Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: aprile 2021

Daniele Gatti dirige l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai l’integrale delle sinfonie di Brahms.

Il 22 e il 29 aprile dallAuditorium Rai di Torino in diretta su Radio3 e in live streaming su www.raicultura.it

Il 9 e 10 giugno anche in TV su Rai5

È il direttore d’orchestra milanese Daniele Gatti il protagonista dell’esecuzione integrale delle sinfonie di Johannes Brahms, che l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai propone a porte chiuse all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino nelle serate di giovedì 22 e giovedì 29 aprile alle 20. Entrambi gli appuntamenti, parte del cartellone dei “Concerti di primavera-estate”, sono trasmessi in diretta da Radio3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura. Rai5 li proporrà in prima serata in due giornate consecutive, il 9 e il 10 giugno prossimi. 

2 e 3 febbraio 2020 DANIELE GATTI Direttore | Daniele Gatti Maestro del Coro | Gea Garatti Ansini Johannes Brahms Ein deutsches Requiem (Requiem tedesco), per soli, coro e orchestra, op. 45 (1868) Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo domenica 2 febbraio 2020, ore 18.00 – Turno P lunedì 3 febbraio 2020, ore 20.00 – Turno S Durata musicale: 1 ora e 20 minuti circa

Gatti è Direttore musicale dell’Opera di Roma e dell’Orchestra Mozart, ed è Consulente artistico della Mahler Chamber Orchestra. Ha ricoperto incarichi presso orchestre come quella del Concertgebouw di Amsterdam, dell’Accademia di Santa Cecilia, presso la Royal Philharmonic Orchestra e la Royal Opera House di Londra. I Berliner e i Wiener Philharmoniker, la Staatskapelle di Dresda, la Symphonieorchestrer des Bayerisches Rundfunk e la Filarmonica della Scala sono alcune delle istituzioni sinfoniche che dirige regolarmente. Recentemente è stato protagonista dei due film-opera Il barbiere di Siviglia, vincitore del Premio Abbiati della Critica musicale italiana, e La traviata, realizzati dall’Opera di Roma con Rai Cultura e trasmessi su Rai3.

Torna sul podio dell’Orchestra Rai per due settimane consecutive, dopo aver diretto ben sei diversi programmi nel corso del 2020, e lo fa con tutte e quattro le sinfonie scritte da Johannes Brahms: autentico banco di prova per le orchestre e i grandi direttori. 

Il percorso che portò Brahms all’esordio nel genere sinfonico fu lungo e travagliato, fatto di anticipazioni e continui ripensamenti. Tra le cause del suo indugiare lo scontro lacerante tra l’impossibilità etica di sottrarsi alla forma musicale più elevata e la sua insicurezza, legata a una ricerca spasmodica di perfezione. Certo è che scrivere sinfonie dopo Beethoven non era impresa semplice. Brahms stesso confessò in una lettera al direttore d’orchestra Hermann Levi: «non puoi avere un’idea di ciò che si sente, avvertendo dietro le spalle i passi di un gigante come quello». Infine diede vita a quattro mirabili capolavori, tutti seguiti da un grandissimo successo. Nonostante siano state scritte a blocchi da due, tra il 1776 e il 1777, e il 1883 e il 1884, le sinfonie sembrano intrinsecamente legate da una certa malinconia, che le rende metafore sonore dei sentimenti più intimi del loro creatore.

Nel primo concerto, giovedì 22 aprile, Gatti apre con la Terza e chiude con la Prima sinfonia. La Sinfonia n. 3 in fa maggiore, op. 90 godette di un ampio successo fin dalla sua prima esecuzione, avvenuta a Vienna il 2 dicembre 1883 con i Wiener Philharmoniker diretti da Hans Richter. Celeberrimo il suo terzo movimento, usato dal noto regista ucraino Anatole Litvak per il film Aimez vous Brahms?.

La Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 invece fu completata da Brahms nel 1776, ma i primi abbozzi risalgono al 1755. La distanza che intercorre tra l’inizio del lavoro e la sua conclusione è da ricondurre alla continua insoddisfazione e alla già citata incessante ricerca di perfezione da parte del compositore tedesco. Nel Finale è possibile riconoscere una reminiscenza del celebre tema dell’Inno alla gioia di Beethoven. La prima esecuzione della Sinfonia in do minore, avvenuta il 4 novembre 1876 a Karlsruhe sotto la direzione di Felix Otto Dessoff, ebbe un grande successo. Il direttore d’orchestra Hans Von Bülow la ribattezzò la “Decima Sinfonia di Beethoven”, quasi a indicare in Brahms l’erede del compositore di Bonn.

In ottemperanza alle ultime disposizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i concerti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai si svolgono a porte chiuse, senza la presenza del pubblico nell’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino.

COMUNICATO STAMPA

ORCHESTRA RAI: OMAGGIO A STRAVINSKIJ CON PULCINELLA DIRETTO DA OTTAVIO DANTONE

COMUNICATO STAMPA

Venerdì 9 aprile in diretta su Radio3 e in live streaming su www.raicultura.it, con Paola Gardina, Alasdair Kent e Paolo Bordogna

È un omaggio a Igor Stravinskij nel cinquantesimo anniversario della scomparsa  avvenuta a New York il 6 aprile del 1971  il primo dei “Concerti di primavera-estate” dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, in programma a porte chiuse venerdì 9 aprile alle 20, all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino. La serata è trasmessa in diretta su Rado3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura. Verrà poi proposta su Rai5 giovedì 24 giugno in prima serata.

Sul podio Ottavio Dantone: tra i massimi interpreti di musica antica, clavicembalista e direttore d’orchestra, grande esperto e studioso della prassi esecutiva barocca. Dal 1996 è Direttore Musicale dell’Accademia Bizantina di Ravenna con la quale collabora dal 1989. E proprio alla musica antica fa esplicito riferimento la pagina di Stravinskij in programma: Pulcinella, balletto in un atto per piccola orchestra con tre voci soliste, su musiche di Giovanni Battista Pergolesi. L’opera, creata tra il 1919 e il 1920, segnò una svolta nella produzione del compositore, inaugurando il suo passaggio al neoclassicismo, caratterizzato dalla ripresa degli stilemi della musica antica.

Lo spunto nacque dall’intuizione artistica di Djagilev, il celebre impresario dei Balletti russi, che rimasto affascinato dalla scoperta di alcuni manoscritti di Pergolesi, invitò Stravinskij a orchestrarli. Tra questi Lo frate ‘nnamorato del 1732, Adriano in Siria del 1734, Flaminio del 1735 e alcune Sonate in trio per due violini e basso continuo. 

Il risultato è uno straordinario connubio tra Settecento e Novecento su un soggetto della Commedia dell’Arte. La prima rappresentazione avvenne all’Opera di Parigi il 15 maggio 1920 con la coreografia di Léonide Massine e le scene e i costumi di Pablo Picasso.

Le parti vocali sono affidate al mezzosoprano Paola Gardina, recente interprete al Regio di Torino del Così fan tuttediretto da Riccardo Muti; al giovane tenore australiano Alasdair Kent, vincitore dei prestigiosi Joan Sutherland & Richard Bonynge Bel Canto Award; e al basso-baritono Paolo Bordogna, recente interprete del Maestro di Cappella di Cimarosa con l’Orchestra Rai. 

Completa la serata la celebre Sinfonia n. 41 in do maggiore KV 551 di Wolfgang Amadeus Mozart detta “Jupiter”. Composta in un periodo difficile del musicista austriaco, dato da incertezza economica, affettiva e psichica, la pagina è caratterizzata da un tono grandioso e olimpico e conclude il ciclo delle sue ultime tre sinfonie, scritte in soli tre mesi tra giugno e agosto del 1788. 

Ottavio Dantone sarà protagonista con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai anche del secondo dei “Concerti di primavera-estate” in programma giovedì 14 aprile alle 20 con musiche di Haydn e Schubert.

In ottemperanza alle ultime disposizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i concerti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai si svolgono a porte chiuse, senza la presenza del pubblico nell’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino.

07.04.2021

Terza e ultima parte dello speciale sull’operetta curato da Luisa Antoni.

Terza e ultima parte del bellissimo saggio sull’operetta, a cura di Luisa Antoni.
Qui la prima parte

Qui la seconda parte

4. Le operette tedesche e quelle italiane erano presenti principalmente con le compagnie di giro e, secondo i dati finora rilevati, la produzione di autori locali era molto scarsa. Le uniche operette, scritte da autori del territorio che ho potuto reperire finora, sono il Don Chisciotte di Ricci-Stolz[1] (presentato dalla compagnia di Pietro Franceschini, insieme ad altre operette nella loro tournée triestina tra il 18 marzo e il 5 aprile 1882) e le operette Il passaporto del droghiere, L’opera del maestro Pastrocci e A(t)tala della dimenticata compositrice triestina Gisella Delle Grazie,[2] quest’ultima si è occupata anche di attività impresariale a Trieste durante la guerra.

Seguendo queste poche notizie, si potrebbe ipotizzare che anche la produzione locale in italiano fosse presente, ma non è rimasta nella memoria e anche questo aspetto andrebbe approfondito, attraverso lo spoglio dei giornali dell’epoca che ci porterebbe a probabili interessanti scoperte.

I dati sugli spettacoli tedeschi risalgono al 1784, quando giunse a Trieste la compagnia tedesca (formata da 58 membri, tutti giovanissimi) di Felix Berner, impresario noto in tutto l’impero.[3] Nel 1830 una signora della borghesia tedesca triestina annotava nelle sue memorie: “le rappresentazioni tedesche sono sempre affollate, benché i triestini sparlino sempre dei tedeschi”.[4] Negli anni ’60 sul palcoscenico triestino furono proposte diverse operette di Offenbach, Suppé e Treumann.

Tra il 1886 e il 1887 va segnalata la presenza in città della primadonna Gabrijela Mrak, originaria di Tolmino e conosciuta in tutto l’Impero austro-ungarico come cantante di operetta. All’inizio del 1887 la Mrak, che era un membro del Carltheater di Vienna, ricevette l’invito – assieme a tutta la compagnia – per esibirsi al teatro tedesco di Lubiana. Siccome il teatro carniolo venne danneggiato da un incendio il 17 febbraio, tutto l’ensemble venne dirottato a Trieste, dove ha avuto un grande successo.[5]  A Trieste hanno presentato Das verwunschene Schloss e Gasparone di Millöcker, Der Zigeunerbaron di Strauss, Don Cesar di Dellinger, Der lustige Krieg di Strauss e Giroflé-Girofla di Lecocq e la stella di tutte queste rappresentazioni era la Mrak.

Le compagnie di giro, che arrivavano a toccare Trieste e alcune anche Gorizia, erano numerose, ma sappiamo che la lista arrivata a noi è incompleta. Ecco qui i nomi sinora reperiti: il gruppo dei fratelli Grégoire, S. Spina, Pietro Cesari, Filippo Bergonzoni, Bruto Bocci, Antonio Scalvini, Pietro Franceschini, il gruppo viennese di Lori Strubel e il gruppo operettistico tedesco del Teatro di Bratislava, Raffaele Scognamiglio, il gruppo francese Glaser, Gaspare Favi, il gruppo operettistico di Budapest, Carlo Lombardo, Mila Theren, Augusto Angelini, Tommaso Mauro, Amelia Soarez, Jole Baroni, Ferma Vecla Benini, il gruppo viennese di Paul Guttmann, Calabresi-Sabbatini-Ferrero, Giovanni Emanuel, Carlo Fiorello, Angelo Cavallini.

Vale anche la pena ricordare che a Trieste ci furono rappresentazioni di zarzuele. Nel 1902, un gruppo spagnolo, guidato dal triestino Antonio Rupnik,[6] visitò Trieste; si presentarono al Teatro Rossetti con lo spettacolo Certamen nacional, che ha avuto un grande successo,[7] e con l’opera El Maestro Campanon(e), una rielaborazione dell’opera La prova di un’opera seria (1846) di Giuseppe Mazza (1806-1885), compositore italiano morto a Trieste.[8] Molte compagnie italiane da Trieste hanno poi continuato la loro tournée nei teatri istriani e dalmati (Pola, Fiume, Abbazia, Sebenico e Zara), rafforzando così i legami che questi territori avevano con la parte di lingua italiana di Trieste.

Il 27 febbraio 1907, al Teatro Filodrammatico di Trieste, alla presenza di Suppé e Kálmánn, fu eseguita la prima triestina di Die lustige Witwe sotto la direzione di Lehár e con Mila Theren come Hanna. La vedova allegra aveva conquistato il pubblico viennese del Theater An der Wien due anni prima. Mentre alla prima triestina è scoppiata una vivace polemica che ha irritato così tanto Lehár, da farlo lasciare la città subito dopo la prima rappresentazione, lasciando le repliche nelle mani di Teply, direttore del 97° Reggimento di Fanteria. Come riporta puntualmente Runti, il problema era sorto intorno alla nazionalità del personaggio principale Danilo che era il principe di un non meglio precisato un paese balcanico, denominato Pontevedro, e che i manifestanti hanno ipotizzato essere il Montenegro, anche per l’omonimia del principe ereditario montenegrino.[9] Se a Vienna l’operetta era ascesa al successo senza polemiche, a Istanbul ci furono proteste pubbliche contro lo spettacolo e a Trieste vennero distribuiti e lanciati durante la prima dei volantini in un pessimo italiano.[10] Malgrado ciò il legame di Lehár con Trieste rimase molto forte, lui – così come anche Suppé – a Trieste fu di casa, ci visse dal 1896 al 1898, e la casa editrice triestina di Carl Schmidl pubblicò i suoi libretti. Nel 1929 Lehár visitò nuovamente Trieste e diresse al Teatro Rossetti le sue operette Paganini e Federica.

Nel febbraio 1917 l’impresario Viktor Eckardt presentò delle nuove operette al Teatro Eden, tra di esse la prima triestina di Die Cárdásfürstin di Kálmán, e vale la pena ricordare che in quest’occasione l’orchestra fu diretta con grande successo dall’appena diciassettenne Lovro von Matačić.[11]

Nel periodo prima e durante la Prima guerra mondiale, le sale di Trieste, ospitavano film, operette, varieté, quello che si definiva Teatro-Cinema-Varietà. Soprattutto nel periodo tra le due guerre, si affermarono le donne impresarie come agenti teatrali, mostrando una particolare propensione ad organizzare tali spettacoli (abbiamo già citato Gisella delle Grazie).[12] Tra gli altri impresari, vi furono Angel Curiel, Virginio Perini e il dalmata, nonno di Giorgio Strehler, Olimpio Lovrich, che visse e lavorò a Trieste. Le tournée di film e operette varcavano i confini di Trieste e spesso toccavano Fiume, a volte Parenzo e Pola, raramente Zara e Spalato. Dopo la Prima guerra mondiale, Trieste diventò parte del Regno d’Italia e questi legami con le città istriane e del Quarnero si fecero ancora più stretti.

Nel dopoguerra, l’operetta in italiano divenne molto popolare a Trieste il suo principale promotore fu Mario Nordio che divenne anche il traduttore ufficiale di Lehár in italiano.

Trieste diviene subito il luogo deputato dell’operetta e trova nella prestigiosa figura di Mario Nordio l’uomo simbolo del rapporto profondo tra Lehár, la città di Trieste e l’operetta. Egli è il primo geniale traduttore di Lehár in occasione della prima presentazione in Italia di Clo-Clo al Teatro La Fenice nel 1924.[13]

Va aggiunto che oltre all’operetta Clo-Clo Nordio fece le traduzioni ritmiche delle operette Giuditta e Paganini di Lehár, quest’ultima in prima italiana a Milano nel 1925.[14] Durante il periodo tra le due guerre, l’operetta viennese, eseguita da compagnie italiane, divenne particolarmente amata a Trieste. Nei teatri cittadini Rossetti, Filodrammatico, Armonia, Eden, Nazionale e La Fenice, autori italiani come Virgilio Ranzato (1883-1937),[15] Carlo Lombardo (1869-1959), Pasquale [Cataldo Antonio] Mario Costa (1858-1933), Giuseppe Pietri (1886-1946) e Alfredo Cuscinà (1881-1955) presentano le loro operette su modello delle operette viennesi. Le notizie, che si sono potute trovare, testimoniano anche dell’esecuzione dell’operetta di Mascagni e La reginetta delle rose di Leoncavallo, operetta quest’ultima, di cui si sa che ebbe la sua prima esecuzione goriziana nel 1912.[16]

Poiché a metà degli anni Venti le navi oceaniche iniziarono a navigare da Trieste verso il Nord e il Sud America, è molto probabile che le compagnie di giro e i loro impresari eseguissero gli stessi programmi nei continenti americani. Anche questo capitolo è ancora inesplorato.

Al termine di questa prima rassegna sulla presenza dell’operetta a Trieste e nelle città limitrofe, vorrei brevemente parlare del festival dell’operetta che si svolse ad Abbazia tra il 1935 e il 1938 e ebbe come ospiti compositori come Franz Lehàr, Emmerich Kálmán, Robert Stolz e Miklós Brodsky. Sappiamo che a questo festival hanno preso parte anche molti musicisti legati a Trieste. Il festival ha dedicato il primo anno interamente a Lehár e il secondo a Kálman, il terzo anno ha presentato di Mascagni e si è concluso con l’opera Roxy und ihr Wunderteam di Ábrahám. Tra gli artisti triestini presenti a questo festival, ci fu anche Guido Cergoly, poi trasferitosi in Italia.[17]

5. Dal punto di vista musicale Trieste e Gorizia divennero meno interessanti nel periodo tra le due guerre, poiché scomparve l’intreccio vivace, multilingue e interculturale e rimase solo l’offerta italiana. Dai dati raccolti fino ad oggi, si può giustamente concludere che alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento l’intreccio delle diverse lingue e culture hanno conferito a Trieste e Gorizia una patina cosmopolita che ha sicuramente affascinato i nuovi immigrati. Allo stesso tempo Trieste fu una vera e propria incubatrice per molti artisti, soprattutto sloveni, che emigrarono dalla città per motivi di lavoro (come Viktor Parma), e poi principalmente sotto la pressione dell’italianizzazione forzata, come Mirko Polič, Danilo Švara, Vasilij Mirk, i fratelli Dušan, Ivan Karlo e Belizar Sancin, Robert Primožič, Mario Šimenc, Ksenija Vidali, Ondina Otta, Jakov Cipci ecc.

A Trieste, nel primo dopoguerra, l’operetta con le compagnie italiane riscosse un grande successo che è continuato anche nel secondo dopoguerra, ed è ancora oggi presente, anche se in misura minore. In ogni caso, il capitolo sulla presenza dell’operetta a Trieste e Gorizia è ancora aperto e porterà – se la musicologia lo approfondirà – a interessanti scoperte.


[1] Luigi (Luigino) Ricci Stolz, figlio del compositore napoletano Luigi Ricci, è nato a Trieste nel 1852 ed è morto a Milano nel 1906. Una copia del libretto dell’operetta Don Chisciotte, pubblicato dallo stampatore triestino Ludovico Herrman(n)storfer nel 1881, si trova nella Library of Congress di Washington. La famiglia Herman(n)storfer, che ha gestito per 37 anni il teatro triestino La Fenice (la gestione è poi passata a Olimpio Lovrich, Strehler & Co), aveva anche la sua casa editrice; Theodor era amico personale di Lehár, Kálmán e con gli altri membri della famiglia (Francesco, Antonio e Gianni) traduceva in italiano le operette di Suppé, Strauss, e altri. Licciardi, Theater-Kino-Varieté, 286.

[2] Fabiana Licciardi ha fatto un lavoro di ricerca attraverso i giornali dell’epoca. Licciardi, Theater-Kino-Varieté,  447-8. La Delle Grazie è anche citata da Mario Nordio, Il Politeama Rossetti di Trieste, storia di cinquant’anni 1878-1928 (Trieste: Direzione del teatro, 1928), 45.

[3] Lugnani, La cultura tedesca, 17.

[4] Lugnani, La cultura tedesca, 39.

[5] Slavica Mlakar, Gabrijela Mrak, tolminska operna pevka (Tolmin: Knjižnica Cirila Kosmača, Tolmin, 1999), 28.

[6] Nordio, Politeama Rossetti, 45.

[7] Carlo Runti, Sull’onda del Danubio blu (Trieste: Edizioni LINT, 1985), 94.

[8] La complicata storia, intorno alla rielaborazione dell’opera di Mazza La prova di un’opera seria con il nuovo titolo El Maestro Campanon è riportata da Andrew Lamb in https://www.zarzuela.net/ref/feat/campanone.htm.

[9] Riporto qui l’opinione di Thobias Becker: »This plot was not particularly new: it was based on Henri Meilhac’s farce L’attache ́ d’ambassade (1861). While Meilhac made his impoverished country a vaguely German principality in his play, “Pontevedro” in the operetta was obviously a satirical version of Montenegro, the smallest and poorest of the Balkan states. Inspired by this specific setting, Lehar looked to the folk music of the eastern parts of the Austrian-Hungarian Empire for inspiration, while at the same time also using contemporary dances from everywhere in the world, such as the Polonaise, the Kolo, the Valse, and the Cake Walk.« Becker, Globalizing operetta, 11.

[10] Runti, Sull’onda, 71.

[11] Il Lavoratore, 10.2.1917.

[12] Per la ricostruzione di questa compagine cittadina si veda il lavoro svolto da Fabiana Licciardi, Theater-Kino-Varieté nella Prima guerra mondiale, l’industria dell’intrattenimento in una città al fronte: Trieste 1914-1918.

[13] Adriano Dugulin, »Il fascino dell’operetta«,  in Tu che m’hai preso il cuor, l’operetta da Trieste all’Europa, a cura di Adriano Dugulin (Trieste: Comune di Trieste, 1994), 6.

[14] Runti, Sull’onda, 95.

[15] Le sue Cin-ci-là (1923) e Il paese dei campanelli (1925) sono ancora oggi degli evergreen dei palcoscenici triestini.

[16] Alessandro Arbo, Musicisti di frontiera, (Gorizia: Edizioni La laguna, 1998), 146.

[17] Guido Cergoli (Trieste, 1912- Roma, 2000), fratello del più celebre poeta, giornalista e scrittore Carolus, è nato in una famiglia che da parte materna era di origini ungheresi e croate, da parte paterna invece, slovene. Collaborò come maestro sostituto al festival dell’operetta di Abbazia. Dopo il periodo, in cui lavorò come pianista e direttore della sua orchestra a Radio Trieste, si trasferì a Roma. La sua prima esibizione con la sua orchestra fu nel 1936 alla radio triestina, periodo in cui la radio faceva parte del network norditaliano EIAR. Vedi Antoni, »Trieste and the surrounding areas«.

Claus Peter Flor dirige il Requiem di Mozart in diretta streaming dal Teatro La Fenice

La musica sacra di Wolfgang Amadeus Mozart sarà protagonista del concerto diretto da Claus Peter Flor, che sarà trasmesso in diretta streaming dal Teatro La Fenice, nel giorno del venerdì santo, 2 aprile 2021, alle ore 17.30.  Il maestro tedesco, alla testa dell’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, dirigerà il Requiem per soli, coro e orchestra kv 626 e il mottetto «Ave verum corpus» kv 618 del salisburghese, con la complicità delle voci soliste del soprano Ruth Iniesta, del mezzosoprano Cecilia Molinari, del tenore Anicio Zorzi Giustiniani e del basso Alex Esposito; maestro del Coro Claudio Marino Moretti.

Fondazione Teatro La Fenice Beethoven – Sinfonia n. 9 per soli, coro e orchestra, Op. 125 Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice Direttore Myung-Whun Chung Photo ©Michele Crosera

Composto a Vienna nel 1791 ma rimasto incompiuto per la prematura morte, il 5 dicembre, del musicista trentacinquenne, il Requiem fu commissionato a Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) dal conte Walsegg, un nobile viennese che voleva ‘acquistare’ la pagina in forma anonima dal compositore per poi presentarla come un suo proprio lavoro in omaggio alla moglie appena defunta. Mozart, che da alcuni anni non si era più dedicato alla musica sacra, accettò senza indugi l’incarico e senza sospettare che le sue condizioni di salute non gli avrebbero permesso di portarlo a termine, trasformando il suo ultimo atto creativo in una drammatica riflessione sulla morte vicina. Completato dall’allievo Franz Xaver Süssmayr – che probabilmente aveva potuto raccogliere alcune idee e appunti del maestro – il Requiem è l’estremo capolavoro del salisburghese.

Il Requiem, proposto nella versione completata da Franz Xaver Süßmeyer, Joseph Eybler e Franz Beyer, sarà introdotto dal delicato mottetto eucaristico «Ave verum corpus» kv 618: tra le ultime composizioni di Mozart, rappresenta forse una delle pagine più pure e più legate al mondo sacro, ovviamente per il testo utilizzato ma anche per la purezza della stesura musicale, quasi a suggerire una visione celeste. Sono poche battute per circa tre minuti di musica di rara bellezza.

COMUNICATO STAMPA