Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Recensione semiseria e sintetica del Trovatore al Festival Verdi Parma.

In questo post si stigmatizza la pessima prova del mezzosoprano Marianna Tarasova, contestata duramente anche dal pubblico di Parma.
Ebbene, la Tarasova si è improvvisamente ammalata (!) povera, tanto che un suo recupero non è previsto per alcuna delle recite previste da domani sino a fine mese. E pensare che la parte di Azucena avrebbe dovuto cantarla solo lei.
Ecco qui il comunicato del Regio di Parma:

Il Teatro Regio di Parma informa che in seguito all’acutizzarsi di una indisposizione che ha colpito Marianna Tarasova, il ruolo di Azucena nelle recite del 5, 9, 15, 18 ottobre 2010 sarà interpretato da Mzia Nioradze e nelle recite del 23, 26, 28 ottobre 2010 da Irina Mishura."

È partito stasera il Festival Verdi a Parma.

Come annunciato, al posto del baritono Claudio Sgura, indisposto, ha cantato Leo Nucci, nella parte del Conte di Luna. Quindi il tag anziani ci sta tutto (strasmile).
Fatta la solita premessa sulla parziale attendibilità di una recensione basata sull’ascolto radiofonico, o meglio televisivo, perché l’opera è stata trasmessa da TvParma sul Web, ecco le mie impressioni, molto stringate.
Deludentissima la direzione di Yuri Temirkanov, improntata allo zum pà pà più bieco e in alcuni momenti pure di una lentezza esasperante. Il famoso lato notturno di questo lavoro verdiano? Non si sa. Certo, può essere che in teatro si siano sentite raffinatezze che mi sono sfuggite, ma a me è sembrata proprio una direzione tagliata con l’accetta, chiassosa e superficiale.
Marcelo  Álvarez, nei panni di Manrico, non mi è proprio piaciuto.
In certi momenti i suoi tentativi di alleggerire la voce sono sembrati abbastanza stucchevoli, manierati. Siccome l’ho appena ascoltato come Manrico all’Arena di Verona, direi che la sua prestazione è stata nettamente inferiore. Grandi difficoltà nel cantabile Ah sì ben mio, dove il legato non si è sentito proprio e altrettanto difficoltosa la pira nella quale ha pure cantato il minimo indispensabile, per arrivare più fresco all'acuto finale che non è stato neanche squillante, ma solo rumoroso. Una serata assai storta.
Norma Fantini ha cercato di rendere al meglio il lato squisitamente femminile di Leonora, ma se è vero che il canto è stato abbastanza corretto è anche evidente che è mancata quella passionalità, quella fierezza che caratterizza la parte. Buono il fraseggio, abbastanza bella la voce, acuti stridenti, in qualche occasione. Molto in difficoltà nel celebre D'amor sull'ali rosee  (stonata e calante mica poco eh?) anche se nel complesso la sua prova può essere considerata discreta, a dispetto di un terzo atto problematico a voler essere buoni.
Leo Nucci è sempre lui, più o meno simile da quarant’anni e già questo è motivo di merito, però indubbiamente i portamenti, la tendenza a cantare tutto forte, le poche sfumature, sono difetti che non possono essere taciuti. Poi che abbia ancora voce da vendere nessuno lo può mettere in dubbio e neanche, credo, che alla fine sia risultato il migliore della serata.
Il Ferrando di Deyan Vatchkov non ha lasciato il segno sotto alcun punto di vista.
Marianna Tarasova interpretava Azucena, parte fondamentale come sa chiunque, ed è risultata disastrosa, una vera calamità. Il mezzosoprano ha sciorinato, in tutto l’arco dell’opera, una specie di catalogo leporelliano su ciò che non deve fare una cantante alle prese con il ruolo. Stonata, fuori tempo, urlante, parlante, ansimante e altri participi presenti che non me la sento di scrivere. È stata buata, purtroppo per lei, ma la verità è che era da protestare, diciamolo.
Forse, considerato che Azucena ha fama di strega, ha pensato di togliere ogni dubbio e di votarsi al rogo, non so che dire.
I comprimari sono stati discreti e mi pare già un fatto positivo, mentre non mi ha convinto il Coro del Regio, che ho apprezzato altre volte in serate migliori.
Non mi sento di chiosare sulla regia di Lorenzo Mariani, ma non mi è sembrata malvagia.
Applausi tiepidissimi alla fine dell'opera e poi, nell'ordine: applausi per Leo Nucci, buuuu feroci per la Massarova, qualche disapprovazione per la Fantini, approvazioni discrete per Alvarez, parecchi buuuu per il direttore. Applausini per il regista e tutti a casa veloci.
Mi scuso in anticipo per eventuali errori di battitura, che eventualmente monderò domani.
Se sbaglio, mi corriggerete (smile).
Buon fine settimana a tutti.

Il Trovatore
Dramma in quattro parti di Salvadore Cammarano,
dal dramma El Trovador di Antonio García-Gutiérrez

Musica di GIUSEPPE VERDI

Personaggi Interpreti
Il Conte di Luna LEO NUCCI (1)
CLAUDIO SGURA
Leonora NORMA FANTINI
TERESA ROMANO (18, 23, 26, 28)
Azucena MARIANNA TARASOVA
Manrico MARCELO ÁLVAREZ
FRANCESCO HONG (15, 18, 23, 26, 28)
Ferrando DEYAN VATCHKOV
Ines CRISTINA GIANNELLI
Ruiz ROBERTO JACHINI VIRGILI
Un vecchio zingaro ENRICO RINALDO
Un messo SEUNG HWA PAEK

Compagne di Leonora e religiose, familiari del conte, uomini d’arme, zingari e zingare

Maestro concertatore e direttore
YURI TEMIRKANOV

Regia
LORENZO MARIANI

Scene e costumi
WILLIAM ORLANDI

Luci
CHRISTIAN PINAUD

Maestro del coro
MARTINO FAGGIANI

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
in coproduzione con il Teatro la Fenice di Venezia

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Il Rigoletto su RAI1 da Mantova minuto per minuto: recensione semiseria del terzo atto e sipario, finalmente.

Oggi quand’è finito il secondo atto del Rigoletto ero fortemente tentato di non seguire la trasmissione questa sera. Voglio dire, il livello artistico è stato tale che mi sentivo sfiduciato e anche tradito.
Forse è l’atteggiamento sbagliato, non so.

Poi la passione mi ha spinto a vedere anche l'ultima parte, com'è giusto che sia.
Capite però che io non posso consolarmi col mantra sì però c’era la lirica in prima serata, mica sono così di bocca buona eh?
Si voleva fare divulgazione?
Obiettivo mancato, perché i dati d’ascolto sono modesti e comprendono tutti i melomani che, a naso, sono quota parte maggioritaria della percentuale di share. Senza lo zoccolo duro degli appassionati, quale sarebbe stata la percentuale d’ascolto? Inoltre, proprio tra chi ne capisce almeno un po’, non ho ancora trovato una sola persona contenta di ciò che ha visto e sentito. Quindi, bersaglio mancato anche in questo senso, perché il livello artistico era ben al di sotto di qualsiasi spettacolo teatrale di provincia.
Cosa dicono le persone normali? Boh, non so, non ne conosco (smile).
Fatta questa velenosa premessa, se qualcuno ha gradito lo spettacolo ne sono ben contento, ma sappia almeno che l’opera lirica è tutt’altra cosa e non occorre certo risalire ai primi anni del Novecento per sentire un Rigoletto decente.
Bene, il terzo e ultimo atto si apre con un piccolo preludio che introduce Rigoletto e Gilda che stanno sulla sponda del Mincio, nei pressi c’è la casa di Sparafucile, il killer che ha almeno un pregio: una sorella gnocca.
rigoletto maddalena
In questo momento il tenore intona la famosa canzone La donna è mobile , ricca di suggestioni protofemministe, e poi cerca di sedurre (non che ci voglia tanto, Maddalena è zoccola di mestiere) cantando Bella figlia dell’amore la sorella di Sparafucile.
Prima però c’è il famoso quartetto, in cui ognuno dovrebbe esprimere atteggiamenti ben precisi: disperazione Gilda, rabbia repressa Rigoletto, sensualità Maddalena e un’incontenibile erezione il Duca.
Grigolo è passabile, ma non di più. Preoccupatissimo per l'acuto finale della sua aria lo spara disperato. Il suo cantare come un seduttore di balera non lo sopporto, non è l'accento giusto.
Domingo sembra rauco.
Novikova stona nel quartetto.
Nino Surguladze è bella.
Raimondi parla in una lingua sconosciuta che prevede un uso diverso dal consueto delle vocali.
Il duetto tra Maddalena e Sparafucile è comico: dovrebbero essere fratello e sorella ma è dura, Raimondi mostra 100 anni e la Surguladze 20. La Nino però non canta male e non sbraca come temevo.
sparafucile-rigolettoDomingo nel finale, per ricercare un minimo di rotondità di suono, si appoggia sulle consonanti in modo inverecondo.
E poi, e questo non lo capisco proprio, pasticcia di brutto col testo.
Preoccupatissimo, il pathos del dramma finale gli sfugge completamente.
La Novikova è sempre uguale a se stessa, anche nella scena della morte. Senza infamia ma lontanissima dalla lode, anche piccolina. Calicchia le ultime note.
Sipario, finalmente, anzi Carosello, visto che siamo in televisione.
Ora è il momento, credo, delle polemiche.
Intanto buona settimana a tutti.

Rigoletto a Mantova su RAI1: la recensione semiseria minuto per minuto del secondo atto.

I dati d'ascolto della serata di ieri, in cui è andato in onda il primo atto sono stati questi: 2.659.000 telespettatori, share 14,59%.
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Per me sono estremamente deludenti, visto lo strombazzamento mediatico (con tanto d'introduzione del Capo dello Stato!) e la presenza carismatica di Placido Domingo.

Sì, perché dal numero degli spettatori dobbiamo levare i melomani per capire quanto pubblico generalista ha visto la trasmissione, e facendo così credo che saremmo a livello di prefisso telefonico.
Chissà che succederà oggi, visto che alle 14.00 solo i somari come me stanno davanti alla televisione (smile).
Lo scopriremo soltanto vivendo e quindi ingobbiamoci queruli a vedere questo secondo atto.
Il secondo atto del Rigoletto è uno dei capolavori di Verdi e dopo l'agitata introduzione orchestrale entra il Duca col recitativo Ella mi fu rapita e poi con il cantabile Parmi veder le lagrime.
Un momento psicologico importante, perché il tenore deve acclarare che Gilda non è più solo un'avventura (non sarààààààààà un'avventuraaaa) ma che per lei prova un affetto sincero.
Oggi invece abbiamo sentito, prima di tutto ciò, qualche verso di aniimali da cortile, e mi sfugge il senso di questa cosa.
Il buon Vittorio Grigolo ha sempre un tono un po' troppo confidenziale, da cantante da pianobar, però se la cava meglio di ieri, specialmente nel recitativo. Recitazione orrenda, però, e pochissimo vigore nella cabaletta Possente amor mi chiama, nella quale omette il re bemolle 4 di tradizione.
La regia televisiva è qualcosa di orribile e questi primissimi piani hanno davvero rotto le palle, per usare un gergo molto tecnico.
Poi, nella terza scena, ritorna Rigoletto con i famosi la rà la rà, mentre nel frattempo i cortigiani lo prendono per il culo.
Una scena tra le più drammatiche che prelude all'esplosione Io vo' mia figlia e al successivo Cortigiani vil razza dannata, rabbiosissimo, e al commovente tentativo di ricomprarsi umiliandosi la fiducia degli stessi.
Domingo qui è in parte dal punto di vista scenico, ma gigioneggia di brutto. Apre i suoni alla grande, e l'effetto non è bello, per niente. Mehta stacca tempi letargici. Non dico nulla del paggio…
Nel Cortigiani Domingo è davvero stremato e pasticcia con il testo, come ha fatto spesso anche ieri. Orribile l'unico acuto, che a memoria mi pare sia un sol, ma non ne sono certo. E cala pure.
La V e VI sesta scena sono dedicate al duetto tra Rigoletto e Gilda, che racconta al padre (Tutte le feste al tempio) come è stata ingannata.
Domingo, mi spiace tanto scriverlo, mi fa pena quando a un certo punto ingrossa la voce per trovare un minimo di spessore vocale. Mehta continua con dei tempi da marcia funebre.
La Novikova ci mette molto impegno, ma i tempi lentissimi non la aiutano, anzi. Che devo scrivere, è corretta ma insipida, non sa di nulla.
Fulminea la VII scena, con la terribile apparizione di Monterone (ancora bravo Gianfranco Montresor), che maledice Rigoletto ispirandogli il desiderio di rivalersi sul seduttore della figlia (Sì, vendetta, tremenda vendetta)
Domingo è in condizioni pietose, non ha rispetto di se stesso né degli spettatori.
La Novikova becca il mi bemolle di tradizione in chiusura, e io a questo punto non so neanche se guarderò il terzo atto stasera, perché è stato uno spettacolo terribile.

Tutto il Rigoletto nei luoghi e nelle ore minuto per minuto. Placido Domingo, un nuovo baritono. O quasi.

Preceduta da un inutile e autoreferenziale pistolotto didascalico moraleggiante di Giorgio Napolitano (siamo sempre il paese che taglia i fondi ai teatri eh?), è partita la trasmissione del Rigoletto di Giuseppe Verdi, che aveva la sua unica attrazione nella presenza di Placido Domingo nella parte baritonale di Rigoletto.

Il bellissimo Preludio, dominato dal tema della maledizione (che sarà poi ripreso proprio dal protagonista: Quel vecchio maledivami) ci ha introdotto subito nell'atmosfera cupa della trama.
Subito brutta l'entrata di Vittorio Grigolo, nella parte del Duca. Incerta anche l'esecuzione della ballata Questa o quella. Fastidiosissimi, almeno per me, i continui primi piani, ma siamo, appunto, in televisone.
Entra Domingo e mi pare che più che cantare, almeno per il momento, reciti.
Bravo Giorgio Caoduro come Marullo.
M'accorgo che non ci sono i sottotitoli. Mi pare una scelta scellerata, visto che l'intento è anche divulgativo.
Stentoreo, ma non censurabile se non per qualche incertezza d'intonazione, il Monterone di Gianfranco Montresor.
Raimondi è ormai la caricatura di se stesso, però ha sicuramente un futuro come killer: il suo Sparafucile è perfetto, peccato che canti.
Domingo conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, che è un grande artista (belle alcune frasi, Ma in altr'uom qui mi cangio, per esempio) ma che proprio come baritono non ci può stare. Conferma anche che è anziano, perché spesso è stremato e sembra in preda ad un attacco di dispnea.
Julia Novikova canta una Gilda banalissima e non ha alcuna personalità.
Orrendo, ma proprio orribile, Vittorio Grigolo nel bellissimo duetto con Gilda: sembra un cantante da pianobar e non un tenore, per non parlare della recitazione da telenovela brasiliana anni 80.
La Novikova nel Caro nome fa un compitino che potrebbe andare bene per una studentessa di conservatorio, se non fosse pure stonacchiante.
I costumi, tradizionali, erano di una tristezza infinita.
M'intristisco anch'io e me ne vado egagro e fiero delle mie adenoidi.

Il nickname prossimo futuro di Placido Domingo.

Ormai ci siamo quasi, la prossima settimana, per la precisione tra il 4 e il 5 settembre, avrà luogo l’evento operistico di quest’anno: il Rigoletto nei luoghi e nelle ore, a Mantova.
Un milione di televisioni collegate da tutto il mondo.
Bah. Probabile che mi tocchi scriverne, perché la cosa avrà grande risonanza mediatica, soprattutto per l’esordio di Domingo in un’altra parte baritonale, dopo l’esperienza del  Simon Boccanegra.
A pensarci bene Domingo scopre l’acqua calda, perché, e il melomane preparato lo sa bene, già molto tempo fa i tenori erano, come dire, poliedrici.

A cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, per esempio, i maggiori tenori dell’epoca erano Jacopo Peri, Giulio Caccini, Giuseppino Cenci, Giovanni Domenico Pubiaschi e Francesco Rasi.
Di questi artisti si diceva che “cantavano di basso e di tenore con larghezza di molto numero di voci, e con modi e passaggi squisiti e con affetto straordinario e talento particolare di far sentire bene le parole”.
Mica pizza e fichi eh?
E poi Jacopo Peri era detto il zazzerino, il che me lo rende immediatamente simpatico.
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Di Giulio Caccini, che era al pari di Peri (strasmile) anche compositore, si ricorda anche il nickname Benedetto Giorno, che gli fu attribuito quando nel 1585 fu l’unico della compagnia di canto a ricordarsi il testo durante l’esecuzione di un mottetto.
Figuratevi la scena, tutti zitti e Caccini che intona Benedetto giorno…
Speriamo che un incidente del genere non succeda durante la diretta del Rigoletto nei luoghi e nelle ore, accidenti!
Tra l'altro ci sono svariati momenti a rischio, in questo senso, visto che Sparafucile sarà interpretato dal quasi centenario Ruggero Raimondi, e un'amnesia sarebbe comprensibile.
Nel terzo atto Rigoletto-Domingo dice, rivolto a Sparafucile-Raimondi: Venti scudi hai tu detto, eccone dieci…
Se Raimondi si scorda le parole rischiamo che tra cent'anni si ricordi Domingo come il tenore Venti Scudi.
Beh, beh…insomma… (strasmile)
Buon fine settimana a tutti.
 
 

Placido Domingo? No, meglio Jonas Kaufmann.

Il fatto è che il povero blogger critico musicale militante deve scrivere qualcosa, anche in quest’afosissima estate in cui spesso nelle piazze telematiche deputate si discute del nulla oppure, nella migliore della ipotesi, si elevano sconsiderati  e non richiesti monumenti a se stessi.


Perciò ecco che la notizia, già ventilata da tempo e ora confermata, dell’ulteriore impegno di Placido Domingo in una parte da baritono (Rigoletto…) diventa occasione per una scelta di campo.
Accadrà alla Washington National Opera, il 2 agosto, dove il nostro amico Placido è Direttore Generale.
Il resto del cast qui, direttamente dal comunicato stampa del teatro statunitense:
 
Performing with him are recent graduates of his Domingo-Cafritz Young Artist Program, including Micaëla Oeste as Gilda, Yingxi Zhang as the Duke, Nathan Herfindahl as Marulo, Grigory Soloviov as Sparafucile and Cynthia Hanna as Maddalena. Eugene Kohn conducts the performance, leading the Chinese National Opera House Symphony Orchestra and Chorus.
 
 
Voglio dire, già quando il giurassico tenore (ex tenore di fatto da molto tempo, a dire il vero, e non ditemi che sono cattivo!) affrontò il Simon Boccanegra espressi i miei dubbi sulla validità artistica dell’operazione, tanto che scelsi per la mia consueta recensione semiseria l’aggettivo “amara”.
Tutto sommato però si poteva guardare con un minimo di bonomia al vecchio (nessuno sa quanto: l’età di Domingo è come il terzo segreto di Fatima) e glorioso Placido e pensare: Si è voluto togliere una soddisfazione, ci può stare.
Ero disposto a chiudere un occhio anche per questo debutto nel “suo” teatro, circondato da allievi e in forma di concerto.
Un trafiletto sul giornale di stamane, però, mi ha convinto che siamo alla farsa e cioè all’operazione commerciale bieca, al classico evento nazionalpopolare per minus habens.
Solo così infatti, a mio parere, si può considerare la successiva ripresa del personaggio in mondovisione (evento già comprato 137 televisioni) in una baracconata di regime simile alla Tosca nei luoghi e nelle ore di qualche anno fa e la Traviata di Parigi (forse la più brutta di tutti i tempi).
Peraltro ecco pronto il prestigioso direttore Zubin Mehta per questo Rigoletto a Mantova, che conta anche sul regista cinematografico Marco Bellocchio e il premio Oscar Vittorio Storaro, oltre che sul meglio dell’attuale tecnologia digitale: 30 telecamere, 3 regie televisive, non so quanti km di cavi e 8 gruppi elettrogeni.
Che culo! Potremo vedere in primo piano e in alta definizione le rughe del vetusto Domingo! Chissà se pure il buon Placido ricorrerà a qualche stratagemma per apparire più giovane (ricordate la famosa calza sulla telecamera?), come ha fatto un altro guitto in una diversa disciplina d’intrattenimento, e cioè la politica.
Lo scopriremo solo vivendo, diciamo.
So che in molti, assai più prestigiosi di me, difenderanno e promuoveranno quest’assurdità, ma sinceramente a me pare proprio una buffonata.
Vorrei che la Gialappa’s s’inventasse un Mai dire Rigoletto e commentasse in diretta (anzi Marco, se mi leggi nel caso ci vengo io gratis):
 
Ed ecco Rigoletto che egagro e fiero delle sue adenoidi cerca di proteggere Gilda, la figlia deficiente, ma viene preso per il culo da Marullo e si copre di ridicolo.
 
E allora io dico Evviva Kaufmann, che forse non sarà il best Cavaradossi ever  che alcuni ci vogliono far credere ma almeno, domenica prossima debutta a Bayreuth  (non nella parte, già affrontata)nel Lohengrin di Richard Wagner.
Un tenore che canta una parte da tenore è qualcosa che appartiene all’opera lirica, un ex tenore che sfrutta la popolarità per gonfiare il già opimo portafoglio è altro, lascio a voi decidere cosa, ma certamente non ha nulla a che fare con l’opera lirica.
 
 
 

Oh de’ verd’anni miei…

Antonio Ghislanzoni è noto per aver scritto il libretto dell’Aida di Giuseppe Verdi,

ma a me è molto simpatico perché scrisse un libello intitolato “Varietà umoristiche” in cui spicca il capitolo “L’arte di far libretti”, nel quale, con una buona dose d’autoironia, descriveva i personaggi e i caratteri di un’ipotetica opera lirica.

Vi allego QUI in pdf il suo lavoro e ne stralcio una piccola parte.
 

PERSONAGGI
 

Baritono: tiranno di un paese qualunque, personaggio nervoso e atrabiliare.

Primadonna: moglie di Baritono, donna di carattere indipendente e soggetta a frequenti deliqui.

Tenore: giovane di oscuri natali, di temperamento epatico, affetto di itterizia e di idropisia cronica.

Comprimaria: damigella di confidenza di Primadonna; fanciulla tra i venti e i cinquant’anni, di indole maligna e sospettosa.

Comprimario: amico intimo di Tenore; personaggio poco influente e irresoluto.

Profondo: frate di un Ordine qualunque; zio di Primadonna, amico di Baritono, mecenate di Tenore ecc ecc uomo di solida costituzione e molta autorità, con tendenza pronunziatissima alle stonazioni.
 

CORISTI MASCHI E FEMMINE
 

Che mutano nome e condizione a comodo del poeta e del maestro, conservando sempre nel viso e nel portamento il tipo cretino.

 
 

 
La scena ha luogo in un paese non ancora conosciuto, i cui abitanti, invece di parlare, cantano o solfeggiano con accompagnamento di orchestra.
 
Epoca: a piacere del vestiarista.

Bene, proprio oggi compio 55 anni e mi rendo conto che sarei stato un corista (credo maschio) perfetto per il mitico librettista dell'Aida.
Si accettano candidature per le altre parti tra i lettori di questo blog.
Buona settimana a tutti.

 

Primedonne: da Abbado alla Callas sino al video promo dell’intervista a Magda Olivero su OperaClick.


Ci sarebbe tanto da dire sulla questione del ritorno alla Scala di Claudio Abbado, ma gli appassionati e competenti amici della Voce del Loggione stanno già sviscerando il problema con brillanti argomenti.

Io mi permetto solo un piccolo inciso.
Mi pare che si stia esagerando, dopotutto si tratta solo di musica e la vicenda invece, per certi aspetti ai quali lo stesso Abbado non è estraneo, sta diventando il solito baraccone casinaro all’italiana con relativo codazzo di politici, affaristi e manutengoli vari in cerca di visibilità.
Taccio sulla strategia della vendita dei biglietti che ha adottato la Scala, perché diventerei davvero volgare.
Quindi, visto che come già detto nel post precedente il prossimo appuntamento in teatro è per L’elisir d’amore al Verdi di Trieste, sabato prossimo, oggi dirò la mia su di un’altra incisione storica (1955, quindi ormai sono storico anch’io, strasmile) molto controversa e cioè il Rigoletto della EMI.
Una registrazione che non riesce a salvare neanche Maria Callas.
Mi si potrà ribattere che i suoi compagni di cordata fanno peggio, ma dalla Callas ci si aspetta sempre il meglio no?
Il fatto è che qui Santa Maria Nostra ha tante belle intenzioni, ma ne realizza poche e anzi spesso il risultato è modesto, perché la sua Gilda non è stucchevolmente bamboleggiante ma non è neanche una ragazza violata che “cresce” nell’arco dell’opera, come vorrebbe il Giudici. Canta correttamente (e ci mancherebbe pure! Ma ci scappa pure qualche nota bruttina forte), ma il personaggio alla fine non ha alcuna identità specifica, non è né carne né pesce, insomma.
Nei momenti più belcantistici, segnatamente il Caro nome, sono davvero tanti i soprano che hanno cantato meglio e, a costo di coprirmi di ridicolo (I mean, una volta più una meno…), cito la Elena Mosuc che ho ascoltato in teatro qui a Trieste, nel 2006 mi pare. Per non parlare di altre interpreti che hanno inciso il ruolo.
La Callas, peraltro, non è certo aiutata dal direttore Tullio Serafin, che impone tempi lenti ma soprattutto una mancanza di fraseggio orchestrale mortifera, che appiattisce tutto.
E neppure nei passi più drammatici si apprezza quella rivoluzione copernicana del ruolo alla quale la Callas ci ha abituati, perché io ci sento anche un po’ di sbracamenti e forzature tipiche di chi confonde un’interpretazione temperamentosa con il cattivo gusto paraverista.
Degli altri, e “gli altri” sono il baritono Tito Gobbi (Rigoletto) e il tenore Giuseppe Di Stefano (Il Duca) sarebbe quasi bene non parlare.
Tra i due mostri sacri (o solo veri mostri? Smile) almeno Gobbi segue un’idea interpretativa con coerenza, ma spesso le sue buone intenzioni sconfinano nel teatro di prosa, neanche troppo raffinato.
Inoltre non ci risparmia, se possibile enfatizzandole, tutte le pessime abitudini del tempo: cachinni, urla, portamenti.
D’altro canto Di Stefano non ha neanche una strategia, limitandosi a sbraitare e regalandoci delle vere e proprie urla, perlopiù stimbrate e calanti e un accento genericamente forsennato che compromette in molti casi la prosodia del testo.
Routinaria la prestazione di Adriana Lazzarini quale Maddalena mentre, in alcuni sprazzi, Nicola Zaccaria tratteggia un bel Sparafucile.
Insomma, se è vero che ogni artista e figlio del suo tempo è anche vero che Maria Callas anticipò i tempi con le sue interpretazioni ,ma qui si pone al di sopra del resto della compagnia di canto più per manifesta inferiorità di quest’ultima che per meriti propri.
Oggi, lo dico senza alcun timore d’essere smentito, un Rigoletto così verrebbe sonoramente fischiato e dalle contestazioni si salverebbe, appunto, solo una Callas in tono minore.
Parlando poi dei bei tempi andati, vi segnalo che su OperaClick tra qualche giorno sarà disponibile una straordinaria intervista con Magda Olivero.
Ecco qui il “promo”, una delizia.
E buon fine settimana a tutti.

Ma povero Alfredo Catalani, che brutta sorte!

Negli ultimi giorni ho qualche difficoltà a lasciare commenti e scrivere post su Splinder, non so se sia un problema mio o generale.

Poco male, non vedo notizie sensazionali in giro (a parte questa bella discussione) e il prossimo appuntamento operistico, almeno per me, è il 13 marzo a Trieste con L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti.

Intanto oggi Google festeggia l’anniversario della nascita di Antonio Vivaldi e mi fa piacere sottolinearlo, perché ieri sono incappato in un pomeriggio che mi ha un po’ demoralizzato.
Si presentava, qui a Trieste presso l’Associazione Culturale Panta Rhei, una biografia di Alfredo Catalani, scritta dal Professor Paolo Petronio.

Ora, si sa che Catalani è un compositore negletto, ma è anche vero che sulle sue opere e sulla vita c’è pochissima documentazione.
Non mi aspettavo una partecipazione oceanica, visto l’argomento, però eravamo una dozzina in tutto, pochine, direi. E io ero il più giovane, ça va sans dire.
Insomma, mi sono sentito un po’ come quegli animali in via d’estinzione.
Oddio, non ho mai provato ad immedesimarmi in un Panda, si fa per dire, no (smile)?
Il povero Catalani è stato spesso bistrattato in vita, non ha goduto di grandi simpatie tra i nostri direttori d'orchestra più famosi, con l'eccezione parziale di Arturo Toscanini e Gianandrea Gavazzeni, e ora tocca a me ricordarlo brevemente.
Mi pare davvero una brutta fine (strasmile).
L'opera più nota di Catalani è La Wally e io v'allego un'aria molto famosa, Ebben? Ne andrò lontana, nell'interpretazione di Renata Tebaldi.
Oltre ai melomani di provata fede, dovrebbero conoscerla anche i profani, perché la melodia si è sentita almeno due volte come sottofondo alla pubblicità di non ricordo cosa.
Anzi, se qualcuno lo ricorda, me lo segnali!
Un saluto a tutti.

Il musical Chicago al Politeama Rossetti e il balletto La Fanciulla di neve al Verdi di Trieste: considerazioni semiserie.

Dopo la vera e propria sbornia scaligera in occasione della Carmen,

documentata anche dalle statistiche delle chiavi di ricerca (Carmen in tutte le salse), e la clamorosa esternazione di Zeffirelli nella polemica con Daniela Dessì e Fabio Armiliato (anche qui, nelle chiavi di ricerca Zeffirelli per tutti i gusti), si torna alla presunta normalità.
Tra venerdì sera e domenica pomeriggio sono andato a teatro altre due volte, e mi spiace di aver dovuto trascurare un’altra manifestazione organizzata dall’Accademia Lirica di Santa Croce, che venerdì 11 alla Sala Tripcovich-de Banfield ha proposto una serata intitolata “Canzoni di Natale”. Purtroppo si svolgeva in contemporanea con il musical Chicago al Politeama Rossetti, per il quale avevo i biglietti in tasca da mesi.
Spero di poter essere presente alla prossima manifestazione dell’Accademia, perché il lavoro di Alessandro Svab è assolutamente meritevole di stima e visibilità.
Dunque, il Rossetti ha ospitato, in esclusiva nazionale, il celeberrimo musical di John Kander, Bob Fosse e Fred Ebb, dal quale è stato tratto anche l’omonimo film (mi pare sia il terzo, ma non ne sono sicuro) con un cast di all star cinematografiche.
L’allestimento giunto a Trieste è quello originale, che si può vedere a Londra e New York, adattato alle esigenze del palcoscenico locale.
Lo spettacolo è stato godibilissimo ma, a parere mio, ha sofferto un po’ di mancanza di personalità e carisma nei protagonisti, con l’unica eccezione dello spettacolare Gary Wilmot nei panni di Billy Flynn, l’avvocato che toglie dai guai le due donne assassine Roxie e Velma.
Immagino che non sia notissimo, ma la trama è ricavata da una storia vera, accaduta negli anni del proibizionismo proprio a Chicago.
Le due ragazze sono state interpretate da Miriam Elwell-Sutton (Roxie) e Twinnie-Lee Moore (Velma): entrambe bravissime, sia chiaro, perché cantano e ballano dal vivo come indemoniate per due ore.
Però manca ad entrambe un po’ di…peperoncino, diciamo, anche se non nego che difficilmente

mi sarei potuto scordare di Catherine Zeta-Jones.
Magnifici senza se e senza ma, invece, tutti gli undici musicisti dell’orchestrina jazz e la ventina di ballerini impegnati nello spettacolo.
Allestimento elegantissimo, bisogna sottolinearlo, poiché visto l’argomento sarebbe stato facile (e spiacevole) qualche scivolata di cattivo gusto.
Complimenti quindi a tutto lo staff artistico, al quale il pubblico che affollava il teatro ha tributato un trionfo assoluto.
Ieri pomeriggio poi sono stato al Verdi per vedere la recita domenicale del balletto “La fanciulla di neve”,

tratto dalla fiaba omonima di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij con la musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
Lo spettacolo è del Teatro Stanislavskij di Mosca e, come dire, la provenienza è garanzia di qualità.
Da quelle parti, come ho già avuto modo di rilevare in occasione dell’Oneghin di marzo, il livello di professionalità degli artisti è sempre eccellente.
Figuriamoci poi l’effetto che ha fatto su di me, che abitualmente mi muovo con l’agilità di un dugongo ubriaco, vedere questi splendidi ballerini e ballerine danzare con tanta grazia e abilità e senza farsi male, lo dico da profano di questa forma d’arte e soprattutto da recente infortunato per uno stiramento al polpaccio, che mi sono procurato nell’ardito tentativo di alzarmi dalla sedia (smile).
La trama della vicenda è davvero esilissima e fragile come un fiocco di neve (che sta scendendo qui a Trieste al momento in cui scrivo questo post), ma le scenografie, pur nella loro semplicità tradizionale, rendono lo spettacolo gradevolissimo.
Bellissima la scena in cui la Fanciulla, scappata dalla Terra del Gelo, riesce a farsi accettare dagli impauriti abitanti del villaggio, che la vedono così diversa.
Molto buona la prova dell’Orchestra del Verdi, affidata per l’occasione alla guida di Vladimir Basiladze.
Alla recita alla quale ho assistito io la prima ballerina era Natal’ja Ledovskaja.
Anche al Verdi successo pieno e teatro esaurito.
Insomma, dopo tante polemiche e livori, due belle serate a teatro ci volevano proprio.
Approfitto dell’occasione per ringraziare tutti coloro (tanti, ma tanti davvero) che qui sul blog, in privato e su OperaClick, mi hanno ringraziato per la questione Dessì-Zeffirelli-Teatro dell’Opera di Roma.
La possibilità di farsi rimborsare i biglietti è una bella vittoria per gli spettatori e potrebbe costituire un precedente esemplare.
Buona settimana a tutti.
 
 
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