Insomma siamo ripartiti! Vi risparmio i commenti sulle mise delle signore e so che mi vorrete male, perché probabilmente è la circostanza che vi sarebbe piaciuta di più (strasmile).
È ripresa l’attività al Verdi di Trieste, questa la notizia fondamentale. Il resto è talmente scontato che non vale la pena soffermarsi sulle sin troppo note vicende legate al Covid, che spero siano ormai definitivamente consegnate al passato. La traviata di Verdi è opera sempre gradita al pubblico e nel contesto attuale s’investe anche di un benefico effetto psicotropo, amplificato da un allestimento rassicurante – quello che tanto successo ha riportato nella tournée giapponese di qualche tempo fa – all’insegna di una tradizione forse un po’ scontata ma non banale. La regia di Mariano Bauduin deve scendere a patti con le norme del distanziamento previste per gli artisti sul palco. A soffrirne di più sono le scene di massa, in cui il coro non può dare concretezza fisica al turbinio della festa in casa di Flora; la presenza di due ballerini movimenta, invece, i festeggiamenti per il Carnevale nel terzo atto. Le proiezioni di alcuni versi delle poesie di Baudelaire (Les fleurs du mal, 1857) sottolineano la temperie culturale dell’epoca, considerato che il romanzo di Dumas da cui è tratto il libretto di Traviata risale al 1848 e che l’opera esordì nel 1853: il mal de vivre come sinestetico fil rouge di un dialogo tra linguaggi artistici diversi che si compenetrano idealmente. Il lavoro sugli artisti è minimalista, come il resto dell’allestimento, e per esempio mette in primo piano l’immediata antipatia tra il Barone Douphol e Alfredo, la freddezza di Giorgio Germont che con alterigia rifiuta l’abbraccio di Violetta e la desolata impotenza del Dottor Grenvil nel finale. Alfredo e Violetta si amano con gli sguardi e i gesti d’affetto. Una regia gradevole che però, spero solo per la prima, si è scontrata con la scellerata e rovinosa scelta di fare tre intervalli lunghissimi per consentire la distribuzione gratuita di un’edizione straordinaria del quotidiano locale, che non poteva essere pronta prima di tarda sera. In questo modo il passo teatrale è risultato claudicante e buona parte del pathos della vicenda è scomparso come le proverbiali lacrime nella pioggia di Roy Batty. Michelangelo Mazza, sul podio di un’ottima Orchestra del Verdi che ha brillato in tutte le sezioni, opta per agogiche rilassate ma curate nelle dinamiche soprattutto nei suggestivi pianissimi e nell’attento accompagnamento ai cantanti. Molto efficace il Preludio e banditi effetti clangorosi nei momenti più concitati della partitura, a conferma di una lettura intimista che ben si addice anche all’allestimento. Ruth Iniesta ha tratteggiato una Violetta convincente con la sua voce di bel timbro, una splendida musicalità e la linea di canto pulita appena appannata da qualche acuto un po’ forzato. Ottima è sembrata la recitazione e la presenza scenica. Brillante la prova di Marco Ciaponi (Alfredo), che ha uno strumento prezioso di bel colore e del giusto peso per la parte. Egregia anche la dizione e facile la salita agli acuti che forse lo ha portato a tenere troppo a lungo quello della cabaletta nel secondo atto. Voglio dire che per qualche secondo Alfredo si è trasformato in Manrico e non era necessario. In ogni caso il tenore ha un eccellente controllo delle dinamiche che gli ha consentito un’interpretazione ricca di sfumature e chiaroscuri per delineare il tormentato personaggio. Buona anche la prestazione di Angelo Veccia, che con la sua voce scura e solida ha interpretato un Giorgio Germont di grande civiltà teatrale e pertinenza stilistica anche grazie a una recitazione sobria e un eloquente fraseggio. Brava Rinako Hara, Flora vivace ed elegante. Eccellenti tutte le parti di contorno che accomuno con convinzione in un applauso virtuale: l’estroverso Gastone di Motoharu Takei, il rancoroso Barone Douphol di Andrea Binetti, il frivolo Marchese D’Obigny di Giovanni Palumbo, il partecipe Dottor Grenvil di Hector Leka e l’accorata e dolcissima Annina di ElisaVerzier. Completavano felicemente il cast Dax Velenich (Giuseppe), Giuliano Pelizon (Commissionario) e Damiano Locatelli (Domestico). Gradevole l’esibizione dei due ballerini Guillermo Alan Berzins e Marijana Tanasković e buona la prestazione del Coro. Sono previste ulteriori cinque recite in cui si alterneranno due cast diversi sino al 3 luglio.
Violetta Valéry
Ruth Iniesta
Alfredo Germont
Marco Ciaponi
Giorgio Germont
Angelo Veccia
Flora Bervoix
Rinako Hara
Annina
Elisa Verzier
Gastone
Motoharu Takei
Barone Douphol
Andrea Binetti
Marchese D’Obigny
Giovanni Palumbo
Dottor Grenvil
Hector Leka
Giuseppe
Dax Velenich
Domestico di Flora
Damiano Locatelli
Un commissionario
Giuliano Pelizon
Ballerini solisti
Guillermo Alan Berzins e Marijana Tanaskovic
Direttore
Michelangelo Mazza
Direttore del coro
Francesca Tosi
Regia
Mariano Bauduin
Orchestra, Coro e tecnici del Teatro Giuseppe Verdi di Trieste
Già alla generale di mercoledì avevo percepito qualche stranezza tra le damigelle della corte degli Stuart, ma solo ieri, alla prima, sono riuscito a realizzare cosa mi solleticava la fantasia. Ebbene sì, tra le pudiche castellane s’era intrufolato il trasgressivo Gene Simmons dei Kiss. Non mi sfugge nulla (strasmile) e proprio non riesco a essere serio, soprattutto. Abbiate pazienza (smile).
Segnalo anche che lo spostamento delle rotative fuori Trieste ha portato un beneficio ai lettori del quotidiano Il Piccolo: quest’anno non ci è stata inflitta l’umiliazione di leggere la recensione sul giornale un minuto dopo la fine dello spettacolo: no xe un mal senza un ben, si dice in vernacolo (strasmile).
Hanno detto: