Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Anna Bolena di Gaetano Donizetti al Teatro Verdi di Trieste: qualche considerazione preliminare.

Do volentieri spazio a questa segnalazione e approfitto per ricordare la mail dove potete scrivere per manifestare il fastidio che provate per i miei post e altro (smile):

amfortasloge@tiscali.it

Il 12 gennaio riprende il progetto PappanoinWeb: quattro concerti, tre sinfonici e uno da camera, arricchiti da altrettante guide all’ascolto, lezioni-conversazioni curate dal musicologo Giovanni Bietti e dallo stesso Antonio Pappano.
Tutta la rassegna PappanoinWeb sarà trasmessa in live streaming sul sito (http://bit.ly/PappanoLive ) e sulla pagina Facebook di Telecom Italia (http://bit.ly/PappanoLive ) con la possibilità di interagire con il format attraverso il profilo Twitter (@telecomitaliatw) e la live chat, attivata durante gli eventi.

Per maggiori info, potete consultare la Social Media News (http://www.socialmedianews.it/torna-pappanoinweb-la-grande-musica-classica-in-live-streaming )

Le anticipazioni del mio lettore “piotr” sono state purtroppo confermate: ora è ufficiale, Celso Albelo ha rinunciato – non so perché- e al suo posto nelle recite del 17, 20, 24 e 27 canterà il tenore Albert Casals.

Comincia martedì 17 gennaio la stagione operistica del Teatro Verdi di Trieste, con l’Anna Bolena di Gaetano Donizetti.
Quest’opera, il cui allestimento è coprodotto dal Verdi, avrebbe dovuto essere rappresentata già nelle scorse stagioni ma tutta una serie d’inconvenienti – diciamo così – ne hanno ritardato il debutto a quest’anno. Debutto nel vero senso della parola, perché l’opera non è mai stata vista a Trieste. Leggi il resto dell’articolo

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Appendice alla recensione del Macbeth a Salisburgo.

L’amico Alucard, fedele lettore di questo blog, si è offerto spontaneamente di tradurre in inglese la mia recensione semiseria del Macbeth di Salisburgo. Immagino che la sua motivazione principale sia rendere nota urbi et orbi la mia pochezza, ma sapete come si dice, basta che se ne parli (strasmile).
Scherzi a parte, lo ringrazio pubblicamente.

In giornata, credo, pubblicherò un piccolo post sulla controversa Adelaide di Borgogna al ROF, intanto ecco di seguito il Macbeth.

The Macbeth of Giuseppe Verdi is considered as one of those operas impossible to perform today, because one believes that there are no singers who can match up to performances, which have gone down to history. In this cases, there is always a name that comes up: Maria Callas, who, left an indelible imprint on the role at La Scala in Milan in 1952, with an extraordinary Victor de Sabata conducting. Leggi il resto dell’articolo

Recensione semiseria ed espressa del Macbeth di Giuseppe Verdi dal Festival di Salisburgo 2011.

Il Macbeth di Giuseppe Verdi è una delle tante opere che oggi si ritengono ineseguibili, perché si pretende che non ci siano cantanti all’altezza di spettacoli ormai passati definitivamente alla storia. Leggi il resto dell’articolo

Lucia di Lammermoor a Trieste: prima intrusione semiseria e piccolo regalino.

Dal punto di vista del melomane, questo incerto inizio dell’estate (meno male, io il caldo non lo sopporto) è targato Lucia di Lammermoor. Leggi il resto dell’articolo

Auguri semiseri e regalo serissimo.

Ci risiamo, presto è di nuovo Natale e come da recente consuetudine,

ho fatto il mio personalissimo albero.
Un albero, quest'anno, più piccolino degli anni scorsi, perché per questioni logistiche diciamo così, ho limitato le mie trasferte teatrali.

Albero Natale 2010

Insomma, bisogna accontentarsi!
E quindi auguri a tutti coloro che passano di qui per piacevole abitudine e a quelli che passano per caso , perché è grazie a tutti voi che se digitando recensione walküre scala su google (solo per fare un esempio) i miei post compaiono ai primi posti, circostanza che mina la stabilità molecolare della bile di molti (strasmile).
Soprattutto auguri a chi, passando da queste parti, s'indigna perché da questi pulpiti si osa parlare di lirica senza essere serioso e catacombale nei toni e catastrofista nei contenuti.
Anzi, a quest'ultima categoria, i miei auguri più sentiti.
Direi quindi che anche quest'anno vi meritate un regalo e per la polemica popolazione melomane ho pensato a qualcosa di trasversale, che mette d'accordo tutti: una selezione di duetti tra Maria Callas e Giuseppe Di Stefano.
Auguri a tutti!

SCARICATELA DA QUI!

Questa la tracklist:

LUCIA DI LAMMERMOOR
Berlin 29th Sep 1955

I PURITANI
Mexico City 29th May 1952

RIGOLETTO
Mexico City 17th June 1952

LA TRAVIATA
Mexico City 3rd June 1952

UN BALLO IN MASCHERA
La Scala 7th December 1957

TOSCA
Mexico City 28th June 1952

Maria Callas, poche parole.

Per un poveretto come me è difficile trovare le parole giuste per ricordare Maria Callas, oggi che è il 33° anniversario della sua scomparsa.

Chissà poi se avrebbe voluto essere ricordata da me, la povera Callas: tenderei ad escluderlo.
Quindi, diciamo per manifesta incapacità, m’astengo volentieri da ingrossare il fiume di parole che da sempre tracima in queste occasioni e riporto qui una frase della sua insegnante di canto, Elvira de Hidalgo, che descrive il primo incontro con la quindicenne Sofia Anna Maria Cecilia Kalageropoulos, non ancora Maria Callas.
 
Senza una parola di preavviso Maria si mise a cantare. Dirlo adesso può far sorridere perché si sa che è Maria Callas, ma io lo scoprivo allora, in quell’attimo.
Di colpo mi sentii all’erta, in tensione.
Quella voce, io, segretamente, la aspettavo, anzi la cercavo da anni.
Era come essere giunti ad un appuntamento. Chiusi gli occhi.
Era una violenta, eccessiva cascata di suoni, ancora incontrollati, ma drammatici ed emozionanti.
 
E chiudo con la bellissima, a mio parere, considerazione che fa Leonardo Bragaglia nella prefazione dell’ultima versione del suo libro Maria Callas, l’Arte dello stupore.
 
Davvero singolare il destino di Maria Callas. Osannata dal suo pubblico, posta sull’altare dalla critica più qualificata e qualificante, stimata dai massimi Direttori d’Orchestra e dai più celebri Registi, verrà poi offesa dai ciarlatani dei rotocalchi e pennivendoli!
Noi tutti, melomani e musicologi, teatranti e semplici spettatori, ne rimaniamo letteralmente sconcertati, amareggiati. Offesi noi stessi.

Adoro questa foto, perché ci vedo tanta umanità e poca retorica.

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L’Aida di Maria Callas 55 anni dopo. Fredda o calda?

Insomma, dopo il momento-Otello sto attraversando il momento-Aida e una delle prime incisioni che ho riesumato per l’ascolto è quella EMI del 1955, forse perché abbiamo entrambi 55 anni, non so.
Non mi ricordavo granché di questo disco, a parte una generica sensazione di soddisfazione.
Anche di questo capolavoro verdiano ho già scritto parecchio, ad esempio di una mitica rappresentazione all'Arena di Verona, diventata famosa per i Dumbo-Jet.
Poi qualche altra chiacchiera in generale, qui per la precisione, e ancora un'altra recensione semiseria dopo una recita a Trieste.

Riascoltata a distanza di tempo quest'Aida mi ha impressionato ancora di più.
Intanto per la direzione, a suo tempo assai sottovalutata, di Tullio Serafin, che io invece trovo qui in una delle sue prove più felici e riuscite.
Una direzione attentissima ai dettagli ma non per questo priva di un grande respiro teatrale e di senso della narrazione, occhio particolare al fraseggio orchestrale e alle dinamiche contrastatanti della partitura, che fa risaltare i momenti  più infuocati ma non toglie poesia a quelli più schiettamente lirici e notturni, malinconici.
Certo, poi c'è Maria Callas nella parte di Aida, mica pizza e fichi.

E qui aprirei una bella polemica, nel senso che davvero non capisco come si possa accusare il soprano, in questa registrazione, di freddezza e sostanziale estraneità al personaggio. Ma quando mai? Il Ritorna vincitor è immenso e sono di bellezza agghiacciante anche i Cieli azzurri. Eccellenti anche tutti i duetti, con Amneris, Amonasro, Radames.
Io considero la Callas una Aida formidabile solo per come accenta la piccola frase e quel sentier? nel duetto con Radames del terzo atto, figuriamoci. E la dizione addirittura mi sembra inarrivabile, per chiarezza e contributo a quel strano concetto che si noma parola scenica.
Certo se per sensualità il critico intende sospiri e manierismo stucchevole, allora con la Callas ha sbagliato indirizzo.
Radames che è interpretato da Richard Tucker che per me è ancora più convincente di quanto lo sia stato qualche anno prima (mi pare sei, ma non sono sicuro) con Toscanini. Se penso a qualche Radames odierno al quale non affiderei neanche il compito di fare la spesa…

Acuti squillanti e non solo rumorosi, accento sempre pertinente, da condottiero e da uomo innamorato con risultati ugualmente esaltanti. Bellissime mezzevoci e un canto, in generale, sempre nobile e mai sguaiato o edonistico, autoreferenziale. Una prestazione maiuscola, quella del tenore.
Molto brava anche la mia concittadina Fedora Barbieri, nella parte di Amneris. Certo, qualche acuto è leggermente stridulo ma le si perdona volentieri qualche imprecisione. Dal mio punto di vista è la cantante, tra quelle che conosco ovvio, che è riuscita a far uscire in maniera più convincente il lato prettamente femminile di Amneris: gelosamente innamorata e tradita, vendicativa e poi disperatamente pentita.
Tito Gobbi è uno di quegli artisti che io non riesco ad apprezzare e per l'intonazione sempre a rischio e per la tendenza a risolvere tutti i personaggi con troppa enfasi, diciamo così. In questo caso però il suo Amonasro, se non brilla per nobiltà, è assai riuscito per l'accento e per il vigore del fraseggio.
Bene anche i comprimari, Giuseppe Modesti e Nicola Zaccaria, rispettivamente nei panni di Ramfis e del Re. Dignitosi nelle loro piccole parti Franco Ricciardi (Messaggero) e Elvira Galassi (Sacerdotessa).
Sontuosissimi l'Orchestra e il Coro della Scala di Milano.
Anche questo è un disco che non può mancare al bravo e coscienzioso melomane.
Buon fine settimana a tutti.

Dischi storici: Il Trovatore di Giuseppe Verdi. Interessante iniziativa culturale a Trieste.

Intanto mi preme segnalare, in apertura di questo post, la bella iniziativa congiunta del Teatro Verdi e del Politeama Rossetti di Trieste, chiamata (un po’ macchinosamente, ma transeat) Romeo e Giulietta si fanno in quattro.
In poche parole si può acquistare una specie di biglietto multingresso per assistere a quattro spettacoli teatrali diversi, tutti centrati sulla storia degli amanti veronesi: il Roméo et Juliette di Gounod (lirica), l’originale Romeo e Giulietta di Shakespeare (prosa), West side story di Bernstein (musical) e il balletto Romeo & Juliet coreografato da Mauro Bigonzetti su musiche di Sergej Prokof’ev.
Mi pare una bella idea, anche visto il prezzo contenuto del biglietto.
Proseguo poi con la mia personale e stringata rivisitazione di alcuni dischi storici: questa volta tocca a Il trovatore di Giuseppe Verdi, anno di grazia 1956 edito dalla EMI.
In questa incisione c’imbattiamo in una delle performance più straordinarie di Maria Callas, che interpretava Leonora per la seconda volta in studio, dopo quella di qualche anno prima, mi pare nel 1952 ma non ne sono certo.
C’è poco da dire, è una pietra miliare dell’Arte del Canto e a questa considerazione si giunge perché è impossibile non apprezzare il magistero tecnico del soprano, la sua cura della parola scenica, tale che sembra di ascoltare per la prima volta alcune frasi (anche le più note, penso solo all’incipit celeberrimo dell’aria di sortita Tacea la notte placida), specialmente se non si sente il disco da qualche tempo. Una continua scoperta di finezze, di particolari nascosti, di accenti che rendono vivo e reale il personaggio di Leonora.
La seconda considerazione è ancora più sconvolgente, da un certo punto di vista, e cioè la Callas a più di cinquant’anni di distanza è una Leonora attuale, moderna, come la si vorrebbe sentire oggi in teatro.
C’è un abisso tra lei e i pur notevolissimi compagni d’incisione, le cui prove appaiono irrimediabilmente datate e vecchie, al di là di problemi vocali che affliggono in particolar modo Giuseppe Di Stefano, Manrico, ma anche gli altri.
 
Elvio Giudici (anche Celletti, che è ancora più intransigente) sostiene addirittura che questo è un Trovatore senza Manrico, e forse è un giudizio un po’troppo cattivo, ma sicuramente alla valutazione così severa contribuisce il confronto immediato e impietoso con la Callas.
Di Stefano avrebbe il timbro perfetto per la parte, ma non c’è nulla di più, perché mancano troppe cose per delineare un Manrico convincente: basta ascoltare il cantabile Ah sì ben mio con orecchie serene (si può dire? Mah…) per rendersene conto. Neanche nel canto spiegato il tenore riesce ad emergere, perché comunica al massimo un senso di concitata agitazione.
 
Discreta, ma non di più, la prova di Rolando Panerai quale Conte di Luna, almeno perché cerca (non riuscendoci sempre, peraltro) di non cantare tutto forte e di dare un senso musicale alla parola scritta. Buona risulta l’aria Il balen del suo sorriso.
 
La mia gloriosissima concittadina Fedora Barbieri interpreta Azucena e lo fa abbastanza bene, ma non mi convince in pieno. C’è qualche bellissima intuizione, in particolare nell’allucinata ma lucida, sorvegliata, Stride la vampa,

risolta con un accento vigoroso ed efficace, senza cachinni ed effettacci di cattivo gusto. Spesso però gli acuti sono al limite e i gravi cavernosi e artefatti.

Nicola Zaccaria, nella parte minore ma fondamentale di Ferrando, è molto bravo.
Resta la direzione d’orchestra e io, a costo di essere maledetto da chi mi legge (strasmile), sostengo che la concertazione di Herbert von Karajan (alla testa di un’Orchestra e un Coro della Scala…d’altri tempi) non mi entusiasma per nulla pur non negando che in alcuni momenti sia suggestiva.
Voglio dire che a me questa direzione pare schizofrenica, nel senso di discontinua, qualche volta pure enfatica, clangorosa e comunque priva di un fil rouge narrativo, quasi fosse un mosaico formato da pezzi singoli belli che però non si fondono in un insieme armonioso .
Il contrario insomma di ciò che sostiene Giudici, ahimé, che trova la direzione efficace e teatrale, drammaturgicamente congrua. Per me manca completamente di poesia e lirismo nelle tante pagine elegiache dell’opera ed eccede di tinte scure e tetre nelle parti più drammatiche.
Questa circostanza mi ha sempre sorpreso perché io idolatro Karajan per il suo Ring, così straordinario proprio per l’equilibrio tra luce e buio, per la perfetta simbiosi raggiunta tra orchestra e cantanti.
Tutto questo, ovviamente, è da considerarsi solo come un’opinione e nulla più.
E a proposito di opinioni, apprezzo molto questo sito dedicato a Maria Callas, curato dall’amica Marion (brava, bravissima), dateci un’occhiata perché merita davvero.
È fatto con passone, competenza ed entusiasmo e io l’aggiungo subito tra i miei preferiti.
Buon fine settimana a tutti.

P.S.
Mami (kazen) che fine hai fatto?

 

Un altro disco storico: i Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.

Questa incisione dei Pagliacci è del 1954, quindi solo di un anno successiva alla Cavalleria della quale ho parlato nel post precedente. Eppure, in un certo senso, sembra che di anni ne siano passati molti di più.
Dov’è il problema, vi chiederete (me le faccio e me le dico, mi rendo conto)?
In questa registrazione il problema ha un nome e un cognome: Giuseppe Di Stefano.
Il tenore firma una delle sue peggiori incisioni (purtroppo ce ne sono altre ancora più fastidiose), e qui non posso che concordare con Celletti e Giudici.
Di Stefano sostanzialmente urla dall’inizio alla fine, e canta mai o quasi mai, preso da un furore incontenibile che può soddisfare, oggi come allora, solo chi concepisce la lirica come un esercizio muscolare fine se stesso.
Gli acuti sono veementi ma forzatissimi e vetrosi, e in molte occasioni anche la dizione, da sempre una qualità indiscutibile del tenore, diventa un optional: le consonanti si trasformano nella rampa di lancio dalla quale sparare gli acuti, per cui anche le esigenze del fraseggio e della musicalità ne rimangono intaccate.
Resta solo la pertinenza di un accento genericamente vigoroso che comunica solo rabbia anche nei momenti in cui non è necessario.
Un Canio da dimenticare, assolutamente, soprattutto perché lo stesso Di Stefano, in altre occasioni, fu molto più convincente o addirittura magistrale.
Maria Callas, invece, scolpisce un personaggio memorabile, a mio parere. E tenete presente che questa parte (Nedda) non fu mai affrontata a teatro.
Il momento più esaltante è proprio la Ballata, perché il soprano riesce a farci sentire quella fanciulla ancora piena di speranze che c’è dietro alla sfortunata compagna di un guitto ubriacone e violento.
Qui, in questo ruolo difficilissimo e sottovalutato (come troppo spesso accade per il verismo, considerato una musica diversamente lirica) , la Callas ci lascia un’interpretazione che è una vera e propria pietra miliare del Belcanto.
Al top anche Rolando Panerai (Silvio), baritono, che canta con dolcezza mozartiana il suo ruolo d’innamorato sfortunatissimo.
C’è poi Tito Gobbi, un altro cantante mitico che non mi ha mai convinto troppo, ma che qui canta davvero bene, senza eccedere in gigionate come spesso gli succedeva, e facendo valere un accento e un fraseggio da fuoriclasse. Il suo Prologo è eccellente, anche se io non riesco a togliermi dalla mente le mirabilie

che in questo pezzo farà Giuseppe Taddei con Herbert von Karajan sul podio, una decina d’anni più tardi.
La concertazione di Tullio Serafin è sulla falsariga di quella della Cavalleria Rusticana: maestosa e teatralissima, attenta ai particolari. L’introduzione al Prologo, l’Intermezzo, l’accompagnamento alla celebre aria di Canio sono momenti magici.
Anche in questa registrazione, come nella precedente di Cavalleria, Serafin dirige l’Orchestra e il Coro della Scala: semplicemente straordinari per bellezza di suono e compattezza.
Comunque, al di là di tutto, questo è un altro disco che non può mancare nella collezione di un melomane, questo è poco ma sicuro.
Per chi ha voglia d’ascoltare, ecco qui Maria Callas nella Ballata di Nedda: sentite come con la voce illumina di gioia e speranza tutto il pezzo, come si percepisce il desiderio di una vita diversa.

 

 
NEDDA
(pensierosa)
Qual fiamma avea nel guardo!
Gli occhi abbassai per tema ch'ei leggesse
il mio pensier segreto!
Oh! s'ei mi sorprendesse…
bruttale come egli è!
Ma basti, orvia.
Son questi sogni paurosi e fole!
O che bel sole di mezz'agosto!
Io son piena di vita,
e, tutta illanguidita per arcano desìo,
non so che bramo!
 
guardando in cielo
Oh! che volo d'augelli,
e quante strida!
Che chiedon? dove van? chissà!
La mamma mia, che la buona ventura annunziava,
comprendeva il lor canto
e a me bambina così cantava:
Hui! Hui!
 
Stridono lassù, liberamente
lanciati a vol, a vol come frecce, gli augel.
Disfidano le nubi e'l sol cocente,
e vanno, e vanno per le vie del ciel.
Lasciateli vagar per l'atmosfera,
questi assetati d'azzurro e di splendor:
seguono anch'essi un sogno, una chimera,
e vanno, e vanno fra le nubi d'or!
Che incalzi il vento e latri la tempesta,
con l'ali aperte san tutto sfidar;
la pioggia i lampi, nulla mai li arresta,
e vanno, e vanno sugli abissi e i mar.
Vanno laggiù verso un paese strano
che sognan forse e che cercano in van.
Ma i boèmi del ciel, seguon l'arcano poter
che li sospinge… e van! e van! e van! e van!

 

Un saluto a tutti.

Maria Callas e Tiziano Scarpa.

Col passare degli anni ricevo sempre meno regali.
Le persone mi conoscono meglio e, giustamente, pensano: "Perché dovrei regalare qualcosa ad Amfortas?" e non trovano risposta.
Come non capirle, queste persone?
Perciò i regali me li faccio da solo, qualche volta.

Quest’anno, attirato dal prezzo davvero basso e pungolato dal totale disordine della mia discoteca, mi sono regalato questo:
Lo potete trovare qui, ad esempio.
Ho pensato tante volte di scrivere recensioni di dischi storici ma un po’ per pigrizia e un po’ perché gli avvenimenti contingenti offrono sempre buoni spunti di riflessione, non l’ho mai fatto.
Ora ho deciso, nelle fasi di stanca di notizie scriverò le mie opinioni su questi documenti straordinari, senza aver la pretesa di dire qualcosa di nuovo, ma cercando di ascoltare senza pregiudizi (nel caso della Callas quasi sempre positivi).
Alcune di queste incisioni non le sento da tempo, addirittura anni in qualche caso, quindi potrei, io per primo, essere sorpreso dalle mie reazioni.
Vi prometto che le scriverò in modo chiaro, anche se dovessero risultare indigeste ai puristi.
Nei commenti al post precedente ho preannunciato che avrei comprato e letto il libro di Tiziano Scarpa, Stabat Mater. Così è stato e mi voglio togliere subito il pensiero.
Non mi ha deluso, anzi, superato lo scoglio delle prime venti pagine, piuttosto impegnative, l’ho trovato originale nei contenuti e ben scritto.
C’è qualche incongruenza storica, ma l’autore stesso l’ammette in un’esaustiva nota alla fine del romanzo.
La protagonista si chiama Cecilia, non a caso suppongo (Santa Cecilia è la patrona della Musica) e del suo

conflitto interiore, pesantissimo, si parla in questo libro.

Io non sono affatto sicura che la musica si innalzi, si elevi. Io credo che la musica cada. Noi la versiamo sulle teste di chi viene ad ascoltarci.

Ho estrapolato questa frase che Cecilia dice per strette questioni logistiche (non anticipo nulla del libro), perché anche a me succede ogni tanto di sentirmi sepolto dalla musica, specie da quella di alcune sinfonie: la terza di Mahler, la quinta di Beethoven, ad esempio, ma anche altre di compositori diversi.
Il libro è in alcuni momenti un po’ pretenzioso e in altri inopinatamente puerile, ma è un buon libro.
Alcuni passi sono emozionanti, specialmente all’inizio.
Costa troppo, però, e se da un lato lo consiglio volentieri dall’altro suggerisco d’aspettare l’edizione economica.
Credo, per tornare al discorso iniziale, che comincerò le mie recensioni con le due opere veriste per antonomasia: Pagliacci e Cavalleria Rusticana.
Buon fine settimana a tutti.
 

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