Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi delle etichette: Poli

Macbeth di Giuseppe Verdi al Teatro Verdi di Trieste: le pulsioni sessuali inibite alla meta portano a disastri.

Opera ricca di simboli, di oscuri presagi, notturna, livida, piena di atmosfere oniriche e di pulsioni sessuali inibite alla meta: queste sono le caratteristiche che danno il mood al Macbeth di Verdi tratto dalla tragedia di Shakespeare. È da qui che bisogna partire per capire la brama di potere e di sangue che avvolge e distrugge la coppia protagonista e la rende perfetto archetipo della banalità del male.
Non c’è interpretazione registica che prescinda da queste considerazioni e non vale solo per la lirica, ma anche per il cinema; si pensi al film di Orson Welles o dell’adattamento in stile giapponese del Trono di sangue di Akira Kurosawa.
Al Teatro Verdi di Trieste è stato ripreso dopo dieci anni lo storico allestimento restaurato da Benito Leonori – le scene sono di Josef Svoboda –  e diretto da Henning Brockhaus, con i costumi di Nanà Cecchi e le coreografie di Valentina Escobar.
Sinceramente non ricordo se siano state apportate modifiche allo spettacolo, ma di certo nel caso non sono risultate sostanziali. Per questo motivo riporto ciò che scrissi a suo tempo anche se, obiettivamente – sarà l’età, mia intendo – le lunghe pause e gli intervalli per i cambi di scena mi sono parsi assai invadenti: tre ore e mezza per Macbeth sono davvero tante.


Brockhaus lavora per sottrazione, con pochi elementi scenici e molte buone idee coniuga felicemente l’esigenza di evidenziare il lato onirico e psicanalitico del dramma, che è ovunque striato di incubi e allucinazioni, contrapponendolo a una specie di manovalanza meccanica del male che mi ha ricordato l’incedere narrativo di qualche film di Michael Haneke in cui la malvagità diventa folle normalità.
Tutto è pervaso da un’atmosfera di malato e tetro erotismo, di gusto quasi gotico alla quale contribuiscono anche le interessanti proiezioni, lo splendido impianto luci (sempre di Brockhaus) e gli scarni ma funzionali costumi di Nanà Cecchi. La chiave di lettura della regia balza agli occhi all’entrata della Lady, la quale striscia sul palco, mi verrebbe da dire, strega tra le streghe.
Streghe che sono ossessivamente presenti (anche con acrobatiche evoluzioni aeree), veri e propri personaggi del dramma com’è sacrosanto che sia.
Mi sento di fare solo un appunto alla regia, e cioè la scelta di far leggere il testo della lettera da entrambi i protagonisti  – espediente non nuovissimo peraltro, da Strehler in poi – interpretati da voci registrate, ma siamo proprio a livello di sensibilità personali. L’allestimento, nel complesso, tradisce l’età (l’originale nasce nel 1995) solo per i cambi scena piuttosto lunghi che tendono a smorzare un po’ l’attenzione.

Fabrizio Maria Carminati, ben noto e apprezzato a Trieste, è uno degli ultimi custodi della nobile tradizione esecutiva italiana e anche in questa circostanza ne ha dato prova evidente. L’Orchestra del Verdi – eccellente in tutte le sezioni – ha nel DNA quel quid che risponde al nome di suono verdiano, ma le dinamiche sono sembrate spesso attenuate e uniformi. Il che, tanto per intendersi, è pur sempre meglio di clangori ed esplosioni bandistiche che con la musica di Verdi non c’entrano nulla. Forse, ma potrebbe essere che la mia infelice collocazione in un angolo in terza fila incida sul mio parere, al Macbeth di Carminati sono mancati un po’ di sangue, un pizzico di pancia, una spruzzata di ruvidezza. Del resto alle prime è spesso così, il direttore prende le misure ed eventualmente apporta aggiustamenti.
Straordinaria la prova del Coro, assai impegnato anche scenicamente, che ha cantato in modo splendido nonostante gli ormai cronici problemi di organico. Paolo Longo, alla testa del coro triestino, può essere più che soddisfatto del suo lavoro.

Ho trovato buona Silvia Dalla Benetta nella parte della diabolica Lady. Il soprano negli ultimi anni ha cambiato repertorio assecondando la naturale evoluzione del suo strumento. La pasta vocale è però pur sempre quella di soprano leggero di coloratura e di conseguenza le agilità di forza richieste dalla parte sono sembrate non proprio fluide ma comunque convincenti. Il registro centrale è sontuoso, gli acuti ancora brillanti ma con meno “punta” di un tempo. Però, e dal mio punto di vista è ciò che conta, la sua Lady emoziona per il coinvolgimento scenico e lo scavo sulla parola. Lo sleepwalking mi è sembrato riuscito, caratterizzato da un fraseggio mobilissimo e da colori cangianti del timbro che a volte – opportunamente – assumeva connotazioni infantili, come di una donna in preda a un’angosciante regressione psicologica.
Convincente anche il rendimento di Giovanni Meoni il quale, pur arrivando affaticato al finale della grande aria del quarto atto, ha creato un personaggio credibile nella sua pavida dipendenza dalla consorte che, come noto, lo manovra in modo spietato. Meoni è nel pieno della maturità artistica e perciò a proprio agio anche in una recitazione rattenuta e minimalista che ben si attaglia a una parte ombrosa, cupa, che il baritono completa con un canto sommesso e sussurrato.



Ragguardevole la prova di Dario Russo, che ha interpretato con voce da vero basso verdiano il personaggio di Banco; l’artista è sembrato a proprio agio anche dal lato scenico nella bellissima scena dell’agguato e nelle successive apparizioni.
Molto bravo Antonio Poli nei panni, sempre piuttosto difficili da indossare, di Macduff. Tutti aspettano l’aria del quarto atto, che il tenore ha portato a termine con efficacia nell’acuto finale ma facendosi apprezzare anche nel recitativo.
Sufficiente Gianluca Sorrentino, Malcolm corretto ma meno incisivo del solito.
Bene i coprotagonisti: Cinzia Chiarini (Dama della Lady) e Francesco Musinu (Medico) che con i loro pertichini hanno dato ulteriore tensione alla scena del sonnambulismo.
Le parti minori, che trovate in locandina, sono state al pari dei numerosi mimi e figuranti all’altezza di una serata che ha raccolto un notevole successo in un teatro pressoché esaurito.

MacbethGiovanni Meoni
Lady MacbethSilvia Dalla Benetta
MacduffAntonio Poli
BancoDario Russo
Dama di Lady MacbethCinzia Chiarini
MalcolmGianluca Sorrentino
MedicoFrancesco Musinu
Domestico di Macbeth/ApparizioneDamiano Locatelli
Sicario/ApparizioneGiuliano Pelizon
AraldoFrancesco Paccorini
  
ApparizioniIsabella Bisacchi, Maria Vittoria Capaldo, Sofia Cella, Crisanthi Narain
  
DirettoreFabrizio Maria Carminati
  
Direttore del coroPaolo Longo
  
RegiaHenning Brockhaus
SceneJosef Svoboda
Ricostruzione dell’allestimento scenicoBenito Leonori
CostumiNanà Cecchi
CoreografieValentina Escobar
  
  
Orchestra e coro del Teatro Verdi di Trieste
  
Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti dal Maestro Cristina Semeraro



Pubblicità

Recensione seria di Die Zauberflöte (Il Flauto magico) di Mozart alla Fenice di Venezia: ovvero gli esami non finiscono mai.

I miei fan mi perdoneranno, ma oggi salto la parte più interessante e cioè quella che riguarda l’orrida Venezia, perché ieri c’era tanta gente che mi devo ancora riprendere dall’ansia. Vi dico solo che davanti a me, in platea, c’era Paolo Bonaiuti che batteva il tempo sulla moglie che gli stava seduta vicino. Una tragedia agghiacciante. E io posso pure sfidare i gabbiani assassini ma i politici no eh? Quindi abbiate pietà (strasmile).

3jqus1445263830
Leggi il resto dell’articolo

Recensione semiseria della Traviata di Giuseppe Verdi alla Fenice di Venezia: Patrizia Ciofi su tutti.

Dopo una breve pausa estiva è ripresa l’attività del Teatro La Fenice, in quell’orrida Venezia croce e delizia – mai citazione fu più appropriata (smile) – del qui presente (si fa per dire) Amfortas.
Partitura Traviata
Leggi il resto dell’articolo

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: