Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Beethoven e Berlioz in una serata di grande musica a Lubiana.

Si è concluso felicemente il trittico di concerti che ha visto Charles Dutoit alla testa dell’Orchestra Filarmonica Slovena durante il mese di marzo.
E, parlando metaforicamente di conclusioni è arrivata al termine anche la carriera di Aleš Kacjan, primo flauto dell’orchestra per quarant’anni, che ieri alla fine del concerto è stato omaggiato da Dutoit stesso, dal presidente della compagine Matej Šarc e dai colleghi, oltre che dal pubblico che lo ha abbracciato con ovazioni interminabili e meritatissime perché anche nell’ultima occasione ha suonato benissimo.
La serata prevedeva due pagine musicali di Beethoven e Berlioz: compositori diversi, musica diversa.
Il concerto è cominciato con la Sinfonia n.1 in do maggiore di Beethoven, alla quale Dutoit – che ha diretto a memoria pure la Sinfonia Fantastica di Berlioz nella seconda parte – ha restituito quella leggerezza mozartiana spesso soffocata da esecuzioni che pensano alla monumentalità del Beethoven successivo.
Ma saper dirigere non è solo fare eseguire note all’orchestra, bisogna anche valorizzare quegli strani segni sulla partitura, collocandoli con intelligenza e misura nell’età compositiva dell’Autore.
Beethoven è anche compositore di transizione, che ha traghettato la musica dal Settecento – appunto Mozart, ma anche Haydn – e l’ha proiettata nel futuro. Lo sostiene lo stesso Berlioz, in una nota espunta dai suoi studi sulle nove sinfonie del tedesco.
L’interpretazione di Dutoit, sostenuto da un’orchestra per la quale ormai non ho più aggettivi, ha dato risalto al brio e alla maschia vaporosità del brano con dinamiche decise e al contempo sfumate e agogiche tese ma non certo frettolose. Eccellenti le prestazioni degli archi e dei legni – viole e violoncelli spettacolari – che hanno contribuito a sottolineare la gioiosa empatia emotiva che sprigiona questa pagina giovanile di Beethoven.
Durante l’intervallo mi sono soffermato a osservare il pubblico e sempre più mi convinco che a Lubiana la musica è amatissima da chiunque, con i giovani e giovanissimi che sono competenti e appassionati – un quartetto dissertava acutamente, in inglese, sulle differenze tra Beethoven e Berlioz – e altri, un po’ più in là con l’età, che partecipano all’evento musicale con gioia e senza spocchia di alcun genere. È un ambiente inclusivo, familiare, in cui tutti si sentono a proprio agio. Da anni sostengo che la musica tristemente definita seria soffre di un approccio troppo inamidato da parte di certo pubblico, che la considera quasi come un rito liturgico che ha le sue convenzioni immutabili. Pensieri snocciolati così, senza troppo senso, da un ascoltatore che è stato indirizzato a Beethoven durante l’infanzia dal nonno, semianalfabeta, che però mi dava la “sua” interpretazione della Nona Sinfonia.
Berlioz è uno di quei compositori (e uomini) borderline che io amo alla follia. La circostanza non mi impedisce però di rendermi conto che la Sinfonia Fantastica è una di quelle pagine musicali in cui convivono momenti di ispirazione felicissima ad altri meno riusciti; di certo il risultato finale è adrenalinico, rinvigorente.
È una musica “da vedere” oltre che da ascoltare – come sostiene mia moglie – perché essere presenti in sala è sicuramente un valore aggiunto che aggiunge un’ulteriore dimensione alla percezione sensoriale. Il vigore degli archi gravi, che spesso innervano di tensione drammatica l’atmosfera, il Valse che fa presagire più la scena del Sabba che la successiva parentesi bucolica, la devastante espressività delle percussioni, la soave bellezza dei legni, la controllata “volgarità” di alcuni momenti degli ottoni sono tutti singoli elementi che concorrono a un viaggio in cui la temperatura emotiva è sempre altissima.
Anche in questo caso è stato fondamentale l’approccio di Dutoit, che ha dato spessore e tridimensionalità alla valanga di suono orchestrale senza che si perdano per strada i particolari come gli interventi delle arpe o la studiata ironia dei legni.
Serata trionfale, che il pubblico ha sottolineato con entusiasmo e rumorose approvazioni per tutti.
Foto di Darja Štravs Tisu Photography.

La locandina

Ludwig van BeethovenSinfonia n.1 in do maggiore
Hector BerliozSinfonia Fantastica
  
DirettoreCharles Dutoit
  
Orchestra Filarmonica Slovena

La Grande Messe des morts di Hector Berlioz a Lubiana.

A Lubiana è cominciato, ieri sera, un marzo particolarmente interessante dal punto di vista musicale.
Il protagonista è stato e sarà Charles Dutoit il quale, alla verde età di 87 anni, dirigerà cinque concerti sul podio dell’Orchestra Filarmonica Slovena con cui ha un rapporto continuativo.
Il primo appuntamento prevedeva l’esecuzione della fantasmagorica Grande messe des morts di quel compositore eccentrico, visionario e geniale che risponde al nome di Hector Berlioz.
Questo lavoro mastodontico, composto nel 1837, cambiò, diciamo così, destinazione d’uso; nelle intenzioni doveva essere dedicato alla memoria di un soldato, il Maresciallo Mortier, ma poi per ragioni politiche l’opera fu indirizzata a onorare la memoria di un altro militare, il Generale Damrémont: insomma, così narrano le cronache del tempo.
Resta il fatto che si tratta di una composizione folle – giustamente definita qualche volta come un vero e proprio Requiem di cui segue il testo liturgico – che fa riconsiderare a chi l’ascolta per la prima volta il concetto di fortissimo, tanta è la potenza di decibel esplosa da una compagine che fa scomparire anche le orchestre tardo romantiche richieste per un Mahler o uno Strauss.
In alcuni momenti la musica ha poco di quel raccoglimento tipico della musica sacra e anzi sembra quasi a puntare a effetti spettacolari, come se Berlioz volesse autoincensare il proprio ego eccentrico. In altre occasioni, invece, pare davvero di essere immersi nell’Empireo e anche la scartatrice di caramelle vicina di posto assume le sembianze di un angelo.
Ho contato circa 140 artisti del coro, o meglio dei quattro cori che hanno cantato che trovate in locandina: il loro rendimento, soprattutto per quanto riguarda la parte femminile, è stato superlativo.
Eccellente anche la prova della Filarmonica Slovena, ma purtroppo – non so se sia dipeso dalla mia collocazione in parterre, l’acustica del Cankarjev Dom è peculiare – spesso è stata coperta dal coro nonostante Dutoit sollecitasse archi e legni in modo veemente.
Ma si tratta di fisime da critico, perché comunque resteranno nella mia memoria di ascoltatore appassionato il tenebroso attacco degli archi gravi nel Dies irae, la dirompente potenza delle percussioni nel Tuba mirum, il meraviglioso supporto dei flauti nell’Offertorium, il tremolo degli archi nel Sanctus – forse il momento più riuscito della serata, in cui ho apprezzato molto la bellissima voce del tenore David Jagodic, posto in alto in galleria quasi fosse un angelo dal cielo – e, soprattutto, il soave incanto del coro femminile che canta a cappella il Quaerens me.
In galleria erano inoltre disposte due sezioni di ottoni che, nonostante le ovvie difficoltà logistiche dovute alla lontananza dal podio, sono intervenute con efficacia.
Pubblico numeroso, attento e partecipe, che alla fine ha tributato un trionfo colossale alla serata con un quarto d’ora di applausi e ripetute chiamate al proscenio per tutti.

Hector BerliozGrande Messe des Morts
  
DirettoreCharles Dutoit
TenoreDavid Jagodic
  
Orchestra Filarmonica Slovena
Coro dell’Orchestra Filarmonica Slovena
Coro da camera Ave
Coro della Filarmonica di Monaco
Coro Virtuosi del Festival

Divulgazione semiseria dell’opera lirica: La fille du régiment di Gaetano Donizetti al Teatro Verdi di Trieste.

Zoraida di Granata, La Zingara, Alahor in Granata, Gli esiliati in Siberia ossia otto mesi in due ore, I pazzi per progetto, La romanzesca e l’uomo nero, Il furioso all’isola di San Domingo e, per finire questo florilegio, La Fille du Régiment: cosa lega questi titoli strampalati? Sì, avete indovinato (forse, strasmile), il comune denominatore è che sono opere di Gaetano Donizetti, compositore che si può definire prolifico, con un eufemismo alquanto cauto.
Non a caso – a torto o ragione qui non interessa – fu sdegnosamente chiamato storpiando il cognome in Dozzinetti, significando come la sua ispirazione non sempre fosse cristallina.
Beh, cominciamo con un Pavarotti d’annata (1972)

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Alban Berg e Hector Berlioz: le due facce del genio al Teatro Verdi di Trieste.

Serata davvero bella, emozionante.
Ai tanti che mi hanno chiesto la mia opinione sull’incarico a Ezio Bosso, rispondo che valuterò l’artista di volta in volta con la consueta serenità.
Ok? (strasmile) Leggi il resto dell’articolo

Recensione seria di Les Troyens di Hector Berlioz al Teatro alla Scala di Milano: il Grand Opéra torna in tutto il suo splendore.