Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Il Teatro dell’Opera di Lubiana apre la stagione con Werther di Jules Massenet.

Il Teatro dell’Opera di Lubiana ha aperto la stagione lirica con il Werther di Massenet, l’opera dello spleen.

Cosa s’intende con questo termine? Io direi che si possa individuare come una specie di disagio esistenziale ammantato di una malsana malinconia, aggravato da una propensione all’incapacità o forse addirittura alla volontà di negarsi una vita serena.
Altri potranno trovare parole diverse e citare Baudelaire e il Decadentismo, e avrebbero probabilmente ragione. La sostanza rimane quella, credo: siamo nelle sabbie mobili dell’infelicità esistenziale, terreno infido e pericoloso soprattutto se a complicare la situazione ci si mette un amore sfortunato e/o non corrisposto. Una tristezza, per certi versi, molto francese ma senza nasino all’insù, anzi, rinforzata da sana disperazione melodrammatica italiana, quella dei gesti estremi.

Lavoro di difficile decifrazione, Werther, che per collocazione temporale si può definire tardoromantico. Era il 1892 quando l’opera debuttò a Vienna (dopo essere stata rifiutata dagli impresari parigini per…manifesta tristezza!) e in quegli anni in Italia era già partita la carica culturale della Giovane Scuola che sventolava la bandiera del Verismo.

Le radici di Werther però risalgono a molti anni prima e cioè al celeberrimo romanzo epistolare I dolori del giovane Werther di Goethe, scritto nel 1774, considerato uno dei prodromi al movimento romantico.

Va detto però che rispetto alla fonte letteraria il libretto ammorbidisce abbastanza la vicenda, non tanto negli esiti quanto nelle atmosfere, che perdono parte di quella tinta desolata che caratterizza il romanzo. Si pensi alla scena finale dell’opera, in cui la presenza di Charlotte sembra – com’è stato osservato a ragione – quasi consolatoria in confronto alla terribile solitudine in cui avviene il suicidio del protagonista nel testo di Goethe.

Ed è proprio quest’ambiguità che, probabilmente, rende così affascinante l’opera di Massenet, che si dipana in equilibrio precario tra atmosfere tipicamente francesi screziate da slanci umorali da melodramma italiano. E certo, ci sono lo spleen e il mal de vivre che ammantano una vicenda tutto sommato banale, in cui si ritrovano alcuni dei tòpoi del melodramma – direi della drammaturgia teatrale – più classico: il peso dell’amore materno, il sentimento non corrisposto, le incaute promesse, l’incomunicabilità e il finale tragico.

Oggi Werther è uno dei simboli dell’opera francese e perciò, a distanza di tanti anni, possiamo affermare con certezza che il famoso impresario Léon Carvalho – deus ex machina dell’Opéra – Comique – quando cassò il Werther perché “vicenda triste, priva d’interesse e condannata a priori a scomparire” prese una cantonata memorabile.

La regia, affidata a Luis Ernesto Doňas, è di stampo tradizionale sotto ogni punto di vista ma si apprezza il lavoro di cesello fatto sulle interazioni tra i protagonisti principali e non solo. La presenza dei ragazzini – bravissimi peraltro – all’inizio dell’opera risulta un po’ troppo invasiva perché distrae dalla musica ma nel complesso l’allestimento è equilibrato e scorre felicemente, anche perché è previsto un solo intervallo e i cambi scena sono contenuti in tempi ragionevoli. Ingenua, ma d’effetto l’entrata di Werther dalla platea.
Le scenografie di Chiara La Ferlita, impreziosite dal suggestivo impianto luci di Camilla Piccioni, sono improntate a una scabra e funzionale semplicità ma al contempo ricche di particolari che contribuiscono alla comprensione della narrazione. I costumi di Elisa Cobello sono allineati al resto: pertinenti ed eleganti nella loro semplicità.
In linea con la regia mi è sembrata la direzione di Ayrton Desimpelaere, circostanza che è sempre un ottimo viatico per la buona riuscita di una rappresentazione operistica.
Il giovane direttore non indugia troppo in sentimentalismi zuccherosi e privilegia invece una virile tendresse mettendo in primo piano la narrazione teatrale, sottolineando i cromatismi della partitura ma sempre con colori tenui, in modo che le pennellate di suono più enfatico nei momenti più marcatamente drammatici spicchino vividamente. Le agogiche sono stringenti ma non precipitose o superficiali sin dall’Ouverture, grande affresco della passione tumultuosa del protagonista. La struttura quasi cameristica (il Clair de Lune che chiude il primo atto, per esempio) di certe scene viene esaltata anche grazie all’ottima prova dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Lubiana, eccellente in particolare negli archi e nei legni. Buona anche la prestazione del coro e dei ragazzi del coro di voci bianche.

La compagnia di canto è stata all’altezza di un’opera difficile che, giustamente, è definita “da tenore” senza togliere nulla agli altri protagonisti.
In questo senso è stato molto bravo Aljaž Farasin, credo all’esordio nella parte, il quale dopo un inizio cauto ha tratteggiato un ottimo Werther sia dal lato vocale sia da quello, altrettanto importante, del coinvolgimento scenico e della recitazione. Mobile, tormentato, dinamico ed efficace Farasin ha colto in pieno il mood dello sfortunato poeta e alla fine ha ricevuto un meritatissimo trionfo che ha accolto con evidente emozione.
Nei panni di Charlotte è stata eccellente, una volta di più, Nuška Drašček, mezzosoprano che per me è un enigma, nel senso che mi chiedo sempre come mai non canti nei teatri di tutto il mondo perché è una cantante/attrice formidabile. Anche ieri ne ha dato prova con un’altra prestazione maiuscola palesando con il fraseggio, la voce contraltile di bellissimo colore e il carisma della grande artista tutte le inquietudini del personaggio.
Convincente il rendimento di Jože Vidic, Albert morbido nell’emissione ed efficace nel tratteggiare un personaggio sfuggente, ferito nell’orgoglio ma al contempo più autorevole che autoritario.
Bene anche Nina Dominko, dalla voce cristallina e educata di soprano leggero, incisiva nel caratterizzare una Sophie fresca e giovane, dinamica e accorata in scena senza risultare petulante o manierata.
Credibile e centrata anche l’interpretazione un po’ crepuscolare di Saša Čano nei panni di un tenerissimo Le Bailli.
Buone le prove degli artisti che hanno interpretato le parti di contorno, che sono sempre indispensabili per la buona riuscita di una serata.
Ricordo che tutta la compagnia di cantanti è composta da artisti residenti perché credo che sia un valore aggiunto notevole per capire che si può fare l’opera, molto bene, senza i grandi nomi dello star system.
Il piccolo e bellissimo teatro era pieno e il folto pubblico ha decretato un trionfo straordinario a tutta la compagnia artistica, con l’applausometro fuori scala per Aljaž Farasin, Nuška Drašček e il direttore Ayrton Desimpelaere.

WertherAljaž Farasin
CharlotteNuška Drašček
Le BailliSaša Čano
SophieNina Dominko
AlbertJože Vidic
SchmidtMatej Vovk
JohannMarko Ferjancic
BrühlmannMatej Velikonja
KätchenInez Osina Rues
  
DirettoreAyrton Desimpelaere
  
Direttore del coroZeljka Ulcnik Remic
  
RegiaLuis Ernesto Doňas
SceneChiara La Ferlita
LuciCamilla Piccioni
CostumiElisa Cobello
DrammaturgiaTatjana Azman
  
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Lubiana

È ripresa con un concerto lirico l’attività al Teatro Verdi di Trieste: è subito sold out!

Sold out, appunto, ed è già un’ottima notizia. Per il momento va bene così, a seguire la cronaca della serata con le bellissime immagini dell’amico Fabio Parenzan.
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La stagione lirica 2015/2016 al Teatro Verdi di Trieste.

Anche in questo caso le avvertenze sono quelle del post precedente. Sostanzialmente riparo a un torto fatto dal quotidiano locale, Il Piccolo, alla città e al Teatro Verdi.
Ricordo che venerdì 17 novembre si apre la stagione lirica 2017, con Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij, opera meravigliosa, da non perdere per alcun motivo al mondo.
Qui sotto una foto (mia) dell’allestimento del 2009, sempre a Trieste.

Buona lettura (per chi ha pazienza, strasmile).

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Werther di Jules Massenet al Teatro Verdi di Trieste.

Qui, su La Classica nota, la recensione di una serata abbastanza soddisfacente.
A mio parere merita una visita al Verdi, anche perché non correte il rischio di incontrarmi perché non ho in programma di vedere altre recite (strasmile).
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Werther al Teatro Verdi di Trieste: qualche considerazione semiseria sulle vite sfigate.

Venerdì al Teatro Verdi di Trieste debutta la nuova produzione del Werther di Jules Massenet. Come di consueto, ho pensato di scrivere qualche notarella sull’opera, in maniera da agevolare l’ascolto a chi conoscesse poco o nulla questo lavoro per molti versi affascinante e particolare.
Segnalo ancora l’intervista a Giulio Ciabatti, regista dell’allestimento.
E comincio dallo spleen, che sembra essere la chiave distintiva dell’opera.

sfiga
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Recensione semiseria del Werther di Jules Massenet al Teatro Regio di Parma.

Update del tutto fuori tema, ma non ho tempo per scrivere nulla.
Il grandissimo mezzosoprano Giulietta Simionato ci ha lasciati a pochi metri dal traguardo dei 100 anni.
Per tutti noi melomani è una perdita irreparabile.

Non ho molto da dire sulla situazione di scontro che si è creata tra Governo e Sindacati dopo il decreto sulle fondazioni liriche, se non che io sono dalla parte dei lavoratori teatrali e che, lo scrivo per chi di lirica sa poco o nulla, questa non è una riforma, ma sono solo tagli indiscriminati e basta.

Spartito Werther

Una volta chiarito questo punto, riferisco della mia trasferta mordi e fuggi al Regio di Parma, in occasione dell’ultima recita del Werther di Jules Massenet, domenica 2 maggio.
Intanto un piccolo appunto polemico, perché non è la prima volta che mi capita di non riuscire a vedere bene lo spettacolo,  pur acquistando biglietti di costo rilevante (palco laterale, prima fila, tanto per capirci) perché il regista si dimentica che esistono in teatro vari ordini di posti e che l’allestimento dovrebbe tenere conto anche della visibilità in sala. Voglio dire, tutto ciò che è successo da metà palcoscenico verso lo sfondo, per me non è esistito.
C’è da considerare che Marco Carniti ha messo su uno spettacolo brutto e spesso anche incongruente, con qualche spruzzatina di comicità involontaria (penso a Werther sostanzialmente morto che si rialza come Lazzaro e cammina, appunto, verso lo sfondo). Non è stata una gran perdita, quindi, perché ciò che ho visto non mi è piaciuto per niente.
Molto modesta la scenografia di Alessandro Chiti, scena fissa e fondale mobile che ogni tanto si apriva per lasciar intravedere un albero (?), un muretto, uno spazio aperto.
Parliamo dell’uso delle luci? La povera Sonia Ganassi, ad un certo punto, illuminata di rosso e spot bianchi, sembrava avesse una forma severa di psoriasi (strasmile). Mah. Certo, il blu ogni tanto rendeva l’atmosfera tetra, crepuscolare, ma non me la sentirei di affermare che il light design di Paolo Ferrari fosse memorabile, così come i costumi di Giusi Giustino erano improntati a una banalità da bancarella di fiera di strapaese.
Molto meglio, per fortuna, sono andate le cose dal punto di vista musicale, a cominciare dalla concertazione magnifica (come potete vedere dalla foto della partitura, ha frequentato quest'opera spesso, smile) di Michel Plasson, che sin dalla prima nota del Preludio mi ha coinvolto in quella che resta, a mio parere, un’estenuante e sofferta, lunghissima, marcia funebre.
Toni cupi, prodromi di una vicenda davvero straziante soprattutto dal punto di vista intellettuale, perché non tutte le morti sono uguali neanche nel melodramma. L’Orchestra del Regio di Parma ha risposto bene, trovando una morbida compattezza di suono nei momenti più drammatici e squarci luminosi ma trattenuti anche nelle aperture melodiche. Un plauso particolare agli archi, davvero eccellenti. Bene ha fatto anche il Coro di Voci Bianche, istruito da Sebastiano Rolli, che ha evitato ogni impertinenza dei ragazzi.
Werther Applausi Francesco Meli-Sonia Ganassi
Il motivo principale d’interesse di questo Werther era il debutto di Francesco Meli e mi fa piacere dedicargli un po’ di spazio.
 Il giovane artista ha superato la prova con notevole disinvoltura, nonostante sia evidente che debba ancora maturare una parte così complessa e psicologicamente sfaccettata.
Però, ragazzi, che bella voce di tenore (ma si sapeva) e che progressi ha fatto questo artista negli ultimi due anni, specialmente in quella famigerata zona che si chiama “passaggio”, in cui in passato si era trovato spesso in difficoltà. Ora la voce sale uniforme e senza scosse agli acuti e non si sbianca né assottiglia, ma resta anzi sonora e ben proiettata.
Werther Parma Francesco Meli e Sonia Ganassi 1
Il tenore è sembrato cauto all’inizio (O nature) ma poi la prestazione è andata in crescendo nei tre atti successivi, affrontati con una maturità e sicurezza vocale rilevanti: nei duetti con Charlotte, nella famosa lettura dei versi di Ossian (Pourquoi me réveiller) e nel drammatico finale del quarto atto.
Certo in scena era un po’ impalato, ma al di là del fatto che Werther è un personaggio statico dal punto di vista scenico, mentre, in un certo senso, è ipercinetico dal lato psicologico, si dovrebbe sapere anche quanto hanno influito le indicazioni del regista.
Belle le mezzevoci e misurati anche i tanto vituperati falsetti, dei quali però non ha abusato e che comunque sono usciti puliti e sonori. Bravissimo.
Di rilievo anche la prestazione di Sonia Ganassi nella parte di Charlotte, anche se io speravo che sfoderasse accenti più drammatici nella “scena delle lettere” che è stata ben cantata ma carente di quel pathos che la caratterizza. Il mezzosoprano però è un’artista musicalissima, sa stare in scena, recita con gusto e tratteggia una Charlotte che alla fine convince, anche perché nel finale ritrova accenti accorati e davvero commoventi pur in una linea di canto aristocratica che non ha concesso nulla allo sbracamento (termine tecnico, me ne rendo conto, strasmile)
Werther Parma Giorgio Caoduro e Sonia Ganassi
Giorgio Caoduro (Albert), altro giovane cantante che a me piace molto ma che non avevo mai avuto la possibilità di ascoltare dal vivo, si è comportato bene. La parte però non è certo di quelle che danno emozioni particolari, trattandosi di un personaggio tra i più inutili della storia dell’opera. Bella voce comunque, e mi sembra un baritono vero e non un tenore corto, come spesso succede di sentire.
Serena Gamberoni è stata bravissima, soprattutto perché non ha trasformato il personaggio di Sophie nella caricatura di una ragazzina un po’ scema e petulante. La voce è bella e gli acuti sono sembrati penetranti e sicuri.
Michel Trempont si è rilevato un Borgomastro a posto più scenicamente che vocalmente.
Routine bassina per tutti gli altri: Nicola Pamio (Schmidt), Omar Montanari (Johann), Asuza Kubo (Kätchen), Seung Hva Paek (Brühlmann).
Mi ha sorpreso che non ci sia stato alcun comunicato sindacale o accenno alla situazione dei tagli, ma evidentemente al Regio sapranno come difendere il loro lavoro senza che io dia suggerimenti non richiesti.
Grande successo di pubblico per tutti, teatro quasi esaurito e manifestazioni di giubilo per Francesco Meli e Sonia Ganassi, che i due artisti hanno strameritato.
Parentesi culinaria: mi sono ingozzato di tortelli e culatello e ho esagerato col mascarpone all’amaretto.
Peraltro ho una linea invidiabile e me lo posso permettere.
Contenta anche ex Ripley, anche se si è un po’ infastidita con una maschera.
Succede.
Ciao a tutti, qui trovate tutte le foto.
 
 

Lo spleen del Werther e dei melomani: scioperi ovunque.

Update: domani salta la pomeridiana di Butterfly a Trieste.

Ora che il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto sulle Fondazioni Liriche, davvero posso dire di essere entrato in quel clima di spleen che caratterizza il Werther di Jules Massenet, che dovrei vedere domani a Parma.

Sacrosanta protesta al Teatro Regio di Parma.
Dico dovrei perché è probabile che ci sia uno sciopero.Ovviamente mi seccherebbe molto, ma credo che al loro posto, di fronte all’ennesimo tentativo di far pagare al più debole tutte le colpe dello sfascio economico dei teatri italiani, farei peggio.
Al momento sono sicuri scioperi a Firenze, Milano, Genova, Torino, Bologna, Trieste..
By the way, di limitare in qualche modo i danni perpetrati da chi gestisce criminalmente le risorse per la cultura nel nostro paese non se ne parla neanche, e tantomeno di programmazione o dei ragazzi dei conservatori.
Ieri alla prima della Butterfly, di cui darò conto credo domani, i lavoratori del teatro triestino si sono limitati a leggere un comunicato prima dell’inizio dello spettacolo. Vederli tutti lì, schierati sul palco, artisti del Coro e professori d’Orchestra (in rappresentanza di tutti gli altri, quelli “invisibili”, dai tecnici ai truccatori), mi ha fatto abbastanza male.
Io posso solo sperare che si giunga più che a un accordo, a un definitivo abbandono di azzerare i teatri lirici italiani.
Jules Massenet è ricordato oggi come l’autore di Werther e Manon, ma in realtà fu compositore di successo anche per altri lavori oggi quasi dimenticati, con l’unica eccezione di qualche episodico allestimento dei Les pêcheurs de perles. Qualche titolo? Esclarmonde, Le roi de Lahore, Thaïs e lo splendido Don Quichote.
Una particolarità del Werther, nella produzione di Massenet, è il grande rilievo sia “quantitativo” sia psicologico della figura del tenore. Sino a quel momento Massenet era considerato quale compositeur de la femme.
Pensando alla Manon, alla Thaïs, ma anche a Leyla direi proprio che la definizione fosse azzeccata.
Ma ecco Werther, che tratto da Die Leiden des jungen Werther di Goethe, pone in primo piano e caratterizza fortemente la figura maschile e relega, si fa per dire, quella “antagonista” femminile, Charlotte a un ruolo che si definisce appieno solo dopo la scena delle lettere (ancora lettere, come già tante altre volte nel melodramma, da Traviata a Tatiana nell’Onegin).
Charlotte d’ora in avanti prende un “colore” drammaturgico diverso e si riscatta in qualche modo dal passato di perbenismo piccolo borghese che la vuole promessa sposa ad un uomo che non ama.
Ma, per citare Guccini (pensate voi, strasmile) come in un libro scritto male lui s’era ucciso per Natale ed è troppo tardi.
L’opera debuttò il 16 febbraio 1892 all’Opera-Comique a Parigi, dopo qualche tentativo andato a male sia per un certo ostracismo del direttore Carvalho (timoroso di un fiasco), sia per sfighe contingenti (l’incendio del teatro nel 1887).

Do you believe in a love at first sight? Si chiedevano i Beatles, in quel rivoluzionario album che fu Sgt. Pepper Lonely Heart's Club Band, nel 1967.
Ecco, per quanto l’opera lirica abbondi d’incontri fatali, forse mai come nel Werther l’amore a prima vista e i suoi possibili effetti distruttivi sono stati resi con più bruciante intensità.
Opera di carattere francese se mai ne esiste una, Massenet con la musica del Werther fa sentire lo spleen, il mal de vivre, le angosce disperate del protagonista.
Insomma, tra il suicidio di Cio Cio San, quello di Werther e il tentato (per ora, ma ce la faranno) omicidio del governo nei confronti dei teatri lirici m’attende un sereno fine settimana!
Un saluto a tutti, appuntamento per la recensione semiseria della Butterfly.