Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Appendice alla recensione del Macbeth a Salisburgo.

L’amico Alucard, fedele lettore di questo blog, si è offerto spontaneamente di tradurre in inglese la mia recensione semiseria del Macbeth di Salisburgo. Immagino che la sua motivazione principale sia rendere nota urbi et orbi la mia pochezza, ma sapete come si dice, basta che se ne parli (strasmile).
Scherzi a parte, lo ringrazio pubblicamente.

In giornata, credo, pubblicherò un piccolo post sulla controversa Adelaide di Borgogna al ROF, intanto ecco di seguito il Macbeth.

The Macbeth of Giuseppe Verdi is considered as one of those operas impossible to perform today, because one believes that there are no singers who can match up to performances, which have gone down to history. In this cases, there is always a name that comes up: Maria Callas, who, left an indelible imprint on the role at La Scala in Milan in 1952, with an extraordinary Victor de Sabata conducting. Leggi il resto dell’articolo

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Recensione semiseria ed espressa del Macbeth di Giuseppe Verdi dal Festival di Salisburgo 2011.

Il Macbeth di Giuseppe Verdi è una delle tante opere che oggi si ritengono ineseguibili, perché si pretende che non ci siano cantanti all’altezza di spettacoli ormai passati definitivamente alla storia. Leggi il resto dell’articolo

Ernani al Comunale di Bologna: approfondimento, seconda parte.

La mia trasferta a Bologna per questo Ernani, del quale peraltro non ho ancora letto una sola recensione positiva, è in forse.
La mia colonna vertebrale è come una faglia sismica, ogni tanto ha bisogno di rilasciare energia e ieri mattina c’è stata la…scossa. Ne consegue che sono dolorante e quindi il viaggio potrebbe essere difficile da affrontare, deciderò last minute.

Continuo però nella pubblicazione della seconda parte dell’approfondimento, potrà sempre tornare utile in futuro.

Credo sia interessante notare come in quest’opera la concezione drammaturgica verdiana sia scoperta, rivelata.
I protagonisti sono subito connotati caratterialmente al loro primo apparire in scena. A seguire una breve analisi. Leggi il resto dell’articolo

Ernani di Giuseppe Verdi a Bologna: un piccolo approfondimento.

Domani a Bologna la prima dell’Ernani di Giuseppe Verdi, che si potrà ascoltare in diretta alle 20.00 su RADIO3. Io sarò in sala il 19 maggio, quindi rimando la recensione alla settimana prossima. Nel frattempo dedicherò un paio di post all’opera.
Qualche volta i lettori mi chiedono approfondimenti.
Beh, forse è il caso di accontentare qualcuno e, una tantum, di far accaponare la pelle alla maggioranza (strasmile). Leggi il resto dell’articolo

Recensione semiseria e prolissa dell’Aida di Giuseppe Verdi al Maggio Musicale Fiorentino.

Beh, intanto bisogna notare che la qualità della trasmissione RAI è stata scandalosa, per lunghi tratti fuori sincrono, un orrore tale che spesso ho dovuto chiudere gli occhi perché altrimenti venivo distratto dall’ascolto. Poi si può andare avanti.

Il neofita potrebbe pensare che Aida sia un’opera di facile esecuzione, poiché si rappresenta spesso e ovunque, dal Manzanarre al Reno, ma non è vero, anzi! Leggi il resto dell’articolo

Un esercito di prodi affronta Aida al Maggio Fiorentino.

Questa sera su RAI5, Aida in diretta da Firenze. Il sito del Maggio scrive che si potrà vedere anche in streaming: chi vivrà vedrà!
Lo so che è una puntualizzazione sciocca, però nonostante ciò che si dice qui, l’Aida è un’opera di Giuseppe Verdi. Tutti gli altri, per quanto possano essere bravi e/o famosi, vengono dopo.
Lo ribadisco perché poi uno si può trovare davanti a qualcosa del genere:

Ecco la famigliola di elefanti volanti!

e pensare che l’ha partorita Verdi (strasmile).

Recensione semiseria della Traviata di Giuseppe Verdi: la Violetta di Daniela Dessì.

Il caso vuole che solo oggi pubblichi questo post scritto già da un mese, circa.

Lo dico per prevenire chi potrebbe, non senza ragione, farmi notare che proprio nell’ultimo numero di Opera -il noto mensile – ci si occupa, tra le altre cose, dello stesso argomento.
In realtà, quando ho ascoltato questa Traviata il primo pensiero è andato a questa triste vicenda di un anno e mezzo fa.
Sì perché la Violetta di Daniela Dessì avrei voluto vederla in teatro, oltre che ascoltarla in compact disc.
A questo proposito i soliti soloni hanno detto e scritto, con quell’aria di sufficienza che me li rende particolarmente simpatici, che non si sentiva la necessità di un’altra incisione di Traviata.
Io mi oppongo fieramente perché Daniela Dessì non è artista che si possa liquidare con una battuta di dubbio gusto. Anzi, lo dico subito, questa incisione avrebbe meritato un direttore più partecipe dello smidollato-sia detto col sorriso sulle labbra- John Neschling qui impegnato. Il direttore brasiliano infatti è responsabile di una concertazione che si può definire evanescente, routinaria, senza infamia né lode e soprattutto freddissima e priva di personalità.
Traviata Dessì-Armiliato
Circostanza che stride molto proprio con l’interpretazione forte e appassionata di Daniela Dessì, che omette giustamente il mi bemolle di tradizione che chiude il primo atto, scontentando i fanatici della lirica vista alla stregua del salto in alto o del sollevamento pesi, ma inventandosi una “sua” Violetta nel solco della tradizione delle grandi primedonne. Una Violetta che ha una sua firma riconoscibile, tutt’altro che l’ennesima Traviata.
L’accento e la cura del fraseggio, l’attenzione alla parola scenica sono da sempre le armi migliori del soprano e davvero in alcuni momenti – Dite alla giovine, Addio del passato – è impossibile trattenere la commozione di fronte a tanta eloquenza e partecipazione e, più che altro, si maledice il momento in cui a Zeffirelli è venuto in mente di fare lui la primadonna (smile).
Poi, prima che i puristi del belcanto vengano qui a marcare il territorio con le loro pisciatine, dico subito io che oggi gli acuti di Daniela Dessì suonano saltuariamente striduli. E quindi? Questa è una Violetta con i fiocchi, signori, non scherziamo! Ammirevole come il soprano non butti via una frase, ma dia rilievo anche agli incisi salottieri che precedono la festa iniziale.
Ci metto pure una bellissima foto della sua Tosca alla Fenice, un paio di anni fa.
Tosca alla Fenice, 30.05.08
Fabio Armiliato è nei panni di Alfredo Germont e il tenore affronta la parte con cipiglio forse un po’ troppo fiero, più adatto a un Radamès o addirittura a uno Chénier. Ed effettivamente il repertorio attuale di Armiliato è oggi quello del tenore lirico spinto o drammatico (a giorni debutta Otello, dopo lunghi anni di studio, in bocca al lupo!). A mio gusto, comunque, meglio un eccesso di temperamento che l’ignavia di tanti tenorini (s)lavati con la candeggina prestati a Verdi che si sentono sin troppo spesso in giro.
La cabaletta del II atto per esempio, seppure appunto cantata con grande vigore, è efficace, convincente. Nei duetti invece il personaggio è meno a fuoco, perché manca un po’di abbandono e tenerezza.
Molto bravo, ma non è certo una novità poiché l’ho appezzato anche recentemente dal vivo, Claudio Sgura.
La parte di Giorgio Germont è insidiosa e se c’è una cosa che non sopporto è quando il baritono trasforma il padre di Alfredo in una specie di orco sbavante, perché proprio significa non avere idea della psicologia del personaggio. Sgura è invece attento a mettere in risalto anche le contraddizioni, i dubbi, del vecchio genitor.
Sono di buon livello tutti gli artisti che completano la compagnia di canto, e tra di loro mi fa piacere segnalare le ottime prove di Annunziata Vestri (Flora) e Luca Casalin (Gastone).
L’Orchestra del Teatro Regio di Parma si distingue per il bellissimo suono, qualità maturata in un repertorio che conosce a menadito, mentre il Coro del Teatro Municipale di Piacenza è solo corretto.
La registrazione è piuttosto buona, anche se in qualche occasione la voce dei solisti è troppo in primo piano.
Un’osservazione finale: non sono ferrato sui meccanismi che regolano le politiche di vendita delle case discografiche, però mi pare che il cofanetto sia troppo caro. Peccato.
Buon fine settimana a tutti.

Recensione abbastanza seria dei Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi al Regio di Torino: l’impegno civile di Davide Livermore.

I Vespri Siciliani sono sicuramente una delle opere verdiane più difficili da mettere in scena, non è certo una novità.

Il Teatro Regio di Torino – inspiegabilmente “scoperto” in questi giorni da molti appassionati e addetti ai lavori, quando invece è da anni il miglior teatro italiano per intelligenza di proposte e capacità di realizzarle – ha proposto quest’anno un allestimento dell’opera che ha goduto di grande visibilità per i contemporanei festeggiamenti per l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
I biglietti sono pressoché esauriti da tempo, quindi la decisione di trasmettere in diretta televisiva la recita di ieri sera (la prima si è svolta il 16 marzo) sul digitale terrestre (RAI Storia) è stata particolarmente gradita.
Purtroppo, come si temeva dopo le testimonianze dei presenti alla prima, il soprano Sondra Radvanovsky ha dovuto dare forfait per un malanno ed è stata sostituita dalla collega del cast alternativo, Maria Agresta.
Bisogna dirlo subito, la sostituta è stata molto brava e gliene va dato atto.
Il soprano ha una voce di timbro gradevole, probabilmente sottodimensionata per la parte, acuti sicuri, discreta dizione e bella presenza scenica. Solo il registro grave è apparso inadeguato e la cantante, infatti, tendeva a scompaginare nelle note basse la sua linea di canto: insomma, come si dice in gergo in modo non troppo elegante, sbracava un pochino.
La Agresta ha cantato bene l’aria di sortita “In alto mare battuto dai venti”, la successiva “Arrigo, ah parli a un core” e un po’ meno bene il Bolero del quinto atto, ma nel complesso è stata credibile nella parte e la voce nei concertati passava bene l’orchestra.
Inoltre la prestazione, in un contesto scenografico almeno singolare, è risultata di buon gusto e la sua Elena in linea con le esigenze dello spettacolo.
Gregory Kunde è un artista di levatura straordinaria e ci sono numerose testimonianze discografiche, live e in studio, che lo confermano. Da qualche tempo ha deciso di allargare il repertorio ed esplorare i territori, pericolosi assai, del lirico spinto.
La parte di Arrigo è forse la più difficile (e pure tanto lunga!) tra quelle scritte da Verdi per la voce di tenore.
Kunde ha lottato tutta la sera con gli acuti, spesso presi di forza e dando la sensazione di faticare molto, però ne è uscito da grande cantante anche quando è dovuto rifugiarsi nel falsetto, come nel finale dell’opera (ma, per favore, ricordo che quello è un re naturale, non una notarella qualsiasi!).
Una prestazione di buon livello, alla fine, anche se sicuramente il tenore non sarà ricordato per questa parte.
Franco Vassallo ieri sera non mi ha convinto nei panni di Guido di Monforte. Il personaggio si presterebbe a un’interpretazione che ne metta in luce le mille ambiguità e tormenti, ma il baritono ha scelto la strada, per certi aspetti, più comoda, e cioè quella di cantare tutto forte. In questo modo esce la protervia, la violenza insita nel personaggio, ma si tralasciano troppi particolari importanti.
La voce non è preziosissima né per volume né per colore, inoltre, e quindi la scelta d’interpretare il personaggio sulla scia dell’esempio di altri baritoni di un passato anche recente, ma che potevano contare su doti vocali migliori, non è stata felice. La bellissima aria del terzo atto “In braccio alle dovizie” è parsa incolore, piatta e nel duetto che segue con Arrigo ho sentito solo concitazione e poco altro.
Buona la prestazione di Ildar Abdrazakov nei panni di Giovanni da Procida. Forse il basso è, tra gli artisti impegnati in questa produzione, quello che ha mostrato la linea di canto più pulita.
La voce è piuttosto chiara ma sonora e l’emissione morbida, mai forzata. Ben riuscita la grande aria “O tu Palermo” e sempre pertinente e azzeccato l’accento.
Per quanto riguarda i comprimari, che mi sono parsi di livello modesto, vi rimando alla locandina.
Magnifica la direzione di Gianandrea Noseda, sul podio di un’ottima Orchestra del Regio, sin dalla bellissima Ouverture iniziale. Tutto ha funzionato benissimo, compresi gli impegnativi concertati. Particolare attenzione il direttore ha dedicato all’accompagnamento ai cantanti, sempre sostenuti da un’orchestra che suonava per sostenerli senza compiacimenti e clangori.
Molto bene anche il Coro, assai impegnato anche dal punto di vista scenico.
La regia di Davide Livermore meriterebbe, almeno per rispetto nei suoi confronti, un post a parte. Non ne ho il tempo, però. In Rete si trovano con facilità discussioni in merito, esagerazioni comprese.
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Non temo le decontestualizzazioni, anzi, trovo che siano uno strumento utile per mantenere in vita il teatro lirico.
La mia idea è che Livermore abbia messo troppa carne al fuoco e lo spettacolo in alcuni momenti sia confuso, con qualche scivolata di troppo nella retorica nazionalpopolare. Livermore spara metaforicamente a troppi bersagli (la politica, la televisione, la mafia ecc ecc) e si rischia l’effetto saturazione e, soprattutto, che le scene distolgano dalla musica.
Però è anche uno dei pochi registi che sa leggere una partitura in primis e poi non lascia nulla al caso ma anzi pretende molto da tutta la compagnia artistica. Grazie a questo lavoro minuzioso lo spettacolo si svolge sino alla fine in modo coerente con le dichiarazioni che ha rilasciato prima, durante e dopo la serata.
Dichiarazioni improntate di un impegno civile che merita attenzione e non scherno.
Mi pare che il pubblico, almeno ieri sera, abbia tributato un grandissimo successo a questi Vespri.
Io la mia opinione l’ho detta, buon fine settimana a tutti.
 
 

Recensione abbastanza seria di Verdi arias, il nuovo cd di Sondra Radvanovsky.

Dopo le polemiche estenuanti e stucchevoli dei giorni scorsi, è ora di andare avanti.
Speravate vero che la bora di questi giorni mi avesse portato via? E invece no.
Ursus

Evidentemente sono più saldo di questa piattaforma portuale, che è andata a farsi un giretto per il Golfo di Trieste!

Una delle tante conseguenze del disamore, non certo la più grave, nei confronti dell’opera lirica è che non si vendono più dischi o se ne vendono pochissimi e quindi non se ne incidono: la solita storia del gatto che si mangia la coda. I costi della sala di registrazione sono troppo alti e alle major discografiche non interessa fare beneficenza.
Anni fa la situazione era diversa e infatti possiamo contare su tante incisioni, effettuate anche da cantanti non memorabili.
Oggi invece, artisti di valore assoluto rischiano di non lasciare traccia ufficiale delle loro capacità.
La prova è che questo recital di Sondra Radvanovsky, Verdi arias, è la prima e per ora unica incisione in studio del soprano americano, tra l’altro non ancora distribuita in Italia; io ho dovuto ordinarla qui.
Ho sentito per la prima volta dal vivo la Radvanovsky al Verdi di Trieste, nel 2007, in occasione dell'apertura di stagione con l’Ernani in cui debuttava il personaggio di Elvira. Prima, l’artista aveva già esordito in Italia nel 2004 mi pare, avevo ascoltato solo qualche registrazione pirata e mi aveva fatto una bella impressione.
Quella sera quando attaccò la sortita di Elvira rimasi subito colpito dal volume della voce, che negli spazi non enormi del teatro triestino trovai addirittura torrenziale, e dal timbro particolare, un po’ asprigno, che rende l’artista immediatamente riconoscibile all’orecchio dell’appassionato. Sensazione poi confermata dalla brillantissima prova quale Leonora nel Trovatore all’Arena di Verona, la scorsa estate.
Il volume, soprattutto se il repertorio d’elezione è Verdi, è un fattore importante.
cover
La Sondra, come la chiamo confidenzialmente io-ragazza simpatica e intelligente, poco incline al divismo- ha però altre frecce al suo arco.
La più rilevante è una gestione della respirazione perfetta che le consente di legare le lunghe frasi melodiche verdiane con facilità, ma anche la tecnica che le permette di smorzare la voce anche a notevoli altezze sul pentagramma e inoltrarsi in filati e pianissimi che non si sentono di frequente, di questi tempi, nei teatri. Soprattutto è difficile che siano dote di voci così importanti e voluminose, contemporaneamente ampie ed estese.
Ovviamente Sondra non è immune da difetti, essendo pure lei umana.
Il primo è la dizione, spesso tipicamente yankee e comunque un po’ approssimativa senza essere meravigliosamente scandalosa come la Caballé o la Sutherland.
Il secondo è il vibrato stretto, che in teatro si percepisce meno che in registrazione a dire il vero, ma che indubbiamente è sempre presente quando la voce sale agli acuti. Poi, che a me non dia troppo fastidio è una questione di gusti personali.
Oggi Sondra Radvanovsky è il soprano drammatico di riferimento, a parer mio, e speriamo che dopo la bella Tosca alla Scala di Milano, parte in cui anche chi valuta gli artisti col bilancino del farmacista ha avuto poco da eccepire, possa confermare il proprio valore nei panni di Elena nei Vespri Siciliani al Regio di Torino.

Ma veniamo al nuovo disco nel quale propone alcune arie celebri verdiane, accompagnata da Constantine Orbelian sul podio della Philarmonia of Russia.
L’Orchestra è molto disciplinata ma il direttore non riesce mai a trarne quel suono che si definisce verdiano, che è costituito in primis da un fraseggio orchestrale intenso e mobile, che accende di vigore le cabalette per esempio, o che ammanta di malinconia i grandi momenti più elegiaci.
Una direzione onesta che non lascia il segno e qualche volta pare frigida, come nella splendida introduzione all’aria di Amelia. Inoltre, ma è probabile che in questo ci sia lo zampino, anzi la manina, di Sondra, i tempi sono molto dilatati col risultato che manca la tensione narrativa, il pathos. E certo in questi passi s’apprezza il virtuosismo nei pianissimi, nelle messe di voce, di una Radvanovsky leggermente auto compiaciuta.
Diciamo che si tratta di un accompagnamento ad personam (strasmile).
Terribile il Coro, che sembra davvero quello degli alpini con tutto il rispetto per gli alpini (smile), e rovina la meravigliosa Vergine degli angeli cantando forte o fortissimo, l’opposto di ciò che voleva Verdi.
La Radvanovsky è magnifica in tutte le arie, con l’unica eccezione appunto del brano appena citato, in cui canta adeguandosi al Coro quando invece dovrebbe sussurrare esprimendo emozionato raccoglimento e serenità.
cover 1
Ovvio che nelle arie dal Trovatore, da Ernani e dai Vespri, che sono le “sue” opere, sia particolarmente a proprio agio: nelle agilità di forza delle cabalette che si beve con facilità, nei recitativi curati anche nella dizione.
Il rendimento è però molto alto anche nella parte di Aida, in quel gioiellino che è Non so le tetre immagini dal Corsaro e soprattutto nella grande aria dalla Forza del destino i cui esiti straordinari fanno sperare che presto debutti la parte di Leonora anche in teatro.
Interlocutoria invece l’interpretazione dell’aria del Ballo in maschera, nel senso che stranamente per i suoi standard manca di calore e risulta piuttosto piatta.
Nel complesso quindi molte luci, alcune davvero abbaglianti, e qualche piccolissima ombra.
E, mi preme rilevarlo perché è importante, tutti i personaggi sono stati affrontati anche in teatro con l’unica eccezione della Leonora della Forza e di Medora del Corsaro.
A questo punto faccio un augurio al teatro della mia città nel quale, quando ancora si chiamava Teatro Grande, il 25 ottobre 1848 ebbe luogo la prima assoluta del Corsaro di Giuseppe Verdi. Sarebbe bello che un domani trovi le risorse per ospitare il debutto di Sondra nella parte, come già ha fatto per Elvira.
Oggi sembra fantascienza, ma bisogna essere ottimisti no?
Un saluto a tutti e speriamo che i veleni scaligeri siano, almeno per il momento, messi da parte.

Questa la tracklist:
VERDI ARIAS
Sondra Radvanovsky, soprano
Constantine Orbelian, conductor
Philharmonia of Russia
Academy of Choral Art, Moscow

Il Trovatore: “Tacea la notte” • “D’amor sull’ali rosee”
Un ballo in Maschera: “Ecco l’orrido campo… Ma dall’arido stelo divulsa”
Il Corsaro: “Non so le tetre immagini”
La Forza del destino: “Pace, pace, mio Dio!” • “La vergine degli Angeli”
Ernani: “Ernani, Ernani involami”
Aida: “O patria mia”
I vespri siciliani: “Arrigo! Ah, parli a un cor” • “Bolero”

Recensione piuttosto seria della Messa di Requiem di Giuseppe Verdi a Trieste.

La recensione della Messa di Requiem di Giuseppe Verdi manda in archivio, diciamo così, quest’altro post.
Chissà, forse non è un caso. Comunque, quello che segue è dedicato a mio padre.

Presso la Sala de Banfield Tripcovich, il Teatro Verdi di Trieste ha rischiato l’organizzazione del Requiem di Verdi-rischiato perché non disponeva di una compagnia di canto di primissimo piano- e ha vinto almeno parzialmente la scommessa.
Innanzitutto rilevo come i prezzi fossero realmente popolari (da 10 a 25 euro, davvero una cifra ragionevole), circostanza che ha favorito un’ottima affluenza di pubblico-la sala era praticamente esaurita-e inoltre finalmente ho visto tanti giovani in teatro e non posso che esserne felice.
La genesi del lavoro è complessa, ma basterà ricordare che il Requiem fu eseguito per la prima volta il 22 maggio 1874 a Milano, primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, di cui Verdi era un grande ammiratore.Rovaris1s
Sul podio di un’Orchestra del Verdi in grandissimo spolvero sia per compattezza sia per il suono bellissimo, c’era il M° Corrado Rovaris, che ha diretto con mano felice e ispirata una partitura difficile, in cui è fondamentale più del solito-se possibile-trovare equilibrio tra le masse orchestrali, il coro e i solisti.
L’obiettivo è stato raggiunto, seppure con qualche distinguo dovuto a un’evidente disparità di attuale valore artistico tra i solisti.
E prima che me ne scordi, sottolineo subito la magnifica prova del Coro, che ha contribuito in modo fondamentale alla riuscita della serata, dimostrando tra l’altro di saper cantare piano e con dolcezza e non solo forte o fortissimo, come talvolta ho sentito affermare da qualche inutile parolaio.
Un plauso quindi anche a Alessandro Zuppardo, che dirige la compagine triestina.
Ma veniamo ai solisti.
DongwonShin1s
Il tenore Dongwon Shin era evidentemente non all’altezza della situazione non tanto perché qualche nota è uscita sporca, ma piuttosto perché la sua organizzazione vocale non gli ha consentito il rispetto dei segni d’espressione previsti. I tentativi di cantare con dolcezza sono approdati solo a un falsetto abbastanza fastidioso, del tutto inappropriato alla parte. Per assurdo, l’Ingemisco cantato tutto forte e con gli acuti ghermiti sui si bemolle, è stato il momento in cui l’artista coreano è riuscito a mascherare in qualche modo il suo disagio.
Lim1s
Buona la prestazione del giovane basso Simon Lim, che ha palesato voce potente anche se un po’ carente di armonici e timbro gradevole, oltre che pronuncia discreta e dizione scandita. Il suo Confutatis maledictis ha lasciato il segno per proprietà d’accento.
Bocharova1s
Non straordinaria la prova di Elena Bocharova, che mi ha convinto pienamente (forse perché ha goduto della mia momentanea e dissimulata emozione, smile) nel Recordare.
La voce sembra salire con relativa facilità agli acuti mentre nei gravi l’artista abusa del registro di petto, col risultato che qualche suono esce piuttosto sgradevole e orchesco.Moore1s
Per quanto riguarda Latonia Moore, che dire. Prestazione ottima e abbondante (smile).
Il soprano americano, ben noto a Trieste anche per la quasi contemporanea bellissima prestazione quale Lucrezia Contarini nei Due Foscari (ma fu anche brillante Elvira nell’Ernani, in alternanza a Sondra Radvanovsky), è una di quelle artiste che vorrei vedere (e sentire) su palcoscenici più prestigiosi, dove spesso invece si esibiscono, per motivi arcani, soprani di livello ben più modesto.
Voce di colore affascinante, acuti facili e una prima ottava bella incisiva e sonora, come non è dato spesso d’apprezzare. Magnifico, nell’ambito di una prova maiuscola, il Libera me.
Pubblico, come dicevo numerosissimo, in visibilio, che ha tributato un trionfo a tutti con ripetute chiamate al proscenio.
L’appuntamento è ora con il Samson et Dalila, il 18 febbraio. Speriamo bene!
 

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