Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Mini recensione semiseria di Tristan und Isolde al Festival di Bayreuth 2009.

Non mi soffermo in questa sede sulla genesi del Tristan und Isolde o sull’amore infelice di Wagner per Matilde Wesendonck, sarebbe troppo complicato.
Invece sottolineo come ieri, una volta di più, abbia apprezzato il magnifico lavoro di Guido Manacorda e la comodità del libretto dell’opera pubblicato dalla Sansoni. La mia copia costava 7 Lire nel 1940, pensate un po’!
Andiamo subito alla recensione, anzi, alla mini recensione semiseria della recita che ha inaugurato il Festival di Bayreuth 2009.
La trasmissione è stata abbastanza disturbata nel primo atto, non è la prima volta che succede nelle dirette [qualcuno dirà che è stato un bene, visto il rendimento della Theorin (smile)].
Ovviamente le mie opinioni sono da prendere con le molle, è evidente che l’ascolto radiofonico è un ascolto monco, difficile capire se c’è equilibrio tra voci ed orchestra ad esempio, e poi manca la dimensione teatrale.
La direzione di Peter Schneider, che non s’inventa nulla di nuovo restando nel solco di una solida tradizione, in qualche momento mi è sembrata un po’troppo concitata e fragorosa, ma davvero è difficile valutare attraverso l’ascolto radiofonico. Forse il momento migliore è stato il Preludio, diretto in maniera asciutta e spedita.
Robert Dean Smith, ormai un veterano del repertorio wagneriano pur essendo ancora giovane [insomma, ha un anno meno di me, ma così mi tiro un po’ su di morale (smile)], è parso di gran lunga il miglior cantante della serata.
L’accento è nobile, e mi è piaciuto come ha reso lo smarrimento di Tristan dopo aver bevuto il filtro d’amore.
Nel lunghissimo duetto del secondo atto si è sentita qualche tensione in acuto, ma anche qui molto meglio il tenore che il soprano. Il terzo atto del Tristan, si sa, è una specie di trappolone gigante per i tenori, si ricordano disastri anche negli ultimi anni (Storey e Heppner, tanto per fare un paio di nomi). Dean Smith, invece, pur senza esaltare, ha retto bene sino alla fine e anzi, in alcune occasioni mi ha sorpreso per la capacità di gestione dei fiati.
È un nuovo idolo del canto wagneriano? No, ma è un buon cantante e gli va dato atto.
Non mi ha convinto per nulla la caratterizzazione di Irène Theorin che, forse nel tentativo di rendere il temperamento febbrile di Isolde, ne fa un’isterica assai poco nobile. Gli acuti erano sempre forzati e schiacciati e sostanzialmente m’è sembrata vociferante ed urlante, in particolare nel primo atto.
Questa sensazione di precarietà vocale è stata confermata nella celeberrima Mild und Liese, durante la quale ho temuto seriamente che la voce si rompesse in più occasioni. Ovviamente, in queste condizioni, il fraseggio e il legato risultano assenti, la cantante era troppo concentrata a dosare le forze.
Non capisco come mai a Bayreuth, che dovrebbe essere una vetrina d’eccellenze artistiche, non si trovi una Isolde migliore, ce ne sono sicuramente, ad esempio Janice Baird.
Il basso Robert Holl, Re Marke, comincia con un attacco bruttissimo il suo lungo monologo e manifesta poi qualche serio problema d’intonazione. Diciamo che si è salvato perché non ha sbracato e si è mantenuto su un livello discreto di civiltà interpretativa.
La stessa considerazione vale per la Brangane abbastanza anonima di Michelle Breedt.
Sufficiente Jukka Raislainen (Kurwenal) e a livello di minimo sindacale tutti gli altri.
Nel complesso questo Tristan non mi pare degno d’essere ricordato con particolare entusiasmo. Non so se in teatro la sensazione possa essere stata molto diversa dalla mia, ma lo metto in conto, perché so benissimo che in sala la situazione può cambiare anche di molto.
Oggi, sempre alle 15.57 su RADIO3, c’è la diretta dei Meistersinger, speriamo che il livello artistico sia complessivamente più elevato di ieri.
Buona giornata a tutti!
 
 
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I’m in a Bayreuth state of mind. Sabato 25 luglio si apre il Festival di Bayreuth con Tristan und Isolde.

Sabato prossimo ricomincia l’annuale rito del Festival di Bayreuth.
Quest’anno, come argutamente sottolinea daland, sembra che ci sia un po’d’Italia anche sulla collina sacra (smile). Speriamo bene.
Si comincia con Tristan und Isolde, una delle opere che amo di più e quindi è imprescindibile l’ascolto radiofonico, su RADIO3, che merita una volta di più un plauso e gratitudine da tutti i melomani.
Appuntamento alle 15.57 di sabato 25 luglio, quindi.
Seguirà, credo, la consueta recensione semiseria.
Qualcuno mi ha chiesto nei giorni scorsi un consiglio discografico per questo straordinario capolavoro. Non è facile, anche perché le edizioni sono molte e io ci trovo un pregio in tutte (smile).
Diciamo che, a mio parere, non si può prescindere dalla Isolde di Birgit Nilsson,
di cui ci sono diverse testimonianze. Se dovessi sceglierne una consiglierei quella, un po’tardiva per quasi tutti i protagonisti ma forse per questo così preziosa, diretta proprio a Bayreuth nel 1966 da Karl Böhm.
Qui la Nilsson, accusata spesso di una qual freddezza da certa critica, ammorbidisce il suo canto e il suo strumento fenomenale in un lirismo sfocato e sfuggente, presago di sventura dalla prima frase e pur radiosissimo e sensuale nel duetto, ad esempio. Un’interpretazione che non esito a definire sconvolgente.
Gli altri protagonisti sono tutti a livelli eccellenti, a mio parere.
Il Tristan di Wolfgang Windgassen è memorabile, meravigliosa la Brangäne di Christa Ludwig, ottimi sia Eberhard Wächter (Kurwenal) sia Martti Talvela (Re Marke).
La direzione di Böhm è magnifica: non indugia in effetti retorici ma anzi snellisce, se così si può dire, la sterminata partitura wagneriana. Manca il colpo di genio? Probabilmente sì, ma non se ne sente la mancanza, con quegli interpreti.
L’appassionato wagneriano che c’è in me sta scalpitando, perché indico un solo titolo. In realtà ce ne sarebbero tante, di registrazioni memorabili, ma non la finirei più di scrivere.
Lascio un ascolto, non il famoso Liebestod questa volta, ma l’altrettanto emozionante Preludio, nell’interpretazione di Daniel Barenboim in occasione della prima alla Scala di Milano nel 2007.
A presto!

Recensione, quasi seria, di Tristan und Isolde.

L’ho sempre detto, l’opera va vista in teatro, perché codesto è il luogo deputato all’ascolto e poi al giudizio.
Però ieri, straordinariamente, la televisione ha aggiunto una dimensione al consueto ascolto radiofonico e quindi la mia opinione, perché di questo si tratta e ci tengo a sottolinearlo, può essere più sfumata e ricca di sensazioni.
Allora, com’è stato questo Tristan und Isolde?
La prima risposta, di getto, è che è stata una serata meravigliosa.
Una direzione orchestrale di bellezza stordente, per cominciare.
Daniel Barenboim ha diretto l’orchestra della Scala, apparsa in gran spolvero come da anni non la sentivo, con un magistero tecnico tale da consentire leciti paragoni con i nomi che hanno fatto la storia delle esecuzioni di quest’opera a Milano: Victor de Sabata in primis, Carlos Kleiber poi.
Il suo maggior merito è stato, oltre alla sobrietà e l’efficacia del gesto, l’evidente intenzione di servire la musica umilmente e di favorire i cantanti sul palcoscenico nel rispetto della partitura wagneriana. È riuscito a tirar fuori dall’orchestra tutte le sfumature utili a far “vivere” al pubblico l’alternanza metaforica di luce e buio, d’amore e morte, che sono l’essenza stessa del Tristano.
Poi la regia di Patrick Chéreau, magnifica nell’ambito di un’opera difficilissima da dirigere perché statica, senza scene di massa o spettacolari. I cantanti si muovevano tutti con la coscienza di rendere un servigio a Wagner, più che al proprio lavoro.
Ancora, le scene di Richard Peduzzi, funzionali e bellissime, essenziali senza cadere nella trappola di un vieto minimalismo troppo spesso caricatura di se stesso.
I costumi di Moidele Nickel e le luci di Bertrand Couderc hanno contribuito in modo decisivo a comprendere, a mio parere, il disegno registico complessivo: la realizzazione di un atemporalità per un lavoro che è senza tempo, come tutte le grandi opere d’Arte.
Gli interpreti sono stati quasi tutti all’altezza di una tale serata.
Il soprano Waltraud Meier ha sviluppato, come anticipato nel post precedente, un Isolde nervosa, tesa, disperata. I suoi acuti non sono folgori, ma il fraseggio, l’accento!!! La capacità attoriale! La sensualità disperata, la nobiltà!
Waltraud è Isolde, e basta, non è necessario dire altro.
Il tenore Ian Storey ha voce scura, un po’anonima, ma il suo Tristan commuove per intensità drammatica.
La parte è tra le più temibili in assoluto, specie nel terzo atto, una specie d’agonia cantata per quattro ore. In un paio d’occasioni è mancato, anche lui, negli acuti, molto forzati.
Ebbene? Un artista non si giudica per una singola nota non riuscita, sia chiaro una volta per tutte!
Ciò che conta è che esca il personaggio che deve interpretare, tutto il resto sono chiacchiere.
E proprio da questo punto di vista è mancata Michelle De Young, la Brangäne di ieri sera: ed allora sì che anche le mende vocali sono da sottolineare con la penna rossa. La voce ballava, e c’era pure qualche difetto d’intonazione.
Ho trovato, con il mio metro di giudizio, assolutamente ineccepibile il Re Marke di Matti Salminen: addolorato, nobile, dotato di una presenza scenica mirabile.
Gloria del canto wagneriano, il basso finlandese ha fornito un’altra prova all’altezza della sua fama, conquistata a suon di successi nei teatri di tutto il mondo.
Discreti, ma ad un livello diverso dai protagonisti, tutti gli altri: il baritono Gerd Grochowsky ( Kurwenal) ed il tenore Will Hartmann ( Melot).
Ho pianto molto: nella scena finale, ed era scontato. Ma anche in altri punti, e non dirò quali, solo perché è una cosa che deve restare mia.
Da ultimo, voglio segnalarvi un’altra recensione, che è stata redatta da appassionati con i quali, a suo tempo, ho avuto scontri durissimi a livello personale e di valutazione artistica.
Questi uomini e donne (una) hanno una visione molto diversa dalla mia dell’Arte del Canto, ma sono competenti e scrivono bene; leggerli è comunque un arricchimento.
Comunque, la vita mi sembra troppo complicata per alimentare rancori con chi condivide la stessa passione.
Potenza della Musica di Wagner.
 

Tristan und Isolde, la Montagna Incantata in Musica.

Oggi, alle ore 17, il canale “Classica” di Sky trasmette in diretta (visibile a tutti, anche a chi non è abbonato) “Tristan und Isolde” di Richard Wagner, titolo che inaugura la stagione scaligera.
Molti ricorderanno l’inaugurazione dell’anno scorso con Aida, pessima ma lodata oltre ogni limite della decenza dalla critica ufficiale e da Rutelli & Co. Poi, alla seconda recita, la fuga di Roberto Alagna che era stato contestato da qualche loggionista, ha rivelato a tutti quella verità che la sparuta minoranza scrivente dei veri appassionati aveva già sottolineato.
Il “Tristan und Isolde” è una delle vette più alte dell’Arte “tout court”, aldilà del mio gradimento personale per Wagner e per la musica lirica, bisogna dirlo subito. È come un dipinto di Raffaello o una scultura di Michelangelo, patrimonio dell’umanità.
Wagner compose quest’opera mentre era follemente innamorato di Mathilde Wesendon(c)k e, a proposito del suo lavoro, le scrisse così:
 
“Bambina! Questo Tristano sta diventando qualcosa di spaventoso! Quest’ultimo atto! Temo che vietino l’opera, a meno che il tutto non sia messo in parodia da una cattiva rappresentazione: solo rappresentazioni mediocri potrebbero salvarmi. Se fossero perfette, potrebbero far impazzire gli spettatori!”
 
Scriveva Nietzsche in "Ecce Homo": “Ma ancora oggi vado in cerca di un’opera che abbia il fascino pericoloso, la dolce e tremenda infinitezza del "Tristano" – la cerco in tutte le arti, e invano. Tutti i misteri di Leonardo da Vinci, perdono la loro magia alla prima nota del "Tristano".
 
Carducci disse: “La morte d’Isotta è per me superiore a tutto quel che ho mai sentito in musica”.
 
Vorrei, senza soffermarmi troppo su tecnicismi incomprensibili ai più, considerare molto brevemente la figura di Isolde.
Chi è questa donna?
È una nessuna e centomila, da un certo punto di vista. Sicuramente è una donna molto amata.
Non esiste, a mio modestissimo avviso, una cantante che abbia dato di Isolde una lettura definitiva: ci sono invece tante interpreti che hanno connotato il personaggio Isolde delle sfumature che erano più nelle loro corde ( vocali, in questo caso) d’artista.
Tra le più grandi di sempre, la mia preferenza va a Kirsten Flagstad (direttore Wilhelm Furtwängler), Birgitt Nilsson (Georg Solti) e Margaret Price ( Carlos Kleiber).
Ognuna di queste interpreti illumina il personaggio Isolde con il fascio di luce della propria arte ma, allo stesso tempo, ne lascia un lato inesplorato, oscuro.
Kirsten Flagstad è forse quella che sottolinea meglio il viaggio metaforico dalla vita alla morte, dal giorno alla notte, dalla luce al buio.
Birgitt Nilsson seduce con lo splendore del suo strumento vocale, che sembra sottindere una straripante bellezza fisica.
Margaret Price è romantica, fragile, giovane, ma anche leggermente rassegnata all’ineluttabile finale tragico.
Alla Scala, domani sera, Isolde sarà interpretata da Waltraud Meier, che frequenta il personaggio da molto tempo con risultati eccellenti.
Con ogni probabilità tratteggerà la sua Isolde in maniera più fruibile al grande pubblico, liberando sentimenti forti di dolore e rabbia, sulla scia dei precedenti illustri di Astrid Varnay e Marta Mödl.
Questo è tutto ( e credetemi, è davvero poco!).
Ascoltate il preludio, il duetto d’amore ed il monologo del Re Marke del secondo atto, il tragico e meraviglioso finale dell’opera, il famoso “Mild und Leise”.
Per me, quest’opera rappresenta in campo musicale ciò che "La Montagna Incantata" significa in letteratura. Qualcosa che è diventato parte di me, tanto che ho scritto di getto questo post e non lo rileggo neppure.
Se ho sbagliato qualcosa, "mi corriggerete" (uargh e strasmile).
Insomma, provateci.

Un’altra coperta.

Il mio amico Pietro Bagnoli, dal momento che la sua professione di medico gli lascia molto tempo libero (smile), si è preso la briga d’inventarsi un nuovo sito operistico che, a mio avviso, non dovrebbe mancare nella lista dei preferiti di tutti gli appassionati melomani.

Entrambi siamo wagneriani fradici, e questo va detto subito ma, nel suo spazio virtuale, Pietro affronta con grande professionalità anche le vicende e le incisioni di altri Compositori.

Inoltre ha una grandissima devozione per i cantanti storici e si può tranquillamente definire uno studioso dell’argomento.

L’ultima recensione in ordine di tempo si riferisce ad una delle opere che mi sono più care, il Tristan und Isolde di Richard Wagner.

Tutti i più grandi direttori d’orchestra si sono cimentati con questo vero e proprio monumento musicale, e non è certo un caso che in questa edizione sia presente sul podio Antonio Pappano, forse il più autorevole direttore wagneriano (e non solo, ci mancherebbe pure, Giorgia) dei nostri giorni.

In questo periodo la mia coperta di Linus è proprio quest’opera, anche se ad un profano potrebbe sembrare almeno singolare che una composizione musicale così cupa e drammatica sia adatta a tirarmi su il morale.

Ma è proprio questo il miracolo della Musica, cioè la capacità di fornire slanci positivi, anzi propositivi, anche quando l’argomento è la Morte, mistero inviolato destinato a restare tale.

Non voglio addentrarmi in una discussione tecnica, ma semplicemente esprimere, come ho già fatto in un altro post recente, i miei ringraziamenti ai tanti artisti che mi sono stati vicini in questi giorni, in particolare alle donne che hanno interpretato, nel corso degli anni, l’enigmatico, straordinario, straziante personaggio di Isolde.

Ed allora grazie a Kirsten Flagstad, Birgit Nilsson, Margaret Price, Waltraud Meier e Nina Stemme. (wagneriani all’ascolto, lo so che ce ne sono state altre di grandissime, ma io ho ascoltato queste!)

Allego, per i più volenterosi (smile), un filmato tratto da un concerto di Birgit Nilsson.

Buona settimana, e grazie a tutti per il vostro sostegno manifestato in pubblico ed in privato.

Mia moglie è molto più in forma di me, e questo tranquillizzi tutti.

Mild und leise wie er lächelt, wie das Auge hold er öffnet seht ihr’s, Freunde? Säh’t ihr’s nicht? Immer lichter wie er leuchtet, sternumstrahlet hoch sich hebt? Seht ihr’s nicht? Wie das Herz ihm mutig schwillt, voll und hehr im Busen ihm quillt? Wie den Lippen, wonnig mild, süßer Atem sanft entweht: Freunde! Seht! Fühlt und seht ihr’s nicht? Höre ich nur diese Weise, die so wundervoll und eise, Wonne klagend, alles sagend, mild versöhnend aus ihm tönend, in mich dringet, auf sich schwinget, hold erhallend um mich klinget? Heller schallend, mich umwallend, sind es Wellen sanfter Lüfte? Sind es Wogen wonniger Düfte? Wie sie schwellen, mich umrauschen, soll ich atmen, soll ich lauschen? Soll ich schlürfen, untertauchen? Süß in Düften mich verhauchen? In dem wogenden Schwall, in dem tönenden Schall, in des Weltatems wehendem All, ertrinken, versinken unbewusst, höchste Lust!

 

“Lieve, sommesso come sorride, come l’occhio dolce egli apre, lo vedete amici? Non lo vedete? Sempre più limpido come esso brilla, e raggiante d’una luce stellare si leva verso l’alto? Non lo  vedete? Come il cuore a lui baldanzosamente si gonfia, e pieno e maestoso nel petto gli sgorga? Come alle labbra, voluttuosamente miti, un dolce respiro lievemente sfugge. Amici! Vedete! Non lo sentite, non lo vedete? Odo io soltanto questa melodia, che così meravigliosa e sommessa, voluttà lamentosa tutto esprimente dolce conciliante, da lui risuonando penetra in me, e verso l’alto si libra e dolce echeggiando intorno a me risuona? Queste armonie più chiare che mi circondano, sono forse onde di miti aure? Sono forse vortici di voluttuosi vapori? Come esse si gonfiano e mi circondano  del loro sussurro, debbo io respirarle, prestar loro ascolto? A sorsi berle, sommergermi? Dolcemente in vapori dissiparmi? Nell’ondeggiante oceano nell’armonia sonora, nel respiro del mondo, nell’alitante Tutto…naufragare…affondare…inconsapevolmente…suprema letizia!”

 

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