daniel Smith si è rivelato un valore aggiunto. Francesca Dego ha confermato una volta di più di avere la classe della grande interprete, che si manifesta anche nella gioiosa compostezza sul palco oltre che nella tecnica ineccepibile che le consente di essere espressiva anche nei passi più virtuosistici ed eloquente, emozionante nei momenti più melodici. Da ammirare la naturalezza e disinvoltura dell’artista sia nelle cadenze sia nei passi più cantabili. Alla fine, dopo ripetute chiamate al proscenio, ha concesso come bis Come d’autunno, una composizione dedicatale da Carlo Boccadoro che omaggia al contempo Dante e Ungaretti.
Il concerto poi si è chiuso con la suitePulcinella (1922) di Stravinskij, notoriamente tratta dall’originale balletto con canto composto nel 1920 dal quale l’autore eliminò le parti vocali sostituendole con il suono degli strumenti. Il brano è, giustamente, considerato paradigmatico del neoclassicismo – termine forse superficiale, ma efficace, sul quale si sofferma acutamente Guido Barbieri nel programma di sala – di Stravinskij perché rilegge la musica del Settecento napoletano (Pergolesi, nella fattispecie, anche se alcuni brani sono poi risultati apocrifi) in chiave novecentesca. Si riconoscono i tipici stilemi della musica stravinskiana: gli sberleffi, le dissonanze che si stemperano all’improvviso, l’arguzia e l’ironia dissacranti e caricaturali.Anche in questo caso da lodare l’ottimo rendimento dell’Orchestra della Toscana – brillanti legni e ottoni – che Smith ha guidato con entusiasmo in una pagina che presenta non pochi rischi esecutivi. La serata è stata apprezzata dal pubblico, che ha accolto generosamente tutta la compagnia artistica manifestando il proprio gradimento con applausi più che convinti.
Ermanno Wolf-Ferrari
Serenata per archi
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per violino e orchestra n.1 in si bemolle maggiore K207
Debussy e Stravinskij sono compositori particolari, ai quali non ci si deve accostare con quello spirito molto italiano che pretende una melodia fluida e lineare, altrimenti si rischia una delusione.
Quello sopra è il classico fervorino che faccio a qualche neofita quando incontra buona parte della musica del Novecento. Beh, avreste dovuto sentire Métaboles di Henri Dutilleux (strasmile)!
Il programma del concerto a Lubiana della Royal Concertgebouw Orchestra era piuttosto impegnativo, vero. Ma quando sul podio c’è un fuoriclasse (per me) o almeno un direttore sempre interessante e mai banale (e questo spero valga per tutti) come Daniele Gatti gli ostacoli sembrano più facili da affrontare.
Qui, su La Classica nota, potete leggere le mie sensazioni sulla seratae anche qualche considerazione più personale sulla fortuna che abbiamo noi che, per passione o per mestiere, frequentiamo i teatri.
Anche questa volta ho scattato un paio di foto (cliccare), rischiando di essere cacciato (smile).
Ovvero Glitter and be Michieletto o la strana storia di Conchita Wurst la Turca. Ma ci arriveremo.
Questa volta non mi metto neanche a dissertare sull’orrida Venezia e mi limito a guardare il lato positivo. Il clima da città subtropicale, la spaventosa concentrazione di umanità varia, il fatto che abbia dovuto correre in stazione per non mancare il treno mi hanno fatto perdere qualche chilo e un paio di centimetri di giro vita: ne avevo bisogno, perciò, per una volta Grazie, orrida Venezia (strasmile). Leggi il resto dell’articolo
Hanno detto: