Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Partita con Beethoven e Ciajkovskij la stagione della Società dei Concerti di Trieste

Alcune auto d’epoca (bellissime) dei primi anni Trenta del secolo scorso posizionate davanti all’ingresso del Teatro Verdi hanno accolto gli spettatori della serata inaugurale della stagione cameristica della Società dei Concerti.
Fascino immutabile, tirate a lucido, le automobili rappresentavano bene il passare degli anni in maniera nobile e aristocratica. Allo stesso modo, le stagioni concertistiche dell’istituzione culturale triestina – che ieri festeggiava il 1500° concerto – si susseguono con sobrietà e classe proponendo compositori immortali e interpreti di eccellente livello da novant’anni.
Pubblico assai numeroso composto da moltissimi giovani, abbonati di lungo corso e persone che andavano per la prima volta a teatro. Un flusso in divenire virtuoso che non può che far piacere al Presidente Piero Lugnani e al Direttore Artistico Marco Seco, che hanno brevemente introdotto la serata.
Protagonisti Beethoven e Ciajkovskij, entrambi colti nella difficile arte del Trio con pianoforte, violino e violoncello, due pagine musicali che, ascoltate di pancia, non possono che far riflettere sulla diversa natura dei due compositori.
Nella musica di Beethoven si ha sempre la sensazione che tutto abbia struttura geometrica, che ci sia un’architettura formale non rigida ma in ogni caso aristocratica e predeterminata, quasi severa. Tanto che ieri, ascoltando il celeberrimo secondo movimento (Largo assai) del Trio per archi e pianoforte n.5 in re maggiore Op.70, mi sono accorto che è una musica quasi estranea al compositore perché è rarefatta, indefinibile, madreperlacea: non è un caso che sia stato proprio questo movimento a consegnare alla storia della musica il brano come “Trio degli spettri”.

D’altra parte, Ciajkovskij è invece compositore viscerale e anarchico, furioso negli ardori e terribilmente malinconico nei ripiegamenti riflessivi, che sfiorano gli abissi più profondi dell’anima. Di certo, nel Trio in la minore per violino, violoncello e pianoforte Op.50 non si percepisce la dichiarata avversione per l’uso di archi e pianoforte in contemporanea.
L’ispirazione popolare di alcune parti del concerto, soprattutto nella seconda parte dove le danze riecheggiano chiaramente, è evidente, com’è chiaro che nella prima parte (Pezzo elegiaco) Ciajkovskij dia fondo a quella che a torto è chiamata retorica, quando invece è enfasi oratoria, che è tutt’altra cosa.
Gli interpreti sono stati assolutamente strepitosi – nonostante, relata refero, un inconveniente dovuto a un ritardo aereo – e hanno dato conferma alla mia vecchia tesi che il trio sia una delle forme musicali più democratiche, perché per quanto i protagonisti siano virtuosi dello strumento e suonino allo scoperto devono sacrificarsi per la buona riuscita dell’insieme.
Di Lucas Debargue, al pianoforte, ho apprezzato in particolare il controllo delle dinamiche e il tocco morbidissimo capace però anche di improvvisi slanci drammatici. Bravissimo anche David Castro Balbi al violino, il quale in un attimo passa da un suono grasso e opulento a eteree delicatezze quasi appena percepibili. Eccellente il contributo di Alexandre Castro Balbi al violoncello anche nel non facile pizzicato del Trio di Ciajkovskij.
Alla fine pubblico entusiasta che ha chiamato gli interpreti al proscenio una decina di volte, degna conclusione di una serata di grande pregio tecnico e di valenza emotiva straordinaria.

Ludwig van BeethovenTrio per archi e pianoforte n.5 in re maggiore Op.70,
Piotr Ilic CiaikovskijTrio in la minore per violino, violoncello e pianoforte Op.50
  
PianoforteLucas Debargue
ViolinoDavid Castro Balbi
VioloncelloAlexandre Castro Balbi



Nel sesto concerto della stagione sinfonica al Teatro Verdi di Trieste brillano Francesca Dego e Alessandro Taverna.

Anche quest’anno, come ormai da tradizione, alla vigilia della Barcolana – che porta in città una quantità spaventosa di persone dall’Italia e dall’estero – era in programma un concerto della stagione sinfonica. Il sesto, appunto, e in questa occasione ex ante la scelta del programma mi è sembrata azzeccata. Non che ci fosse nulla di marinaresco o legato alla cultura del mare, ma sicuramente le pagine musicali esprimono gioia di vivere e divertimento in senso lato come fa la grande manifestazione triestina.
A fare eccezione il primo brano e cioè l’Ouverture da Der Freischütz, perché neanche la mia fervida fantasia e il mio amore per le vie traverse che uniscono arti differenti riescono a trovare correlazione tra le vele bianche delle barche e gli oscuri presagi della “gola del lupo”: marinai e cacciatori sembrano proprio agli antipodi. Giulio Cilona, giovane Kapellmeister della Deutsche Oper Berlin ne ha dato una bella interpretazione, che ha messo in luce la sottile tensione che innerva la pagina di Weber che anticipa i temi dell’opera in cui naturale e sovrannaturale si contendono il ruolo di protagonista.

Una volta ridotta nell’organico l’orchestra è stato il momento di un Mendelssohn adolescente (14 anni!), quello del Concerto in re minore per violino, pianoforte e orchestra d’archi, affidato alla perizia di due grandi solisti ben noti a Trieste, Francesca Dego al violino e Alessandro Taverna al pianoforte.
Pagina musicale imponente, strutturata nei classici tre movimenti, il concerto si apre con una lunga e severa esposizione degli archi che ricorda molto Beethoven, ma ben presto il clima grave si rasserena e inizia un sottile dialogo tra i solisti che prosegue senza sosta sino alla fine. Nel gioco di rimandi tra violino e pianoforte c’è l’anima del concerto, che vive di singoli virtuosismi ma anche della gioia di fare musica insieme.
Nell’Adagio centrale l’atmosfera è vivace e al contempo lieve e sognante, un’oasi di tenerezza che prepara a un Allegro finale scoppiettante e brioso in cui tutti i protagonisti esprimono energia e vigore ma sempre nel contesto di un impianto generale equilibrato.
Alessandro Taverna e Francesca Dego sono stati ineccepibili e, ancora una volta, hanno palesato un’ottima intesa: di là dei tecnicismi e delle caratteristiche peculiari si percepisce che fanno volentieri musica insieme e la scelta di due corposissimi bis (Brahms e Schumann) ne è stata la conferma. Entrambi i solisti hanno la grande qualità di dosare in modo sapiente le dinamiche senza togliere corpo e tensione alla narrazione, creando un’atmosfera rilassata ed elettrica al contempo.
Il pubblico ha evidentemente percepito questa intesa artistica e ha premiato gli artisti con un uragano di applausi.
Molto buona in tutte le sezioni la risposta dell’Orchestra del Verdi di cui ancora una volta ho apprezzato la compattezza e la precisione.

A chiudere la serata nel segno della gioia e della leggerezza il Beethoven della Sinfonia n. 8 in fa maggiore, op. 93, scritta nel 1812 quando il compositore aveva già rivoluzionato il mondo musicale.
In questo caso è stata meno centrata l’interpretazione di Cilona, che mi è sembrata un po’ troppo inamidata nella gestione ritmica e appiattita nelle dinamiche sbilanciate, almeno dalla mia posizione, su un mezzoforte che non ha messo in luce la delicatezza della più inattuale delle sinfonie di Beethoven il quale, dopo gli sconvolgimenti della Quinta in particolare, torna a guardare a Haydn e Mozart.
Quindi, se dal lato puramente tecnico non ho nulla da eccepire, mi è sembrato invece che mancasse quella briosa empatia che l’Ottava sprigiona in interpretazioni più meditate e che invece latita dove la gestione metronomica è stringente e un po’ claustrofobica.
Anche in questo caso ottima la prestazione della compagine triestina che, come Cilona, ha ricevuto meritati applausi e gratificazioni dal pubblico.

Carl Maria von WeberOuverture da Der Freischütz
Felix Mendelsshon – BartholdyConcerto per violino, pianoforte e orchestra d’archi
Ludwig van BeethovenSinfonia n8 in fa maggiore op.93
  
DirettoreGiulio Cilona
  
ViolinoFrancesca Dego
PianoforteAkessandro Taverna
  
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste




Partita la stagione sinfonica del Teatro Verdi di Trieste: Beethoven, Weber e Schumann schiudono le porte del Romanticismo

Inserita nella meritoria manifestazione Il Festival di Trieste/Faro della Musica è partita col primo concerto la stagione sinfonica del Teatro Verdi di Trieste. L’apertura è stata dedicata al Romanticismo, movimento trasversale, che sconvolse l’Europa a cavallo degli anni tra il 1700 e il 1800 con pagine musicali di compositori che di codesta temperie culturale sono il paradigma: Carl Maria von Weber, Robert Schumann e Ludwig van Beethoven.
L’Ouverture da Oberon ha principiato la serata e non poteva essere che così per un concerto romantico; il suono del corno evoca immediatamente quel mondo che, soprattutto nei primi anni, ha portato la magia fiabesca delle fate, dei folletti e anche di visioni demoniache nella musica.
Hartmut Haenchen, il quale già l’anno scorso battezzò la stagione sinfonica triestina, ha dato ulteriore prova della sua grande capacità di esprimere il carattere inquieto di una pagina musicale attraverso l’uso misuratissimo delle dinamiche. Eccellente, in questo senso, la risposta dell’Orchestra del Verdi, una compagine che sta crescendo a vista d’occhio e alla quale la recente nomina di Enrico Calesso come Direttore Musicale non potrà che fare bene.

A seguire il ritorno a Trieste di Antonio Menenes, uno dei maggiori virtuosi del violoncello, che all’inizio della carriera (1978) fu già ospite della Società dei Concerti interpretando il Concerto per violoncello e orchestra in re maggiore di Haydn per tornare poi, nel 1985, per la stagione sinfonica del Verdi con lo stesso Concerto in la minore per violoncello e orchestra di Robert Schumann eseguito anche stasera.
Brano per certi versi enigmatico, sofferto e più volte rivisto da Schumann che forse non riuscì nemmeno ad ascoltarlo a causa della prematura dipartita. Nonostante la classica struttura in tre movimenti è eseguito senza interruzioni – circostanza che ha colto di sorpresa qualche spettatore – e l’orchestra si limita a un accompagnamento ponderato del solista fatto di riprese e accentuazioni, anche se ovviamente il dialogo col podio è indispensabile.
Il violoncello è assoluto protagonista quindi, e Menenes ne ha data ampia dimostrazione sfoderando un suono molto bello, caldo, avvolgente e sin troppo perfetto anche nella cadenza conclusiva. Insomma, un’interpretazione ineccepibile, da applaudire, ma che forse non ha indagato tra le pieghe delle inquietudini sottese alle note.
Meritatissimo trionfo per Antonio Menenes, che ha concesso anche due bis (Villas Lobos e Bach).
Dopo la pausa è sbocciato Beethoven nell’affollato teatro triestino, con la Sesta sinfonia che già con il Pastorale che l’accompagna si presenta da sola, almeno per un primo livello di lettura.
Poi certo ci sono i pareri, anche autorevolissimi, di chi invita a un ascolto più consapevole e meditato ma io credo che oggi, nel 2023, un ascolto epidermico renda attualissimo questo capolavoro.
Chi non desidera un ritorno alla vita serena della campagna, al rumore soffice e al contempo impetuoso dello scorrere dell’acqua e del gentile cinguettare degli uccelli? Poco importa se l’ispirazione ha avuto una matrice pittorica o letteraria, quello che conta è che la musica emana serenità e gioia.
E perciò lode incondizionata ad Haenchen, che tutte queste meraviglie ha saputo ridestare tramite l’Orchestra del Verdi, eccellente in tutte le sezioni e brillante in particolare nei legni e negli ottoni.
Anche in quest’occasione teatro molto affollato e spettatori attenti e coinvolti, peccato che un’anziana signora si sia quasi arresa al suono del cellulare nonostante l’intervento di un giovane che le sedeva davanti. Ma è il teatro, nessuno è perfetto neanche qui in queste sale dedicate alla musica e comunque fuori c’è un mondo di turisti per caso sempre fracassone, spesso volgare e intontito dal proprio vagare senza senso.

Carl Maria von WeberOuverture da Oberon
Robert SchumannConcerto in la minore per violoncello e orchestra
Ludwig van BeethovenSinfonia n.6 in fa maggiore (Pastorale)
  
DirettoreHartmut Haenchen
VioloncelloAntonio Meneses
  
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste

Al Festival di Lubiana i concerti si susseguono, anche in chiesa!

violinist Lana Trotovšek seen here at the Swiss Church Covent Garden, 9th December 2020. Commisioned by The Greenwich Trio

Ho avuto già modo di scrivere che il Festival di Lubiana coinvolge tutto il territorio della capitale slovena.
Dopo la serata Mahler in Lubiana, ieri sono tornato nella deliziosa Chiesa di Nostra Signora della Misericordia per un altro concerto intrigante, che prevedeva un mix di pagine musicali di compositori celeberrimi dell’Ottocento (Beethoven e Brahms) e altri due brani del Novecento firmati da autori – almeno a me – meno noti (Hansen e Antheil). Anche in questa occasione il concerto era esaurito, a conferma del seguito che ha il Festival e della felice scelta della programmazione effettuata da Darko Brlek, patron della manifestazione.
Di Thorvald Hansen, artista danese eclettico e trombettista, è stata eseguita la composizione estrema: la Sonata per pianoforte e tromba op. 18 scritta nel 1915, anno della morte.
Il brano è strutturato in tre brevi movimenti in cui la tromba, affidata al solista Rheinhold Friedrich, è sempre protagonista col suo suono lucente e limpido. Nel dialogo col pianoforte, suonato dalla compagna Eriko Takezava, gli impasti sonori sono stati suggestivi ma leggermente penalizzati dall’acustica della sala, che per la sua struttura tende a far riverberare entrambi gli strumenti. Bello, in particolare, l’Andante molto espressivo del secondo movimento.
A seguire la Sonata per pianoforte in do minore nr. 8 di Beethoven (Patetica), interpretata da Eriko Takezava in modo convincente grazie a un approccio tutt’altro che sdolcinato e, anzi, in alcuni passaggi sin troppo rude. Il famoso primo accordo, che dà la tinta al brano, è risuonato tellurico. Nei due movimenti successivi, meno tempestosi e improntati a un sottile lirismo, la solista è stata invece impeccabile sia nel tratteggiare la melodia sia nel dipanare l’esuberante vitalità che chiude il brano.
La prima parte della serata si è conclusa con l’esecuzione della Sonata per tromba e pianoforte di George Antheil, poliedrico compositore americano che scrisse anche famose -negli anni Venti del secolo scorso – colonne sonore per film.
Anche in questo caso l’esecuzione è stata affidata al duo Friedrich/Takezava che ne hanno dato un’interpretazione brillante e adrenalinica grazie al virtuosismo del trombettista, in un brano di sapore jazzistico che sprigiona brio ed energia anche grazie all’uso, nel secondo movimento, della sordina.
Applausi scroscianti per tutti alla fine della prima parte e bis – che francamente non ho riconosciuto – di Rheinhold Friedrich.
Dopo il breve intervallo è stato eseguito il pezzo forte della serata e cioè il Trio in mi bemolle maggiore per violino, corno e pianoforte op. 40 di Brahms, interpretato da Lana Trotovšek (violino), Beata Ilona Barcza (pianoforte) e Andrej Žust (corno).
Pagina musicale di gusto tipicamente romantico, il Trio si caratterizza per la presenza inusuale del corno, il cui suono è però quasi un simbolo del Romanticismo stesso (penso all’Ouverture da Der Freischütz di Weber).
Anche in questo caso devo rilevare come l’acustica della chiesa non abbia favorito l’equilibrio dell’esecuzione, perché il violino – peraltro brillantemente suonato da Lana Trotovšek – spesso è stato coperto dagli altri strumenti o perlomeno così era dal mio posto.
Il brano vive di forti contrasti, più trattenuti e sottotraccia che espliciti, che esprimono un’alternanza di mutevoli sentimenti. Si accavallano nostalgiche melodie che richiamano a una malinconia naturalistica e improvvise aperture se non spensierate, almeno più vivaci. La circostanza è palese nei due movimenti finali, in cui la transizione tra l’Adagio mesto e l’Allegro con brio, entrambi innervati da una forte e vitale pulsione ritmica, è sembrata paradigmatica dell’ispirazione brahmsiana.
L’incedere della musica dà modo a tutti i solisti di esibire con sobrietà il proprio virtuosismo.
Successo pieno, con il pubblico generoso di applausi per tutti.

ViolinoLana Trotovšek
CornoAndrej Žust
TrombaRheinhold Friedrich
PianoforteEriko Takezava
PianoforteBeata Ilona Barcza
  
Thorvald HansenSonata per pianoforte e tromba op. 18
George AntheilSonata per tromba e pianoforte
Ludwig van BeethovenSonata per pianoforte in do minore nr. 8
Johannes BrahmsTrio in mi bemolle maggiore per violino, corno e pianoforte op. 40




Beethoven e Berlioz in una serata di grande musica a Lubiana.

Si è concluso felicemente il trittico di concerti che ha visto Charles Dutoit alla testa dell’Orchestra Filarmonica Slovena durante il mese di marzo.
E, parlando metaforicamente di conclusioni è arrivata al termine anche la carriera di Aleš Kacjan, primo flauto dell’orchestra per quarant’anni, che ieri alla fine del concerto è stato omaggiato da Dutoit stesso, dal presidente della compagine Matej Šarc e dai colleghi, oltre che dal pubblico che lo ha abbracciato con ovazioni interminabili e meritatissime perché anche nell’ultima occasione ha suonato benissimo.
La serata prevedeva due pagine musicali di Beethoven e Berlioz: compositori diversi, musica diversa.
Il concerto è cominciato con la Sinfonia n.1 in do maggiore di Beethoven, alla quale Dutoit – che ha diretto a memoria pure la Sinfonia Fantastica di Berlioz nella seconda parte – ha restituito quella leggerezza mozartiana spesso soffocata da esecuzioni che pensano alla monumentalità del Beethoven successivo.
Ma saper dirigere non è solo fare eseguire note all’orchestra, bisogna anche valorizzare quegli strani segni sulla partitura, collocandoli con intelligenza e misura nell’età compositiva dell’Autore.
Beethoven è anche compositore di transizione, che ha traghettato la musica dal Settecento – appunto Mozart, ma anche Haydn – e l’ha proiettata nel futuro. Lo sostiene lo stesso Berlioz, in una nota espunta dai suoi studi sulle nove sinfonie del tedesco.
L’interpretazione di Dutoit, sostenuto da un’orchestra per la quale ormai non ho più aggettivi, ha dato risalto al brio e alla maschia vaporosità del brano con dinamiche decise e al contempo sfumate e agogiche tese ma non certo frettolose. Eccellenti le prestazioni degli archi e dei legni – viole e violoncelli spettacolari – che hanno contribuito a sottolineare la gioiosa empatia emotiva che sprigiona questa pagina giovanile di Beethoven.
Durante l’intervallo mi sono soffermato a osservare il pubblico e sempre più mi convinco che a Lubiana la musica è amatissima da chiunque, con i giovani e giovanissimi che sono competenti e appassionati – un quartetto dissertava acutamente, in inglese, sulle differenze tra Beethoven e Berlioz – e altri, un po’ più in là con l’età, che partecipano all’evento musicale con gioia e senza spocchia di alcun genere. È un ambiente inclusivo, familiare, in cui tutti si sentono a proprio agio. Da anni sostengo che la musica tristemente definita seria soffre di un approccio troppo inamidato da parte di certo pubblico, che la considera quasi come un rito liturgico che ha le sue convenzioni immutabili. Pensieri snocciolati così, senza troppo senso, da un ascoltatore che è stato indirizzato a Beethoven durante l’infanzia dal nonno, semianalfabeta, che però mi dava la “sua” interpretazione della Nona Sinfonia.
Berlioz è uno di quei compositori (e uomini) borderline che io amo alla follia. La circostanza non mi impedisce però di rendermi conto che la Sinfonia Fantastica è una di quelle pagine musicali in cui convivono momenti di ispirazione felicissima ad altri meno riusciti; di certo il risultato finale è adrenalinico, rinvigorente.
È una musica “da vedere” oltre che da ascoltare – come sostiene mia moglie – perché essere presenti in sala è sicuramente un valore aggiunto che aggiunge un’ulteriore dimensione alla percezione sensoriale. Il vigore degli archi gravi, che spesso innervano di tensione drammatica l’atmosfera, il Valse che fa presagire più la scena del Sabba che la successiva parentesi bucolica, la devastante espressività delle percussioni, la soave bellezza dei legni, la controllata “volgarità” di alcuni momenti degli ottoni sono tutti singoli elementi che concorrono a un viaggio in cui la temperatura emotiva è sempre altissima.
Anche in questo caso è stato fondamentale l’approccio di Dutoit, che ha dato spessore e tridimensionalità alla valanga di suono orchestrale senza che si perdano per strada i particolari come gli interventi delle arpe o la studiata ironia dei legni.
Serata trionfale, che il pubblico ha sottolineato con entusiasmo e rumorose approvazioni per tutti.
Foto di Darja Štravs Tisu Photography.

La locandina

Ludwig van BeethovenSinfonia n.1 in do maggiore
Hector BerliozSinfonia Fantastica
  
DirettoreCharles Dutoit
  
Orchestra Filarmonica Slovena

Grande serata al Teatro Verdi di Trieste nel secondo concerto della stagione sinfonica: strabiliante il violinista Giuseppe Gibboni e bravissimi tutti gli altri

Entrare in un teatro sostanzialmente esaurito fa sempre un certo effetto, anche un pessimista cronico come me ha inaspettati bagliori di fiducia nel futuro e la fila all’ingresso non risulta gravosa.
Comincio la mia cronaca del secondo appuntamento della stagione sinfonica con questa considerazione estemporanea, perché credo che il teatro e la cultura forse non salveranno il mondo ma per certo lo renderanno un posto meno inospitale di quanto sia ora.
Con qualche minuto di ritardo, dovuto a qualche inconveniente che deve aver sofferto il venerabile Konzertmeister Stefano Furini, la serata è principiata con l’Ouverture Egmont di Beethoven, lacerto delle musiche di scena scritte per l’omonimo dramma di Goethe.
Enrico Calesso, sul podio di un’Orchestra del Verdi ultimamente rinvigorita dalla presenza di alcuni giovani soprattutto nella sezione degli archi, ne ha dato un’interpretazione convincente, maschia, in linea con l’ispirazione eroica che permea il brano. In quest’ambito, ho apprezzato il particolare vigore dei contrabbassi.
Giuseppe Gibboni, giovane artista che ha vinto nientemeno che il Premio Paganini nel 2021, è stato il protagonista assoluto della seconda parte della serata. Bella forza, si potrebbe chiosare, era il Primo concerto per violino e orchestra in re maggiore di Paganini!
La realtà, come sempre succede, è un po’ più complessa perché suonare e interpretare sono due cose affatto diverse e ho visto non pochi violinisti limitarsi a compitare note in modo meccanico: belli senz’anima.
Gibboni invece, tanto è composto in scena, nulla concedendo a facili effetti coreografici, tanto è espressivo col suo Balestrieri che sembra un prolungamento del corpo e soprattutto dell’anima.
Ma c’è anche l’orchestra, che soprattutto nell’introduzione dell’Allegro iniziale prepara benissimo l’ingresso del solista; ingresso che è folgorante e ci porta subito nel mondo di quel controverso personaggio che fu Paganini. Salti di ottava violenti e arditi arpeggi sono gestiti non solo con impagabile perizia tecnica, ma anche con un pieno controllo delle fantasmagoriche dinamiche richieste. Il virtuosismo non è mai esibito ma sempre indirizzato a un’esuberanza interpretativa controllata, circostanza poi confermata dal più cantabile Adagio successivo in cui si percepiscono echi di un romanticismo mosso, quasi turbato da oscuri baluginii presaghi di morte.
Bellissimo poi il Rondò finale, di difficoltà tecnica suprema, che mi ha ricordato – chiedo scusa – certi lunari personaggi felliniani e, addirittura, la feroce ironia circense della Quarta di Mahler.
Eccellente il dialogo con direttore e orchestra – belli i pizzicati degli archi – , una comunicazione fatta anche di sorrisi e approvazione di sguardi.
I tre bis finali, i primi due ovviamente capricciosissimi, seguiti da un Preludio bachiano hanno messo il sigillo a un’esibizione strepitosa e trionfale con il pubblico in stato di delirante esaltazione.
Dopo l’intervallo è stata la volta di un grande classico, la Sinfonia n.4 in mi minore di Brahms, che per me è la vetta del pur straordinario lascito del compositore.
Nella sua apparente semplicità, in quei tratti melodiosi scoperti, la pagina musicale nasconde tesori di inventiva che non è certo il caso di analizzare in una semplice recensione di carattere divulgativo.
Dietro al celeberrimo incipit si nascondono abissi da cui si riemerge parzialmente solo alla fine del lunghissimo primo movimento, mentre nell’Andante che segue si percepisce un afflato quasi religioso poi stemperato da un Allegro che cela anche contegnose mestizie.
Nell’ultimo severo movimento, ricco di cromatismi che trascolorano con stupefacente liquidità e impreziosito da un intervento del flauto – ottima la performance di Giorgio Di Giorgi –  si ha quasi la sensazione di essere preda di un turbamento onirico.
Anche in questo caso Calesso ha diretto in modo efficace, privilegiando dinamiche morbide e agogiche rilassate ma non slentate per favorire il fluire omogeneo della musica.
Ottimo il rendimento dell’orchestra, che mi pare davvero in grande crescita artistica e ha confermato, una volta di più, un carattere impetuoso ma controllato.
Il pubblico, come detto all’inizio numerosissimo, ha giustamente acclamato a lungo il direttore e la compagine locale.

Ludwig van BeethovenOuverture Egmont
Niccolò PaganiniPrimo concerto per violino e orchestra in re maggiore
Johannes BrahmsSinfonia n.4 in mi minore
  
DirettoreEnrico Calesso
ViolinoGiuseppe Gibboni
  
  
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste






Festival di Lubiana: la Royal Philharmonic Orchestra in concerto con Lana Trotovšek e Maksim Risanov: luci (molte) e ombre (poche)

Il settantesimo Festival di Lubiana si sta avviando felicemente alla conclusione, che avverrà la prossima settimana con un ultimo attesissimo concerto di Rudolf Buchbinder e i Wiener Philharmoniker diretti da Esa-Pekka Salonen.
Nel frattempo si susseguono iniziative varie e concerti con grandi orchestre e famosi artisti.
Il concerto di ieri prevedeva la Royal Philharmonic Orchestra di Londra, guidata dal suo direttore musicale Vasilij Petrenko e due eccellenti solisti: Lana Trotovšek al violino e Maksim Risanov alla viola.
Inutile dire che è stato emozionante, di questi tempi grami, apprezzare la collaborazione artistica e vedere la franca stretta di mano tra Petrenko, russo, e Risanov, ucraino.
La serata si è aperta con una brillante esecuzione della Sinfonia n.1 in re maggiore op. 35 (la Classica) di Sergej Prokofjev, di cui Petrenko ha saputo esprimere tutta l’energia positiva con gesto preciso – qualche volta un po’ coreografico – ed efficace.
L’orchestra ha un suono bellissimo, trasparente e limpido, virtù che si addicono particolarmente a una pagina musicale brillante e gioiosa. Petrenko ha gestito con grande attenzione le dinamiche, scegliendo agogiche stringenti ma non precipitose. Eccellenti, in particolare, l’emozionante lirismo del Larghetto nel secondo movimento e la Gavotta del terzo, in cui il primo flauto – una giovane ragazza – è risultato fenomenale.
Nel Finale, come del resto nell’Allegro di sortita, sono sembrate evidenti le affinità elettive con parte delle composizioni sinfoniche di Haydn.
Ottima l’idea di eseguire subito dopo la Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino e viola, K1 364 di Mozart (320d), perché non ha interrotto il flusso emotivo del brano precedente.
Mozart, e certa sua leggerezza sublime, si riconosce subito dalla lunga introduzione orchestrale che agevola l’intervento dei due solisti che sono sembrati in perfetta sintonia artistica e complementari nello stile esecutivo: passionale, irruente e impetuosa Lana Trotovšek; controllato, quasi severo e meditativo Maksim Risanov. Caratteristiche che, se ci pensiamo bene, appartengono anche agli strumenti: l’esuberanza del violino, il calore della viola, in un gioco di rimandi e dialoghi caratterizzati da virtuosismi spesso estremi ma anche ripiegamenti lirici di ampio respiro, come nell’intenso Andante centrale che schiude poi le porte alla spumeggiante frivolezza del Rondò finale.
Pubblico in visibilio, che ha chiesto e ottenuto un bis – variazioni su Sarabanda di Händel – dai due solisti.

Di fronte ai monumenti, mi riferisco metaforicamente alla Quinta di Beethoven, si dovrebbe essere preda della Sindrome di Stendhal. Ebbene, spiace sottolinearlo, in questo caso l’affezione psicosomatica non si è palesata.
Vasilij Petrenko ha dato una sua interpretazione del capolavoro di Beethoven, e questo è già un merito, se si pensa che spesso sono proprio le pagine sinfoniche più note che vengono “tirate via” meccanicamente e risultano poi “belle senz’anima”. La RSO ha fatto sfoggio di un suono compatto, impressionante per qualità e valore delle singole sezioni – cos’erano gli archi gravi, una meraviglia – però non è scattata quella scintilla che fa saltare dalla sedia.
Si è percepito – almeno dalla mia posizione, l’ho affermato spesso, l’acustica del Cankarjev dom è difficile da gestire – qualche clangore di troppo.
Petrenko ha saltuariamente indugiato nelle agogiche, quasi a voler sottolineare ulteriore drammaticità e imponenza a una pagina musicale che non ne ha bisogno.
E insomma, alla fine, ne è uscita a mio parere una lettura pesante, quasi tetra, che non mi ha convinto se non per il magistero tecnico dell’orchestra.
Il pubblico ha tributato un trionfo grandioso all’esecuzione, spazzando via queste mie personalissime e opinabili considerazioni e ottenendo un bis, un lacerto delle musiche di scena di Grieg per il Peer Gynt – Il mattino – che ha esaltato le qualità della flautista che già si era segnalata in precedenza.

Sergej ProkofjevSinfonia n.1 in re maggiore op. 35
Wolfgang Amadeus MozartSinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino e viola, K1 364 di Mozart (320d)
Ludwig van BeethovenQuinta sinfonia in do minore op. 67
  
DirettoreVasilij Petrenko
  
ViolinoLana Trotovšek
ViolaMaksim Risanov
  
Royal Philharmonic Orchestra


 


Al Festival di Portogruaro Beethoven e Brahms incendiano il pubblico. Ottima prova del Trio di Parma e dell’Orchestra da camera di Perugia

Arrivato felicemente alla quarantesima edizione, il Festival Internazionale di Musica di Portogruaro – di cui il pianista Alessandro Taverna è Direttore artistico – è una delle manifestazioni più longeve e amate del Triveneto. Come si dice in questi casi, il lavoro e la qualità pagano.
A conferma di quanto appena scritto anche in occasione di questo concerto il Teatro Luigi Russolo era pressoché esaurito e il clima emotivo era sereno e festoso.
Il programma era diviso in due parti. Nella prima il Trio di Parma e l’Orchestra da camera di Perugia hanno eseguito il celeberrimo Concerto per violino, violoncello e pianoforte in do maggiore op. 56, universalmente noto come Triplo concerto.
Prima dell’inizio, Enrico Bronzi, che storicamente è il violoncello del Trio, ha spiegato che recentemente si era infortunato a una spalla e che perciò si sarebbe limitato – si fa per dire – a dirigere l’orchestra. Al suo posto ha suonato, brillantemente, Giovanni Gnocchi.
Il Triplo concerto è una di quelle pagine musicali di transizione tipica dei primi anni dell’Ottocento, ma la mano di Beethoven si riconosce subito sino dall’importante introduzione orchestrale dell’Allegro iniziale.
Come osservato da molti musicologi, al violoncello è assegnata una parte solistica non solo preponderante rispetto a violino e pianoforte, ma anche estremamente impegnativa.
E nel Largo successivo se ne ha conferma, col violoncello che regge l’impianto di tutto il movimento esplorando virtuosismi audaci e, al contempo, mantenendo morbidezza, lirismo e cantabilità.
Il Rondò che chiude il concerto è, come spesso succede, ricco di suggestioni folcloriche e di danza popolare, che rendono un’atmosfera gioiosa e brillante.
Enrico Bronzi ha guidato con gesto sicuro la buona Orchestra da camera di Perugia, esuberante e giovanile come i suoi componenti. Ottima, in particolare, mi è sembrata la prestazione degli archi gravi. In evidenza anche gli altri due solisti, con il brillante violino di Ivan Rabaglia e il composto ed efficace Alberto Miodini al pianoforte.
Dopo l’intervallo è toccato a Johannes Brahms, qui colto nella giovanile Serenata n 1 per orchestra in re maggiore op 11, che è caratterizzata da una tersa serenità appena screziata da qualche ripiegamento riflessivo del secondo movimento.
Anche in questo caso c’è stato un buon feeling tra podio e orchestra, ma forse Bronzi avrebbe potuto osare di più non tanto nelle dinamiche, ben equilibrate, quanto nelle agogiche che sono parse a tratti un po’ pigre soprattutto nel Rondò finale. In ogni caso l’esecuzione è stata di buon livello e mi piace segnalare il brillante   rendimento dei legni.
Di là delle insignificanti osservazioni in puro stile Beckmesser, la musica dal vivo è meravigliosa proprio per la sua imperfezione, la serata è stata accolta dal pubblico trionfalmente. Le numerose chiamate al proscenio hanno portato all’esecuzione, come encore, della adrenalinica Danza ungherese n. 5 dello stesso Brahms.

udwig van BeethovenConcerto per violino, violoncello e pianoforte in do maggiore op. 56,
Johannes BrahmsSerenata n 1 per orchestra in re maggiore op 11
  
ViolinoIvan Rabaglia
VioloncelloGiovanni Gnocchi
PianoforteAlberto Miodini
  
DirettoreEnrico Bronzi
 
Trio di Parma Orchestra da camera di Perugia





Beethoven über alles, anche a Trieste. Felicissima la sinergia tra la Società dei concerti e il Teatro Verdi di Trieste

Come leggerete nell’articolo non mi sono fatto mancare il Covid, che però mi ha lasciato velocemente e senza troppi problemi. Purtroppo sono stato costretto a perdermi ben quattro concerti…e questa è la cosa più fastidiosa.

Il “Progetto Beethoven” è arrivato al suo ultimo atto con un concerto che si è svolto al Teatro Verdi di Trieste.
Doverosa una premessa: chi scrive aveva intenzione di riferire di tutti gli eventi ma, purtroppo, più del piacer poté il Covid e perciò, con rammarico, ho potuto essere presente solo alla serata finale.
Il programma prevedeva tre pagine musicali di genere diverso del Genio di Bonn in ordine cronologico (dal 1806 al 1812): per l’occasione sul palcoscenico del Verdi hanno unito le forze l’Orchestra e il Coro della Fondazione triestina e la Filarmonica di Milano, per un totale di ben 140 elementi. Sul podio Marco Seco, che della Società dei concerti di Trieste è direttore artistico dal Novembre 2021, in seguito alla prematura scomparsa di Derek Han.
Il concerto è iniziato con l’esecuzione dell’Ouverture Leonore n.3, scritta per la seconda edizione di Fidelio.
Brano celeberrimo e spesso inserito nei programmi sinfonici, la Leonore è una pagina musicale legata in modo simbiotico all’unica opera scritta da Beethoven, perché ne contiene buona parte dei temi che riecheggiano più volte nel suo lungo e monumentale sviluppo. Non a caso, più che una Ouverture sembra essere un piccolo poema sinfonico.
Marco Seco ne ha dato un’interpretazione antiretorica e asciutta, in certi momenti anche troppo disciplinata, nel senso che il sacro furore dell’anelito alla libertà è uscito un po’ soffocato da agogiche non slentate ma leggermente sopite. Ottimo, invece, il controllo delle dinamiche che ha efficacemente sottolineato i contrastanti sentimenti che sottendono alla partitura.
È stata poi la volta della Fantasia corale op. 80 per pianoforte, coro e orchestra.
Notoriamente considerata come un’anticipazione della Nona sinfonia – sia per la vicinanza col tema della gioia sia per i testi di Christoph Kuffner – la Fantasia sembra soprattutto il tentativo di far coesistere le esigenze del sinfonismo e della musica corale, con i virtuosismi del pianoforte (Beethoven fu eccellente solista) a fare da trait d’union tra i due universi.
Alessandro Taverna, che oltre a essere ottimo pianista è anche impegnato nella divulgazione della musica classica – è Direttore artistico del Festival di Portogruaro, giunto alla quarantesima edizione – ha comunicato felicemente con il direttore e, al contempo, eseguito con liquido virtuosismo le numerose variazioni e i dialoghi orchestrali che portano alla gioiosa entrata del Coro.
Più che dignitose le prove dei solisti (che trovate in locandina) e molto buono il rendimento della compagine triestina, diretta da Paolo Longo.
Più volte chiamato al proscenio, Alessandro Taverna ha scelto per il bis una variazione di Max Reger, molto apprezzata dal pubblico.
Dopo la pausa è stata eseguita la Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92 e cioè quella che fece dire a un giovane scellerato come Carl Maria von Weber che:

le stravaganze di questo genio hanno raggiunto il non plus ultra, e Beethoven è pronto per l’ospedale psichiatrico.

Ora, di là del fatto che altri apprezzarono da subito l’innovativa pagina musicale – il mai troppo lodato e lungimirante E.T.A. Hoffmann, per dirne uno – gli equivoci nascono da una circostanza ben precisa; questa sinfonia è la classica composizione di transizione, nello specifico tra il sinfonismo alla Haydn (il padre della sinfonia) e i primi afflati di romanticismo: musica d’avanguardia e quindi difficile da capire per i contemporanei. E se Wagner ci vide l’apoteosi della danza, disciplina caratterizzata più di altre da una marcata valenza emotiva, noi nel 2022 ci accontentiamo della grande energia e della gioia che sprigiona la musica.
Brillante, dal mio punto di vista, l’interpretazione di Marco Seco sul podio, che ha saputo amalgamare le peculiarità di due orchestre diverse in una partitura ricca di inventiva ritmica in cui convivono echi di danze popolari, marce e serotini bagliori riflessivi che si sciolgono in un finale luminosissimo.
Il teatro era finalmente affollato e il pubblico, molti i giovani, ha tributato un grande successo agli interpreti e alla serata.
L’auspicio è che la sinergia tra la fondazione triestina e la Società dei Concerti diventi una costante del panorama culturale regionale.

Ludwig van BeethovenOuverture Leonore n.3 in do maggiore op 72b
Ludwig van BeethovenFantasia in do minore per pianoforte, soli e coro op 80
Ludwig van BeethovenSettima sinfonia in la maggiore op92
  
DirettoreMarco Seco
Direttore del coroPaolo Longo
  
PianoforteAlessandro Taverna
  
Solisti
Francesca Palmentieri, Miriam Spano, Francesco Paccorini, Roberto Miani, Giuliano Pelizon
  
Orchestra e coro del Teatro Verdi di Trieste
Filarmonica di Milano
  
In collaborazione con la Società dei concerti di Trieste

Presentato a Trieste il “Progetto Beethoven”, in sinergia tra il Teatro Verdi e la Società dei concerti

Presentato oggi il Progetto Beethoven, la rassegna musicale estiva organizzata dalla Società dei Concerti di Trieste che dal 20 giugno al 24 luglio porterà a Trieste, ma anche a Sagrado, Monfalcone e Gorizia, 200 artisti tra orchestre, strumentisti di fama, solisti, e direttori d’orchestra di rilievo internazionale. 

Carmela Remigio

Il progetto nasce in occasione del 90° Anniversario dalla fondazione della Società dei Concerti di Trieste e costituisce il primo appuntamento di una serie di celebrazioni che culmineranno il 26 novembre 2022, data in cui si festeggerà questo importante traguardo.

«Questa nuova rassegna estiva – spiega il direttore artistico della Società dei Concerti Trieste, Marco Seco – vuole essere trampolino di lancio di un progetto più ambizioso, quello di realizzare il prossimo anno un Festival nel mese di settembre, in cui molteplici discipline, ovvero musica, danza, teatro, si alterneranno su diversi palcoscenici della città come il Castello di San Giusto, Piazza dell’Unità d’Italia, il Teatro lirico Giuseppe Verdi, il Teatro Il Rossetti, il Castello di Miramare, Porto vecchio, i Caffè letterari, il Museo Sartorio, il Museo Revoltella, il Molo Audace e altri luoghi che diverranno contenitori estemporanei di cultura».

I programmi proposti quest’estate ripercorrono la vita musicale del compositore attraverso una selezione di composizioni che esprimono la massima espressione della libertà, della sua musica e dei suoi più alti ideali. Tra le sinfonie verranno eseguite la prima che segna una cesura rispetto al passato, la sinfonia in do minore n.5 una delle composizioni più iconiche e famose del repertorio Beethoveniano, e due sinfonie che in cui si percepisce maggiormente la forza vitale della musica di Beethoven attraverso un inarrestabile movimento di danza. 

Inoltre ascolteremo il concerto per pianoforte e orchestra n. 3 dalle mani del pianista e direttore tedesco Alexander Lonquich, le musiche di scena per l’”Egmont” con i testi del dramma di J. W. Goethe recitati dall’attore Fabrizio Bentivoglio, l’aria per soprano e orchestra “Ah, perfido!” dalla straordinaria voce del soprano Carmela Remigio e la Fantasia Corale eseguita al pianoforte dal pianista Alessandro Taverna. Non mancheranno alcune delle ouverture più famose come Leonore n. 3 e Le creature di Prometeo. A coronamento una vasta scelta di pagine cameristiche di raro ascolto come il settimino e le Volk songs per voce e trio che verranno proposte con la partecipazione di interpreti di assoluto rilievo. 

I luoghi di realizzazione degli eventi, grazie alle collaborazioni con i relativi enti, sono i più significativi di Trieste dal punto di vista storico, artistico e culturale: il Castello di Miramare, il Castello di San Giusto, il Teatro Giuseppe Verdi di Trieste, il Museo Sartorio. Ci saranno inoltre degli appuntamenti anche fuori Trieste dove si terranno tre concerti in luoghi di grande fascino: il Palazzo Lantieri di Gorizia, l’Azienda Agricola di Castelvecchio, l’Hotel Europalace di Monfalcone e altri luoghi inediti come la realtà “esterna” alla città vera e propria di Trieste (con un concerto a Opicina alla Società Culturale Slovena).

Ad aprire le danze il 20 giugno al Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste un appuntamento speciale pensato unicamente per i soci in preparazione del Festival.

Una presenza artistica di rilievo del Progetto Beethoven sarà la residenza in città per circa 10 giorni della prestigiosa orchestra LaFil Filarmonica di Milano che durante il suo soggiorno realizzerà due concerti sinfonici al Castello di San Giusto (19 e 21 luglio) con una proposta sinfonica (Sinfonie n. 5 e 8) e di concerti (n. 3 per pianoforte e aria da concerto per soprano) con solisti e direttori d’orchestra scritturati dalla SdC (Carmela Remigio, Alexander Lonquich, Felix Mildemberger) e due concerti cameristici, uno al Museo Sartorio, il 23 luglio, e uno ad Opicina, il 22 luglio, quest’ultimo ad ingresso libero, con i componenti della medesima orchestra. 

Verranno inoltre coinvolti al Castello di Miramare, il 16 luglio, il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia “Il Rossetti” per l’esecuzione delle musiche di scena dell’ “Egmont” di J. W. Goethe e della Sinfonia n.1 con l’Orchestra di Padova e del Veneto, la cantante Valentina Corò, l’attore Fabrizio Bentivoglio e il direttore Marco Angius.

Gran finale con l’Orchestra ed il Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste che nel concerto del 24 luglio al Teatro Verdi si uniranno a LaFil Filarmonica di Milano nell’esecuzione, sotto la bacchetta di Marco Seco, della “Fantasia Corale” per pianoforte, soli, coro e orchestra (pf Alessandro Taverna), dell’Ouverture Leonora n. 3 e della Sinfonia n. 7.

La rassegna è organizzata con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e del Comune di Trieste, sponsor Orologeria Bastiani rivenditore autorizzato Rolex e con la collaborazione de Il Rossetti Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, il Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste, il Museo Storico e il Parco del Castello di Miramare, il Comitato AMUR, Europalace Hotel BW Signature Collection, Azienda Agricola Castelvecchio, Palazzo Lantieri, Le Dimore del Quartetto e Associazione Dimore Storiche Italiane.