Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: agosto 2022

Al Festival di Portogruaro Beethoven e Brahms incendiano il pubblico. Ottima prova del Trio di Parma e dell’Orchestra da camera di Perugia

Arrivato felicemente alla quarantesima edizione, il Festival Internazionale di Musica di Portogruaro – di cui il pianista Alessandro Taverna è Direttore artistico – è una delle manifestazioni più longeve e amate del Triveneto. Come si dice in questi casi, il lavoro e la qualità pagano.
A conferma di quanto appena scritto anche in occasione di questo concerto il Teatro Luigi Russolo era pressoché esaurito e il clima emotivo era sereno e festoso.
Il programma era diviso in due parti. Nella prima il Trio di Parma e l’Orchestra da camera di Perugia hanno eseguito il celeberrimo Concerto per violino, violoncello e pianoforte in do maggiore op. 56, universalmente noto come Triplo concerto.
Prima dell’inizio, Enrico Bronzi, che storicamente è il violoncello del Trio, ha spiegato che recentemente si era infortunato a una spalla e che perciò si sarebbe limitato – si fa per dire – a dirigere l’orchestra. Al suo posto ha suonato, brillantemente, Giovanni Gnocchi.
Il Triplo concerto è una di quelle pagine musicali di transizione tipica dei primi anni dell’Ottocento, ma la mano di Beethoven si riconosce subito sino dall’importante introduzione orchestrale dell’Allegro iniziale.
Come osservato da molti musicologi, al violoncello è assegnata una parte solistica non solo preponderante rispetto a violino e pianoforte, ma anche estremamente impegnativa.
E nel Largo successivo se ne ha conferma, col violoncello che regge l’impianto di tutto il movimento esplorando virtuosismi audaci e, al contempo, mantenendo morbidezza, lirismo e cantabilità.
Il Rondò che chiude il concerto è, come spesso succede, ricco di suggestioni folcloriche e di danza popolare, che rendono un’atmosfera gioiosa e brillante.
Enrico Bronzi ha guidato con gesto sicuro la buona Orchestra da camera di Perugia, esuberante e giovanile come i suoi componenti. Ottima, in particolare, mi è sembrata la prestazione degli archi gravi. In evidenza anche gli altri due solisti, con il brillante violino di Ivan Rabaglia e il composto ed efficace Alberto Miodini al pianoforte.
Dopo l’intervallo è toccato a Johannes Brahms, qui colto nella giovanile Serenata n 1 per orchestra in re maggiore op 11, che è caratterizzata da una tersa serenità appena screziata da qualche ripiegamento riflessivo del secondo movimento.
Anche in questo caso c’è stato un buon feeling tra podio e orchestra, ma forse Bronzi avrebbe potuto osare di più non tanto nelle dinamiche, ben equilibrate, quanto nelle agogiche che sono parse a tratti un po’ pigre soprattutto nel Rondò finale. In ogni caso l’esecuzione è stata di buon livello e mi piace segnalare il brillante   rendimento dei legni.
Di là delle insignificanti osservazioni in puro stile Beckmesser, la musica dal vivo è meravigliosa proprio per la sua imperfezione, la serata è stata accolta dal pubblico trionfalmente. Le numerose chiamate al proscenio hanno portato all’esecuzione, come encore, della adrenalinica Danza ungherese n. 5 dello stesso Brahms.

udwig van BeethovenConcerto per violino, violoncello e pianoforte in do maggiore op. 56,
Johannes BrahmsSerenata n 1 per orchestra in re maggiore op 11
  
ViolinoIvan Rabaglia
VioloncelloGiovanni Gnocchi
PianoforteAlberto Miodini
  
DirettoreEnrico Bronzi
 
Trio di Parma Orchestra da camera di Perugia





Festival di Lubiana: concerto di Anna Netrebko e Yusif Eyfazov con la partecipazione del mezzosoprano Monika Bohinec e l’Orchestra sinfonica slovena diretta da Michelangelo Mazza

Ieri pomeriggio, qualche ora prima del concerto di Anna Netrebko e Yusif Eyfazov con la partecipazione del mezzosoprano Monika Bohinec e l’Orchestra sinfonica slovena diretta da Michelangelo Mazza, ho ricevuto una mail dall’ufficio stampa del Festival di Lubiana.
Sostanzialmente mi avvertivano di arrivare al Cankarjev dom, la sala dove si sarebbe svolta la serata, con maggiore anticipo del solito perché ci sarebbero stati non meglio specificati controlli di sicurezza. Ovviamente il motivo era il timore che la presenza della Netrebko, artista russa, potesse essere pretesto per qualche esaltato per organizzare qualche contestazione.
Non contesto la decisione del management del Festival – tra l’altro i controlli sono stati piuttosto morbidi – però credo che la politica, anche in situazioni drammatiche come quella che stiamo vivendo, debba restare fuori dai teatri. La Cultura, suonerà pure retorico ribadirlo, dovrebbe avvicinare i popoli e non rappresentare ulteriore motivo di scontro ideologico.
Il programma del concerto era interessante e denso, in particolare per la presenza di una lunga scena tratta da La dama di picche di Čajkovskij e per la sorprendente esecuzione di Netrebko del celeberrimo Mild und Liese dal Tristan und Isolde di Wagner. In quest’occasione, sommersa da giustificati applausi, Netrebko ha voluto puntualizzare che era la prima volta che cantava il brano. Io, da wagneriano fradicio e perciò piuttosto esigente nel merito mi sono unito volentieri agli applausi.
Credo sia anche necessaria una puntualizzazione e cioè che nel concerto precedente di Juan Diego Flórez (qui recensito) l’orchestra slovena era sembrata moscia e disattenta: ieri, invece, la stessa orchestra diretta da Michelangelo Mazza ha fatto furori sia per bellezza di suono sia per calore e precisione.
In locandina potete vedere i brani proposti, ma non mi soffermerò su ogni singola pagina musicale; parlerò dei singoli in generale, partendo da Anna Netrebko.
Il soprano russo è sembrata in forma vocale straordinaria, la voce è di bellissimo colore e alcune sfumature sombre ne arricchiscono il fascino; lo strumento vocale è opimo, ricco di armonici e negli acuti si espande con facilità bucando l’orchestra anche nei passi più densi e svettando nei concertati.
La tecnica di respirazione le consente fiati lunghissimi e un legato eccellente, oltre che pianissimi e mezzevoci pregevolissime. In tutta la serata ha mostrato un unico momento di incertezza nell’attacco di In quelle trine morbide, forse per una piccola incomprensione col direttore. L’unico difetto, volendo proprio fare il pignolo, è nella pronuncia e nella dizione, spesso entrambe confuse ma ho ascoltato di (molto) peggio in interpreti considerate intoccabili dalla maggioranza degli appassionati.
Anna Netrebko ha carisma, quando entra in scena non ce n’è per nessuno, magnetizza gli sguardi di tutti perché è un animale da palcoscenico. Con pochi gesti entra nel personaggio anche in concerto, figuriamoci in un’opera in forma scenica. Inoltre, sa fare spettacolo anche nei bis, ballando, ammiccando e divertendosi.
È stata trascinante nei lacerti di Anna Bolena, civettuola ed empatica come Manon Lescaut, drammaticamente coinvolta nei panni di Liza e sorprendente come Isolde.
Yusif Eyfazov vive il frustrante equivoco di essere considerato alla stregua di un principe consorte: è già successo in altri casi nella storia della musica lirica, anche in anni recenti.
La realtà è che Eyfazov non è un fuoriclasse ma “solo” un buon tenore nel panorama odierno, come ce ne sono molti altri che frequentano senza scandali particolari i teatri di tutto il mondo. Ha voce da vendere, un timbro non esattamente baciato da dio ma non certo particolarmente esecrabile rispetto ad alcune sfiatate zanzare che più che sentire si intuiscono con l’immaginazione. La voce ogni tanto va indietro e la tecnica è da rifinire nel passaggio, è vero, ma l’unico reale problema è che tende a cantare spesso tutto forte, circostanza che in alcune occasioni – nello specifico la grande aria dalla Lucia di Lammermoor – non è pertinente con la temperie preromantica. Nelle altre arie, specialmente nei panni di Herman, l’artista è risultato del tutto convincente.
Nel contesto della serata ha figurato benissimo il mezzosoprano sloveno Monika Bohinec, artista temperamentosa e in grado di reggere benissimo il confronto con i più famosi colleghi: trascinante la sua interpretazione della difficile aria Acerba voluttà da Adriana Lecouvreur e sobriamente drammatica l’apparizione nella scena dalla Dama di Picche.
Michelangelo Mazza ha diretto con eleganza l’ottima Orchestra sinfonica slovena, accompagnando i cantanti con mestiere e classe e trovando interessanti spunti interpretativi nella Farandole tratta dall’Arlesiana di Bizet. Molto suadente anche il meraviglioso Intermezzo dalla Manon Lescaut.
Gli artisti hanno poi giovialmente proposto tre bis popolarissimi e cantati in un’atmosfera di divertimento generale e in puro stile baracconesco: Mattinata, Granada e Non ti scordar di me.
Quasi venti minuti di applausi hanno sancito una serata trionfale a dire poco. Poi, tutti a casa, felici di aver passato più di due ore lontani dalle brutture del mondo.

Gaetano DonizettiPiangete voi? Al dolce guidami da Anna Bolena
Gaetano DonizettiTombe degli avi miei…Fra poco a me ricovero da Lucia di Lammermoor
Francesco CileaAcerba voluttà da Adriana Lecouvreur
P.I. ČajkovskijOuverture da La dama di picche
P.I. ČajkovskijSeconda scena dal Primo atto da La dama di picche
Richard WagnerMild und Leise da Tristan und Isolde
Giuseppe VerdiForse la soglia attinse…Ma se m’è forza perderti da Un ballo in maschera
Georges BizetFarandole da la suite n2 L’Arlesiana
Giacomo PucciniDonna non vidi mai da Manon Lescaut
Giacomo PucciniIn quelle trine morbide da Manon Lescaut
Giacomo PucciniIntermezzo da Manon Lescaut
Giacomo PucciniTu, tu, amore? Tu? duetto da Manon Lescaut
  
DirettoreMichelangelo Mazza
  
SopranoAnna Netrebko
TenoreYuzif Eyfazov
MezzosopranoMonika Bohinec
  
  
Orchestra sinfonica slovena
  

Al Festival di Lubiana trionfa Juan Diego Flórez. Discutibile la direzione di Oksana Lyniv, pur con qualche giustificazione di carattere ambientale e logistico

Portrait Juan Diego Florez for Sony Classical Intl.

Proseguono le mie trasferte a Lubiana, per il bellissimo Festival che è garanzia di qualità da settanta anni. E tra un paio di giorni tocca ad Anna Netrebko!

Cronaca di un successo annunciato, non trovo altro incipit per questa recensione del recital di Juan Diego Flórez al Festival di Lubiana. E, puntualizzo, più che di un successo si è trattato di un trionfo, meritatissimo, di un artista arrivato ai cinquant’anni in forma vocale spettacolare nonostante pratichi da tempo immemorabile – sono vicini i trent’anni di carriera – un repertorio assai impegnativo. E dire che mi pare ieri quando nel 1997 fece impazzire il pubblico di Trieste.
La voce nel tempo è cambiata, ovviamente, e non di poco, acquisendo una rotondità e uno spessore che ne affinano il fascino, mentre gli acuti, seppur non sfrontati come agli esordi, sono ancora facili ed entusiasmanti.
Il programma previsto era quello consueto e un po’ raffazzonato di queste serate nazionalpopolari: qualche Ouverture famosa alternata a brani solistici, non necessariamente legate da una logica. L’Intermezzo di Cavalleria rusticana e il Preludio di Carmen c’entravano il giusto col resto della serata, ma sono pagine che il pubblico ascolta sempre volentieri.
Eppure è proprio nei brani orchestrali che sono emerse le uniche criticità della serata ed il motivo è semplice: in queste occasioni si prova al mattino e si va in scena alla sera; troppo poco perché il direttore e l’orchestra riescano a trovare feeling e unità d’intenti.
Oksana Lyniv, sul podio dell’Orchestra sinfonica slovena, ha faticato parecchio a dare omogeneità e calore ai brani proposti, che sono usciti spesso slegati e metronomici a partire dall’Ouverture di Semiramide che ha aperto il concerto. Si sono palesati squilibri tra le sezioni, con le percussioni troppo…percussive e dinamiche spesso esuberanti quando non clangorose tout court. Sicuramente, lo dico per esperienza di tanti anni di ascolto, l’acustica della grande sala del Cankarjev dom non è facile da gestire.
Meglio, invece, l’accompagnamento al solista il quale, a dire il vero, è sembrato cucirsi addosso sartorialmente il ritmo delle esecuzioni.
Flórez, come ho scritto all’inizio, ha cantato benissimo dall’inizio alla fine. Il legato, il fraseggio, la tecnica, la cura delle dinamiche sono sembrate eccellenti.
Ho apprezzato in particolare la seconda parte del concerto, dedicata alla musica francese, in cui il tenore ha cesellato come mai mi è capitato di sentire Je veux encore entendre ta voix dalla Jérusalem di Verdi in trasferta, tanto che ho pensato che avrebbe ricevuto i complimenti anche da Gilbert Duprez.
Ottima anche Pourquoi me réveiller, liberata da quel fastidioso machismo di tanti interpreti che scempiano il senso del personaggio di Werther. Sognante e ipnotica l’interpretazione della grande aria dal Faust di Gounod.
E così via, insomma, senza farla troppo lunga.
Al programma ufficiale sono seguiti quattro bis che non hanno previsto, nonostante le richieste del pubblico, l’ormai stucchevole Ah! Mes amis.
Seduto e accompagnandosi con l’ormai famosa chitarra Flórez ha cantato – da padreterno – Bésame mucho e La paloma, per poi tornare con l’orchestra ed eseguire Torna a Surriento e Nessun dorma.

Gioachino RossiniOuverture da Semiramide
Gioachino RossiniDeh, tu m’assisti amore da Il signor Bruschino
Gioachino RossiniSì ritrovarla io giuro da La Cenerentola
Gaetano DonizettiOuverture da Anna Bolena
Gaetano DonizettiQuanto è bella, quanto è cara da L’elisir d’amore
Gaetano DonizettiUna furtiva lagrima da L’elisir d’amore
Giuseppe VerdiPreludio da La Traviata
Giuseppe VerdiLunge da lei da La Traviata
Giuseppe VerdiQuesta o quella da Rigoletto
Giuseppe VerdiJe veux encore entendre ta voix
Georges BizetPreludio da Carmen
Édouard LaloVainement, ma bien aimée
Jules MassenetPourquoi me réveiller da Werther
Charles GounodAh lève -toi soleil da Faust
Pietro MascagniIntermezzo da Cavalleria rusticana
Giacomo PucciniChe gelida manina da La bohème
  
TenoreJuan Diego Flórez
DirettoreOksana Lyniv
  
  
Orchestra sinfonica slovena
  

Festival di Lubiana: Manfred Honeck e Hélène Grimaud in concerto con la Pittsburgh Symphony Orchestra

Grande serata, tra le migliori degli ultimi anni.

In attesa dei Recital di Juan Diego Flórez, della coppia Anna Netrebko&YusifEyfazov e della serata dedicata a Plácido Domingo – su quest’ultima si stanno addensando nubi minacciose, come probabilmente saprete – il Festival di Lubiana procede con appuntamenti di altissimo livello artistico.
Nella grande sala del Cankarjev dom, vicina al sold out anche in quest’occasione, è stata ieri la volta della Pittsburgh Symphony Orchestra guidata dal suo direttore, Manfred Honeck, e della magnifica Hélène Grimaud al pianoforte.
Il concerto è principiato con la musica di un compositore poco noto al grande pubblico, Erwin Schulhoff, del quale è stata eseguita una pagina affascinante e cioè i Cinque pezzi per quartetto d’archi nella versione per orchestra.
Schulhoff, ceco nato a Praga, è stato uno dei rappresentanti di quella Entartete Musik (Musica degenerata) duramente colpita dalla follia del Nazismo di cui lo stesso compositore è stato vittima. Deportato più volte nei campi di concentramento, morì in un Lager nel 1942.
Nella pagina musicale proposta, scritta negli anni Venti del secolo scorso, si riconoscono numerose suggestioni: da Berlioz a Stravinskij, da Bartók a Schönberg sino al blues e al jazz.
Manfred Honeck ne ha dato un’interpretazione vigorosa e adrenalinica, che ha evidenziato la brillante ispirazione del compositore sia nelle parti più rilassate sia in quelle più scoppiettanti.
Formidabile in toto l’apporto dell’orchestra, con percussioni, ottoni e legni in grande evidenza che hanno scatenato l’entusiasmo del pubblico.
Hélène Grimaud, oltre che pianista di grande valore, è un personaggio a tutto tondo. Impegnata nel sociale, ecologista, l’artista francese mi è sembrata accostarsi al Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore di Ravel con aristocratica timidezza, con quella scarna umiltà scevra da effetti speciali che spesso disturba le esibizioni delle star.
E questa leggerezza ed eleganza è stata trasferita nell’interpretazione della pagina musicale, che vive di momenti quasi jazzistici (il Presto finale) e atmosfere rarefatte, purissime e sognanti (Adagio assai, uno degli scorci magici della serata).
La grande sintonia emotiva tra solista e direttore ha poi connotato l’esecuzione di una particolare sensazione di gioia, anche grazie a una prestazione straordinaria dell’orchestra di cui è impossibile non segnalare gli interventi dell’arpa e del corno inglese.
La Grimaud è parsa perfettamente a proprio agio, quasi che il concerto le fosse stato cucito sartorialmente addosso – e del resto Ravel lo pensò per una donna, la pianista Marguerite Long – dimostrando un invidiabile controllo delle dinamiche e un virtuosismo liquido e al contempo espressivo.
Dopo l’intervallo il protagonista è stato Gustav Mahler con la sua Sinfonia n1 in re maggiore.

Pietra miliare del sinfonismo mahleriano, la Prima Sinfonia è percorsa da un sottile fremito d’inquietudine che s’intuisce già nel naturalismo del primo movimento, sembra quasi scomparire nell’apparente spensieratezza del Länder del secondo e riaffiora, come un fiume carsico, nella grottesca e macabra citazione di Frére Jacques del terzo per poi esplodere tragicamente nel drammatico quarto tempo.
Manfred Honeck, che ha diretto a memoria, ha colto le contraddizioni e la magniloquenza della partitura, esaltandone vigorosamente sia le spigolosità sia gli sprazzi melodici in un fluire di colori e fraseggio orchestrale quanto mai lontani dalla mesta metronomicità che affligge – soprattutto nel terzo movimento – le esecuzioni di routine.
L’orchestra ha dato spettacolo per la precisione delle percussioni, il legato degli archi, le good vibration degli ottoni, la morbidezza dei legni.
Alla fine trionfo grandioso per Honeck e la sua spettacolare compagine, che hanno concesso anche due bis per un pubblico che non voleva saperne di andarsene.

Erwin SchulhoffCinque pezzi per quartetto d’archi
Maurice RavelConcerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra
Gustav MahlerSinfonia n1 in re maggiore
  
DirettoreManfred Honeck
PianoforteHélène Grimaud
  
Pittsburgh Symphony Orchestra

Un Mahler cameristico al Festival di Lubiana. Qualche perplessità sulla distribuzione dei brani non inficia una serata assai gradevole.

Continuano le mie trasferte al Festival di Lubiana e gli esiti artistici sono sempre felici, nonostante qualche distinguo.

Come sottolineato più volte il Festival di Lubiana, giunto alla 70esima edizione, si caratterizza sia per la presenza di noti artisti e grandi orchestre sia per l’ampia presenza sul territorio della capitale slovena anche al di fuori del circuito delle sale da concerto e dei teatri.
La serata di stasera ne è stata ulteriore conferma, perché si è svolta in una chiesa, la barocca Križevniška Church (Nostra Signora dell’aiuto), gremita sino al limite della capienza da spettatori di varia estrazione sociale e culturale: si andava dal turista di passaggio al critico, dall’appassionato di musica sinfonica al giovane curioso. Un’istantanea di cosa dovrebbe essere la cultura nel suo senso più nobile, un mezzo che unisce genti diverse nel nome dell’Arte e della bellezza.
La serata era dedicata a Gustav Mahler, qui colto in due tra le sue composizioni più famose e quasi coeve: il ciclo dei Rückert-Lieder e la Sinfonia n.5 in do diesis minore. Entrambe le pagine musicali erano arrangiate per orchestra da camera – circa una ventina di elementi – rispettivamente da Eberhard Kloke (Lieder) e Klaus Simon (Sinfonia).
Una proposta raffinata e interessante ma che è stata proposta in modo discutibile e cioè alternando i Lieder ai movimenti della sinfonia, circostanza che ha tolto continuità di narrazione e quindi partecipazione emotiva a entrambe le composizioni.
Brillante, invece, l’esecuzione da parte dell’Ensemble Dissonance, una formazione orchestrale mista che accoglie elementi di varie compagini locali, tra cui Kana Matsui che è il Konzertmeister delle due principali orchestre slovene.
Sul podio c’era Jonathan Stockhammer il quale, dosando con attenzione le dinamiche considerata la particolare acustica della chiesa e l’organico ridotto, è riuscito a essere efficace sia nell’interpretazione della sinfonia sia nell’accompagnamento cameristico dei Ruckert-Lieder.
Ovviamente, alcuni passaggi dell’iniziale Trauermarsch sono stati penalizzati per mancanza di…polpa orchestrale ma era inevitabile. Al contrario, l’Adagietto è uscito scandalosamente commovente anche grazie alla bravura dei professori d’orchestra che sono tutti da elogiare, con un particolare cenno di merito alle percussioni e alla tromba.
Per quanto riguarda Nika Gorič, giovane artista slovena in ascesa, spendo volentieri parole di sincera ammirazione.
Elegante nella figura e nel portamento, raffinata nel porgere la parola, dotata di una bella voce di soprano leggero screziata da sfumature ombrose e di acuti saldi e penetranti, è sembrata perfettamente a proprio agio nella difficile tessitura dei Lieder. Inoltre, Gorič è artista moderna, capace di accentuare e valorizzare con una mimica di classe gli alterni sentimenti del tardo romanticismo mahleriano.
Alla fine successo calorosissimo per tutti, con Stockhammer e Gorič chiamati più volte alla ribalta e festeggiati anche dall’orchestra.

Gustav MahlerSinfonia n.5 in do diesis minore
Gustav MahlerRückert-Lieder
  
DirettoreJonathan Stockhammer
SopranoNika Gorič
  
Ensemble dissonance