Questa intervista è stata redatta nei primi giorni d’aprile di quest’anno: la pubblico perché nei prossimi giorni scriverò un post sulla prossima stagione operistica triestina.
Buon fine settimana a tutti.
Dopo aver parlato, tempo fa, con il direttore artistico del Verdi di Trieste, Dott.Umberto Fanni, è ora il turno del sovrintendente, Comm. Giorgio Zanfagnin.
Quando mi fa accomodare in ufficio, gentilissimo come sempre, è al telefono con Sandro Gilleri, direttore di produzione, che si trova in missione speciale per il teatro a Seul.
Stanno parlando di un tenore coreano, e la domanda mi sorge spontanea.
Sovrintendente, c’è la possibilità che Trieste abbia un suo direttore musicale stabile?
“No, non credo proprio, almeno nell’immediato futuro. Il teatro può contare su di un direttore artistico molto in gamba, che lavora in perfetta intesa con il segretario artistico Fulvio Macciardi ed il direttore di produzione Sandro Gilleri. Io, che coordino in armonia il lavoro di tutti, credo che un inserimento dall’esterno di un’altra figura porterebbe più seccature che altro. Dopotutto il direttore musicale è un altro consigliere del sovrintendente, ruolo che, appunto, è già soddisfacentemente coperto da queste persone.
A Trieste seguiamo questa regola: gli spettacoli in cartellone o sono visti da qualcuno di noi, com’è il caso ad esempio della Norma che debutterà a Bologna tra qualche giorno, o della Francesca da Rimini che ho visto personalmente a Zurigo, oppure sono nuove produzioni; la qualità è garantita dalla nostra competenza d’assieme.
Un grande Maestro, in tempi non sospetti, mi disse che sono in grado di valutare le voci. Ad un Trovatore, opera che noi allestiremo tra due anni, Leo Nucci confermò, come gli avevo detto, che nella sua grande aria avrebbe potuto fare meglio. Insomma non sono un musicista, ma ritengo che l’assidua frequentazione di teatri in Italia ed all’estero mi consenta di valutare con ragionevole competenza.
Inoltre, praticamente io vivo in questo teatro, sono il primo ad entrare e l’ultimo ad uscire. Se c’è un problema da appianare, che ne so, con gli orchestrali o gli artisti, sono sempre pronto ad intervenire.
Anche con i registi…”
In che senso?
“Voglio dire, proprio perché sono un appassionato prima di tutto, mi sforzo di valutare con gli occhi dello spettatore. Se qualcosa non mi quadra (e qui mi fa l’esempio di uno spettacolo recente n.d.r) cerco di far capire al regista che quel particolare a Trieste non passerebbe l’esame del pubblico. Alla fine, sono io che firmo l’assegno del compenso no? Certo, all’inizio c’è un po’ di resistenza in nome dell’Arte (ride), però poi i miei consigli sono recepiti.
Il recente allestimento dei Pescatori, ad esempio, è stato accolto bene da tutta la stampa specializzata per quanto riguarda la riuscita generale, con l’unica eccezione di un importante critico musicale per motivi…ignoti ai più. I Pescatori, che sono stati una nostra produzione, non si rappresentavano a Trieste da trent’anni, ebbene, oltre alla soddisfazione insita proprio in questa circostanza specifica abbiamo avuto il piacere di contare all’ultima recita 1100 spettatori, in un teatro che ha una capienza teorica di 1200 persone.”
Però, in quest’immagine idilliaca, il mio dovere di cronista mi obbliga di ricordare che quest’anno c’è stato qualche screzio con il Rossetti. Si doveva allestire un lavoro importante per il prossimo Festival dell’Operetta, ed i contrasti con Antonio Calenda sono stati insormontabili.
“Direi più che altro ci sono stati dei malintesi. Vede, quando io ho assunto l’incarico, una delle priorità era di resuscitare il cadavere del Festival, e l’abbiamo fatto.
Non solo, dati alla mano, è stata un’operazione economica vantaggiosa perché il teatro ci ha guadagnato in prestigio ed anche dal punto di vista economico.
Io, come amministratore, ho bisogno di dati certi, mentre nell’ambiente della lirica e del teatro si va molto a parole, diciamo così. Mi sembravano maturi i tempi per organizzare qualcosa di significativo (To be or not to be n.d.r.) con il Rossetti, con il richiamo di un grande nome.
Ho detto: “Troviamo un titolo, dividiamoci in modo chiaro i compiti, di questo si fa carico il Verdi quest’altro spetta al Rossetti”. Insomma, chiedevo chiarezza, è peculiarità del mio mestiere di dirigente.
Dopo trattative estenuanti e colloqui lunghissimi, ancora non si conosceva la musica del titolo scelto. Ora, io non posso accettare a scatola chiusa uno spettacolo, devo sentire se piace e se corrisponde alle aspettative. Voglio dire, non mi risulta ci sia in circolazione né un nuovo Verdi né un nuovo Donizetti, e pure tra questi artisti straordinari alcune cose si possono definire riuscite di più ed altre di meno.
Insomma, non avevo nessuna certezza ed intanto la scadenza utile per un’organizzazione seria s’avvicinava. Ed i cantanti, i contratti da firmare? La regia e tutto il resto?
Ho chiesto allora al Rossetti il punto della situazione, ma nel documento che mi è stato consegnato non ho ravvisato sufficienti certezze.
Un giorno apro il giornale e leggo che il carissimo amico, perché tale rimane (ed infatti quest’anno ha firmato una nostra regia), Antonio Calenda, direttore del Rossetti, dichiara che il Verdi non collabora. Ma come? Io ho solo chiesto chiarezza, perché devo in ogni caso fare i conti con il bilancio e non posso aggravare una situazione che solo con un lavoro di risanamento meticoloso sono riuscito a raddrizzare!
Comunque, auspico che tutto sia solo rimandato all’anno prossimo, quando si festeggerà il quarantennale del Festival dell’Operetta, una scadenza importante per una tradizione culturale che ha visto coinvolti, negli anni passati, sia il Verdi sia il Rossetti.
Sarà organizzata, assieme all’Associazione Internazionale dell’Operetta, anche una mostra itinerante, che toccherà Abbazia, Graz, Vienna, Budapest, il background culturale della città di Trieste.”
Passiamo ad altro: prima della sua gestione, il Verdi, tra le altre cose, produceva i DVD degli spettacoli. C’è la possibilità che in futuro quest’iniziativa sia ripresa?
“Anche qui, purtroppo, ho potuto toccare con mano che in passato era stato organizzato tutto in modo dilettantesco. Le faccio un esempio: non più tardi di qualche giorno fa, abbiamo patteggiato con gli avvocati di una nota artista una cifra consistente, 23.000 euro. Sono produzioni costose, perché tutti gli artisti, giustamente, reclamano una cointeressenza ed i diritti d’autore. Tutto costa, l’unica cosa che ci può fare da veicolo pubblicitario gratuito sono i programmi sul genere di “Prima della prima” o “Loggione”, perché restano nei limiti del cosiddetto “diritto di cronaca”.
In ogni modo, anche per queste iniziative stiamo cercando d’organizzarci con un’agenzia di Milano ed insieme a Maurizio Nichetti, ma solo, almeno per il momento, per le operette. Purtroppo è tutto molto difficile, perché noi non siamo la Scala di Milano, che gode di contributi enormi da parte del Comune, ma anzi siamo, a livello di contributi, i più maltrattati delle 14 Fondazioni Liriche italiane.
Per fortuna, anche se dal punto di vista sostanziale non cambia molto, il nostro pubblico è invece il più affezionato al teatro: percentualmente, la cifra che abbiamo incassato con il 5 per mille è di gran lunga la più elevata in Italia. È un segnale forte che ci conforta e ci spinge a lavorare al meglio ed in ogni occasione, pubblica o privata, d’incontro, io cerco d’incentivare questa sorta d’autofinanziamento.”
Questa stagione è stata segnata in modo pesantemente negativo da innumerevoli scioperi nei teatri, mentre a Trieste è filato tutto liscio. Siamo stati bravi o fortunati?
“Allora, noi siamo stati i primi ad inaugurare la stagione, in novembre, con Ernani. Io su quest’inaugurazione ho lavorato molto, avremmo rischiato, in caso di cancellazione, che un’intera generazione di triestini non vedesse quest’opera di Verdi. Ci sono state tensioni notevoli, ma alla sua domanda io rispondo che tutti, ripeto tutti, sono stati bravi. Tra la sovrintendenza ed i sindacati si è instaurato un rapporto basato sulla fiducia, corroborato dal fatto che noi non abbiamo mai fregato nessuno. Inoltre tutti sanno che seppur in campi diversi, io ho sempre lavorato e lo dimostro ogni giorno qui in teatro. La mia filosofia in poche parole è questa: riduzioni di personale? Non se ne parla nemmeno. Dobbiamo lavorare meglio in maniera che eventuali sacche d’inefficienza siano riassorbite nell’interesse generale comune. Questo teatro esiste e fa davvero cultura da 207 anni, le pare che possa diventare un contenitore vuoto dove s’importano spettacoli da fuori, si mettono quattro pompieri di vigilanza ed arrivederci a tutti? Qui ci sono più di 300 lavoratori, dove ora è seduto lei forse, a suo tempo, sulla stessa sedia c’era Verdi. Quindi bisogna lavorare per noi, per il futuro, risparmiare ovunque, anche a costo di spegnere le luci in corridoio quando non servono. Ancora, anche tra i sindacati ci sono differenze, lei lo sa. Ecco, se c’è stato un merito è proprio questo: riuscire a far passare, con la mia mediazione, il concetto di bene comune.
Ovviamente non posso escludere che in futuro ci sia qualche incomprensione che porti a problemi, ma le garantisco che farò di tutto, per rispetto al pubblico ed a Trieste, per evitare che ciò avvenga.”
Il suo sogno nel cassetto, sovrintendente?
“Oddio, non ne ho, nel senso che le cose stanno andando addirittura meglio delle previsioni, quindi già questo è un sogno realizzato. Tenga presente che quando sono arrivato, praticamente non c’erano i soldi per le paghe!
Ancora oggi stiamo andando avanti come un’automobile con il freno a mano tirato, capisce?
Ecco qui la lista dei miei sogni (mi mostra un foglio).
È la lista dei miglioramenti che abbiamo già apportato, una lista che io aggiorno quotidianamente.”
Lei è innanzitutto un appassionato, ha girato i teatri di tutto il mondo, c’è un’opera che vorrebbe vedere a Trieste, in particolare?
“Le rispondo con dei titoli che, a meno di sconvolgimenti al momento imprevedibili, si faranno nelle prossime stagioni a Trieste: Francesca da Rimini, Aida che non s’allestisce da tantissimo tempo perché è un lavoro costoso, L’italiana in Algeri, Norma, Fille du Regimént. Poi, mi scusi, non, con tutto il rispetto, un’altra Traviata o una Bohéme, ma sempre orientando le nostre scelte su titoli desueti a Trieste. Sono in programma Fanciulla del West, Trovatore, Romeo et Juliet, Anna Bolena, probabilmente un Tannhäuser, Gioconda. E con cantanti e direttori d’assoluto rilievo internazionale: parlo della formidabile coppia Dessì-Armiliato, di Nello Santi. Recentemente ho parlato con José Cura ad esempio, e stiamo lavorando insieme ad un progetto di respiro internazionale per un Otello. Questi sono i nomi, capisce? Poi, Rheingold, Guillame Tell, la Maria Stuarda per chiudere la trilogia donizettiana. Sa, per tornare alla sua domanda precedente, quale sarebbe un sogno che s’avvera? Trovare un grande sponsor, come c’è a Vienna la Lexus, per esempio. Incentivare le coproduzioni, che sono un’operazione economicamente vantaggiosa per tutti, come si è visto anche quest’anno con la Rondine di Puccini ad esempio, che ha debuttato alla Fenice e che tornerà da noi a fine stagione.”
Ecco, si chiude qui questa che è stata più che un’intervista una chiacchierata amichevole tra appassionati di opera, arricchita da tantissime considerazioni off record, gustosi aneddoti sull’imprevedibilità del teatro, ed anche una piccola sfida. Ad un certo punto, quando ho affermato che nella mia famiglia la passione per la musica c’è sempre stata, tanto che una zia si chiamava Norma, il sovrintendente ha fatto una domanda a me: “Come si chiama, di cognome, il mio collega dell’Opera di Roma?”
Ernani! – ho risposto subito.
Elementare, Watson, siamo tra professionisti.
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