Venerdì scorso al Verdi di Trieste, con L’italiana in Algeri di Gioachino Rossini, è calato il sipario sulla stagione operistica 2008/2009.
Vi chiederete – Perché, Amfortas, pubblichi la foto della copertina della partitura? –
Beh –rispondo- perché immagino che neanche il direttore Dan Ettinger abbia aperto il fascicolo, avrei dovuto farlo io (strasmile)?
Solo così, infatti, si può spiegare la sciagurata lentezza dei tempi scelti da Ettinger, che è riuscito ad annoiarmi già dalla sinfonia iniziale.
E sì che il direttore israeliano pare essere, almeno a giudicare dalla pettinatura, una persona che sta molto attenta ai dettagli, seppure con risultati discutibili dal punto di vista estetico (capelli biondo platinato stile punk con ricrescita da afroamericano, un Johnny Rotten sul podio, ultrasmile.
Eccolo qui nella versione sobria dalla sua home page su facebook).
Vabbè, non è certo questo il problema, si scherza, Maestro!
È che un Rossini piatto, privo di contrasti dinamici, monocorde, non funziona.
Peccato, perché Ettinger aveva a disposizione una compagnia di canto buona con punte d’eccellenza.
Prima di ragionarci sopra però spendo un paio di parole per l’allestimento di
Pier Luigi Pizzi, qui ripreso da
Paolo Panizza, che oltre alla regia firmava pure scene e costumi (
qui le foto del Teatro Verdi).
Insomma, nulla di speciale.
La classica rivisitazione nel solco della tradizione; scena fissa, coro perlopiù schierato sullo sfondo, costumi che tendono ad esaltare giustamente la figura della protagonista, Isabella, sempre vestita da Diva eccentrica e volitiva. Anche alla regia, forse, mancava un po’ di brio, ma bisogna pur tener conto che è il lavoro è ormai vecchiotto, i gusti si evolvono. Rimane comunque uno spettacolo scorrevole, senza pacchianate o baracconate di regime.
Dal lato musicale,
Daniela Barcellona, che rientrava da protagonista nella città natale, era attesissima.
La sua è un’ Isabella è di gran classe, sobria ma determinata, anche nel gesto scenico ma soprattutto impeccabile dal lato vocale. L’aria di sortita, Cruda Sorte, è stata affrontata con l’indispensabile cautela, ma già nella maliziosa cabaletta l’artista ha dimostrato che non è solo “chiacchiere e distintivo” (scusate, ho rivisto per la centesima volta Gli Intoccabili qualche giorno fa, smile).
Ottima poi nelle altre arie celeberrime, Per lui che adoro e Pensa alla Patria. In tutta l’opera Daniela è apparsa in gran forma: agilità fluide, fraseggio preciso, registro acuto sicuro, disinvoltura scenica e ottimo gusto. La voce poi è bellissima e non lo scopro certo io, accidenti! Molti applausi a scena aperta hanno sottolineato la sua prestazione.
In particolare sono molto contento perché la Barcellona è parsa sicura negli acuti, che le hanno dato qualche problema in passato. La puntatura finale in Pensa alla Patria ne è testimonianza.
Una prova davvero rilevante, tra le migliori alle quali ho assistito quest’anno dal vivo.
Potrei dire la stessa cosa per
Lawrence Brownlee, che ha dato una lezione di canto rossiniano, semplicemente.
Il tenore americano ha una voce gradevole, non enorme certo, ma proiettata magnificamente. Acuti facili a dir poco, dizione nitida, linea di canto immacolata. Non si percepisce alcuna forzatura, non c’è mai quello sgradevole senso di disomogeneità tra registri vocali che invece si percepisce in alcuni suoi colleghi anche più acclamati. Tra l’altro il bravo Lawrence non si è fatto certo sconti nella coloratura, anzi. Dopo il Languir per una bella il pubblico si è esaltato, e alle prime triestine non succede di frequente.
Ho notato con piacere che rispetto alle ultime esibizioni la voce, specialmente nel registro centrale, si è irrobustita, diventando così più virile e corposa. Bravo!
Paolo Pecchioli era nei panni del Bey Mustafà, una parte che è insidiosa perché spesso gli interpreti vanno in overacting, volgarizzando un personaggio che non richiede lazzi inopportuni, ma solo brio e vivacità.
Il basso non ha, a mio parere, una grande personalità né uno strumento particolarmente prezioso, però la sua prova è stata complessivamente discreta. La voce in alcune occasioni è sembrata velata, poco incisiva. Brillante invece nel difficile sillabato rossiniano, che spesso ho sentito risolto in un indistinto gargarismo assai fastidioso. Bene negli acuti, un po’ cavernosi e sofferti i gravi.
Paolo Bordogna è un basso buffo che s’ispira in modo evidente al grandissimo Enzo Dara nella gestualità e, se non vuole strafare come l’anno scorso nel Turco in Italia, è oggi uno dei pochi artisti (insieme a
Alfonso Antoniozzi, per esempio) che riesce a divertire con classe ed intelligenza. La voce è di timbro quasi tenorile, timbrata e sonora. Il suo Taddeo, personaggio sfigato come pochi, esce bene nella connotazione di cicisbeo sempre preso in mezzo tra le furbate di Isabella e l’ardore ormonale di Mustafà (non so che significhi ciò che ho scritto, però suona bene, smile).
Qualche forzatura in acuto si è percepita nella prova, comunque discreta, del soprano Carla Di Censo, Elvira, la moglie momentaneamente ripudiata di Mustafà. Nei concertati la sua voce spiccava, comunque.
Bravo pure il basso baritono Marco Camastra, incisivo nella piccola parte di Haly e buon interprete dell’aria Le femmine d’Italia, cantata con gusto mentre sullo sfondo erano proiettate le immagini di alcuni quadri famosi che io, ignorante come pochi in questo campo, non ho riconosciuto (urge un corso che mi dia almeno un’infarinatura sull’argomento, mannaggia).
Completava il cast il mezzosoprano Elena Traversi, che è sembrata dignitosa nella breve parte di Zulma.
Bene il Coro, ma ormai non fa più notizia. La compagine triestina, diretta dal serio e bravo Lorenzo Fratini, è una sicurezza per il futuro del Verdi di Trieste.
L’orchestra triestina si è espressa ad ottimi livelli e credo sia da sottolineare il rendimento complessivo in tutta la stagione, perché sul podio, quest’anno, ne ha viste davvero tante.
Pubblico non particolarmente numeroso, parecchi i posti vuoti in platea, circostanza dovuta, credo, all’imminente lungo ponte (f)estivo.
Trionfo per Daniela Barcellona e Lawrence Brownlee, successo pieno per tutti gli altri.
Quando ho tempo,
come ho fatto l’anno scorso, assegnerò i premi ai protagonisti della stagione che si è appena conclusa, nella forma nazional-popolare e stucchevole che mi è consueta: il miglior soprano, il peggior regista ecc.
So che non aspettate altro… (strasmile)
Buona settimana a tutti.
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