Update del tutto fuori tema, ma non ho tempo per scrivere nulla.
Il grandissimo mezzosoprano Giulietta Simionato ci ha lasciati a pochi metri dal traguardo dei 100 anni.
Per tutti noi melomani è una perdita irreparabile.

Non ho molto da dire sulla situazione di scontro che si è creata tra Governo e Sindacati dopo il decreto sulle fondazioni liriche, se non che io sono dalla parte dei lavoratori teatrali e che, lo scrivo per chi di lirica sa poco o nulla, questa non è una riforma, ma sono solo tagli indiscriminati e basta.

Una volta chiarito questo punto, riferisco della mia trasferta mordi e fuggi al Regio di Parma, in occasione dell’ultima recita del Werther di Jules Massenet, domenica 2 maggio.
Intanto un piccolo appunto polemico, perché non è la prima volta che mi capita di non riuscire a vedere bene lo spettacolo, pur acquistando biglietti di costo rilevante (palco laterale, prima fila, tanto per capirci) perché il regista si dimentica che esistono in teatro vari ordini di posti e che l’allestimento dovrebbe tenere conto anche della visibilità in sala. Voglio dire, tutto ciò che è successo da metà palcoscenico verso lo sfondo, per me non è esistito.
C’è da considerare che Marco Carniti ha messo su uno spettacolo brutto e spesso anche incongruente, con qualche spruzzatina di comicità involontaria (penso a Werther sostanzialmente morto che si rialza come Lazzaro e cammina, appunto, verso lo sfondo). Non è stata una gran perdita, quindi, perché ciò che ho visto non mi è piaciuto per niente.
Molto modesta la scenografia di Alessandro Chiti, scena fissa e fondale mobile che ogni tanto si apriva per lasciar intravedere un albero (?), un muretto, uno spazio aperto.
Parliamo dell’uso delle luci? La povera Sonia Ganassi, ad un certo punto, illuminata di rosso e spot bianchi, sembrava avesse una forma severa di psoriasi (strasmile). Mah. Certo, il blu ogni tanto rendeva l’atmosfera tetra, crepuscolare, ma non me la sentirei di affermare che il light design di Paolo Ferrari fosse memorabile, così come i costumi di Giusi Giustino erano improntati a una banalità da bancarella di fiera di strapaese.
Molto meglio, per fortuna, sono andate le cose dal punto di vista musicale, a cominciare dalla concertazione magnifica (come potete vedere dalla foto della partitura, ha frequentato quest'opera spesso, smile) di Michel Plasson, che sin dalla prima nota del Preludio mi ha coinvolto in quella che resta, a mio parere, un’estenuante e sofferta, lunghissima, marcia funebre.
Toni cupi, prodromi di una vicenda davvero straziante soprattutto dal punto di vista intellettuale, perché non tutte le morti sono uguali neanche nel melodramma. L’Orchestra del Regio di Parma ha risposto bene, trovando una morbida compattezza di suono nei momenti più drammatici e squarci luminosi ma trattenuti anche nelle aperture melodiche. Un plauso particolare agli archi, davvero eccellenti. Bene ha fatto anche il Coro di Voci Bianche, istruito da Sebastiano Rolli, che ha evitato ogni impertinenza dei ragazzi.

Il motivo principale d’interesse di questo Werther era il debutto di Francesco Meli e mi fa piacere dedicargli un po’ di spazio.
Il giovane artista ha superato la prova con notevole disinvoltura, nonostante sia evidente che debba ancora maturare una parte così complessa e psicologicamente sfaccettata.
Però, ragazzi, che bella voce di tenore (ma si sapeva) e che progressi ha fatto questo artista negli ultimi due anni, specialmente in quella famigerata zona che si chiama “passaggio”, in cui in passato si era trovato spesso in difficoltà. Ora la voce sale uniforme e senza scosse agli acuti e non si sbianca né assottiglia, ma resta anzi sonora e ben proiettata.

Il tenore è sembrato cauto all’inizio (O nature) ma poi la prestazione è andata in crescendo nei tre atti successivi, affrontati con una maturità e sicurezza vocale rilevanti: nei duetti con Charlotte, nella famosa lettura dei versi di Ossian (Pourquoi me réveiller) e nel drammatico finale del quarto atto.
Certo in scena era un po’ impalato, ma al di là del fatto che Werther è un personaggio statico dal punto di vista scenico, mentre, in un certo senso, è ipercinetico dal lato psicologico, si dovrebbe sapere anche quanto hanno influito le indicazioni del regista.
Belle le mezzevoci e misurati anche i tanto vituperati falsetti, dei quali però non ha abusato e che comunque sono usciti puliti e sonori. Bravissimo.
Di rilievo anche la prestazione di Sonia Ganassi nella parte di Charlotte, anche se io speravo che sfoderasse accenti più drammatici nella “scena delle lettere” che è stata ben cantata ma carente di quel pathos che la caratterizza. Il mezzosoprano però è un’artista musicalissima, sa stare in scena, recita con gusto e tratteggia una Charlotte che alla fine convince, anche perché nel finale ritrova accenti accorati e davvero commoventi pur in una linea di canto aristocratica che non ha concesso nulla allo sbracamento (termine tecnico, me ne rendo conto, strasmile)

Giorgio Caoduro (Albert), altro giovane cantante che a me piace molto ma che non avevo mai avuto la possibilità di ascoltare dal vivo, si è comportato bene. La parte però non è certo di quelle che danno emozioni particolari, trattandosi di un personaggio tra i più inutili della storia dell’opera. Bella voce comunque, e mi sembra un baritono vero e non un tenore corto, come spesso succede di sentire.
Serena Gamberoni è stata bravissima, soprattutto perché non ha trasformato il personaggio di Sophie nella caricatura di una ragazzina un po’ scema e petulante. La voce è bella e gli acuti sono sembrati penetranti e sicuri.
Michel Trempont si è rilevato un Borgomastro a posto più scenicamente che vocalmente.
Routine bassina per tutti gli altri: Nicola Pamio (Schmidt), Omar Montanari (Johann), Asuza Kubo (Kätchen), Seung Hva Paek (Brühlmann).
Mi ha sorpreso che non ci sia stato alcun comunicato sindacale o accenno alla situazione dei tagli, ma evidentemente al Regio sapranno come difendere il loro lavoro senza che io dia suggerimenti non richiesti.
Grande successo di pubblico per tutti, teatro quasi esaurito e manifestazioni di giubilo per Francesco Meli e Sonia Ganassi, che i due artisti hanno strameritato.
Parentesi culinaria: mi sono ingozzato di tortelli e culatello e ho esagerato col mascarpone all’amaretto.
Peraltro ho una linea invidiabile e me lo posso permettere.
Contenta anche ex Ripley, anche se si è un po’ infastidita con una maschera.
Succede.
Ciao a tutti, qui trovate tutte le foto.
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